Ciao a tutti! Questo libro di cui vi parlerò oggi è molto particolare. È stato scritto e illustrato da Ingrid Chabbert Guridi ed edito da Coccolebooks. È una storia che tocca ognuno di noi...la storia di un bimbo che si innamora per la prima volta. E si innamora sui banchi di scuola, come spesso accade nella vita.

La sua amica Candela però sembra non accorgersi di questo amore...ha occhi solo per gli uccelli. Li osserva nella natura, li cura quando sono feriti, compra abiti e oggetti con uccelli disegnati sopra e lui...il bimbo innamorato...si perde a osservarla con quella stessa dedizione che invece lei riserva solo ai suoi amici pennuti. E come spesso accade nel mondo reale, quando amiamo di quell’amore che leva il respiro e non ci sentiamo corrisposti, cerchiamo pur di farci amare di diventare ciò che non siamo.

 

Il piccolo protagonista decide allora di travestirsi da passerotto...uno grande, con meravigliose piume...sperando così di colpire il cuore della piccola Candela. Il suo costume lo fa sentire inizialmente protetto e al caldo, come quando creiamo una maschera di noi stessi per sentirci a nostro agio con chi ci circonda, per sentirci socialmente accettati e amati. Ma ben presto il bimbo si accorge che questo ingombrante costume limita la sua vita...Vi invito a leggere questo libro, che con poche frasi e disegni leggeri racconta una grande verità: l’importanza di poter essere se stessi, sempre e comunque.

“io sono innamorata mamma...ma di due bimbi...quindi per forza devo essere come sono perché tanto non li posso accontentare tutti e due!”

Non guarirai in tre giorni: ossia quando lui è malato

Venerdì, 10 Febbraio 2017 06:26

Durante le caldi e afose giornate estive milanesi ci capita di pensare alla frescura invernale. Io a volte lo faccio, dicono che pensare “fresco” induca il corpo ad avere meno caldo, la mente controlla tutto… sti cazzi manco per niente, anzi quando riapri gli occhi ti pare di essere stata leccate da una super gigantesca lingue che ha mangiato una caramella, con quella sensazione di appiccicaticcio che ti ricopre il corpo, e la mente nulla può. Sembra impossibile come a distanza di pochi mesi ci troviamo dallo sventolarci le ascelle, indossare meno vestiti possibili, bere come cammelli ad imbacuccarci con strati di maglioni di pile, dormire come ghiri e sostituire il ghiacciolo alla minestrina; alla fine sono le magie della natura, i cicli stagionali, ma a volte li sottovalutiamo, è una roba meravigliosa.

Comunque arriva l’inverno e noi lo aspettiamo, e mentre lo aspettiamo parliamo di giornate a leggere sul divano accoccolate con un plaid, bere una cioccolata calda con le amiche, scaldarsi una zuppa bollente quale confort food, vegetare riguardando vecchi film mentre fuori c’è quell’atmosfera un po’ ovattata magari data dalla neve.

Nulla di più sbagliato. Pensieri romantici che ai primi freddi vacillano, per poi scomparire del tutto: quando scompaiono? Non so … direi…alla prima ghiacciata e voi dovete alzarvi prima per sbrinare la macchina come si fa col frizzer, alla neve che da ovatta morbida e candida che cade sofficemente dal cielo, vi ritrovare a camminare in una puciacca grigiastra a bordo strada, ghiacciata sui marciapiedi e rovinosamente pericolosa sulla carreggiata stradale, dopo un tot di giorni in cui dovete per forza cucinare e spignattare, perché d’estate con una bella macedonia di frutta ti fai un pranzo, un’insalatona o un pinzimonio ti risolvono, una valanga di insalata di pasta fredda o riso, lo cucini una volta e per qualche giorno lo condisci solo in maniera diversa, così vivi di rendita, d’inverno tutto ciò di cui hai voglia è roba che ha cotto e bollito, che sia fumante ed avvolgente e quindi ci tocca stare più tempo ai fornelli.

La cosa che maggiormente ci fa temere la stagione fredda sono…. I MALANNI.

Quando poi ad ammalarsi è il marito, la tua sanità mentale andrà letteralmente a farsi f…… friggere.

Lo so perché in questi giorni mio marito si è beccato il classico stato di raffreddore, tosse, mal di gola, una tragedia vera, una di quelle robe insuperabili, una prova di sopravvivenza… no non per lui… per me.

