L’arte giapponese di superare un aborto

Lunedì, 16 Gennaio 2017 09:29

L’aborto spontaneo è uno di quegli argomenti attorno ai quali aleggia un inspiegabile silenzio. Nessuno ne parla, ma soprattutto i genitori non vengono trattati come se fosse un vero lutto, e sono lasciati a loro se stessi spesso senza supporto psicologico di alcun tipo.

Vi avevamo già quindi parlato di Ciao Lapo,  la meravigliosa associazione che si occupa di sostegno, prevenzione e molto molto altro in merito al lutto perinatale; e anche della prevenzione della morte in utero; tuttavia oggi vi vogliamo parlare di una pratica giapponese delicatissima che ha colpito i nostri cuori, e che emozionalmente potrebbe aiutare moltissimi le mamme e i papà dei bambini volati in cielo troppo presto.

L’arte giapponese di superare un aborto: dalla tradizione orientale un piccolo gesto spirituale per alleviare il dolore della perdita di un bambino nell’utero

Se passeggiate nei cimiteri giapponesi, vi accorgerete che ogni tanto il percorso si costella di piccole statuette rappresentati una divinità paffutella coperta da un mantellino rosso o con al collo un bavaglino dello stesso colore. Queste piccole statue di pietra stanno ad indicare Jizo, una divinità venerata in tutto l’oriente buddista con nomi differenti (Jizo in Giappone, Địa Tạng in vietnamita, Dìzàng in cinese) e che oltre a proteggere i viaggiatori è considerata la protettrice dei defunti, in particolare dei neonati prematuri e di quelli morti in utero.

Insomma, nei cimiteri e lungo le strade queste piccole figurine vogliono proteggere le anime dei bambini mai nati, che secondo la credenza popolare devono essere protetti per non ricevere la punizione per aver causato un forte dolore ai genitori.

Ai loro piedi la gente è solita depositare scarpine, giocattoli e piccoli dolcetti, dono dei genitori per affrontare la vita dall’altra parte.

Insomma, le madri giapponesi si straziano come noi, ma almeno hanno la loro tradizione, il loro gesto di conforto, un gesto che non vorrà dire nulla ma che per chi ha passato un momento del genere può essere tutto. Può essere l’elemento tangibile di un lutto che purtroppo è tremendo, poiché non hai nemmeno un corpicino da seppellire, su cui pregare o su cui piangere le tue lacrime.

Perché allora, nel momento in cui si vive quel dolore, non provare a riversare le lacrime su una statuina di questo tipo? Ognuno potrebbe crearla con le proprie mani, oppure, per onorare del tutto la tradizione orientale, la si potrebbe comprare online.

Sbirciando qua e là sul web si trovano moltissime di queste piccole divinità in pietra, subito a partire da Amazon. Questa, ad esempio, oppure quest’altra.

O, ancora, su Etsy si trovano bellissimi ciondoli da poter portare sempre con sé (vicino al cuore), come questo in argento, questo prezioso in oro e smeraldi, oppure questo, in pietra.

 

S.I.B. (sistema immunitario bastardo)

Venerdì, 13 Gennaio 2017 13:31

Si…non sono sparita…ma diciamo che da fine novembre ad oggi credo di essere stata inghiottita da un buco spazio-temporale. Chiusa in un vortice di milleottocento cose da fare, che non ho ovviamente fatto. Chiusa quasi sempre in casa. Chiusa dentro me stessa. Vi starete chiedendo perché. Nulla di poi così grave, semplicemente i miei figli (soprattutto il piccolo a dire il vero) continuamente ammalati a rotazioni più o meno cicliche. Ora direte voi…see lallero! E che sei la prima ad avere i bambini a casa con la febbre o con tossevomitodiarrea?

Che sei la prima a non dormire una notte filata per settimane? Che sei la prima a vedere accumularsi tutte le cose da fare in casa fuori casa e a lavoro? Bene. Vi dico che no, non sono la prima. E non sarò ahimè nemmeno l’ultima. Ma onestamente, tutto questo gran correre tutto il giorno e spesso anche tutta la notte per non riuscire mai a mettere nemmeno un punto e dico uno alle cose iniziate e non concluse, onestamente mi spiazza non poco. Per dirla in francese, e senza remore, mi ha veramente rotto i coglioni, sfracellati, sminuzzati! Ma porcaccia la miseriaccia ladra!  Ora, del sistema immunitario dei bambini se ne parla sempre. Dal pediatra, tra mamme fuori scuola, sui blog, in chat…se ne parla di continuo. E ogni volta che ti azzardi a elencare le patologie che hanno colpito i tuoi nanetti nel corso delle settimane, ti senti dire sempre la solita frase: eh sai, il sistema immunitario ancora non si è formato del tutto. Fine. Stop. Non vi azzardate a provare a ribattere perché tanto sarebbe completamente inutile.

Poco importa se tu ai tuoi figli da fine agosto a fine giugno dai vitamine, fermenti, integratori, immunostimolanti, frutta, verdura, carne, pesce, legumi, direfarebaciare, tutto! Gli dai tutto! Il pediatra ogni volta che ti vede entrare con la faccia affranta e il bambino smocciolante, ha già pronto il foglio con su scritto l’ultimo rimedio (naturale o meno) per infonderti una piccola dose di coraggio. E tu vai in farmacia, ti metti in fila, poi arriva il tuo turno e… “salve, mi occorre questo farmaco…che poi guardi in realtà non so se è un farmaco o meno, ma il pediatra ha detto che aiuta il bimbo a essere un po’ più forte durante i mesi invernali…sa…si ammala sempre…e…quindi…si forse ce ne vogliono due scatole perché deve prenderlo per tre settimane…va somministrato alla sera sa…ma lontano dai pasti…quindi da oggi ceneremo a mezzanotte…ma va dato anche a ridosso dell’orario della nanna…quindi penso che glielo darò, poi lo faccio dormire un po’, poi lo sveglio, ceniamo e poi proverò a riaddormentarlo…ma sono quasi certa che non riprenderà sonno facilmente…avendo dormito prima…”………..il farmacista sbuffa e dice “ma quando?”…e tu… “gliel’ho detto, deve iniziare oggi”…e lui “no signora, quando gliel’ho chiesto”. Ok. Attimi di imbarazzo e ttrrrr ttrrrrr esce lo scontrino… “ sono 98 euro signora, come paga?”… “Non saprei, un litro di sangue può bastare?”…Gggggrrrrrrr! E ve bene piccolo bastardo sistema immunitario! A noi due!

