Proprio qualche giorno fa vi abbiamo parlato di un libro che ci ha aperto gli occhi sull’importanza del gioco libero per i bambini. Il libro in questione è “Lasciateli giocare” di Peter Gray, uno studio dello psicologo che mette in luce come il gioco non supervisionato sia l’attività preferibile per i nostri figli, che in questo modo, liberi dalle regole e dagli schemi pre-impostati dagli adulti, possono finalmente imparare a vedere e a vivere il mondo da soli.

Questo approccio di Peter Gray potrebbe essere definito in una parola: autoeducazione. E in Massachusetts, negli Stati Uniti, esiste (da quasi cinquant’anni) una scuola che ha fatto di questa parola il suo pilastro educativo.

La Sudbury Valley School, un modello educativo unico e innovativo: come l’autoeducazione riesce ad essere un valido approccio didattico che mette al centro la curiosità naturale del bambino

L’autoeducazione parte da un semplicissimo presupposto: l’educazione dei bambini e la loro istruzione passa innanzitutto da loro stessi, non dagli adulti e dalla scuola presa di per sé. E per capirlo fino in fondo basta pensare a quanto imparano nei primi anni della loro vita, quando ancora non vanno a scuola e quando acquisiscono mille competenze semplicemente seguendo il loro istinto.

Camminare, saltare, mangiare, parlare, fare domande... Sono tutte azioni che imparano a compiere da loro, solo lasciandosi guidare un pochino dagli adulti, senza lasciare che questi impongano nulla. Lo stesso, quindi, potrebbe avvenire a scuola, se la scuola iniziasse a intendere l’insegnamento non tanto come una trasmissione di concetti in linea unilaterale insegnante-bambini, ma più come una guida e un aiuto al bambino nel suo naturale processo di apprendimento. In altre parole: anche se lasciato libero, il bambino alla fine impara tutto ciò che deve sapere. E arriva al diploma, sì. E nella vita sarà comunque una persona realizzata in grado di svolgere il lavoro verso cui è più portato.

Questo concetto è stato a lungo studiato d Peter Gray, che nelle sue ricerche ha parlato anche dei bambini cacciatori-raccoglitori, che possono tranquillamente essere paragonati ai bambini che frequentano la Sudbury Valley School (della quale parleremo a breve in maniera dettagliata). Peter Gray per anni ha studiato le popolazioni dedite ancora alla caccia e all’agricoltura, viaggiando in Africa, nelle Filippine, in Malesia e in Nuova Guinea. Osservandole, il dato più interessante che è emerso è proprio l’autoeducazione dei cacciatori-raccoglitori: i bambini e le bambine che vivono in queste zone non scolarizzate potrebbero essere visti come individui che non hanno bisogno di istruzione, quando invece i concetti che devono immagazzinare nella loro vita sono davvero innumerevoli e importantissimi (sapere conoscere le specie animali, tutte le loro diverse abitudini, le armi, il territorio fin nel dettaglio... E poi i semi, le piante, le specie commestibili, i ritmi di crescita delle erbe, eccetera...). Questa istruzione però non passa, appunto, dalla scuola, ma dall’esperienza. E, soprattutto, passa dai bambini stessi, e non dagli adulti, che li aiutano solo ogni tanto e danno poche spiegazioni. Insomma: la loro istruzione passa dalla loro curiosità e dall’osservazione del mondo (anche grazie al fatto che vengono lasciati liberi di giocare ed esplorare per ore e ore ogni giorno). Perché, quindi, anche da noi non potrebbe accadere la stessa cosa?

Ecco che quindi Peter Gray ha osservato la Sudbury Valley School, una scuola fondata sull’apprendimento guidato dal bambino, e ha appurato che in effetti questa è esattamente un esempio del modello cacciatori-raccoglitori, in chiave, però, occidentale.

La Sudbury Valley School è stata fondata nel 1968 da un gruppo di persone unite dal comune scopo di trovare la migliore educazione per i loro figli o per i bambini in generale. Per iniziare con il piede giusto, quindi, hanno deciso di non guardare ai modelli proposti dalle altre scuole, per capire meglio e da zero quale fosse la strada migliore. Hanno così messo sul piatto un dato reale, e cioè la curiosità dei bambini e la capacità dell’essere umano di impegnarsi sempre per migliorare la propria comprensione del mondo. Senza provare a spingere i bambini in qualche direzione, quindi, hanno provato a lasciarli liberi di arrivare alle nozioni e ai concetti secondo i loro tempi.

Sin dai primi giorni a scuola, quindi, i bambini vengono lasciati liberi di utilizzare il loro tempo come meglio credono senza cadere nella trappola degli orari disegnati a tavolino dagli adulti. Leggono libri, giocano a palla, vanno in bicicletta, conversano su tutti gli argomenti, conoscono nuovi bambini, imparano ad amare l’ambiente esterno e a viverlo. Ciò che poi emergerà da questa impostazione sono tutte quelle abilità che permetteranno ai bambini di farcela nella vita e di imparare cose nuove: la voglia di imparare sempre cose nuove (soprattutto quelle che davvero interessano), la capacità di giudizio, il problem solving, la capacità di conversazione, la creatività. Soprattutto, la passione. E il saper imparare anche in maniera accidentale (come, ad esempio, imparare la grammatica giocando a Scarabeo con il dizionario a portata di mano, o la matematica attraverso il punteggio dei giochi e dei video giochi, o la fisiologia e l’anatomia dei pesci perché hai voglia di informarti prima di andare a pescare).

Questa scuola accoglie, in maniera libera (quindi senza test di ammissione o liste d’attesa. Anzi: i bambini possono entrare nella scuola anche a metà dell’anno scolastico), bambini e ragazzi dai 4 anni (quindi in età da scuola materna) ai 19 (portandoli fino al diploma), e durante questi anni gli studenti imparano a prendere in mano la loro vita e ad aggiornarsi costantemente con curiosità e consapevolezza.