TU…

Inizi con un leggero pizzicorino alla gola, una robina sottovalutabile, poi senti come le formiche nel naso… Il giorno dopo sei con i dolori alle ossa e stato febbrile. Poi tosse e mal di gola, non riesci a deglutire nemmeno la saliva e il medico ti prescrive quelle bombe di antibiotico grandi come noci da deglutire con un bicchiere di acqua, l’ultima volta per poco non litigo con il farmacista, poveretto… “scusi hanno messo il pasto per gli astronauti in una pillola piccola piccola, ho le placche in bocca, le tonsille in fiamme e la bronchite, ste robe che dovrei cacciarmi giù sono più grandi delle supposte, come devo fare?! Non potevate farle più piccole, sminuzzabili, bevibili, per endovena?”. Poi ti viene il raffreddore, ti tappi così tanto che respiri a bocca aperta giorno e notte, hai la bocca secca e la lingua così arida che sembra di cartavetrata, ti cola la candela ed essendo tappata non riesci nemmeno a tirare su il moccio, continui a soffiarti il naso fino a farti sanguinare la pelle sopra le labbra, la bocca si screpola e nessuna crema o fumenti ti danno sollievo. Di giorno vivi in una bolla, con la testa ovattata, la notte non dormi e non respiri, ti trascini che sei uno straccio, ti senti pure sporca, sciatta, il trucco ti cola al bordo degli occhi e solo una passata di calcestruzzo può coprire quel malsano colore grigiastro della pelle e il rossore che rende il tuo naso simile a quello di Mastrociliegia. Poi se proprio sei tanto tanto fortunata un po’ di passa, diciamo nel giro di soli quindici / venti giorni, inizi a ritornare alla realtà, sei però debilitata e spossata e… ti attende il virus gastrointestinale.

Io sono una che non vomita (come i conigli), mi sarà capitato forse due volte nella vita, logicamente entrambe ero nel posto sbagliato ed al momento sbagliato, ma tant’è. Io vivo con la nausea, mi si attorcigliano le budella, mi si rivolta lo stomaco, mi si capotta la bile, cambio colore in faccia, sudo come una fontana, ma niente, non vomito, resto con questa terribile sensazione dell’ “andrà su o giù” per un paio di giorni. Io sono una da squaraus, diarella, squarella, sciolta… insomma io gli do di cagarella. E detto così pare una roba, ma vissuta è tutta un’altra storia. Perché appena senti i primi dolorini, quando le budella ti brontolano dentro e senti quel rumore nella pancia simile a quando viene su il caffè dalla moka… ecco, in quel preciso istante o sei seduta sulla tazza o è troppo tardi. Caghi così tanto che ad un certo ti chiedi se sia umanamente possibile avere in corpo tutta quella roba, ti senti pulita dentro come dopo una lavanda gastrica ma non sei per nulla bella fuori, se becchi quello brutto che ho fatto io l’anno scorso sono stata due giorni a luglio in compagnia di quello che io ho ribattezzato “lo spruzzo anarchico” e dico davvero spruzzo e dico davvero anarchico. Mi sono cambiata più mutante e pantaloncini di un asilo nido, me le sono fatta letteralmente addosso quattro volte, ormai al secondo giorno pensavo non avrei mai più ripreso possesso delle mie facoltà corporali, succedeva tutto così, senza che nemmeno me ne accorgessi, non potevo manco stare seduta sul divano per paura di scagazzarlo, vivevo con i pannoloni, non gli assorbenti, mi sembrava di essere la donna da esorcizzare in un film dell’orrore, poi piano piano è passato, sono stata attenta all’alimentazione per qualche giorno, disidratata, col culo in fiamme, mi è venuta la cistite che me la sono trascinata per tre mesi e… non ho perso manco un etto. E ho cercato di arrabattarmi al meglio facendo quello che potevo in casa (logicamente mi sono rassegnata a non poter uscire fino alla guarigione, pe evitare imbarazzanti scene il pubblico). Ma tant’è, tra un virus e l’altro come si dice the show must go on.

LUI…

Inizia già a lamentarsi che gli sembra di sentire una parvenza di sintomi tipo un leggero bruciore di gola e il naso che pizzica, ma nel frattempo beve a canna dalla bottiglia dell’acqua, ti russa addosso, smoccia i fazzoletti e li abbandona per casa come armi potenzialmente letali, per vedere se riesce proprio ad attaccartela. Anche i sintomi più leggeri lo fanno trascinare per casa come uno zombie, lamentoso come la sirena di un allarme, brontolone come una pentola a pressione; e tu che cerchi di rincuorarlo che è solo un raffreddore e dall’altra parte preghi te stessa di trovare la forza di non ucciderlo nel sonno, cerchi di curarlo con lo sciroppino miele / zenzero, spremute di agrumi ed alla fine cedi, pur di non sentirlo lo imbottisci di medicinali nella speranza che cada nel sonno della Bella Addormentata, nel frattempo si appalesano anche a te i primi sintomi ma ti dai forza “no, è solo suggestione” ti ripeti… e intanto che tu peggiori visibilmente fino a ridurti un’ameba lui… lui guarisce in tre giorni, dopo aver sternutito addosso a te tutti i suoi microbi e gli continui a ripetere come un mantra “puoi metterti la mano davanti alla bocca”. 