Arriva la sera e provi a far ingollare al pargolo 33 gocce del nuovo portentoso farmaco/immunostimolante/acquasanta! E lui lo sputa per terra! Per la precisione, essendo il flacone da 100 ml, sputa per terra 1 euro scarso di quelle che dovrebbero essere gocce per evitare il tuo prossimo ricovero al manicomio! Allora tu lo guardi…respiri… e lui ti dice con quella vocina incazzata da treenne saccente “io no prendo quetto, fa chifo, bleah!” . E allora tu, madre amorevole, accarezzi la sua dolce testolina biondiccia e morbida, lo guardi nei suoi grandi occhi da cerbiatto e con la voce più dolce che possiedi gli sussurri… “o prendi queste stramaledette gocce, o la tua prossima baby sitter sarà Grimilde…do you know? Te ricordi…la mela avvelenata, il corvo…apri sta bocca e manda giù!”.

E lui ovviamente sapendo che menti…spudoratamente…invece di ingoiare ride e sputa di nuovo, stavolta sulla tua maglietta preferita e miracolosamente pulita. E scappa. Allora decidi che ok…le prenderà a stomaco pieno… “Samuuuuuu guarda mammina ti da il succo di pesca!”. Fatto! Prese! Adesso andrà tutto bene. Non si ammalerà più fino quando non partirà per fare il militare. E infatti tre giorni dopo ha 39 di febbre. Tu chiami il pediatra, ti prudono le mani. E sapete lui che vi dice? “Signora, è normale, è un effetto del farmaco che stimola il sistema immunitario…non si preoccupi.

Lo tenga a casa una settimanella e passa tutto. Signora…pronto? È ancora in linea?”. Ma tu non senti. Perché sei in lacrime accasciata sul pavimento…e tuo figlio nel mentre ti saltella sulla schiena! La gioia di essere madre. Rassegnatevi. Il sistema immunitario dei nostri figli non ci ama e mai lo farà. Pazientiamo mamme…ne usciremo vive! Spero…

Cinzia Derosas

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Resti di Natale

Venerdì, 13 Gennaio 2017 12:49

Le feste sono passate, ora possiamo tornare a comportarci da bastardi come al solito, abbandonando l’atteggiamento buonista che cerchiamo di assumere durante il periodo natalizio per entrare nello spirito più “Jingle Bells” che possiamo.

Siete sopravvissuti? Si, detta così sembrerebbe un’esagerazione ma le festività con i famigliari danno poco e pretendono tanto. 

Intorno alla metà di novembre si inizia a pensare che il Natale presto arriverà e tutti gli anni, come ogni anno, ci illudiamo che sarà un sereno e felice natale: col caz….!

Partiamo sempre con dei buoni propositi, tra la fine di novembre ed i primi di dicembre c’è già qualcuno che, invece di pensare alle decorazioni, ha già bardato casa come le vetrine della Rinascente meneghina in Piazza Duomo: lucine, palline, nastrini, albero, presepe con muschio e cascata, brillantini, candele profumate, ogni oggetto della casa è natalizio, dal centrotavola in salotto alle presine in cucina, dal piumone dei bambini allo zerbino fuori casa. Un super abete che troneggia in casa, sfavillante, luccicante, sbriluccicoso, oggetti ed oggettini appesi ed appoggiati come un’esposizione di mercatini natalizia, luci e ghirlande alle porte ed alle finestre; poi arriva il giorno che dovrai pur spolverare i mobili o passare l’aspirapolvere ed è lì il primo istante in cui una minuscola, piccolissima, invisibile crepa deturpa il tuo stato interiore di merry christmas, ti accorgi che più che un “giro di swiffer” devi traslocare la casa degli elfi in Lapponia ed è così, che le prime vocine canticchianti, i primi campanellini trillanti, i primi propositi da Polyanna che avevi in testa cedono il posto ad una mini versione del Grich nel nostro cervello.

Quando poi scatta la corsa al regalo qui ci si divide in due categorie.

Quelli che si riducono alla vigilia di Natale a comperare i regali “alla qualunque”, sempre indaffarati, come se il Natale avesse deciso di arrivare così, all’improvviso, tra “capo e collo”, cambiando data a sorpresa e solitamente sono quelli che hanno regali da fare a centinaia di persone, parenti, amici, cugini, zii di terzo grado, colleghi di lavoro, al medico, al veterinario, alla maestra, a quelli della palestra, al vicino, ma hanno sempre mille idee, magari piccoli pensieri, ma la fantasia non manca.

Poi ci sono gli organizzati, quelli che ad agosto iniziano a preparare una pseudolista che aggiornano man mano che arriva la stagione, iniziano a comperare e poi modificano, spostano, ridestinano, cambiano articolo, rivedono il budget, ripensano se il pacchetto è in linea col fiocchetto, se il biglietto è adatta o troppo informale, si sparano tante di quelle seghe mentali che alla fine rischiano di ridursi come quelli della prima categoria.

Mentre trottoli alla ricerca dei regali, dei pensieri, degli omaggi e dei presenti, incontri per strada tante e tante persone che, come te, sono alla disperata ricerca dei regali, se li conosci, anche poco, una cosa ti regaleranno sicuro: i microbi.