Come nella filosofia pedagogica di Peter Gray, anche la Sudbury Valley School mette al centro il gioco non supervisionato, quindi, ma anche e soprattutto l’ambiente naturale esterno. Il giocare e l’imparare “fuori” sono una parte fondamentale dell’autoeducazione, e per questo la scuola è dotata di bellissimi spazi verdi esterni, con dieci acri di terreno e dei fienili (adibiti anche a stanze insonorizzate per la musica, dove i bambini possono andare per imparare a suonare uno strumento, o allestite con palchi dove eseguire piccoli spettacoli).

L’edificio principale, la “scuola”, si presenta invece come una bella costruzione al cui interno i ragazzi trovano una cucina, un laboratorio fotografico, una stanza per l’arte, una per internet, un ufficio, oltre a svariate aule di varie dimensioni, che però non sono specificatamente destinate ad una materia in particolare (anche perché le materie non ci sono!).

E se non ci sono materie, non ci sono nemmeno insegnanti. Ci sono però naturalmente degli adulti, solo che questi sono chiamati “membri dello staff” e i loro compiti sono diversi da quelli degli insegnanti: a volte insegnano, ma essendo l’insegnamento uno dei “compiti” dei bambini la loro funzione principale è quella di essere risorse a disposizione dei ragazzi, un aiuto per la scuola e un modello per ispirare i bambini a diventare brave persone da adulti.

Naturalmente ogni membro dello staff, pur non venendo etichettato come “insegnante di inglese”, “insegnante di musica” o “insegnante di letteratura” ha una sua inclinazione personale, quindi se un bambino ha voglia di imparare a suonare la batteria andrà dall’adulto più esperto musicalmente, mentre chi si interessa di letteratura potrà rivolgersi all’adulto che più legge. In generale, questi adulti possono identificarsi come “generalisti” o “specialisti” capaci di guidare i ragazzi in determinare materie piuttosto che in altre.

Ma come fanno dunque questi ragazzi ad essere preparati per l’università, ad esempio, soprattutto negli Stati Uniti, dove, se vuoi frequentare il college, devi superare dei test, i SAT, che misurano il tuo grado di istruzione? Semplicemente, i ragazzi imparano davvero moltissimo guidandosi da sé, proprio come i cacciatori-raccoglitori, ma soprattutto imparano ad impegnarsi per raggiungere un obiettivo. Quindi, chi vuole frequentare l’università sa che per farlo deve prepararsi bene su determinati argomenti e materie, e sa come farlo. Con la voglia di farlo. Perché per la Sudbury Valley School e per l’autoeducazione in generale la motivazione è fondamentale. E i bambini arriveranno proprio lì: ad acquisire le competenze per fare fruttare al meglio questa motivazione che sentono dentro. Ciò che i ragazzi imparano davvero non è tanto una materia in sé, conoscendo fino in fondo i segreti della matematica o i geni della letteratura, quanto il metodo per andare a fondo di tutto ciò che serve e interessa loro. Arte, matematica, storia, una lingua nuova...

Altra caratteristica della scuola è la mescolanza delle età. Non vi sono classi, e quindi ai ragazzi è permesso mischiarsi per età. I bambini possono quindi chiedere ciò che vogliono ai ragazzi più grandi, giocare con loro, non precludendosi così una possibilità di interazione davvero impagabile.

Per quanto riguarda poi l’educazione “comportamentale”, la Sudbury Valley School vanta l’essere un modello di scuola molto democratica e non violenta. L’ambiente è pacifico, tutti sono sullo stesso piano di importanza, e la disciplina viene insegnata attraverso il processo e il ragionamento piuttosto che concentrandosi sulle conseguenze negative delle cattive azioni. Tutto, soprattutto, si basa sul rispetto.

L’amministrazione della scuola passa attraverso la democrazia: ogni studente e membro dello staff può esercitare il suo diritto di voto, e quando c’è da prendere decisioni importanti tutti sono chiamati a dire la loro. Un importantissimo aspetto per i bambini: iniziare sin da piccoli a capire cosa significa “votare” vuol dire capire sin da subito la responsabilità sociale, che non coincide con il “se sto bene io, stanno bene tutti”.

E, infine, nella Sudbury Valley School ci sono davvero moltissime regole. Queste regole esistono però per un motivo: far sì che tutti i ragazzi possano vivere all’interno della scuola e imparare liberamente. Ecco perché la scuola ha un “sistema giudiziario” in seno alle riunioni scolastiche. Ogni giorno due studenti e un membro dello staff (eletti dai ragazzi) si ritrovano in riunione e leggono le lamentele riguardanti possibili violazioni delle regole, lamentele che chiunque all’interno della scuola è in diritto di scrivere. I rappresentanti ragionano e decidono se c’è stata effettivamente una violazione delle regole. Se c’è stata, il responsabile può rispondere e dichiararsi colpevole o non colpevole, e in quest’ultimo caso c’è la possibilità di fare un piccolo “processo”, nel quale il presunto colpevole può difendersi ed essere difeso.

Tuttavia questi processi non accadono molto spesso: appunto poiché l’ambiente è così pacifico, i bambini imparano anche a prendersi le proprie responsabilità, e non succede spesso di venire accusati quando non hai fatto nulla di male. Piuttosto, i bambini possono chiedere come mai gli altri pensano abbiano fatto qualcosa di male, quando invece, magari, a loro pareva un comportamento innocente e normale. Ed ecco che anche qui si intavola una conversazione costruttiva, utilissima nella crescita e nell’educazione.

I libri sulla scuola consapevole

Mercoledì, 29 Marzo 2017 09:47

“Scuola consapevole” significa essenzialmente una scuola che al centro di tutto mette il bambino, con i suoi tempi e le sue necessità. Significa una scuola nella quale il metodo adulto-centrico al quale siamo abituati viene messo in secondo piano. Significa una scuola nella quale la natura è importante, nella quale gli insegnamenti passano attraverso i bisogni dei ragazzi, nella quale i voti non sono mere valutazioni competitive ma semplice indicazione del livello raggiunto, in modo da aggiustare ad hoc ciò che deve essere aggiustato.

In altre parole, significa una scuola più naturale in grado di aiutare il bambino accompagnandolo con la mano nel suo percorso d’istruzione.

