In inverno scaldano mani, pancia e cuore: parliamo dei canederli, le polpette di pane raffermo servite con formaggio o in brodo tipiche dell'Alto Adige! A noi piacciono moltissimo con gli spinaci, e quindi in versione vegetariana. Ecco quindi la nostra ricetta.
La febbre è un semplice meccanismo di difesa da parte dell’organismo, il quale, per contrastare infezioni o per combattere agenti esterni, alza la temperatura del corpo. Niente di allarmante, quindi, nei casi di influenza “semplice”, e quando la febbre non è eccessivamente alta solitamente non c’è bisogno di preoccuparsi troppo.
Tuttavia, la febbre è uno di quegli argomenti attorno ai quali aleggia sempre un senso di paura, e i miti non tardano ad arrivare. Soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando tutti sembrano avere consigli e convinzioni da condividere con i neo-genitori, che si trovano così ad annegare in un mare di leggende metropolitane che sarebbe meglio smontare.
In effetti, può essere vero, ma ciò che dobbiamo sfatare è la convinzione per la quale questo fatto sia un pericolo. Non lo è. Semplicemente, i bambini che cominciano ad andare al nido (quindi prima di quelli che vanno direttamente alla scuola materna) hanno più possibilità di venire a contatto con microbi che prima non avevano conosciuto, essendo stati a contatto perlopiù solo con i familiari. I virus vivono infatti negli organismi delle persone, e non nell’aria, e venire a contatto con altri esseri umani significa avere la possibilità di entrare in contatto con nuovi microbi. Questo, però, significa sì prendere la febbre (a volte), ma vuol dire anche sviluppare, da quel momento in poi, un sistema immunitario più preparato.
Uscire con il freddo fa ammalare e fa venire la febbre.
Falsissimo! Noi da sempre raccomandiamo la regola “non esiste cattivo tempo, ma solo cattivo abbigliamento”, poiché siamo certe dei benefici che il passare le giornate all’aperto porta ai bambini, anche in caso di freddo. Nello specifico del mito da sfatare, diciamo subito che portare al parco o a passeggiare i bambini quando fa freddo non è un pericolo per la salute. Anzi. E’ molto più probabile che i bambini prendano virus e batteri in ambienti chiusi e poco areati.
La febbre fa crescere in altezza.
Sembra strano, ma - fino ad un certo punto - è vero. La spiegazione è semplice, e non è dovuta tanto alla febbre (che non fa crescere di per sé), quanto alla posizione assunta durante la malattia, e cioè lo stare sdraiati in orizzontale. In più, negli anni dell’infanzia il bambino cresce costantemente, quindi, dopo qualche giorno a letto, misurandolo sarà davvero un po’ più alto: un po’ è dovuto allo stare sdraiato (che “allunga” le ossa e la muscolatura), un po’ alla crescita fisiologica, che in questo periodo corre veloce.
Per abbassare la febbre bastano gli antipiretici.
Non è così, poiché non sempre le soluzioni antifebbrili abbassano la temperatura. Ogni bambino è diverso e ogni febbre è diversa, di conseguenza potrebbe darsi che la febbre non scenda (o che si mantenga solo allo stesso livello, almeno senza innalzarsi). Se quindi, come dicevamo, la febbre non è così alta (dai 38.5 in su) non c’è bisogno di preoccuparsi, poiché essendo uno stato fisiologico è anche opportuno che faccia il suo corso.
Se non c’è il pediatra, bisogna correre subito al PS.
Dal punto di cui prima passiamo a questo, poiché spesso i genitori, non vedendo abbassarsi la febbre, corrono dal medico, o ancora peggio al pronto soccorso. Certo, quando la febbre è alta e non si abbassa è doveroso andare in una struttura preparata, ma se la febbre non è troppo alta e non si innalza bruscamente potete stare tranquilli, senza correre e senza preoccuparvi.
Detto questo, l’importante è monitorare sempre la temperatura: solo in questo modo potrete capire se l’innalzamento è brusco, se la febbre è alta o se è fisiologica e non c’è bisogno quindi di allarmarsi. Per farlo, non risparmiate su termometri e kit per la misurazione, ma scegliete la qualità di prodotti che possano essere sempre affidabili (ci sono moltissimi termometri che sbagliano, e da un momento all’altro, se ci fate caso, danno risultati di temperatura differenti, anche a pochi secondi di distanza).