Nei luoghi chiusi tipo centri commerciali & c. è la sagra del bacillo, milioni di persone sudate che si affannano a spendere mentre sternutiscono e tossiscono nell’aria i loro microbacci pestilenziali influenzali, per non parlare di quelli che conosci, la scena è tipo questa…

Tu – ciao ma guarda chi si vede

Loro – ciao

… stretta di mano, bacio sulla guancia…

Tu – allora come state?

Loro – insomma siamo strasupermega influenzatiiiiiiiiii, ce la stiamo passando tutti in casa

Tu (dici) – cavoli mi dispiace, proprio sotto le feste…

Tu (pensi) – ma porca di quella… ma vaffa…. ma lurido untore dei miei stivali lazzarettiano manzoniano di sto caz… ma non potevi dirmelo prima e non sbaciucchiarmi, bastardo, spero che la cascata del presepe ti inondi casa e che le pecore ti caghino sul tappeto….

Se superi i regali, gli addobbi, hai sfornato i tuoi biscottini pandizenzero e l’influenza vagante, arrivi al fatidico giorno di Natale e dopo mille inviti di parenti (mai nessuno gradito quanto la solitudine di un’isola caraibica, ed a volte anche solo la solitudine sarebbe meglio), arriva il pranzo… ah il pranzo di Natale, così lungo di inglobare anche l’orario di merenda e di cena e se proprio sei tanto tanto fortunato il ribattino di S. Stefano; ed è così che a tavola tra pietanze ingollate e litri di spumantini ci si è giocati la maggior parte delle ferie, specie se, come quest’anno cascano  nel fine settimana… tristezza.

La parte dura da sopportare di ste’ festività in famiglia è: la famiglia. Si perché a meno che tu non sia a vivere in Giappone e venga una volta l’anno a trovarli, i parenti sanno davvero prosciugarti l’anima, ti lobotomizzano i sentimenti, ti intontiscono di parole, ti topogigiano la vita, ti sfracellano le palle. E la cosa peggiore che non puoi sceglierli come gli amici, no quelli sono nel pacco regalo che ti appioppa la vita alla nascita!

Però appunto Natale è anche la festa dei regali, di quelli fatti e di quelli ricevuti. Alzi la mano chi di voi almeno una volta nella vita non ha aperto un regalo ed è rimasto così deluso da avere la giornata sverza. Perché chiaramente noi i regali li facciamo col cuore, si così tanto col cuore che poi appena apriamo il regalo di tizio facciamo subito mente locale di cosa gli abbiamo regalato noi, di quanto abbiamo speso e del tempo profuso nel cercarlo, di come il negalo di tizio non sia adatto alla nostra persona, e via discorrendo. Insomma da almeno una volta abbiamo aperto un regalo che proprio ci ha deluso o che proprio non era nelle nostre corde o che, obiettivamente, faceva davvero cagare!

Ed è qui che, passate le feste, mentre si rimballano le decorazioni, si incartano le pecore ed i pastori, si avvolgono le ghirlande appese e si impacchettano le renne di pannolenci, ci risaltano in mano i vari regali e regalini, pensieri e pensierini e qui la domanda fatidica: butto o riciclo? E poi riciclo sì o riciclo no?

Diciamo che c’è regalo e regalo, c’è riciclo e riciclo. Io penso che se alcune cose siano soggettive, su alcuni regali siate sinceri: sono oggettivamente una merda. Ecco quelli magari evitate (a meno che non siate proprio bastardi dentro o dobbiate farla pagare a qualcuno).

Cose che mi è capitato personalmente di ricevere? Cavatappi e bottiglia di vino (oltretutto di pessima qualità), peccato che io e mio marito non beviamo; una candela a forma di rosa che aveva lo stoppino nero, probabilmente era già stata accesa; un paio di ciabatte numero 37 neroazzurre, peccato io abbia il 40 e sia tifosa del milan; un mini cesto con prodotti alimentari tipo cotechino (senza lenticchie), ragù di cinghiale, cioccolatini bianchi al latte, due mini salamini, non il massimo per una vegana ed un vegetariano. Un profumo da donna ma senza scatola e senza tappo. 

Chiaramente si distinguono i parenti e gli amici che ti fanno un regalo, magari anche piccolo, ma pensato e davvero dedicato a te, che ti saresti comperata tu stessa, che soddisfazione, che gioia!

Ma allora se quella cosa io non la uso perché non è nelle mie corde, ma fosse perfetta per qualcun altro? Se io leggessi solo romanzi e mi regalassero un giallo, non varrebbe la pena regalarlo alla zia Ignazia magari sapendola essere appassionata del genere? Sarebbe un riciclo, ma un riciclo autorizzato? Se mi dovessero regalare un bagnoschiuma alla lavanda, ed io odiassi la fragranza, non potrei regalarla alla mia amica che la adora e che riempie casa di pout pourri lilla? Qui il riciclo è autorizzato, è un atto contro lo spreco o un gesto di avarizia e noncuranza nei confronti altrui?

Bene, comunque le feste sono passate e adesso per un po’ non ci dobbiamo più pensare, ci porremo il problema quando sarà il momento, tanto torna, tornano sempre le feste…

E come ogni fine anno che si rispetti, come ogni inizio anno che sia degno di essere chiamato tale, ci ritroviamo e fare un bilancio, dell’anno passato, delle cose successe e di quello che le feste ci hanno lasciato… Beh volete sapere nella maggior parte dei casi l’unica cosa che ci hanno lasciato?… tre chili in più…, inesorabili, inevitabili, imperdibili!