In Italia ci sono molti metodi meno conosciuti ( rispetto a quello “classico” della maggior parte delle scuole pubbliche e private (il Montessori, ad esempio, oppure il metodo steineriano, quello delle scuole nel bosco...). E, in generale, la didattica per i bambini ha moltissime sfumature. Se quindi volete provare ad arricchire il vostro bagaglio culturale in ambito istruzione naturale, consapevole e liberitaria, ecco una piccola lista di libri che potreste leggere, con la prospettiva di scegliere una scuola davvero innovativa per i vostri figli.

I libri sulla scuola consapevole: la nostra selezione di letture per conoscere al meglio l’educazione naturale e liberitaria

Partiamo da “La pedagogia della lumaca, per una scuola lenta e non violenta”. Gianfranco Zavalloni in questo libro cerca di capire i motivi del mito della velocità che ormai caratterizza la scuola occidentale (velocità che si traduce poi in una competizione ossessiva), ma soprattutto cerca di capire come invertire la tendenza, riassaporando, nella scuola come nella vita, la lentezza, la tranquillità, l’attesa e il piacere di fare le cose secondo i tempi richiesti, senza strafare e senza pressione. Perché questa pressione è deleteria per i nostri figli, che si trovano, bambini, a vivere in un tempo nel quale tutti vogliono tutto e lo vogliono subito, nel quale i cellulari ci fanno vivere in costante fretta e nel quale il tempo educativo è allo stesso modo accelerato.

Nella stessa ottica si inserisce “Slow School - Pedagogia del quotidiano”, libro di Penny Ritscher che vuole analizzare l’emergenza culturale che vuole i bambini sempre più agitati, immaturi, stereotipati loro malgrado e poco creativi. Tutto questo è dato dalla società, una società che ci omologa e ci rende standard, che ci dà moltissimo a livello materiale ma che ci rende scarsi a livello umano e culturale. Ecco perché è meglio puntare sulla “slow school”, la scuola lenta, quella che prevede tempi più rilassati. Tempi rilassati che significano solo una cosa: ritrovare, da parte dei bambini, il piacere di imparare, di curiosare, di pensare e di ragionare con la loro testa.

L’asilo nel bosco, un nuovo paradigma educativo" è il terzo libro che vi proponiamo. Quattro autori ci parlano del nuovo modello educativo fondato nel Nord Europa e ormai presente anche in Italia, quello delle scuole nel bosco, nelle quali il contatto con la natura è assolutamente fondamentale e inteso come strumento educativo imprescindibile e propedeutico per tutti gli altri insegnamenti (dal momento che qui i bambini imparano facendo, concretamente, con le loro mani e attraverso la loro curiosità). La classe diventa quindi l’ambiente esterno, nel quale andare ogni volta che sia possibile.

Per approfondire questo tema dell’insegnamento all’aperto, che prevede che il bambino passi quanto più tempo possibile nella natura seguendo la sua curiosità e usando le sue mani, la sua creatività e il gioco libero (e non supervisionato dagli adulti) una lettura interessante è “Outdoor education - L’educazione si cura all’aperto” di Roberto Farnè e Francesca Agostini. Parte dal presupposto che oggigiorno i bambini sono sempre più costretti in spazi chiusi, domestici o scolastici, ribadendo poi che in realtà uno dei loro bisogni primari è proprio lo stare all’aria aperta, facendo esperienza diretta della natura. Un pensiero molto utile, soprattutto se si cerca di capire quale sia la scuola migliore per i nostri figli. E, in questa prospettiva, le scuole più indicate sono certamente quelle che intendono lo spazio aperto come principale aula scolastica, pensando gli spazi chiusi delle aule solo come un appoggio.

Infine ecco “Liberi di imparare - Le esperienze di scuola non autoritaria in Italia e all’estero raccontate dai protagonisti”. Come dice il titolo, il libro vuole porre il focus sull’educazione non autoritaria, liberitaria, e cioè quella didattica che mette al centro il bambino senza mettergli la pressione di frequentare le lezioni, senza voti, senza minacce e senza bocciature. Sembra assurdo, utopico o irresponsabile, ma così non è, e a dimostrarlo sono proprio gli studenti che hanno studiato con questo metodo, gli insegnanti e i genitori, che portano la loro esperienza parlando di come sia imparare senza voti, con la libertà di apprendere, con regole condivise con gli altri e con gli studenti protagonisti della loro stessa educazione.

In Scozia ci sono un sacco di castelli. E i castelli sono intrisi fino al midollo di magia. Avete mai pensato a come sarebbe soggiornare in uno di questi? Respirare l’antica aria, accarezzare i possenti muri di pietra, passeggiare in giardini da favola e dormire nelle stanze immersi nel sogno medievale...

A Duns, nel Berwickshire, c’è uno di questi bellissimi castelli. E grazie a Homeaway avrete la possibilità di vincere un soggiorno di tre notti nelle sue magnifiche stanze e giardini. Non solo con la vostra famiglia, ma attorniati dalle vostre venti persone preferite!

Vincere una vacanza da sogno in un castello da favola è possibile: con il concorso di Homeaway è possibile sognare delle vacanze meravigliose in un castello medievale in Scozia

Homeaway è un’azienda leader nel campo affitti per le vacanze. Il loro sito permette di cercare online appartamenti in giro per il mondo (ce ne sono più di 2 milioni sparsi in 190 paesi!), nei quali passare le proprie vacanze in famiglia, in coppia o con gli amici. Tra le mete compaiono bellissime soluzioni (dai bungalow più bizzarri e accoglienti fino alle dimore regali più sfarzose), ma la più bella è certamente questo castello risalente al XIV secolo: il Castello di Duns, nel Berwickshire, un bellissimo edificio in stile gotico immerso in 500 ettari di verde, in mezzo a boschi e laghetti.

In occasione dell’uscita del remake live-action del classico cartone animato “La bella e la bestia” (nei cinema da qualche giorno, con la bellissima e dolcissima Emma Watson, la “Hermione” di Harry Potter), HomeAway ha voluto così premiare le famiglie, offrendo loro la possibilità di provare a vincere un fantastico soggiorno nell’affascinante castello medievale: vincere significa infatti poter fare un’esperienza unica di tre giorni nel Castello di Duns, in Scozia, scegliendo personalmente i 20 ospiti con i quali passare la vacanza. In questi tre giorni il vincitore e i suoi ospiti (oltre ad avere il transfer compreso nel premio) avranno a disposizione l’intero castello e potranno visitarlo, viverlo e scoprirlo da cima a fondo, attorniati da un entourage al loro servizio (proprio come Belle nel castello della Bestia!).