Noi ci affidiamo da tempo al Thermokit di Miniland, il set completo di tre termometri per la misurazione veloce e soprattutto precisa della temperatura, sia corporea che dell’acqua del bagnetto.
Questo Thermokit (che è disponibile sia rosa che blu) è davvero completo poiché dispone di termometro classico corporeo con punta flessibile (comodo per la misurazione ascellare), di quello a succhiotto (comodissimo con i bambini, poiché si presenta come un ciuccio - lavabile sotto l’acqua - sul cui dorso compare la temperatura) e di quello, utile tutti i giorni e non solo durante le malattie, per l’acqua del bagnetto, a forma di pinguino in modo da trasformarsi in giocattolo per i bimbi.
E non sottovalutiamo la praticità: i tre termometri Thermokit sono venduti nel loro pratico astuccio, rosa o blu, capiente ma non scomodo e completamente in PVC e quindi impermeabile.
Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.
Tra le tapas spagnole che troviamo nei locali più tipici ci sono sempre le tortillas. Che non sono le patatine o le piadine di mais che siamo abituati a chiamare con questo nome (si chiamano così in Messico; in Spagna è diverso). Somigliano piuttosto alle nostre frittate (ma il vantaggio è che sono senza glutine, essendo prive di pan grattato), e quella più tradizionale è quella alle patate.
La pila di piatti da lavare, i giocattoli sparsi sul tappeto (e sul pavimento, e cacciati alla rinfusa nei cassetti, e nella vasca da bagno), il muro che da quel giorno in cui tua figlia ha deciso di essere un’artista graffittara non viene più pulito.
E allora? Vi immaginate come sarebbe avere una casa super pulita, sempre in ordine, senza anima? Sì, avevamo parlato della necessità di essere minimal. Ma l’essere minimal serve solo ad essere più tranquilli, ad avere un pochino più sotto controllo le cose, e soprattutto a risparmiare tempo quando l’ordine, in effetti, serve (avete ospiti? Si pulisce in un istante!). Anche in una casa minimal abitata da bambini c’è sempre qualcosa in disordine. Quel giocattolo fuori posto, la coperta che passa di stanza in stanza...
Bene così! Meno disordine, quindi (che fa bene alla mente!). Ma non sbarazziamoci del tutto del “vissuto”! Insomma. Non puntiamo alla casa immacolata.
Pensateci un attimo: provate a immaginarvi di tornare a casa. Nessun giocattolo in vista. Il bagno più che pulito, senza nemmeno una macchia e nemmeno una crema per il culetto sul ripiano. Il lavandino in cucina? Sgombro e perfettamente pulito (che poi più pulito non significa necessariamente più sano.... Nessuna fotografia alla rinfusa sui ripiani, nessuna personalizzazione. Ma chi ci vive in questa casa?
Avere una casa immacolata (che non significa minimal) non è da tutti. Forse c’è chi è in grado di tenerla così ogni giorno. Ma probabilmente questo qualcuno ha un aiutino esterno, oppure molto tempo a disposizione. Forse non ha figli, e forse non si cura di personalizzare la sua casa. L’importante è che sia pulita.
Se hai figli, se lavori, se hai un marito che pranza e cena a casa, se hai spesso ospiti... Tutto questo è impossibile. Non c’è il tempo materiale per fare tutto, e nessuno ne fa una colpa. Sgomberare i mobili inutili e i suppellettili che ingombrano solo è doveroso, per la nostra salute mentale (solo in questo modo faremo tutto più velocemente!). Ma è anche doveroso accettare il disordine, quando questo è quotidiano. Ed è doveroso capire che ogni casa ha il suo vissuto, la sua famiglia che la vive, la sua vita.
Bene. Accettare non significa lasciare cadere a scatafascio il proprio appartamento o la propria casa. Ma a volte avere cura significa anche rendere personale e familiare l’ambiente in cui si vive. Lasciando, soprattutto, che i bambini lo vivano davvero fino in fondo.
Bambini che vivono in fondo la casa: significa che, sì, ci saranno le Lego in terra e che le pesterete lanciando urla disperate, che ogni tanto i colori finiranno sul pavimento o sulle pareti, che spesso la lavastoviglie sarà piena e che il lavandino strariperà, che dopo il bagnetto il bagno sarà un lago. Ma perché prendersela? Perché non pensare che invece tutto questo è una fortuna?