Mia nonna diceva che non si ingrassa da Natale a S. Stefano, ma da S. Stefano a Natale, sante parole, è vero, però qui si inizia al 10 di dicembre e trovarsi per la panettonata, la tombolata, il caffè coi biscotti, un the pomeridiano, una pizzata, l’aperitivo, tutto per farsi gli auguri, che ora che arrivi a Natale già rischi di andare vestita con la tuta da ginnastica perché l’abito non lo infili se non a fatica…. Riprovati il tuo tubino nero il 10 di gennaio, vedi come fai a chiudere la lampo e poi ne riparliamo… maledetta linea, bastarda dieta, immancabili sensi di colpa, logicamente solo post-pesata, è così tutti gli anni, e lo sarà sempre, perché il Natale quando arriva… arriva e quando se ne va… questi sono i resti del Natale. Auguri!

Elena Vergani 

Non vestirò mai mia figlia di rosa

Venerdì, 13 Gennaio 2017 10:54

Il primo figlio lo volevo femmina, assolutamente femmina: sarebbe stata tranquilla, dormito tutta la notte, avremmo fatto shopping insieme e tanta tanta pittura su tela: è arrivato Tommy, ore di sonno consecutive per i primi due anni 3, fino ai sei anni 5 nei giorni migliori; odia lo shopping e prefisce tagliarsi le mani piuttosto che disegnare, un cubo logico-meccanico-matematico come il suo papà, raramente sono di buon umore, sopratutto in vacanza.

Il secondo figlio lo volevo maschio, per formare una degna coppia di cinghialotti: è arrivata Emma, dalle manine sottili, ore di sonno giornaliere 22, quando è stanca va sul divano, si mette il ditino in bocca, tira su la coperta e dorme. Quando non canta disegna. Tutto è una sfumatura, se cade la casa se ne costruirà insieme un'altra.

Ma forse la cosa su cui vengo più presa in giro è la cosidetta questione del rosa: non sono mai stata una bambina/ragazza/donna particolarmente avvezza alle cose femminili, posso uscire in tuta come in decoltè, non mi vengono attacchi di panico se non sono truccata e non ho bisogno dell'ultima borsa di Prada per sentirmi appagata. Il rosa non era contemplato. 

Così quando ho scoperto che stava arrivando Emma una delle prime indicazioni che ho detto a tutti, a tappeto, è stata quella di non regalarmi nulla, ma proprio nulla di rosa: mia figlia sarebbe stata una di quelle fantastiche bimbe molto urban style, con jeans e cappotto blu. Avrebbe fatto nuoto, atletica ma di certo non danza, quelle cose da femminucce merletti e balze. Figurati. Mai più.

Poi è arrivata lei, un batuffolo morbido all'inverosimile, delicato, rosa, tutta completamente rosa: ma non quel rosa carne, lei era proprio rosa del colore delle rose antiche. Forse è lì che mi è partito l'embolo. Da quel momento le sfumature delle sue tutine andavano dal rosa, al rosa carne, al lilla, al viola, già il bianco mi urtava un po' perchè mi pareva di tramortire la sua femminilità. Ora lei ha 5 anni e la sua passione è la danza e prima di Natale ho assistito al suo primo spettacolino, con le lacrime agli occhi e immortalando ogni secondo con video, risultando ampiamente ridicola. 

Foto Credits: https://www.facebook.com/MADMEDAACCADEMIADANZA/?fref=ts

Ma forse è questo il grande insegnamento dei figli: abbattono le barriere, i preconcetti per farci prendere la giusta via, la verità, per farci toccare l'essenza della vita oltre che di noi stesse. A volte è faticoso, estenuante, talvolta doloroso perchè devi abbattere muri protettivi che avevi costruito per proteggerti e renderti meno vulnerabile. Ci insegnano che l'amore viene prima di tutto, ci obbligano a spogliarci per far venire fuori la parte più vera e autentica, la nostra essenza.

Grazie a lei mi sono ricordata di quanto siano importanti alcune cose che con la quotidianità avevo messo da parte perchè, obiettivamente, tra lavoro, figli, casa e commissioni tutto il resto va nel dimenticatoio: e così ti ritrovi che hai tutto quello per cui potresti essere felice ma non lo sei, e ti senti anche in colpa perchè obiettivamente non hai nulla di cui poterti lamentare. Poi la osservi, la studi da lontano e vedi te stessa, e scopri quanto una musica ascoltata mentre cucini possa fare la differenza, uno smalto fuksia il martedì sera possa dare una notevole svolta alla stanchezza della settimana, e un abbraccio con la tua bimba con bigodini made in china viola e rosa appena messi e forse mai più tolti da tua figlia siano la cosa che avevi sempre desiderato. 

Giulia Mandrino

 

 

8 ricette di sughi invernali

Venerdì, 13 Gennaio 2017 09:35

Come condire la pasta quando si ha freddo, c’è bisogno di energia e i soliti spaghetti aglio e olio o con i pomodorini ci sembrano troppo estivi? 

L’inverno ci offre moltissimi spunti, un po’ per le verdure che maturano in questa stagione, un po’ per quegli ingredienti che danno calore, quei “confort food” che ci permettono di portare in tavola sughi energetici dal sapore proprio invernale.

8 ricette di sughi invernali: da ciò che la natura ci offre nei mesi più freddi, le salse per condire i nostri piatti di pasta in famiglia

  • Al posto della classica aglio e olio, che effettivamente è uno di quei piatti che non mancano mai in estate, possiamo aggiungere un ingrediente povero ma ricco di nutrienti, che trasforma la classica spaghettata in un piatto perfetto per il freddo: la mollica di pane. Basta spezzettare del pane raffermo di un paio di giorni, frullarlo e aggiungerlo in padella con l’aglio e l’olio cinque minuti prima di scolare la pasta.

  • Invernali, gustosi e nutrienti sono i broccoli, che potete trovare freschi oppure surgelati (mantengono comunque le proprietà). Fateli sbollentare in acqua bollente per cinque minuti, quindi buttateli in padella con un filo d’olio e uno spicchio di aglio. Dopo dieci minuti frullate tutto e utilizzate il sugo per condire la pasta, decorandola poi con qualche gheriglio di noce tostato e tritato.