Ma così è, lui si ammala e guarisce con la stessa velocità con cui tu capisci che te la stai buscando, con i microbi che ti aspettano, bastardi, silenti e latenti, pronti ad esplodere solo nel momento giusto, perché il minimo è che proprio in quei giorni avrai due riunioni importanti e non potrai mancare in ufficio, i bambini avranno una recita a scuola o la gita che tanto aspettavano, tua madre ti chiederà di essere accompagnata a fare la spesa al centro commerciale e tutti gli sbalzi di temperatura a cui sarai sottoposta non faranno che far letteralmente fermentare tutti i bacilli nel tuo corpo, fino all’esplosione massima di venerdì verso le 18 di sera, pronta per il tuo weekend che ti passerai così, cucinando, pulendo e spignattanto, badando alla casa al marito ai bambini a tutti tranne che a te stessa, con la testa in una bolla e tutti i contorni del caso, e mentre trascini le pantofole per casa lui ti guarda stravaccato sul divano e dice… “cos’hai? Stai male? Vedi di non attaccarmela che l’ho appena fatta!” … Lunedì si riparte con la certezza che no, tu non guarirai in tre giorni…

Forse sono nata un po' vegana

Venerdì, 10 Febbraio 2017 06:22

Cose dice mia mamma quando parla di me e del fatto che sono vegana? “Eh vabbè, qualche avvisaglia già c’era… sei sempre stata un po’ così…”. Già perché per i miei questa scelta è strana, non la capiscono fino in fondo, specie quando da vegetariana (ma già non mangiavo le uova) sono passata ad essere vegana. Effettivamente già da bambina, col senno di poi, ero l’unica in famiglia ad avere certi atteggiamenti, fare certe domande, avere certe esigenze, evitare certi cibi e situazioni.

Comunque, ogni scelta ed ogni cambiamento porta ad un percorso, a doversi informare su certe cose (e non lo si fa mia abbastanza) a scoprire cose nuove, a sbagliare anche per ignoranza, a volte senza intento, ci si corregge e si ricomincia.

Poi però devi pur uscire di casa e le situazioni ti portano a scontrarti con la quotidiana realtà, non solo di chi non sa cosa vuol dire mangiare e vivere veg (con mille domande, la prima è sempre “perché”) ma anche con chi lo sa e persiste in errori grossolani che a volte ti fanno passare la fantasia di spiegare.

Le prima per il cui vale il detto “errare è umano ma perseverare è diabolico” è mia madre.

STEP 1 – LA MAMMA

Mi ha partorita, sangue del suo sangue, ancora non si capacita del perché, manco avessi una malattia che si spera passi, ogni tanto ancora ci prova… I primi tempi in cui avevo eliminato la carne lei logicamente aveva reagito così: 

Lei – ho comperato un nuovo libro di cucina sui secondi, preso un arrostino al bacio, spignattato per ore per fare venire il roast beef tenero tenero, ho fatto un bollito che si scioglie in bocca, e tu manco lo assaggi?

Io – mamma sai che comunque non ho mai amato la carne, non ti ho chiesto di stare ai fornelli per ore, e poi scusami ma io il lesso non l’ho mai mangiato, ed ho sempre detestato pure il roast beef…

Lei – e vabbè, magari avevi cambiato idea

Io – scusa proprio ora che ti dico che elimino la carne mi mangio il bollito, ma ragioni?

Lei – e allora adesso basta, non mangerai più niente? Cosa ti do da mangiare? Mmmmm? Come facciamo?

E ti fa quella faccia sconsolata, di chi ha cresciuto una figlia di sani principi e poi se la ritrova disgraziata…

Io - sto leggendo libri, riviste, scarico ricette dai siti, dai ci informiamo insieme, cambieremo il nostro stile di vita…. E cerco di partire in un discorso armiamoci e…

Lei – e vabbè, cercheremo di superare anche questa (cioè manco fosse una malattia o io una degenerata)… comunque, quindi cosa mangi? Ho fatto la pasta col sugo all’amatriciana…

Io – mamma, niente carneeeee…. Lì c’è la pancetta…

Lei – ah ok… neanche quella? E due cappelletti al brasato? Una fettina di prosciutto? Una scaloppina al limone? Pollo? Tacchino?... ma cosa ti do da mangiare?

E da lì ho capito una cosa, no, non era un problema, era per lei una questione di principio, un blocco mentale, una roba del tipo “io ti ho scresciuto in un altro modo, mo’ mi cambi sotto al naso, mi prendi di sprovvista su una roba che non so e che quindi mi destabilizza… figlia mia ti riporterò sulla retta strada, abbandonando perdizione e vizi”; mia madre che ai suoi amici ci presenta così “lei è G. la mia minore, è sposata da poco più di un anno, lavora per una società che organizza eventi, lei è Elena… è vegana”. E non capisco se il dirlo le sembri di rendere la cosa più veritiera o se è come l’Uomo Nero, magari parlandone esorcizzi la cosa…

Ora a distanza di anni alcuni paletti sono stati posti, è strano come io che non uccido per cibarmi e che segua una dieta senza crudeltà sia vista da alcuni un po’ strana, quando a me pare che “la non morte” non possa che essere una normalità, ma forse è questione di radici, di insegnamenti tramandati che sono duri da cambiare, si può, ma certo ci vuole il suo tempo; specie quando le scelte riguardano cibi che all’apparenza, di primo acchito, sembrano meno crudeli, come le uova o il latte.

Posto che mio padre non commenta le mie scelte, si limita a scollare silenziosamente la testa guardando mia madre, quasi a farle una colpa di un ruolo che “insomma potevi crescerla meglio, almeno abbiamo speranze nell’altra figlia”. Un’altra enorme difficoltà è stata farmi capire da mia suocera. 

