Le sculacciate sono deleterie, non solo a livello emotivo ma anche cognitivo, e vi avevamo già spiegato il perché. Ma qual è il motivo delle sculacciate? Solo la perdita di pazienza per i comportamenti eccessivi dei bambini? In realtà no. A quanto pare alla base ci sta il dolore del genitore, e non il cattivo agire del figlio. Perché come sappiamo la sculacciata è un circolo vizioso, e in qualche modo bisogna spezzare questa disagevole catena.

Sculacci tuo figlio? Sta tutto nel tuo dolore e non nel suo comportamento: le sculacciate sono causate dal disagio dei genitori e non dal cattivo comportamento dei bambini

Il concetto è semplice: sculacciare è un riflesso del proprio disagio, del proprio dolore. È una manifestazione del non sentirsi bene fino in fondo, del provare qualcosa di brutto. E il 90% delle volte se un genitore sculaccia è perché durante l’infanzia a sua volta ha ricevuto lo stesso trattamento.

Ecco perché picchiare i bambini (esatto, sculacciare è picchiare, anche se il secondo termine parrebbe molto più negativo. Sono praticamente sinonimi) è una risposta davvero immatura (emozionalmente) ai loro comportamenti. Significa che il genitore che sculaccia non ha ancora elaborato coscientemente la sua esperienza, e di conseguenza riutilizza lo stesso comportamento che i suoi genitori utilizzavano con lui, in maniera infantile ed immatura.

Non lo diciamo in senso meramente negativo, ma perché sia costruttivo: proprio perché l’esperienza non è ancora stata elaborata, la sculacciata diventa una risposta immatura in questo senso, proprio perché non maturata completamente.

Il circolo vizioso è difficile da spezzare, se ragioniamo in questi termini, ossia se continuiamo ad utilizzare questa soluzione senza riflettere e senza pensare che il disagio possa essere profondo. Perché spesso le sculacciate partono al minimo pianto, al minimo “disastro” fatto dai figli, al minimo fatto che non rientri in quello che i genitori ritengono comportamento “perfetto” dei bambini. Quanto c’è di maturo in questo? E quanto di più profondo?

Se perdiamo la pazienza con poco e sculacciamo i bambini, quindi, significa che c’è qualcosa di più nascosto che ci fa scattare, che ci fa perdere le staffe e ci fa partire le mani. C’è insofferenza verso qualcosa che magari non capiamo nemmeno noi, coscientemente. Ma dovremmo davvero riflettere, fare un esame di coscienza, pensare, fare riaffiorare i ricordi, capendo così veramente qual è il disagio alla base.

Solo in questo modo, infatti, potremo spezzare il circolo vizioso trasformandolo in un circolo virtuoso. Capire quali sono le sofferenze che ci portiamo dentro farà infatti sì che le prossime volte invece di scattare si potrà ragionare per qualche secondo, fermando le mani e utilizzando piuttosto le parole, o elaborando un approccio più ragionato e più pensato in base ad ogni situazione.

Perché, sì, ogni situazione necessita la sua reazione, la sua correzione. Se ci pensiamo la sculacciata diventa una risposta per tutto, senza distinzione. I bambini, in questo modo, vedranno l’avere rovesciato l’acqua nel piatto e l’aver picchiato il loro compagno di classe (sì: i bambini che vengono sculacciati e picchiati spesso sviluppano comportamenti violenti, è inevitabile) sullo stesso livello, e sentiranno di essere sempre nel torto, senza spiegazione o senza capire che non sono “cattivi” in generale, ma che stanno sbagliando il comportamento in base alla situazione.

Così come potete pensare alla vostra situazione, comunque, capendo che la vostra perdita di pazienza e le vostre sculacciate partono dal disagio profondo, dovete tuttavia pensare al comportamento “cattivo” dei bambini non come ad un comportamento davvero cattivo, ma come ad una situazione di loro disagio, di loro tristezza, di loro irrequietezza verso qualcosa di profondo.

Rispondendo quindi a questo disagio (reciproco) con una sculacciata, anche i bambini impareranno che a questo si risponde con la violenza. Ecco il circolo vizioso.

E il circolo virtuoso è però molto semplice: basta sostituire le mani che picchiano con le parole, con un rimprovero fermo ma costruttivo, con il dialogo. Sarà difficile, certo, soprattutto se i bambini si sono già abituati alle sgridate e alle sculacciate fini a se stesse. Ma pian piano, cominciando da subito, la situazione potrà essere ribaltata. Soprattutto se ci crediamo davvero, e se elaboriamo noi stessi le nostre frustrazioni e le nostre rabbie, in modo che anche i bambini non sentano l’impazienza, ma solo la voglia di dialogo e di insegnamento vero, concreto.

Quando sono di stagione, le fragole si prestano a tantissime preparazioni dolci, e noi ne approfittiamo sempre per provare ricette fresche per merende o dessert alternativi. Come questo semifreddo, che abbiamo reso veg grazie all'assenza di panna o di latte!

Semifreddo veg alle fragole: la ricetta del semifreddo semplice alle fragole senza derivati animali

 

Alzi la mano chi ama la piadina! Noi la adoriamo, e ci piace prepararla insieme ai nostri bambini. Non solo farcendola come più amiamo, ma preparandola dall'inizio, senza comprare quelle già fatte ma stendendola noi, con farina integrale e olio al posto dello strutto per un risultato più sano e leggero.