 

  • Se amate i pesti (che salvano un sacco di cene!) e il sapore del radicchio, perfetto è il pesto di radicchio. Se non amate l’amaro di questo ortaggio (o se non lo amano i bambini) basterà mettere a bagno le foglie un’ora prima. Procedete quindi frullando 100 grammi di foglie di radicchio con 50 grammi di noci, mezzo spicchio d’aglio (opzionale), 2 cucchiai di olio e 20 grammi di formaggio grattuggiato (o lievito in polvere), aggiustando di sale e condendoci poi dei bei fusilloni integrali.
  • Anche gli spinaci sono invernali, e abbinati alla ricotta sono sempre una bomba. Ecco quindi il sugo veloce di ricotta e spinaci, che sta benissimo sugli spaghetti. Basta frullare 125 grammi di ricotta con 200 grammi di spinaci lessati, sale e pepe. Mentre bollite la pasta, versate un mestolo di acqua di cottura nel sugo, quindi condite i vostri spaghetti con la salsa ottenuta.
  • A dire “inverno” sono anche certi tipi di pasta. I pizzoccheri, ad esempio, tagliatelle valtellinesi al grano saraceno. Conditeli semplicemente con burro fuso e salvia, con qualche patata bollita tagliata a pezzetti…

  • … Oppure conditeli con un ragù di verdure super corposo e caldo. Fate saltare in padella con dell’olio mezza cipolla rossa tritata, mezzo radicchio tagliato a strisce, delle biete a pezzetti, alcuni cuori di carciofo precedentemente bolliti e delle carote a dadini. Aggiungete dopo cinque minuti un mestolo d’acqua, lasciate evaporare quindi coprite con del sugo di pomodoro e lasciate cuocere per mezz’oretta.

  • Dal sapore particolarissimo è la rucola, verdura invernale che si presta benissimo alla preparazione del pesto. Insomma, al posto dell’estivo basilico, l’invernale rucola. Frullate in un mixer 100 grammi di rucola con 50 grammi di mandorle, tre cucchiai di olio evo, il succo di mezzo limone e un po’ di formaggio grattuggiato. Condite subito la vostra pasta, oppure mettete il pesto in un barattolo ermetico e conservatelo in freezer per un’altra serata.

  • Approfittiamo dell’inverno per fare incetta dei benefici delle bietole, che ne dite? Ecco il sugo bietole e pomodorini: prendetene un bel kilo e sbollentatelo in acqua bollente per qualche minuto. Scolatele, e cuocete in quest’acqua la pasta. Intanto, rosolate uno spicchio d’aglio in un filo d’olio e aggiungete 250 grammi di pomodorini tagliati a metà, fate cuocere una decina di minuti e schiacciateli. Aggiungete quindi le bietole e fate saltare fino alla fine della cottura della pasta. Unite tutto e godetevi questa pasta super invernale.

 

 

Quando c’è qualche problema nelle prime vie respiratorie (capita soprattutto in inverno, e tra scuola materna e amichetti in generale, sappiamo che i bimbi portano a casa moltissimi germi), il miele è certamente la soluzione migliore, nella maggior parte dei casi, meglio ancora se unito a zenzero e curcuma come nella nostra ricetta dello sciroppo antinfluenzale.

Tuttavia a volte serve un aiuto in più, soprattutto per calmare la tosse ed esercitare un’azione antibatterica per debellare la malattia. In questo caso, uno sciroppo fa al caso nostro. Ma ricordatevi sempre che i prodotti e i rimedi naturali sono uno strumento davvero efficace se scelti con cura e sopratutto se prescritti da un medico specializzato in medicina naturale/integrata.

Ecco come scegliere gli sciroppi per la tosse per i nostri bambini: la guida per capire quale fa al caso nostro e scegliere la soluzione migliore

Innanzitutto, l’omeopatia, nel caso dei malanni stagionali, è davvero efficace, grazie alla sua azione delicata e lunga che oltre a contrastare i fastidi nel momento in cui compaiono rafforza l'intero organismo. 

Quando tuttavia scegliete la fitoterapia o i rimedi naturali, la prima cosa da controllare è certamente la qualità delle erbe e dei principi attivi. Ci sono moltissimi sciroppi naturali in commercio per cui spesso si ha l'imbarazzo della scelta . Controllate in primis che gli estratti di queste piante siano standardizzati, e cioè lavorati a secco in modo da mantenerne le caratteristiche e quindi l’efficacia.

Per esserne ancora più certi, in ogni caso, chiedete consiglio a un medico specializzato in medicina naturale o a un farmacista anch'esso esperto in materia. 

In secondo luogo, chiedete sempre al vostro farmacista se il vostro bambino ha l’età giusta per prendere un determinato sciroppo. Ne esistono infatti alcuni fatti apposta per i neonati e per i bimbi piccoli, ma solitamente gli sciroppi fitoterapici non sono adatti ai bambini sotto ai due anni di età.

Oltre all’efficacia e alla sicurezza sull’età, è importantissimo controllare che il prodotto sia davvero naturale e quindi privo di coloranti, aromi artificiali o conservanti.

E, non ultimo, sarebbe meglio che lo sciroppo non fosse troppo zuccherato. Spesso, infatti, le aziende, sapendo che i fruitori sono i bimbi piccoli, cercano (magari giustamente) di rendere il sapore meno amaro e più piacevole. Ma lo zucchero, lo sappiamo, è deleterio. Date quindi un’occhiata agli ingredienti: ci sono altri modi per dolcificare in maniera più naturale (miele, stevia, malto…), e sono quindi preferibili gli sciroppi privi di questo zucchero.

Il gusto, tuttavia, è effettivamente un tasto dolente quando si tratta di sciroppi da somministrare ai bambini. Non sottovalutate quindi questo aspetto, e sceglietene sempre uno che piaccia (idealmente) al vostro bimbo. Banana, fragola, miele… I gusti sono spesso vari, ed è meglio sceglierne uno apprezzato piuttosto che uno odiato che ci farà fare il doppio della fatica (se il gusto non piace, non ce ne si esce: il bambino non lo prenderà).