STEP 2 – LA SUOCERA

Lei è una persona davvero carina, pur avendo più di vent’anni rispetto ai miei lei ha commentato con una frase tipo “beh se vuoi bene agli animali e non li vuoi mangiare più mi pare una cosa giusta”. La poveretta però ancora non aveva capito dove si sarebbe andati a parare, che si trattava di un’evoluzione, e quindi gli equivoci, dati sicuramente anche dalla sua età avanzata, sono spesso e volentieri, ancora disarmanti.

Lei esordisce con invitare i suoi figli, con relative moglie e nipoti a pranzo la domenica, la sua frase tipo è: “per voi cosa facciamo? più per te, ti porti qualcosa? Altrimenti comunque un po’ di verdura di contorno c’è sempre”. E’ che proprio il giorno di Natale non ti va di accontentarti di un contorno, e perché dovresti? Io voglio lasagne, polpette, timballi, sformati, contorno di verdure, panettone e cioccolato… chiaramente veg!

Lei già poretta, a distanza di anni, ancora strabuzza gli occhi nel sapere che esiste il cioccolato senza latte e il panettone senza uova, le lasagne senza carne e nella sua sincera e apprezzatissima voglia di capirmi anche lei ha adeguato la sua dieta (anche per questioni di età) ad uno stile davvero povero di cibi animali, si informa, tesoro, mi chiede, con la tenerezza di una persona che a ben ottant’anni passati scopre una roba che “ai miei tempi non si usava”. Abbiamo superato la fase del “a te che non mangi carne ho comperato del prosciutto” oppure “ma una scatoletta di tonno da vuoi? Ah nemmeno quello?!”, ma siamo finiti in una spirale che effettivamente per lei è difficile; per lei sono quella un po’ speciale, ma in senso buono, quella che non mangia i “normali” cioccolatini o i biscotti, briockes o yogurt, torte o pasticcini, caramelle o anche solo il pesto per condire la pasta. In una delle occasione in cui ci aveva invitato aveva preparato per gli altri le classiche lasagne alla bolognese, con tanto di pasta fatta in casa, mi chiede cosa può fare per me, logicamente diversificato dagli altri (tra le altre cose vorrei far notare quanto le persone non riescano proprio, nemmeno per un pasto o per pura cortesia nei miei confronti, evitare per una volta di non mangiare nell’ordine: lasagne, arrosto, affettati), comunque partiamo dal ripieno e mi propone zucca al forno cotta con rosmarino – approvata, la sfoglia fatta in casa da lei logicamente senza uova – approvata, besciamella con latte vegetale e olio – approvata. La poverina mi cucina ste lasagne, me le serve tutta orgogliosa , io già le guardo, le annuso e la prima cosa che le dico è “scusi ma la gratinatura con cosa l’ha fatta?” e lei soave e beata “con grana naturalmente”, in quel momento le si accende una lampadina in testa… ormai era troppo tardi, tra le altre cose, non aveva pensato che per fare la besciamella il normale latte vegetale zuccherato non sarebbe per nulla stato adatto… immaginate il risultato…

Eh che, a volte le persone pensano che se sei vegana sarai certamente magra visto che mangi solo verdure, niente di più sbagliato, davvero, io ne sono la prova provata, si crede che si debba fare un sacco di rinunce e non è così e, pur capendo che possa essere un po’ destabilizzati nel dover cucinare in modo diverso ed alternativo, direi che la parte più complicata, non è mettere insieme un pranzo occasionale o una cena ma, ad esempio, comperare al supermercato qualcosa di confezionato che sia vegan, ma poi si impara, è tutta questione di attenzione alle etichette. Tutte, comunque, dovremmo imparare a leggere attentamente le etichette con l’elenco ingredienti, vi si aprirà un mondo… non sempre piacevole.

STEP 3 – LE AMICHE

Chiaramente quando ci organizziamo per trovarci a pranzo e/o a cena chiedo solo la cortesia di non andare in uno steak house, quello almeno mi è dovuto, a parte che finirei per brucare un’insalata verde o poco più, quella puzza non la tollero, l’unico posto peggiore è passare al supermercato vicino al banco macelleria, alternative ce ne sono mille e troviamo sempre una soluzione. La fase dopo è quella in cui ti invitano, perché capita, la gente si impanica, nemmeno Fiammetta Fadda a cena creerebbe sto scompiglio. Sereni… la pasta al pomodoro è un piatto vegano e credo che sia abbastanza di uso comune, un risotto (logicamente non mantecato al burro e formaggio), questi sono gli esempi più semplici che mi vengono, ma così tante tantissime altre cose… e una pizza? “si dai prendiamola una pizza, io senza mozzarella” … “davvero e perchè?” … “perché a casa mia la mozzarella fa parte dei formaggi” … “cavoli non ci avevo pensato”… 

Poi ci sono quelli che ti chiedono “ma senza carne stai bene?”… “si perché?”… “non eh che io non saprei cosa mangiare in alternativa, avrei paura di avere delle carenze, di stare male, che il mio fisico non regga” … “beh parti dal presupposto che quei 4 o 5 pasti alla settimana che fai con le proteine animali io le sostituisco, prova a diminuire  e…”… “4 o 5!!!!!!!?????? Alla settimana????? Noi mangiamo carne quasi tutti i giorni……”… “e chiedi a me se sto bene?”.