Prendetevi cura della vostra casa. Pulitela. Arredatela e decoratela secondo il vostro gusto. Liberatevi dall’eccesso, che spesso contribuisce solo a mettere disordine in testa. Ma poi lasciate che venga vissuta. Che venga personalizzata con le azioni quotidiane. Che diventi una casa che è davvero una casa, e non solo un punto d’appoggio o un luogo immacolato da sfoggiare con gli amici.
Siate insomma grati del disordine e del “non immacolato”. Arrabbiatevi solo per un attimo quando i bimbi combinano un disastro. Ma poi sorridete. E abbracciateli, pensando che la vostra vita è davvero più piena grazie a loro. Sì, più disordinata. Ma certamente più piena!
Da qualche anno a questa parte le diagnosi di dislessia alle scuole elementari sono all’ordine del giorno. Non è che i casi sono aumentati; semplicemente, quando eravamo noi piccoli non c’erano gli strumenti adatti e le conoscenze approfondite per diagnosticare questo disturbo (che fortunatamente oggi viene riconosciuto molto presto, in modo da adottare metodi differenti e studiati ad hoc per ogni bambino).
Allo stesso modo, sono aumentati moltissimo i casi di disturbi psicologici e psichici nei ragazzi più grandicelli. Gli adolescenti. I teenager, insomma. Stavolta però il ragionamento non regge. Già, perché non si tratta semplicemente di un miglioramento degli strumenti, che avrebbero aiutato a diagnosticare meglio le patologie. No, in questo caso specifico i casi sono aumentati realmente. Depressione, ansia, stress, infelicità generale... Purtroppo il problema ha la sua radice proprio nei giorni nostri, nella loro natura più profonda. E per questo sarebbe bene capire meglio di cosa si tratta.
Per dirla in poche parole, negli ultimi vent’anni l’infanzia è cambiata drasticamente. O meglio: è cambiato il modo in cui la si vive. Il modo in cui gli adulti la fanno vivere ai bambini. Se quindi prima la si viveva in maniera più naturale (giocando liberamente), oggi i tempi sono dettati dai genitori e dagli adulti, che li organizzano con scuola, attività e sport senza lasciare spazio alle attività più spontanee, quelle senza un obiettivo definito, come il girare in bici per il quartiere le sere d’estate, giocare con la palla in un prato (non per l’allenamento di calcio!), inventare scenette con gli amichetti... Sì, è vero, queste attività non sono state del tutto cancellate e i nostri bambini sanno ancora giocare. Ma siamo sicuri che lo facciano abbastanza?
Stiamo parlando quindi della prima infanzia, e dell’essere bambini. Ma cosa c’entra con gli adolescenti? C’entra. Perché è proprio attraverso l’abitudine a questo gioco libero e alla non totale supervisione (alla quale oggi ormai i bambini sono abituati) che i bimbi sviluppano le loro capacità organizzative, imparano a risolvere i problemi, a inventare, a socializzare e a immedesimarsi nell’altro. Imparano l’indipendenza, soprattutto. E l’indipendenza porta all’autostima.
Se questi due pilastri, indipendenza e autostima, non sono stati sufficientemente allenati, quindi, si rischiano problemi durante la crescita, quando ormai le fondamenta sono formate.
Pensateci, è semplicissimo: se una persona si abitua ad avere qualcuno che costruisce passo passo la sua vita, quotidianamente, di ora in ora, come potrà sviluppare la capacità di costruirsi lui stesso la sua vita? Come potrà venirgli in mente di prendere in mano le situazioni? Come potrà sentire che le sue decisioni sono importanti e valide?
Sommato a tutto ciò c’è poi un altro fatto più che determinante nel problema dell’ansia e della depressione degli adolescenti. Dopo aver passato un’infanzia come quella sopra descritta (che per noi è ormai normale) si ritrovano in scuole spesso pesanti, nelle quali il voto è ciò che conta, nelle quali la competizione è il pane quotidiano e nelle quali spesso se non raggiungi un obiettivo sei portato a sentirti mortificato e non all’altezza.
Fortunatamente ci sono oggi differenti tipologie di scolarizzazione, a partire da quella in casa per arrivare alla scuola senza zaino e a quella senza voti, o addirittura a quella nel bosco. Non diciamo che tutte le scuole debbano distinguersi in questo senso, diventando tutte indistintamente alternative. Tuttavia, se queste tendenze stanno prendendo piede è perché sono effettivamente valide, perché seguono principi condivisibili e perché credono nella ricerca di un differente modello di istruzione che ponga di nuovo al centro il bambino.