Stesso discorso per la forma: con i bimbi il momento dello sciroppo può trasformarsi in tragedia e disastro, soprattutto quando si tratta di darlo con il cucchiaio (difficilissimo, no?). Scegliete quindi un flacone semplice, magari con bicchierino dosatore, e che ci stia in borsa comodamente.

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

Un buon libro è sempre una buona idea. Non solo romanzi e letture di svago, però: spesso la parola scritta e stampata ci viene in aiuto anche in quei momenti in cui ci assalgono i dubbi, come ad esempio il periodo delicato della gravidanza. Vi segnaliamo ora “Parto in arrivo, appunti di viaggio per donne in camicia da notte anche di giorno”, edito da Red!.

Parto in arrivo, appunti di viaggio per donne in camicia da notte anche di giorno: un libro leggero che vi farà compagnia durante la gravidanza

Le autrici sono psicologhe e psicoterapeute, e ognuna di loro mette a disposizione la sua esperienza e la sua competenza: Sara Roveraro, Maria Caterina Cattaneo, Valentina Chiorino, Roberta Salerno, Elena Macchi e Giorgia Bertolucci. Chi da anni si occupa della salute della donna, chi del neonato, chi della famiglia: una squadra davvero folta che rende questo libro un perfetto strumento per le mamme, ma anche per i papà e per chi si occupa della maternità per lavoro.

Il bello di questo libro, che potete acquistare a questo link,  è che rispetto a molti altri volumi pesanti, specialistici e medici che potete trovare in considerazione è più leggero e piacevole (proprio come il nostro Mamma Pret A Porter!), e in maniera precisa saprà guidarvi attraverso tutte le domande e i dubbi del periodo, senza rinunciare alla profondità e alla professionalità.

Più che la gravidanza, questo volume si concentra sul quel periodo che può spaventare molto le mamme in attesa, soprattutto quelle alle prese con il primo figlio. Parliamo dei momenti appena successivi al parto e del rientro a casa con il nostro bebè, questo sconosciuto!

Il periodo del post-partum, infatti, è un momento delicatissimo, che ogni donna vive a suo modo e che è fatto di tante sfumature. Le autrici, quindi, hanno voluto mettere nero su bianco le loro conoscenze costruite in anni di frequentazione del reparto maternità, per aiutare tutte le neomamme ad affrontare in maniera serena quei momenti.

Per farlo, hanno inventato una particolare donna, la protagonista del libro, che si sviluppa così come un racconto per tappe dal momento del parto sino all’arrivo a casa (e ai giorni successivi). Questa neo mamma è proprio come tutte noi, anche se descritta in maniera ironica per stemperare la situazione, e come noi passa attraverso tutti quei sentimenti fortissimi che colpiscono una nuova mamma: gioia, ansia, tristezza, eccitazione, paura, serenità. Ma anche rifiuto e depressione, poiché può capitare anche questo, e non c’è nulla di cui vergognarsi.

L’intento del libro è quello di dare alle donne gli strumenti necessari per capire che ogni sentimento è lecito, poiché durante la gravidanza e ancor più quando si diventa genitori tutti i nodi lasciati in sospeso a livello psicologico e relazionale vengono al pettine, si ingigantiscono (nel bene o nel male) e spesso le donne si sentono sopraffatte. Il tutto condito da una nuova situazione quotidiana completamente stravolta dall’arrivo di un nuovo inquilino in casa, un inquilino paffutello e coccoloso che ha bisogno di tutte le nostre attenzioni ed energie.

 

Probabilmente, fateci caso, su quello sinistro. No, non siamo chiaroveggenti o mentaliste. Semplicemente lo dicono la natura e la scienza, e c’è un motivo ben preciso! Lo studio di questo fenomeno, oltretutto, è super interessante. 

Quindi bando alle ciance, è ora di spiegarvi il perché nel dettaglio.

Su che fianco portate in braccio il vostro bambino? Gli studi dimostrano perchè le mamme portano i bambini in braccio sul fianco sinistro

 

Innanzitutto, dobbiamo partire da una ricerca del 2004: Victoria J. Bourne e Brenda K. Todd, dell’Università del Sussex, dimostrarono infatti che la maggior parte delle mamme (tra il 75 e l’80% di loro) porta il figlio in braccio appoggiandolo sul fianco sinistro. No, non è una cosa che si nota subito, ma provate a farci caso, e vi accorgerete che probabilmente è così, e che anche voi fate parte di questo 80%.

Un altro dato, tuttavia, ha suscitato la curiosità, poiché questa tendenza non riguarda solo le mamme, ma tutte le donne in generale. Anche le bambine con le bambole. E anche i papà (ma non i maschi in generale: se un uomo non è ancora papà, questa tendenza non si verifica!).

Questo fatto suscita da sempre la curiosità degli studiosi, che hanno scritto moltissime ricerche ipotizzando i più svariati motivi. Chi diceva che c’era un motivo sociologico o psicologico, chi avanzava l’ipotesi che fosse dovuto alla vicinanza con il cuore, chi alla sensibilità maggiore del seno sinistro… Tutte ipotesi valide e plausibili, certo. Ma ora qualcuno ne ha avanzata un’altra, ancora più specifica: secondo gli studiosi, la responsabilità di questa tendenza è tutta cerebrale (e anche fisica).

Lo studio (Karenina, K., Giljov, A., Ingram, J., Rowntree, V. J. & Malashichev, Y. Lateralization of mother–infant interactions in a diverse range of mammal species. Nat. Ecol. Evol. 1, 0030 (2017)) è stato appena pubblicato sulla rivista scientifica “Nature, ecology and evolution”, e parte dal presupposto che il “portare a sinistra” sia una prerogativa dell’uomo e delle scimmie e non degli altri mammiferi. 