Quelli che ti invitano e ti chiedono: gradisci del prosciutto e melone… no al prosciutto, sì al melone, una caprese… no mozzarella, una pallina di gelato… io no grazie ed infine i bastardi che d’estate ti invitano per la grigliata, vi avviso e vi ricordo (e poi sono io quella strana) che le costine gli affettati di ogni genere i wurstel e le salamelle fanno parte della carne, le acciughe sott’olio o il tonno anche se in scatola sono pesce, i tomini alla piastra sono categoria formaggi. Io lo capisco che, specie nei dolci, a volte possa sembrare complicato, all’inizio anche io ero un po’ frastornata e dovevo stare attenta per non fare, pur inconsapevolmente, scelte sbagliate, ma buon dio a tutta sta carne (o pesce) ci volete abbinare un contorno? Un’insalata mista, delle verdure grigliate, una mecedonia di frutta, un qualcosa che agli albori della sua vita non abbia brucato nei prati?!!!

Logicamente non pretendo di trovare ad ogni invito la torta vegana o dei biscottini apposta per me, ma dopo un antipasto di affettati misti, un tagliere di formaggi, le bruschette al lardo, la frittura di pesce e una grigliata di carne mista, vi pare cosa di ingollarvi una torta con crema chantilly, tiramisù e una vaschetta di genato alla crema? Il tutto davanti ai miei occhi… dai va bene uguale, io vi raggiungo per il caffè… logicamente non macchiato.

Felicità e voti? Tutto collegato

Giovedì, 09 Febbraio 2017 16:37

Quando siamo felici e tranquilli tutto ci riesce meglio. Anche il lavoro sembra meno faticoso, vero? Bene. È ora di iniziare a pensare che questo binomio felicità-produttività vale anche per i bambini. Perché anche loro soffrono le situazioni, hanno alti e bassi, si sentono più o meno felici. E anche il loro rendimento a scuola ne risente assolutamente. Parola di ricercatori.

Felicità e voti? Tutto collegato: un team di ricercatori ha studiato il collegamento tra umore e voti scolastici, capendo che la felicità influisce positivamente proprio su tutto

Non sarà una scoperta dell’acqua calda, ma è interessante capire come lo stato mentale di un bambino possa influenzare la sua vita, in modo da provvedere sempre alla sua serenità, sia da genitori che da insegnanti.

Lo studio di cui parliamo è uscito su “Usable Knoledge”, il sito internet di informazione collegato alla Harvard Graduate School of Education, ramo della famosa università che si occupa proprio della formazione degli insegnanti. La ricerca è stata condotta dalla docente Christina Hinton, che ha voluto indagare la correlazione tra felicità, motivazione e successo, cercando anche di capire quali sono effettivamente i fattori che possono contribuire alla felicità di uno studente (per aiutare quindi le scuole a migliorarsi). Ha quindi preso in considerazione un notevole numero di studenti della St. Andrew Episcopal School di Washington D.C., dalle elementari al liceo, concludendo che la felicità ha in effetti molto a che fare con il successo a scuola.

La ricerca si è fondata sia su dati qualitativi, e cioè misurando la felicità e la motivazione degli studenti, sia su elementi più quantitativi e atti a misurare effettivamente i risultati, e cioè i voti a scuola.

I risultati sono davvero interessanti. Secondo la docente, la felicità è per tutti gli studenti associata intrinsecamente alla motivazione, ma anche con i voti. Dall’altra parte, la felicità è possibile spesso solo quando gli studenti si trovano bene a scuola, con i compagni, con gli insegnati e con i tutor. Tutto questo lo si è appreso anche direttamente dagli studenti, e non solo dai loro voti: sono stati infatti proprio loro a esporre la loro prospettiva, dichiarando come si sentono a scuola.

In sostanza e in conclusione, secondo la dottoressa Hinton, la relazione effettiva tra la felicità e i voti (che si alzano quando uno studente è in uno stato mentale positivo) è degna di nota, poiché permetterà in futuro di capire di cosa c’è bisogno per migliorare la qualità di tutte le scuole e di tutti i sistemi, mettendo al centro il benessere degli alunni.

Gli alunni interpellati hanno già provato a dare qualche risposta, dato che i ricercatori hanno chiesto loro cosa, secondo loro, potesse contribuire a supportare il loro apprendimento. Le risposte hanno spesso implicato la felicità, dato che per i ragazzi studiare in un ambiente divertente, positivo e felice è certamente più stimolante, così come studiare in una scuola sicura.

Una rete di relazioni costruttive e supporto reciproco sembrano quindi essere, nella parole della professoressa a capo dello studio, la chiave per la felicità scolastica. “Se le scuole vogliono supportare il successo e il benessere dei loro ragazzi, dovrebbero prendere davvero seriamente in considerazione l’idea di avere relazioni più positive tra studenti e insegnanti”.