Mettere quindi al centro il bambino sarà la soluzione per arginare e prevenire ciò di cui parliamo, e cioè i problemi psicologici, relazionali e psichici degli adolescenti. Che se si ribellano fanno bene! Significa che stanno cercando la loro dimensione, il loro essere, tentando di spezzare le catene che li tengono legati alla mano degli adulti, sempre lì pronti ad accompagnarli in tutto ciò che fanno.
Evitare la ribellione (che è inevitabile, mettiamocelo in testa con un sorriso!) non è possibile, ma arginare i problemi e soprattutto fare stare meglio i nostri ragazzi è possibile: lasciamoli liberi. Sin da piccoli. Sproniamoli a giocare liberamente, a inventare, a fare. Ma poi allontaniamoci, fidiamoci di loro, togliamo la supervisione e lasciamogli sperimentare libertà e indipendenza.
La pasta alla norma è un must della cucina italiana: pasta, melanzane fritte, pomodoro, ricotta salata e basilico. Sì, pesantuccia, ma deliziosa! A noi piace realizzare questa ricetta anche sottoforma di lasagne, e vi assicuriamo che il risultato è un piatto squisito a cui non resisterà nessuno!
Quando vogliamo mettere in tavola un contorno leggero ma saporito, noi di mammapretaporter optiamo sempre per le verdure al forno: molto più leggere di quelle fritte o saltate in padella, mantengono un sapore inconfondibile e basta un po' di grill per renderne la superficie croccante. Broccoli, cavolfiori, patate, zucca, zucchine... Ma avete mai provato con le carote? Il loro sapore, che piace già moltissimo ai bambini, si accompagna bene praticamente con qualunque altro cibo. Ecco la nostra ricetta veloce, semplice e d'effetto!
La colazione è il pasto più importante della giornata. Luogo comune che stavolta è una grande verità. Essendo così fondamentale, è bene che questo pasto sia completo, nutriente, energizzante e sano. Insomma, naturale al 100%. A noi piace molto variare, variando smoothie bowl con muffin o torte fatte in casa, biscotti o crepes. Ma avete mai provato il porridge d'avena? Un'altra idea gustosissima e davvero sana i cui ingredienti possono variare a seconda delle preferenze e dei frutti di stagione.
A partire dalle prime ore di vita e per quasi tutta l’infanzia, il bambino è soggetto a controlli medici specifici, il cui scopo è valutarne la salute psicofisica e motoria in modo da monitorare con precisione il suo stato di salute. Ma quali sono, nello specifico, questi controlli? E qual è la loro importanza?
Esatto, si parte con l’indice di Apgar, eseguito A POCHI SECONDI DALLA NASCITA da parte del medico per valutare la vitalità del neonato, subito dopo avergli liberato le vie respiratorie e avergli applicato il collirio antibiotico (in modo da prevenire congiuntiviti batteriche, molto frequenti). Si valutano in particolare cinque aspetti, a ognuno del quale vengono assegnati dei punti: la frequenza cardiaca (0 se assente, 1 se minore di 100 battiti al minuto, 2 se superiore); la respirazione (0 se assente, 1 se debole, 2 se vigorosa con pianto); il tono muscolare (0 per atonia, 1 per flessione accentuata e 2 per moto attivo); i riflessi (0 se assenti, 1 se scarsi e 2 se vivaci); e infine il colore della pelle (0 punti se il bimbo è cianotico, 1 se ha le estremità cianotiche e 2 se è tutto regolare).
Dopodiché si passa alle visite più specifiche. Innanzitutto, la più “basic” è la misurazione del bambino: il peso medio è di circa 3.3 kg, e la lunghezza si aggira di solito intorno ai 45 e 55 cm. Anche la circonferenza della testa ha la sua misurazione: la norma sta tra i 32 e i 37 cm.
Il GIORNO DOPO LA NASCITA il medico procederà quindi con la valutazione del capo (osservando che sia tutto regolare), del torace (auscultando cuore e polmoni), dei genitali (per i maschietti particolare cura verrà data all’osservazione dei testicoli, che dovranno scendere, mentre le femmine dovranno avere le labbra separate) e degli arti superiori e inferiori, guardando tono e riflessi e utilizzando la manovra di Ortolani per escludere displasie (e cioè un difetto del punto di intersezione tra la testa del femore e il bacino). Se questo test mostrasse difetti delle anche, o se il medico notasse (anche dopo i primi giorni) dei difetti di postura, entro il terzo mese il bambino avrebbe bisogno di una ecografia delle anche: anche qui per escludere difetti maggiori o per intervenire subito, prendendo qualche provvedimento per aiutare il corpo del bambino a riallinearsi.