La ricerca vuole quindi capire se anche le altre madri mammifere - canguri, cavalli, antilopi, renne… - hanno preferenze di fianco (a quanto pare, no), ma è nell’introduzione che gli studiosi parlano apertamente di ciò che interessa a noi, e cioè i motivi della scelta delle mamme umane. E in poche parole, secondo loro, “la posizione dell’infante sul fianco destro della madre potrebbe ottimizzare il monitoraggio materno, indirizzando le informazioni sensibili all’emisfero destro del cervello”.

In sostanza, questo significa che quando il bambino viene portato in questa posizione si rafforza il legame mamma-figlio, poiché l’emisfero destro del cervello della madre si attiva, ed è proprio questa attivazione a rafforzare il legame.

Già sappiamo che il tocco sulla parte sinistra del nostro corpo attiva l’emisfero destro del nostro cervello (si chiama lateralizzazione, questa relazione tra un lato del corpo e il lato opposto del cervello). Questo emisfero destro del cervello è quindi il responsabile del linguaggio, ma soprattutto dell’interpretazione dei segnali emotivi e delle espressioni facciali, proprio quello di cui ha bisogno una mamma nei confronti del suo bambino.

Ecco spiegato quindi il perché: appoggiando il bambino su quel determinato fianco nostro figlio tocca il latto sinistro del nostro corpo, e in questo modo attiva l’emisfero destro del nostro cervello, proprio quello responsabile della nostra comprensione profonda dei suoi bisogni.

Insomma: il fianco sinistro probabilmente ci fa essere inconsciamente madri migliori, attente e focalizzate sui bisogni (visibili e nascosti) dei nostri bambini.

La guida alle varietà di tè verde

Mercoledì, 11 Gennaio 2017 10:24

I tè non sono tutti uguali: earl grey, nero, verde… E anche il tè verde non è tutto uguale! Ne esistono diverse varietà, e anche se tutte crescono in Giappone (è il tè più consumato, e quotidianamente ogni giapponese ne beve moltissimo!) si differenziano l’una dall’altra per metodo di coltura, tempi di raccolto e processi di maturazione.

Vi presentiamo quindi le varietà di questo particolare tè ricchissimo di antiossidanti e quindi alleato perfetto per la nostra salute. Bevetene due tazze al giorno (oppure integratelo in ricette insolite): e il vostro organismo vi saprà ringraziare!

Ecco la guida alle varietà di tè verde: dal matcha al sencha, dal tencha all’hojicha, le differenze tra le specie di tè verde giapponese, l’infuso alleato della salute

Partiamo con la varietà più diffusa, e quindi quella più bevuta al mondo. Si tratta del tè Sencha, dal gusto armonioso e dolce, le cui foglie secche sono verdi luminose e in forma di ago. Viene coltivato al sole secondo un metodo abbastanza standard, e le foglie una volta colte vengono cotte al vapore e poi rollate e pressate fino ad acquisire la classica forma ad ago.

Passato al vapore per il doppio del tempo rispetto al Sencha (che ha bisogno di circa un minuto) è il Fukamushi Sencha, che è coltivato proprio come il Sencha ma che si differenzia appunto per il fatto di essere stato “cotto al vapore per molto tempo”, come dice il nome. Grazie a questo passaggio le sue foglie divengono più polverose e il tè acquisisce un sapore più forte e un colore più scuro. Non solo: il vapore assottiglia molto le foglie, che mantengono però moltissime proprietà, proprietà che, anche se le foglie non si dissolvono in acqua, vengono assimilate più facilmente dall’organismo.

Il tè verde Kabusecha si caratterizza per la particolare coltivazione, che non avviene completamente al sole: una settimana prima del raccolto, infatti, la pianta viene coperta proprio per non fare passare i raggi solari. In questo modo, i nuovi germogli crescono al buio, dando al tè un colore più scuro e un sapore più intenso e corposo

Lo stesso procedimento lo subisce il tè Gyokuro, che tuttavia resta coperto per più tempo prima del raccolto, e cioè circa venti giorni. Questa mancanza di luce fa sì che i tannini dei nuovi germogli non si sviluppino; il gusto è più ricco, quindi, ma è meno astringente. Somiglia un po’, come sapore, all’alga nori.

Tra poco arriveremo al té Matcha, molto in voga in questo periodo. Prima, però, parliamo del suo ingrediente principale, e cioè il tè Tencha. Questo tè cresce quasi completamente coperto dalla luce del sole, e una volta cotto al vapore le sue foglie non vengono nemmeno rollate. Il tè Tencha è ciò che rimane dopo aver tolto i gambi e le nervature delle foglie, e una volta macinato a pietra diventa tè Matcha.

Il tè Matcha, quindi, è semplicemente il tè Tencha macinato a pietra. E’ utilizzato per le antiche cerimonie del tè giapponesi, e a differenza degli altri tè il bello è che ne viene consumata la foglia intera, essendo macinata e mescolata nell’acqua (e non filtrata).

Dal sapore particolarissimo è il tè Hojicha o kuchika, il cui gusto riconoscibile è dato dal fatto che è semplicemente tè Sencha (o un altro tipo di tè verde) tostato a 200 gradi e subito filtrato (e anche il colore, quindi, è più scuro, tendente al terroso). La tostatura permette di diminuirne la caffeina (dato che la molecola, con il caldo, passa da solida a gassosa) e in questo modo il tè Hojicha è leggermente meno amaro degli altri (e il suo sapore ricorda un pochino la frutta secca). Ecco perché piace spesso anche ai bambini e agli anziani.