Il motivo di tale iniziativa? L’intento di HomeAway è sempre - e da sempre - quello di dare l’opportunità a tutte le famiglie di trovare la propria vacanza ideale, scegliendo meta e prezzo, creando così ricordi indelebili che durano tutta una vita. Quale migliore occasione per creare ricordi, quindi, di un soggiorno unico ed esclusivo in un vero castello?

Come fare per provare a vincere il concorso #CastelloHomeAway #StiaConNoi? Semplicissimo. Basta andare sul sito di HomeAway, e precisamente sulla pagina dedicata al concorso e rispondere al semplice questionario sulle vacanze. Sono due semplici domande. Semplici, ma che potrebbero valere una vacanza da favola!

E se non doveste vincere il primo premio, magari potreste essere selezionati per il secondo, altrettanto appetitoso: il secondo premio, infatti, prevede un altro soggiorno di 3 notti. Stavolta per 4 persone e non in un castello, ma in una qualsiasi delle 2 milioni di sistemazioni che trovate sul sito di HomeAway!

Che sia un problema massivo e non ignorabile è un dato di fatto. Ma leggendo questo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità la pelle si accappona ancora di più: lo smog, infatti, + responsabile di una morte su quattro nei bambini al di sotto dei cinque anni. Sì, una morte su quattro, il 25%.

Lo smog uccide i bambini: l’allarme dell’OMS che fa spaventare e riflettere

In termini numerici, si parla addirittura di 1.7 milioni di bambini all’anno che muoiono per cause ambientali, igieniche e di inquinamento. Attraverso due rapporti (Inheriting a Sustainable World: Atlas on Children’s Health and the Environment), l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha divulgato infatti le conclusioni di due studi dai quali emergono questi dati: nel primo si parla di come potrebbero essere migliorate le condizioni ambientali (come ad esempio fornendo acqua potabile pulita e modificando le modalità di riscaldamento e di cucina in alcune zone del mondo) per evitare le principali morti dei bambini al di sotto dei cinque anni nel mondo (polmonite, diarrea e malaria); nel secondo ha invece sviluppato un elenco specificando proprio queste cause di morte.

È proprio in questo rapporto che si legge, terribilmente, il dato più allarmante: al primo posto tra le cause di morte, con 570.000 bambini morti all’anno, c’è proprio l’inquinamento, indoor e outdoor, insieme al fumo passivo. Se infatti abbiamo parlato delle principali cause di morte che potrebbero essere migliorate con alcuni accorgimenti igienici e sanitari, queste, prese singolarmente, non uccidono così tanti bimbi: la diarrea conta infatti 361.000 casi, mentre la malaria 200.000.

A dare l’allarme è stato quindi il direttore generale dell’Oms, Margaret Chan: “Un ambiente inquinato è letale, specialmente per i bambini. Soprattutto quelli più piccoli: sono loro infatti che hanno organi e sistema immunitario in via di sviluppo e questo li rende estremamente vulnerabili”.

Si parla quindi di morti al di sotto dei cinque anni, ma non dimentichiamo che il pericolo arriva già prima della nascita, dal momento che i dati diffusi mostrano anche moltissimi casi di morti in utero, e continua dopo la nascita, essendo i bambini inevitabilmente esposti all’inquinamento. Che, fate attenzione, non è solo quello esterno delle strade trafficate, ma è anche quello indoor, e cioè all’interno delle mura di casa. Per combatterlo basta cominciare a prendere precauzioni: utilizzare prodotti per la pulizia naturali ed evitare di mischiare quelli chimici; non fumare; curare la manutenzione degli impianti a gas; arredare con alcune piante da appartamento che eliminano le impurità (come l’aloe, il giglio, la gerbera o la dracena, ad esempio); controllare sempre l’umidità (che non dovrà superare il 40-50% per evitare la formazione di muffe); e cambiare sempre i filtri dei condizionatori.

Quando l’ambiente in cui vivono, internamente ed esternamente, non è salubre, ecco che i bambini iniziano a mostrare i segni che lo smog produce sul loro corpo: si tratta soprattutto delle malattie respiratorie croniche come l’asma (di cui soffre già il 14% dei minori in tutto il mondo, con un 44% di cause dovute proprio allo smog). E insieme a queste, naturalmente, aumenta il rischio permanente di contrarre malattie cardiocircolatorie e di andare incontro a ictus e tumori.

Tutto questo è causato dall’inquinamento dell’aria e dell’acqua, che, non lo si può nascondere, è il problema principale dei nostri tempi. Tuttavia pare che la situazione peggiorerà, dal momento che ai problemi precedenti si aggiungono, via via che passa il tempo, quelli più “nuovi”, come ad esempio lo smaltimento dei rifiuti elettrici ed elettronici, i cambiamenti climatici e chi più ne ha più ne metta.

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

Variare, variare, variare: questa è una delle nostre regole a tavola, e oltre che redditizia (dato che alla fine i bambini davvero si abituano a mangiare di tutto!) è anche divertente e sfiziosa. Lo sappiamo che variare non è sempre facile, soprattutto se si ha poco tempo. Ma questa ricetta, come tutte quelle che vi proponiamo, è davvero semplice e piacerà molto ai bambini, che si troveranno di fronte, per merenda, dei biscottini davvero carini che in realtà di dolce non avranno nulla! Già, perché i biscotti in questo caso sono salati e guarniti con dei semi misti, e farciti poi con della crema di robiola assolutamente deliziosa.

Biscotti salati e crema di robiola: la ricetta per una merenda diversa, dalla forma dolce ma dal gusto salato!

 

Le cose che non tolleri negli altri sono quelle che più odi di te stesso

Domenica, 26 Marzo 2017 22:28

La saggezza popolare si sa, spesso sbaglia quando parliamo di maternità e cura del bambino, ormai lo scrivo da tanti anni su questo mio spazio web: “non tenerlo troppo in braccio”, “una sculacciata non fa mai male a nessuno” sono solo alcune di tante frasi che abbiamo smentito con l’aiuto della ricerca scientifica e di personalità illuminate. 