Parole che paiono semplici. Ma siamo sicuri che nelle nostre scuole questa felicità e questa relazione di supporto siano davvero perseguite con serietà? Spesso i valori più importanti passano, volenti o nolenti, in secondo piano. Ma forse a volte è meglio guardare con occhi nuovi la situazione, per aggiustare il tiro e rimettere i ragazzi al centro della scena. Quella scena a cui loro appartengono, quella scena che dovrebbe supportarli e metterli sempre in primo piano.

Questo pane ci piace davvero molto perché più che un pane ricorda i chapati orientali, o la pita greca. Insomma, è piuttosto piatto e quindi è bellissimo da mettere in tavola e da spezzare tutti insieme, soprattutto quando abbiamo cucinato piatti ricchi di salse, spezzatini o sughi. Sì, è perfetto per la scarpetta! E naturalmente è senza glutine, perché grazie alla sostituzione della farina di grano con quella di mandorle oltre ad acquistare un sapore unico e diverso dal solito diventa perfetto per gli intolleranti o i celiaci.

Pane sottile alle mandorle (senza glutine!): come preparare delle piadine sottili per accompagnare salse e sughi, perfette per celiaci e intolleranti

 

Navigando su internet ci imbattiamo ogni giorno in blog di tutti i generi. I nostri preferiti, ca va sans dire, sono quelli delle mamme vere che postano ogni giorno la loro esperienza con i bambini, con le loro bravure e i loro errori, con i loro punti forti e le loro debolezze, sempre cercando di dare il meglio ai propri figli.

Tra questi sicuramente amiamo Wonderoak, diario giornaliero (o quasi) di Jess, una mamma di quattro bambini tra i 9 e i 3 anni che vive in Montana con suo marito. Recentemente ha scritto una bellissima lettera ai suoi bimbi, con parole che ci hanno molto fatto riflettere, perché assolutamente vere.

Una bellissima lettera di una mamma ai suoi bambini: le belle parole di una mamma americana per fare capire ai suoi bimbi che anche se a volte si sbaglia, l’amore è comunque immenso

La lettera in questione ha un soggetto semplicissimo, eppure, forse per questo, dato per scontato e per questo poco affrontato. In sostanza, nella vita di tutti i giorni noi genitori possiamo impegnarci quanto vogliamo, ma capiterà sempre di sbagliare, di essere troppo stanchi per seguire i bambini o di fare errori non voluti. Tuttavia tutto questo non deve cancellare la buona volontà, le belle giornate e tutto ciò che di bene c’è in una famiglia.

Soprattutto, bisognerebbe sempre dire ai bambini quanto li amiamo, quanto tutto ciò che facciamo sia sempre per il loro bene: ecco l’intento di Jess, che ha trovato davvero le parole che tutti noi vorremmo probabilmente dire ai nostri bambini.

“Cari bambini - scrive mamma Jess - a volte mi sveglio e ho l’impressione che siate cresciuti durante la notte. (...) Una parte di me è spaventata, poiché il tempo sta correndo veloce e io non posso rallentarlo. Ho paura di non esserci sempre abbastanza, o di essermi persa magicamente qualche tappa della vostra crescita. Vi ho goduto abbastanza? Vi ho dato ciò di cui avete bisogno? Il vostro cuore è ancora tutto intero? E il vostro spirito non si è ancora rotto? Non sono sempre brava in questo, non sono sempre così brava come vorrei essere. Vorrei essere eccellente. E a volte lo sono, ma altre no. A volte capisco, a volte no. A volte faccio la cosa giusta, altre no. Ogni giorno commetto errori”.

Jess, insomma, vuole fare capire ai suoi bimbi che è consapevole di sbagliare. Si è umani, e capita! E prova a fare un elenco di cose “sbagliate”, che sono fin troppo familiari: sì, anche noi facciamo come lei, vero? “A volte perdo la pazienza quando dovrei essere più sensibile. A volte vi faccio la ramanzina quando ciò di cui avreste bisogno è un abbraccio. A volte non capisco proprio. Confondo la vostra tristezza con maleducazione, mi osservo farlo e più tardi mi rammarico di non essermi comportata diversamente. Mi dispiace che quando torno stanca vi ritrovate a mangiare gli avanzi, ad esempio”.

Tutto questo, però, serve per arrivare al punto cruciale della lettera, e cioè la dichiarazione d’amore più bella che abbiamo mai letto.

“So che è facile soffermarsi sulle cose negative e dimenticare il positivo, ma voglio metterlo nero su bianco. Quando vi guardo sono COSI’ ORGOGLIOSA. Quando vi guardo vedo del buono. Vedo qualcuno potente. Mi chiedo come possa essere stata benedetta con un tesoro così grande. Il vostro cuore è puro e morbido, siete gentili ed educati, vivaci e fieri. Io sono, e lo sarò per sempre, la vostra più grande cheerleader e la vostra fan più sfegatata”.