Successivamente è il momento di valutare i riflessi del neonato, partendo da quello di Moro (e cioè un movimento delle braccia come per afferrare qualcosa nel momento in cui il bambino, da supino, viene leggermente sollevato e lasciato cadere) e passando a quelli di suzione (per monitorare se, toccando le labbra, il bimbo ha riflesso del “succhiare”), di marcia (tenendo il bimbo sollevato per le ascelle su un piano, per capire se accenna qualche passo) e di prensione (esattamente quel movimento così tenero di quando il piccolo, avvicinando un dito al palmo della mano o del piede, stringe le dita; per ora è un riflesso involontario, che verrà sostituito da una presa consapevole attorno ai 4 mesi).
Ed ora cominciano le visite e le iniezioni più “invasive”, ma comunque sicurissime e atte a scongiurare problemi gravi. La prima? L’iniezione, via bocca o per via intramuscolare, della vitamina K, la cui funzione è prevenire problemi della coagulazione del sangue. La seconda è invece un prelievo di sangue (dal tallone) in funzione di screening per osservare se il bambino è affetto da particolari patologie: l’ipotiroidismo, la fibrosi cistica, la fenilchetonuria (la mancanza di un enzima che provoca difetti irreversibili al sistema nervoso) e la galattosemia (altra carenza di un particolare enzima che non permette di utilizzare lo zucchero del latte, il galattosio).
Durante i PRIMI TRE MESI si avranno poi le consuete visite dal pediatra, una per mese. Tutte sono volte a mantenere l’osservazione della salute per valutare il benessere. Il pediatra monitorerà quindi la crescita, i riflessi, il tono muscolare, il cuore, i polmoni... Insomma, ripeterà tutti quegli esami eseguiti alla nascita.
Il terzo mese è però caratterizzato anche dalla prima dose di vaccinazioni obbligatorie: l’antipoliomelite, antidifterica, antitetanica, antiepatite B (questa viene però in taluni casi eseguita subito dopo la nascita, nel caso di una mamma portatrice), antipertosse e antihaemophilus influenzae B.
QUARTO E QUINTO MESE: di nuovo le solite visite mensili dal pediatra, e durante il quinto mese ecco la seconda dose di vaccini, che saranno gli stessi della prima volta, in modo da richiamarli.
Durante il SESTO MESE ci saranno invece la prima visita oculistica e il vaccino antinfluenzale. La prima si esegue in questo periodo poiché è proprio il momento in cui il cervello del bambino inizia a fondere le immagini che arrivano agli occhi. Se già prima il medico avesse osservato problemi o malformazioni, le visite in questo caso sarebbero più specifiche, ma per casi nella norma l’oculista procederà con l’osservazione degli occhi, delle palpebre e dei loro movimenti e della capacità oculare attraverso esami specifici per i bambini.
Per quanto riguarda invece il vaccino antinfluenzale, ovviamente questo cambia di anno in anno secondo le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che riconosce i ceppi presenti in quel periodo e che li inietta nel bambino per far sì che sviluppi gli anticorpi, in modo da prevenire i principali malanni di stagione. E naturalmente il vaccino sarà diverso da quello iniettato negli adulti: questo sarà più blando e studiato per ridurre al minimo gli effetti collaterali (come l’innalzamento della temperatura corporea).
La visita dal pediatra del SETTIMO MESE sarà più specifica delle altre, poiché è in questo periodo che viene nuovamente misurata la crescita del bimbo (attraverso peso e altezza), che dovrà risultare, se sano, nel percentuale tipico del settimo mese.
Dopo gli occhi al sesto mese, al settimo è la volta delle orecchie: sarà il momento, infatti, del controllo dell’udito. Questo mese è il più indicato poiché è adesso che il bambino inizia ad interagire di più, esprimendosi a grandi linee. Seguire una fonte sonora, sorridere ad un suono, imitare con la voce una parola o un suono appena udito... Tutti questi semplici gesti, misurati, saranno l’indice del corretto funzionamento del suo udito. Per capirlo meglio, poi, si procede con il Boel Test, e cioè un test durante il quale il pediatra, in una stanza tranquilla e priva di stimoli, cattura l’attenzione del bimbo con un bastoncino, e quando è sufficientemente distratto gli agita dietro alle orecchie una campanellina, in modo da capire se il bambino la sente e reagisce.