Ma a volte queste frasi senza radici hanno un fondo di verità e quella su cui ho riflettuto oggi credo abbia grandi ripercussioni sulla vita di noi mamme, su di me di sicuro. 

Ho sempre avuto difficoltà ad accettarmi, ad avere fiducia in me stessa: d'altronde sono certamente dotata di grande creatività ma le lacune che ciò porta sono evidenti e talvolta imbarazzanti, spesso mi creano importanti difficoltà. Sono praticamente incapace di organizzarmi e appena lo faccio sento dei paletti, il mio istinto cerca una rapida via di fuga; odio programmare, sono poco precisa, impulsiva e a volte inconcludente perché mi perdo nei meandri delle mie idee. Odio rileggere, strana attitudine di una che ha un blog, in questo stesso momento l’idea di dover rileggere mi fa arrabbiare terribilmente, mi sembra una prigionia del pensiero che vorrei sempre sentire come flusso libero. 

Non sono ancora riuscita a trovare una soluzione appagante o come direbbero gli inglesi “deal” (non trovo una parola nella nostra lingua che calzi a pennello come questa, chiedo perdono). So cosa vuol dire sentirsi vulnerabile, perché coloro che sono razionali e con i piedi ben saldi a terra se sei come me ti mettono i piedi in testa quando e come vogliono perché tu non riesci a fermarti e rileggere, la passione per ciò che fai ti assorbe in pieno: so cosa vuol dire sentirsi travolti dalle idee, dalla voglia di fare e di portare avanti un progetto da dimenticarsi tutto il resto. Sicuramente significa anche essere ancora immaturi, ma credo che in parte sia DNA, null’altro che genetica con la quale si possono solo mettere in campo strategie per convogliare queste attitudini e arginare i danni, imparando a fermarsi e organizzare pensiero, lavoro e azioni. 

A volte sgrido mio figlio, a volte lo sgrido troppo, a volte non lo sgrido ma borbotto, dando persino fastidio a me stessa, lo stesso fastidio che provavo quando i miei genitori sgridavano me, per altro per gli stessi motivi: ero sovversiva, irrequieta, con la testa tra le nuvole, pasticciona. 

Mi sono resa anche conto aimè che non perdo occasione per lamentarmi di lui con le altre persone, di quanto lui sia testardo, sovversivo… di quanto sia alla fine come me, anche se con una intelligenza più logico-matematica. Quindi, di preciso, perché mi lamento? Perché mi fa così incazzare questo suo lato? Perché non lo accetto? Cosa vuol dire per una mamma questo detto “ le cose che non sopporti nelle altre persone sono quelle che più odi in te stesso”? 

Per me vuol dire paura, paura che tuo figlio possa commettere gli stessi errori, paura che anche lui soffra, che abbia i tuoi stessi punti deboli che lo penalizzino nella vita: ma sopratutto paura di non essere capace a insegnargli quegli aspetti di cui sei lacunosa. Difficile insegnarli l’organizzazione se tu sei l’anti-organizzazione, difficile insegnarli a fare cose in cui tu stessa non credi e quindi non accetti. Spero che sia più tollerante di me, spero che diventi più organizzato, spero che riesca a fare anche cose in cui non crede e a farle con relativa leggerezza, senza metterci troppo l’emozione dentro. Ma lui è come me, in ogni suo gesto c’è un’emozione, e so che purtroppo nella vita questo penalizza, penalizza tanto. 

Poi però mi fermo, accolgo questa emozione che credo sia fisiologica, anzi, credo sia importante riconoscerla: vorremmo dare tutto ai nostri figli, vorremmo tramettere loro ogni dote che possa essere per loro risolutiva, efficace e lineare.

Vorremmo, ma non possiamo. Ma sopratutto forse non sarebbe giusto, libero, vitale, sarebbe un copione. Ma poi, davvero è solo amore nei loro confronti? O è anche una sorta di anti-ansia per noi? Perché un figlio che ha tutti 10 a scuola, obbediente, pacifico promette molto bene: siamo già sulla strada buona nel vederlo con un buon lavoro, sposato, un paio di pargoli e magari in una villetta schiera vicino a casa nostra. Ma se questo non fosse la strada per la sua realizzazione? Ma se la sua via non fosse questa e la sua felicità risiedesse in altro, qualcosa di molto più scomodo, articolato, complicato, ansiogeno e chissà cos’altro? Siamo sicuri di sapere cosa è meglio per loro?

La verità forse è che la vera sfida non è crescere figli perfetti per noi, comodi ai genitori, figli su cui non avere rimpianti anche perché credo che qualsiasi cosa facciamo ora di rimpianti ne avremo.

La vera sfida è crescere i nostri figli accentandoli nel profondo, consentendo loro di realizzarsi per quelli che sono, farli sbocciare nella loro natura e aiutarli a trovare quello che è il loro posto nel mondo, che non è detto sia il più comodo per noi. Questo però, forse, è il vero amore. E semplice non è davvero. 

Giulia Mandrino

Se la meditazione e lo yoga includono una forte componente legata alla respirazione e se, quando siamo agitati, ci sentiamo spesso dire “fai un respiro profondo”, un motivo c’è. Questo motivo è semplicissimo: la respirazione influenza moltissimo il nostro cervello, la nostra mente e il nostro corpo. Ora vi spieghiamo come nel dettaglio.

Come la respirazione influenza il nostro cervello: perché respirare bene significa stare meglio e come la mente viene guidata dal nostro respiro

Più che del normale respiro stiamo parlando quindi del respiro controllato. Perché se ci pensate in entrambi i casi, meditazione o tentativo di calmarsi, quando respiriamo lo stiamo facendo per influenzare in qualche modo il nostro corpo e la nostra mente. Non è un luogo comune, un mito o una leggenda metropolitana: controllare il respiro aiuta effettivamente moltissimo.

Respirare profondamente, con calma e lentamente è un metodo infallibile per calmarsi, poiché è un’azione che influenza direttamente il sistema nervoso. Acquietando il sistema nervoso, la mente si tranquillizza e anche il corpo ne trae beneficio.