E ancora: “Per favore, continuate ad aiutarmi a vedervi davvero e a conoscervi. Continuate a dirmi quando ferisco i vostri sentimenti. Continuate a condividere con me le vostre paure e insicurezze, così da risolverle insieme. Non è un problema se sbaglio, ma è un problema quando perdo il vostro cuore. Perché il vostro cuore è ciò che è importante per me. (...) Non sempre risolviamo tutto, ma non è un problema. (...) Commetterete una quantità enorme di errori, proprio come ho fatto io, ma nessuno di questi errori potrà oscurare la luce che emanate quando vi guardo. (...) Alla fine non sarò mai, mai perfetta, ma sono da sempre e per sempre vostra, e sono da sempre e per sempre dalla vostra parte. Questo ve lo posso promettere. Vi amo. Mamma”.

Jess non dice nulla che non sappiamo già, è vero. Ma spesso ci dimentichiamo che parole forse scontate possono svoltare la giornata, o addirittura la vita. Per questo non dovremmo mai scordarci di dire “ti voglio bene, nonostante tutto”. E quando i bimbi sbaglieranno, ricordiamo quanto abbiamo sbagliato noi nella nostra vita!

Primo figlio: eccitazione, stanchezza, prime esperienze. Secondo figlio: doppia stanchezza, ma più rilassamento, dal momento che già si sa qualcosina in più. Terzo bambino? Qui la faccenda si fa più seria, e lo stress aumenta a dismisura. E allora quattro? No. A quanto pare il numero che causa più stress è proprio tre, a discapito di quanto si penserebbe!

Come mai? Ha provato a spiegarlo il sito today.com attraverso una ricerca che ha analizzato circa 7000 madri in giro per gli Stati Uniti.

A quanto pare 3 è il numero di figli più stressante: non uno, non due, ma nemmeno quattro o cinque; tre è il numero di bambini che causa maggior stress, secondo uno studio di today.com

Facendola breve, se il passaggio dall’avere due figli ad averne tre sembra spaventare e distruggere mentalmente i genitori, che sentono di aver superato il loro limite di ciò che pensavano di poter gestire, quando arriva il quarto figlio tutto si fa più semplice, come se fosse in discesa, perché mamma e papà tendono a “lasciar correre”. È come se, insomma, tre fosse l’apice, il punto di non ritorno, il discrimine. Dopodiché si è più consci di tutto, o forse più irresponsabili, più stanchi, e il cammino non sembra più così difficile.

Lo studio pubblicato da today.com non era riferito al numero di figli, ma più che altro allo stress. I risultati hanno mostrato che la maggior parte delle mamme sono stanche, effettivamente, e stressate, e preoccupate di non aver più tempo per sé (lo stress, su una scala da 1 a 10, di media è 8.5). Ma il risultato che è emerso a fianco di quello principale è proprio questo: e cioè le mamme con tre bambini erano le più stressate di tutte, molto di più rispetto alle mamme con uno o due figli ma, inaspettatamente, anche di quelle con più di quattro figli.

A dare una risposta è stata poi la dottoressa Janet Taylor, psichiatra e mamma di quattro ragazzi tra i 19 e i 25 anni (di cui due gemelli), che ha cioè provato sulla sua pelle l’esperienza di crescere più di tre bambini.

Il suo discorso non fa una piega: “In primis, quando hai più di quattro figli non c’è più tempo per pensare a te stessa nella tua testa”, sottolineando quindi come lo stress inevitabilmente si azzeri (proprio per il fatto di non aver tempo di pensare!). In secondo luogo, “più bambini hai, più diventi sicura delle tue abilità genitoriali. E per questo lasci correre”. Ma cosa lasci correre? “Non rendi più ossessivamente sicura la casa, ad esempio, dopo il terzo figlio, e non copri proprio tutte tutte le prese della corrente!”. Fa ridere, ma in effetti è così, no?

Tornando però allo stress, che era appunto il soggetto della ricerca, si è capito che questo non è provocato tanto dai figli, quanto dalle stesse mamme e dalla loro ossessione di essere perfette. Insomma, la pressione che si ha addosso è auto-indotta! Non sono i figli che fanno perdere la pazienza a stressare: è la paura di non essere in grado di gestire tutto, quando in realtà ce la si fa quasi sempre. E anche se non se la ci facesse, ricordate che siamo umane!

A questo proposito è di nuovo la dottoressa Taylor a dare un consiglio alle mamme, che siano essere genitori di uno, due, cinque, dieci figli. La regola sarebbe quella di prendersi sempre dieci minuti per sé, quando si avverte la stanchezza mentale e fisica, magari facendo una passeggiata solitaria.

Ma se non bastasse, “provate a disegnare un grafico-torta nel quale inserire le attività che svolgete durante la giornata, dividendole in base al tempo che vi prendono. Provate poi a disegnarne un altro nel quale mettere invece le attività che vi piacerebbe fare. Troverete certe attività che stanno su entrambi i grafici, e alcune che saranno solo su quello delle “cose che vorreste fare”: prendetene una e mettetela sul primo grafico, quello della vita vera”.

In poche parole, fate un po’ di spazio anche per il tempo dedicato solo a voi stesse, senza sentirvi in colpa!