Particolarissimo è il tè Genmaicha, il cui nome deriva da “riso integrale”, proprio perché le foglie, una volta cotte al vapore e rollate, sono arricchite dall’aggiunta dei chicchi di riso integrale tostato (in misura 50 e 50). Ecco perché ha meno caffeina (la quantità di tè è la metà del normale), ed ecco perché ha un gusto tutto particolare, delicato e noccioloso, che piace anche ai più piccoli.

Detto anche il “tè nuovo” è il tè Shincha (detto anche Ichibancha a seconda della ragione del raccolto), e cioè il tè derivato dalle prime foglie della stagione (successivamente, il tè si chiamerà Nibancha o Sanbancha, a seconda dell’ordine di raccolta delle foglie durante l’anno). Il fatto di essere raccolte per prime conferisce a queste foglie moltissimi benefici, poiché contengono tutti i nutrienti che la pianta ha accumulato durante l’inverno per far crescere i germogli e le foglie. Non solo: di nuovo, derivando dalle prime foglie colte, il tè Shincha ha un gusto tutto suo, che sa molto di foglie giovani ed è meno amaro del solito (contiene meno caffeina ed è ricco di tannini, che oltre ad essere antiossidanti lo rendono un pochino più dolce).

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale. 

Ve ne avevamo già parlato: i pericoli della troppa tecnologia sono davvero reali e i bambini che ne fanno largo utilizzo rischiano davvero dei danni emozionali e intellettivi non indifferenti. Ma non è pericoloso solo l’utilizzo (come dicevamo, meglio uno strumento musicale!): gli smartphone, che sono ormai parte integrante della nostra quotidianità, hanno effetti anche passivi devastanti per i nostri bimbi, soprattutto nei primi mesi di vita. Perché? Ve lo spieghiamo subito.

Mettete giù lo smartphone e l’autostima dei bambini ne guadagnerà: i pericoli dell’utilizzo passivo della tecnologia per i nostri bambini

Controlliamo le mail, scriviamo nel gruppo di famiglia, in quello delle mamme dell’asilo, in quello degli amici. E poi diamo uno sguardo alle notizie, sbirciamo i nostri social, postiamo quella bellissima foto dei piedini del nostro bebè. Pensateci: anche se non sembra (ormai è un’abitudine e non ce ne accorgiamo nemmeno), il tempo che passiamo davanti al piccolissimo schermo del nostro smartphone è davvero moltissimo durante la giornata

Anche se non sembra, è una vera e propria dipendenza (che ha un nome: nomofobia), che colpisce moltissimi giovani, ma che riguarda davvero un po' tutti, senza esclusione di colpi. Come spiegano anche da Ansa, "secondo l'ente di ricerca britannico Yougov, più di 6 ragazzi su 10 tra i 18 e i 29 anni vanno a letto in compagnia dello smartphone, e oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (53%) tendono a manifestare stati d'ansia quando rimangono a corto di batteria, di credito o senza copertura di rete".

Questa dipendenza - così come l'uso quotidiano "normale" che ormai facciamo del cellulare - è pericolosa per i nostri bambini. Perché?

Semplicemente, provate a dare un’occhiata ad una persona che sta controllando il suo cellulare. Non è completamente inghiottita da esso? Non ha tutta l’attenzione lì? Eh certo. E’ così. E anche se noi mamme ci vantiamo di essere multitasking (sì, è vero, lo siamo!) quando focalizziamo l’attenzione sui device tecnologici questa viene risucchiata completamente da essi. 

Bene. Se anche voi vi accorgete dell’impressione che fa una persona davanti al suo smartphone, sappiate che anche i bambini se ne accorgono. Vi vedono intenti al cellulare, e in poco capiscono che in quel momento non ce n’è per nessuno, nonostante la buona volontà.

Il fatto che se ne accorgano, tuttavia, non è fine a se stesso. Purtroppo le conseguenze sono importanti, poiché, in maniera conscia o meno conscia, i bambini si sentono lasciati da parte, recepiscono il messaggio che “non sono abbastanza importanti” e la loro autostima ne risente negativamente. E, a lungo andare, la bassa autostima può trasformarsi drasticamente in ansia e depressione.

Tutto questo è sintomo dei nostri tempi, poiché volenti o nolenti se prima i bambini erano abituati ad avere stimoli da parte nostra e da parte del mondo esterno ora le relazioni, il lavoro e mille altre cose passano attraverso la rete. Solo che nei primi tre anni di vita questi stimoli dovrebbero essere davvero moltissimi, ed è per questo che sarebbe meglio ridurre in maniera netta i momenti passati davanti allo smartphone, dedicandoci invece ai nostri bambini! Come? Abbiamo per voi qualche consiglio per far sì che i nostri bambini non risentano della tecnologia che ormai ci ha invaso.

Innanzitutto, decidete certe zone in casa nelle quali smartphone e tablet saranno banditi: le camere, ad esempio, ma soprattutto la tavola e la zona giochi dei bambini. 

In secondo luogo, fissate alcuni momenti della giornata nei quali controllare mail, social media e messaggini (quelli non necessari; quelli importanti arriveranno come sempre sul telefono, e chi vi deve trovare vi trova anche con una telefonata, state tranquilli). Questi momenti saranno gli unici adibiti al controllo, e in questo modo imparerete a fare a meno dello smartphone durante la giornata.

In questo modo, i bambini vedranno che non è indispensabile tutto quel tempo passato con gli occhi incollati al telefono, e oltre alla loro autostima ne risentirà positivamente anche il rapporto che in futuro avranno loro stessi con la tecnologia (il buon esempio è sempre la migliore educazione).

Terza regola, infine, riguarda direttamente i bambini. Sappiamo che spesso è comodo piazzarli davanti ad un video sul tablet o ad un gioco educativo sullo smartphone (ce ne sono di bellissimi, è vero), ma evitate di farlo prima dei tre anni. Ok, saranno anche attività educative, ma lo stimolo diretto, umano e concreto è sempre il migliore strumento che potete mettere loro in mano!

Sara Polotti

Sara

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Cecilia

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