Tra L’OTTAVO E IL DODICESIMO MESE si procederà con le normali viste dal pediatra per monitorare la salute del bimbo. Il decimo, tuttavia, sarà il mese del terzo richiamo delle vaccinazioni (di nuovo identiche alle precedenti) e della seconda visita oculistica (durante la quale il medico controllerà la presenza di malattie come lo strabismo, il glaucoma o vizi di rifrazione, la funzionalità delle pupille e dei condotti lacrimali, l’allineamento degli occhi e la sincronia dei loro movimenti, oltre che eseguire l’esame del fondo oculare per trovare difetti visivi).
Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.
Un tempo era normale: se la mamma “non aveva latte”, non aveva tempo o non stava bene fisicamente (oppure, nel caso nelle nobili, era ricca ed era normale lasciare che fosse qualcun altro ad allattare; ma questa è un’altra storia), il suo neonato passava al seno della balia, una figura normalissima nella vecchia società. E cioè quella donna che, dopo aver partorito e durante l’allattamento del proprio bambino, decide di attaccarne al suo seno anche un altro, condividendo così il latte.
Era normale, naturalmente, perché il latte in polvere non c’era, o se c’era era molto costoso. E piuttosto del latte vaccino era molto meglio dare al piccolo quello di un’altra neomamma. E oggi, voi sareste disposte ad allattare il figlio di un’altra donna? O a lasciare che il vostro bambino si attacchi al seno di qualcun altra?
La questione è sorta qualche mese fa quando Rebecca Wanosik, una semplicissima e normalissima mamma, ha postato su Facebook l’immagine di lei mentre allattava il suo bambino e quello di un’amica. Udite udite, Facebook le ha chiuso il profilo. Sorvoliamo naturalmente il fatto - orripilante - del social network che consideri l’allattamento un gesto osceno da dover oscurare, ma vediamo meglio la questione dell’”allattare il figlio di un’altra”.
La storia di Rebecca ci può aiutare, perché è una situazione in cui tutte ci potremmo trovare. Una sera era tranquilla a casa quando un’amica le chiese un grosso favore: una ragazza che conosceva sarebbe dovuta andare in ospedale per un’operazione e quindi la sua bambina non avrebbe potuto per qualche giorno succhiare il suo latte. Purtroppo, però, la piccola non prendeva nemmeno il biberon, rendendo ogni sforzo inutile. E quindi: “Rebecca, mi faresti il grande favore di allattare questa bambina?”. La figlia di una sconosciuta, insomma.
Rebecca disse sì. E da qui, poi, lo scatto e il ban dal social network. Ciò che Rebecca racconta, tuttavia, è una storia bella, semplice e tranquilla, di altruismo ed empatia. “Quando la bimba è arrivata a casa mia lo vedevi chiaramente che era affamata ed esausta. Così ho fatto ciò che spero faccia qualunque persona se il mio bambino fosse in difficoltà. Ho nutrito il figlio di una sconosciuta. Ma sono sorpresa dal gran numero di persone che pensano che questo sia un gesto strano, innaturale. Sono tette, sono fatte per nutrire i bambini. E in più, se qualcuno l’avesse dimenticato, sono mie, quindi sono praticamente certa di dover essere io a decidere cosa accade loro”. Un post breve e semplice, che dice tutto.
Ma come la pensa la gente, davvero? Utile a riguardo è un esperimento condotto dal Daily Mail: il giornale ha mandato in giro per tre città inglesi un’attrice, che ha chiesto a 8 mamme incontrate per caso la cortesia di allattare il suo bambino, dal momento che lei era in difficoltà.
Su 8 mamme addirittura 5 si sono offerte di aiutare. E le altre hanno detto che potevano provare a portare alla mamma in difficoltà delle bottigliette di latte materno congelato che avevano a casa.
Probabilmente, quindi, più che le mamme sono le persone in generale a trovare la cosa strana. Ovviamente ogni mamma la pensa e la sente alla sua maniera, e ognuna ha il diritto di trovarsi a suo agio o a disagio. Non c’è una regola e non c’è qualcosa di “giusto”.
Tuttavia, perché puntare il dito quando una mamma semplicemente sta aiutando un’altra donna in difficoltà, ma soprattutto un neonato indifeso che altrimenti soffrirebbe? Forse davvero bisognerebbe rimettere le cose in prospettiva, tornando a quando l’aiuto reciproco, anche quando riguardava l’allattamento, era assolutamente la normalità.