Mangiare pesce una volta a settimana fa davvero molto bene, grazie alla ricchezza di acidi grassi Omega 3, che aiutano nel combattere il colesterolo cattivo e mantengono sano il sistema cardiocircolatorio. 

Per farlo mangiare anche ai bambini ogni volta ci inventiamo ricette diverse e gustose, come ad esempio questi involtini di platessa con pomodorini confit e olive.

Involtini di platessa: la ricetta per gustare il pesce in maniera diversa e fare incetta di Omega 3

 

Se vi piacciono le patate, vi piacerà anche il topinambur, con il vantaggio che questo tubero ha davvero molti benefici: è senza glutine, ha molte proteine, combatte l'anemia, combatte la stanchezza e lo stress, è disintossicante ed è adatto ai diabetici, poiché abbassa i livelli di zucchero nel sangue. Noi amiamo mangiarlo anche sottoforma di chips, grazie ad una ricetta che, al forno o con l'essicatore, ci fa ottenere delle patatine irresistibili per tutta la famiglia!

Chips di topinambur al forno e con l'essicatore: la ricetta per delle patatine più sane delle solite ma altrettanto saporite, utilizzando il tubero della salute

 

Essere genitori di un bambino piccolo è una fatica. Lo sappiamo, ed è normale. Un bambino, dalla nascita fino almeno alle elementari, ha bisogno di costante supervisione, di attenzioni, di cure, soprattutto nei primi anni di vita, e quando questo piccolo non dorme mai durante la notte o quando i genitori hanno anche altri pargoli già più grandi a cui badare il compito che si chiede di svolgere è molto, molto più duro.

Se tuttavia noi non ci facciamo caso, questa fatica influenza in realtà moltissimo come ci poniamo ai figli, anche se ci sforziamo di essere sempre educati, gentili e pacati. Volete sapere nel dettaglio come queste due cose sono relazionate?

Quando la stanchezza mette in secondo piano l'educazione: una ricerca mostra come essere mamme stanche ci rende molto meno gentili ed educate con i figli, anche senza volerlo

La ricerca di cui parliamo è stata pubblicata sul “Journal of Child and Family Studies” e si intitola “La fatica materna influenza il controllo verbale sotto stress con i bambini?”. I ricercatori hanno preso in considerazione 34 mamme, e hanno dato loro un’istruzione: durante un compito che implicava “pazienza” (e cioè non fare toccare per 8 minuti un determinato giocattolo al loro bambini”) dovevano utilizzare uno dei 6 approcci che proponevano loro.

Questi approcci erano: quello “educato” (chiedere al bambino di evitare quel comportamento); il “suggerimento” (suggerire al bambino di cambiare o di smettere di utilizzare quel comportamento); la “valutazione positiva” (lodare il bambino per continuare a fare qualcosa); la “contrattazione” (e cioè suggerire un altro giocattolo al posto di quello che non si può toccare); l’”empatia” (mostrare di essere in sintonia con i sentimenti del bambino); e infine la “valutazione negativa” (rimproverare o castigare il bambino per ciò che sta facendo).

I ricercatori hanno così indagato qual era la relazione tra questi tipi di approcci e il grado di fatica della mamma, stanca per il lavoro o per la privazione del sonno. Il risultato può sembrare scontato, ma è bene metterlo nero su bianco: più una mamma era affaticata e stanca, meno era incline ad utilizzare gli approcci positivi come il suggerimento, l’educazione o la valutazione positiva.

Lo studio è quindi continuato, e si è provato a dare una risposta a questa correlazione. E la risposta è molto dura, e ci fa pensare: la fatica, fisicamente, è un po’ come la depressione, e per questo una mamma stanca tende ad essere meno responsabile e più irritabile nei confronti del suo bambino.

Non bisogna tuttavia prendere questo studio e questa conclusione come un dito puntato contro i genitori, o come una sentenza che afferma che un genitore stanco è un cattivo genitore. Assolutamente no. Ma se gli studi sulla depressione (ad esempio) correlata alla genitorialità sono molti, quelli sulla fatica presa da sola non esistono, e possono servire per aggiustare il tiro e trovare soluzioni.

Purtroppo essere sempre irritati e rispondere verbalmente male, sempre in maniera negativa, sappiamo che influenzerà la vita del bambino. Ecco perché è importante sapere che anche la fatica, come la depressione, può portare a questo!

Il lavoro della mamma e del papà è durissimo, e non è solo un argomento da battutine o da gif sui social network. Certo, è giusto riderci su, e anche noi lo facciamo. Ma è importante anche non sottovalutarlo, ed è ancora più importante renderci conto quando le cose stanno sfuggendo di mano o ci stanno sopraffacendo. Se sei stanco non sei positivo, e se non sei positivo l’educazione che stai proponendo a tuo figlio non sarà davvero istruttiva.

Ecco allora che bisogna fermarsi, fare un respiro, accettare di essere stanchi e cercare di rilassarsi, prendersi un po’ di tempo per sé. Senza sentirsi egoisti! Pensate “tempo per me”, ma sappiate che in realtà sarà “tempo per i figli”, poiché solo così potrete assicurargli un’educazione davvero positiva!

Sara

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Cecilia

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