Al di là della semplice dichiarazione in questo senso, utilissimo è un recente studio pubblicato lo scorso dicembre sul Journal of Neuroscience: questo studio rivela come il respiro abbia una diretta influenza addirittura sulle funzioni cognitive in generale. In parole povere: respirare bene si ripercuote (in maniera benefica) sul cervello.

La zona del cervello interessata è quella della memoria e dell’emozione. Gli esperimenti che gli esperti hanno condotto hanno portato ad evidenziare come il respiro dal naso coordina direttamente i segnali elettrici olfattivi che attivano a loro volta l’amigdala (la zona adibita a codificare le emozioni) e l’ippocampo (che oltre alle emozioni controlla la memoria). Se ci pensiamo, non è un mistero che gli odori suscitino emozioni, attrazione, esplosioni di sentimenti e ricordi.

Lo studio quindi continua, e rivela come anche in assenza di odori respirare dal naso può influenzare, da solo, le emozioni e la memoria.

Inizialmente, i pazienti studiati erano affetti da epilessia. Gli studiosi hanno scoperto che i ritmi del respiro, anche in assenza di odori, erano in sincronia con quelli della zona olfattiva del cervello e che durante le fasi di respiro l’amigdala e l’ippocampo lavorano in maniera più potente. Insomma: il risultato diceva che respiro e cervello (emozioni e memoria) lavorano in sincronia.

Successivamente si sono analizzati pazienti sani. Il lavoro qui è stato diverso: gli si chiedeva di riconoscere visi impauriti o sorpresi attraverso delle immagini, e si è notato che i visi impauriti venivano riconosciuti più velocemente durante la fase di inspirazione nasale. Durante le fasi di espirazione o di respirazione con la bocca le facce non venivano nemmeno riconosciute.

Si è poi passati alla memoria: agli stessi pazienti è stato chiesto di memorizzare delle immagini, e nel momento in cui gli si è chiesto di ripeterle, si è notato che si ricordavano molto meglio quelle viste durante le fasi di inspirazione nasale.

Il risultato mostra quindi come inspirare sia effettivamente una sorta di “telecomando” del cervello: è per questo che la meditazione, lo yoga e la ricerca della calma passano attraverso la respirazione. Perché è proprio durante l’inspirazione che si ragiona meglio, che il cervello si attiva, così come si attivano le emozioni.

Il respiro tuttavia deve essere considerato in tutta la sua completezza, e cioè come azione che prevede inspirazione ed espirazione. Anche l’espirazione ha un suo ruolo, e respirando lentamente, come dicevamo, il corpo prende moltissimi benefici: si calmano i nervi, il cuore rallenta i battiti e diventiamo più consapevoli del nostro corpo.

Ecco perché la meditazione e la respirazione consapevole dovrebbero essere parte integrante e quotidiana della nostra vita: fin da piccoli si può iniziare a praticarle (con piccoli esercizi di respirazione per bambini e con tecniche di meditazione per bambini) e da adulti continuare con questa buona abitudine che ci aiuta tanto ad attivare fino in fondo il nostro cervello e le nostre emozioni quanto a diventare consapevoli fino in fondo di noi stessi. Corpo e mente.

Noi italiani dovremmo imparare a cambiare le nostre abitudini: è innegabile che la maggior parte di noi si muova in automobile o in motorino. Anche quando le città permettono di pedalare senza fatica e anche quando le condizioni atmosferiche suggerirebbero che è tempo di darsi alla bicicletta!

Già, gli italiani non hanno la buona abitudine, come invece avviene nel Nord Europa o in altre zone del mondo, di spostarsi in maniera ecologica, salutare e divertente. Forse perché pensiamo che non sia comodo (ma basta immaginarsi il traffico, la sistemazione dei seggiolini in macchina e lo stress dei bambini costretti ai lunghi viaggi in automobile per rivedere la nostra posizione, vero?). Quando in realtà è più che comodo (esistono davvero moltissime soluzione su due ruote anche per i genitori con bambini al seguito!), oltre ad essere iper salutare, ecologico e benefico!

Se quindi gli italiani hanno bisogno di una piccola spintarella per farsi entrare in testa che la bicicletta è il miglior mezzo di trasporto, non possiamo non parlare di FIAB, l’associazione onlus il cui obiettivo è diffondere la cultura della bici.

L’associazione FIAB e la bellezza di usare la bicicletta: perché ci piace il loro lavoro e come agiscono per rendere le città italiane più vivibili sulle due ruote

FIAB è un acronimo che sta per Federazione Italiana Amici della Bicicletta. Esatto, è una federazione, poiché la FIAB riunisce più di 130 realtà e associazioni autonome locali con l’intento di diffondere e promuovere l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto quotidiano e come strumento perfetto per l’escursionismo e le vacanze.

I motivi sono scontati, ma è sempre meglio ripeterli: la bicicletta è un modo per fare moto quotidiano in maniera tranquilla, è sano, rispetta l’ambiente (e se tutti la usassimo l’inquinamento sarebbe finalmente battuto!), è divertente e chi più ne ha più ne metta.

La FIAB e le sue associazioni sparse per il territorio organizzano quindi spesso manifestazioni a favore di questo mezzo (come ad esempio Bimbimbici, la Paciclica o le Giornate FAI in bici), ma soprattutto cercano di sensibilizzare le amministrazioni (anche con proposte di legge) per far sì che agiscano in senso pratico per rendere le strade più sicure e agibili in bicicletta e per migliorare la vivibilità delle città.

Come dicevamo, la FIAB organizza anche tour ciclo-escursionistici di una giornata, due giorni o periodi più lunghi per apprezzare fino in fondo le potenzialità di questo mezzo! E se siete amanti del genere, perfette sono le loro guide con ciclo-itinerari pubblicati su BicItalia, la pagina della Rete Ciclabile Nazionale curata proprio dalla FIAB (con la mappatura di tutte le piste ciclabili e di tutte le strade percorribili in bicicletta presenti sul territorio nazionale).

Si prodiga poi con attività didattiche nelle scuole per coinvolgere i ragazzi fin dalla più tenera età, con progetti volti a trovare percorsi sicuri casa-scuola, moderare il traffico in prossimità degli istituti, aiutare i bambini ad imparare bene ad andare in bicicletta, diffondendo anche il codice della strada, eccetera; diffonde periodicamente la sua rivista “BC” (che ha anche un suo sito), il giornale perfetto per gli amanti delle due ruote in tutte le salse (cittadina, sportiva, escursionistica...); infine pubblica diversi quaderni tecnici su vari argomenti relativi alla bicicletta, coordinando il Centro Studi Riccardo Galimbeni e diffondendo pubblicazioni e documenti (visibili qui).

Insomma, la FIAB è una federazione davvero completa, che mira a sensibilizzare tanto gli adulti quanto i bambini. Perché imparare da bambini, insegnandogli e portandoli in bicicletta con noi ogni qualvolta sia possibile, significa vedere poi la bicicletta come naturale mezzo di trasporto. E forse questa è davvero la via per far sì che anche da noi le due ruote diventino il trasporto prediletto, preferito, amato e utilizzato da tutti.

Non smetteremo mai di ribadirlo: il gioco libero è quanto di più utile si possa dare ad un bambino per la sua crescita. Ma dobbiamo guardare in faccia la realtà: si sta invertendo la rotta, si sta andando verso un mondo (almeno quello occidentale) nel quale il tempo dedicato a questa attività si riduce drasticamente. Ma è pericolosissimo.

In particolare, c’è un libro capace di aprire gli occhi in maniera decisiva, semplice ma efficace: parliamo di “Lasciateli giocare” di Peter Gray (biologo e psicologo al Boston College), uno studio che a nostro parere dovrebbe diventare bestseller e che tutti i genitori dovrebbero avere in casa e leggere all’occorrenza.

“Lasciateli giocare” di Peter Gray: cosa serve davvero ai nostri figli per crescere equilibrati

 

Peter Gray, il cui libro “Lasciateli giocare” è edito da Einaudi, parte da un presupposto semplicissimo: tra tempo libero riempito con sport e attività (e soprattutto controllato dai genitori) e una scuola fatta di pre seduti al banco e competitività stressante, i bambini d’oggi non hanno più autonomia né spazio per il gioco. Tutto questo ha conseguenze irreversibili sui bambini, che diventano ansiosi e disinteressati.

Con un’analisi dettagliata e lunga ma semplicissima, Peter Gray ci guida così nel modello alternativo da lui proposto, quello che guarda un po’ ai tempi passati nei quali i bambini erano liberi di giocare e di sperimentare il mondo, quello che permette loro di socializzare liberamente, giocare liberamente, curiosare liberamente e, quindi, crescere liberamente. Senza per questo significare anarchia: significa semplicemente tornare a considerare i bambini come esseri pensanti che, quando lasciati liberi di esplorare, si educano (da soli) in maniera naturale.

Il discorso a noi pare naturale. Perché basta davvero guardare al secolo scorso (senza andare troppo lontano, ai nostri nonni. Anche noi eravamo meno pressati!) per capire che i bambini d’oggi non hanno più tempi e spazi liberi. La mentalità è questa: le attività extrascolastiche sono quasi un obbligo (anche se il bambino ci va malvolentieri), i compiti lunghi sono normali e le sere passate sui libri una abitudine, gli incontri con gli altri bambini sono sempre supervisionati dai genitori, i litigi tra i figli sono risolti dalle mamme… Soprattutto, nella mentalità odierna il gioco non può non essere controllato perché sia mai che il bambino si sbucci un ginocchio.

Tuttavia non sempre è stato così: gradualmente si è passati ad una visione educativa scuola-centrica, ma soprattutto adulto-centrica. Poiché è vero che gli sport e le attività extra-scolastiche sono una buona cosa, ma è anche vero che, come la scuola, sono diretti dagli adulti. E, soprattutto, non dimentichiamo che anche se li consideriamo gioco in realtà gioco non sono: il gioco è quello improvvisato, inventato dal bambino che si mette nelle situazioni più strambe o realistiche, e non quello con le regole dettate dagli adulti e soprattutto non quello controllato costantemente da loro.

Non viene da chiedersi quanto questo sia devastante? E non viene da fare 2+2 quando si pensa all’impennata dei disturbi psichici e mentali nei bambini negli ultimi anni? Quanti sono i bambini a cui sono stati diagnosticati disturbo dell’apprendimento, iperattività, depressione infantile e compagnia bella? Purtroppo tanti. E anche se le cause sono molteplici, sappiate che anche il non lasciarli liberi nel gioco, che è l’attività principale responsabile della loro crescita ed educazione, ha le sue responsabilità.

Peter Gray nei suoi lunghi anni di studi ha analizzato questo aumentare dei disturbi, e al contempo ha misurato i livelli di creatività dei bambini. Gradualmente, questi stanno sempre più diminuendo, cadendo nella banalità. Insomma: i bambini non sono più creativi, non usano più la fantasia. Dal 1985 al 2008 i test che ha condotto tra i ragazzi delle scuole americane hanno mostrato un calo dell’85% (sì, dell’85%!) della media: i ragazzi non sono più in grado di dare molte risposte alle domande, ma non sono nemmeno più capaci di inventare risposte non scontate o di prendere spunto da elementi differenti.

Non giocare liberamente è la causa di tutto questo, poiché solo giocando come vogliono loro, quando vogliono loro e con chi vogliono loro (e non supervisionati, come dicevamo, dai genitori) i bambini sviluppano la loro elaborazione creativa. Non pensate che questo avrà conseguenze sulla loro vita adulta? Sul loro lavoro? Sulle loro relazioni? Sì. Le avrà.

Il suggerimento di Peter Gray? Semplice. Iniziate a pensare fuori dai vostri schemi genitoriali imposti dalla società e iniziate a lasciare liberi i bambini a casa, in giardino, in spiaggia… E sì allo sport, ma non sempre: le regole vanno spinte da parte, nel gioco vero.

Solo così i bambini di oggi si costruiranno la solida base che gli servirà da adulti per stare in piedi a livello sociale, intellettivo, fisico ed emotivo.

 

Come per tutti gli animali, anche per noi umani vale la regola dell’odore. I nostri legami sono rafforzati anche dal profumo di chi ci sta accanto. E non vale solo per gli amanti. Vale soprattutto per il rapporto madre-figlio, che inizia nell’utero e continua dopo la nascita.

Il legame tra mamma e bambino passa anche dal profumo: come l’amore passa anche dagli odori e come rafforzare questo rapporto attraverso creme delicate che inebriano i sensi

L’emozione gioca moltissimo a favore del rapporto e qui non vi è alcun dubbio. Tuttavia dobbiamo ricordarci che anche noi siamo una specie animale, e i feromoni sono alla base della comunicazione verbale tra gli esseri viventi! Nel caso della maternità, questi feromoni vengono scambiati con il bambino già durante i mesi passati nell’utero, continuando poi a viaggiare durante l’allattamento e l’accudimento. Proprio nell’utero infatti inizia questo scambio che permette al bambino di lanciare segnali chimici alla mamma e di recepire quelli che lei lancia a lui, in modo da conoscersi già reciprocamente ed essere pronti per i mesi successivi alla nascita.

Questi feromoni fanno sì che la mamma e il bambino, in primis, si riconoscano quindi anche solo dall’odore, prima che attraverso la vista o il tatto. Questo riconoscimento attraverso l’odore viene poi rafforzato di molto durante l’allattamento: il bambino sente tutti gli odori provenienti dalle ghiandole del seno e del capezzolo e quelli derivanti dalle ghiandole delle ascelle, e riconosce quel seno come “suo”. Questo è un comportamento assolutamente naturale, che se nell’uomo è lieve negli animali è decisivo: i gattini, ad esempio, riconoscono addirittura uno dei vari capezzoli della mamma e lo fanno loro, scegliendo sempre lo stesso proprio per l’odore che secerne. I topini, addirittura, potrebbero morire se la madre non si leccasse il capezzolo prima di nutrirli: leccandolo, infatti, lo impregna dell’odore della sua saliva e i piccoli, che alla nascita sono ciechi, possono trovare la via verso il nutrimento.

I bambini umani, quindi, non morirebbero di fame (anche perché spessissimo non sono allattati ma nutriti con il biberon). Tuttavia certamente preferiscono il profumo familiare della mamma, e se questo cambia lo sentono. Le creme e i profumi utilizzati nelle prime settimane di vita, quindi, rimarranno impressi in loro per sempre e tenderanno a preferirli e a riconoscerli come “buoni” e rassicuranti.

Allo stesso modo, il profumo del bambino influenza la mamma. Quante volte le madri annusano teneramente i propri figli? E quanto spesso annusano la testa, i capelli? Questo perché il nostro corpo reagisce proprio all’odore delle zone che producono più ormoni, e la testa è una di queste. Annusando il bambino la madre (atavicamente) lo riconosce, crea un legame, lo sente suo. E il discorso, qui, vale anche per le mamme adottive, che sin dai primi momenti iniziano a scambiare con il bambino questi odori. Sarà un processo più lungo, dal momento che il piccolo ha vissuto in un altro utero e ha sentito odori diversissimi, ma piano piano sarà anche questo odore a rafforzare il rapporto e a fare di questi due “sconosciuti” una famiglia con legami non solo affettivi ma anche fisici!

Anche perché questo legame olfattivo non si fermerà ai primi mesi o al periodo in cui il figlio è un neonato o un infante, ma durerà per tutta la vita. Ci sono addirittura storie documentate e studiate di madri e figli dati in adozione che si sono riconosciuti, da sconosciuti, proprio per l’odore, per una sensazione unica che hanno provato passandosi accanto.

Insomma, anche se coscientemente non riusciamo a capirlo, gli odori scatenano emozioni fortissime. Si imprimono nella memoria della mamma, che li ricorderà per sempre, e in quella del bambino. Fateci caso: dopo il parto, le ostetriche prendono il bambino, lo lavano bene, lo vestono e ve lo rimettono tra le braccia. Quanto è buono quel profumo di cremina e di corpo appena lavato? Bene. Quel profumo, anche se non è quello specifico della pelle, vi rimarrà nella mente per sempre. E sentirlo vi farà stare bene, in pace.

I prodotti che si usano durante il momento del cambio, delicatamente profumati, contribuiranno dunque a costituire queste sensazioni di benessere. Soprattutto la sera. Insomma, il nostro consiglio è quello di non sottovalutare il potere delle creme e dei prodotti, che, se scelti con attenzione e ponderazione, avranno un ruolo decisivo nel legame e nel benessere del vostro rapporto: sceglietene di naturali, delicati, e prendetevi almeno cinque minuti a sera per fermarvi a coccolare con un lieve massaggio il vostro bimbo, assaporando con tutti e cinque i sensi quel momento unico di bonding con il piccolo!

È bene però soffermarsi sulla naturalezza di questi prodotti. In commercio ne esistono di forti, invadenti, con profumi impattanti che spesso, anche se non ce ne accorgiamo, ci stimolano un senso di repulsione. Magari non ce ne accorgiamo, ma l’intensità del profumo è pericolosa, e stravolge questo delicato rapporto!

Come sempre noi di mammapretaporter cerchiamo quindi i migliori prodotti naturali e studiati con attenzione e serietà. In questo senso, la gamma perfetta per rafforzare il legame olfattivo è certamente quella che si concentra su questo aspetto. Conoscete “Fiocchi di riso”?

“Fiocchi di riso” sta certamente nei primi posti in classifica quando si parla di prodotti per bambini che seguano le regole di rispetto e naturalezza. E in questo caso troviamo che i loro prodotti siano assolutamente perfetti: “Fiocchi di riso” ha infatti studiato profumazioni che non sono solo naturali, ma anche tollerate benissimo dalla pelle dei bambini. Insomma, non sono né fastidiose né impattanti e non intaccano l’equilibrio olfattivo che si crea tra mamma e bambino. Anzi, lo rafforzano!

Dall’Olio emudermico perfetto per il massaggio serale fino al detergente “Sa di me” (che addirittura ha una profumazione di vaniglia delicatissima studiata apposta per esaltare l’odore naturale della pelle!), la linea “Coccole Quotidiane” è assolutamente ciò che fa per noi, che non rinunciamo mai a quei dieci minuti di legame profondo che passa anche attraverso il nasino.

 

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Sara

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Cecilia

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