La piadina integrale fatta in casa: la ricetta per fare in casa una piadina più leggera e sana

 

Il pesce azzurro

Venerdì, 09 Giugno 2017 13:09

Nelle ricette lo vediamo citato molto spesso, e altrettanto spesso senza alcuna spiegazione o dettaglio per farcelo riconoscere. Parliamo del pesce azzurro, il tipo di pesce che è meglio preferire agli altri per le sue proprietà benefiche. Vediamo quindi insieme di cosa si tratta e quali possono essere definiti “pesci azzurri”.

Il pesce azzurro: cos’è, quali sono le sue proprietà e quali sono le specie che rientrano nella categoria del pesce azzurro

 

Innanzitutto, il pesce azzurro non è una specie o un determinato pesce scientificamente definito, ma la definizione arriva dal commercio, per differenziare quei pesci, di diverse specie, forme e dimensioni, che rientrano tuttavia in una categoria comune, caratterizzata dal ventre di colore argenteo e dal dorso con riflessi blu scuro o verdi-argentei.

Le altre caratteristiche del salmone azzurro comprendono il non avere squame e l’essere davvero molto ricchi di grassi saturi Omega 3, i grassi buoni per l’organismo, così come di oli molto digeribili per l’intestino umano.

L’unico inconveniente del pesce azzurro è l’essere soggetto all’Anisachis, e cioè il parassita che colpisce questo tipo di pesce. L’Anisachis è una sorta di verme che si annida nello stomaco del pesce e che diventa pericoloso per l’uomo se questi mangia pesce azzurro crudo (a meno che questo non sia stato abbattuto per almeno 24 ore a -25 gradi). Attenzione quindi a sardine, tono, merluzzo, acciughe, pesce sciabola, scombro e lampuga: sono infatti questi i pesci azzurri più soggetti al parassita.

Ciò che ha di bello il pesce azzurro, soprattutto nella zona in cui viviamo, è che di molta facile reperibilità nel Mar Mediterraneo, e per questo per il rapporto qualità-prezzo è sempre tra i migliori sul mercato.

Ecco quindi la lista del pesce azzurro:

- l’acciuga o alice

- la sardina (dalla carne tenera e gustosa)

- lo sgombro (con carne più scura e saporita, ottimo con le cipolle)

- l’aringa

- la palamita (simile allo sgombro)

- il pesce spada

- il tonno

- la lampuga

- il palombo

- l’alletterato

- la spatola (o pesce sciabola)

- l’aguglia

- lo spratto (o papalina)

- la costardella

- il suro

- il lanzardo

- l’alaccia

Tra questi possiamo però tranquillamente aggiungere il salmone: non avrà il colore tipico azzurro, ma la sua ricchezza di Omega 3 lo rende altrettanto appetibile.

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

 

L’igiene orale dei bambini

Venerdì, 09 Giugno 2017 07:53

Come per gli adulti, una corretta igiene orale significa anche per i bambini prevenzione delle carie e dei problemi dei denti e della bocca che, se trascurati o trattati male, potrebbero trasformarsi in qualcosa di più serio. Non è quindi mai troppo presto per cominciare: già quando spuntano i primi dentini (anzi, già dal primissimo!) sarebbe bene cominciare con la pulizia del cavo orale, seguendo regole adatte anche ai più piccoli.

Perché non bisogna pensare che, dal momento che i denti dei bambini sono da latte e provvisori, non siano importanti come i denti definitivi: lo sono altrettanto, e se i batteri non vengono eliminati sin dai primi anni questi si depositeranno nel cavo orale diventando un pericolo anche per i denti permanenti. Non solo: le carie dei denti da latte possono portare alla loro caduta, e questa caduta può causare modificazione degli spazi tra i denti che inficeranno anche la crescita dei denti “da grandi”.

Ma scopriamo insieme tutto ciò che c’è da sapere sull’igiene orale dei bambini, per conoscerla a fondo e assicurare ai nostri figli le giuste cure preventive quotidiane.

L’igiene orale dei bambini: tutto ciò che c’è da sapere sull’igiene orale dei più piccoli, primo passo della prevenzione delle carie per il benessere dei denti

Si parla sempre di carie, quando si parla di ciò che l’igiene orale previene, e un motivo c’è. Le carie sono infatti alla base della maggior parte dei problemi orali, e prevenirle significa quindi prendere la strada giusta verso il benessere dei denti.

Questo benessere dei denti è spesso causato, in ogni caso, anche dalla scorretta alimentazione del bambino. Troppi zuccheri (quelli delle merendine, delle bibite, dei succhi e dei biscotti nel latte); troppi dolci e spuntini durante la giornata (che impediscono alla saliva di ripristinare il suo pH naturale; la giusta quantità di cibo durante il giorno dovrebbe essere di tre pasti principali e due spuntini, lontani tra loro); cattiva alimentazione in generale (bisognerebbe puntare, invece, su tanta frutta e verdura, cereali integrai senza glutine, pochissimi latticini e pochissima carne rossa, molto pesce, legumi e frutta secca; e, soprattutto, la regola è variare, non fossilizzandosi sui soliti cibi)... Tutto questo provoca placca, e la placca provoca carie.

La placca è infatti molto corrosiva, si deposita sui denti e i batteri presenti in essa producono acidi che erodono i denti. Quindi la cosa importante è sempre eliminare questa placca, e bisogna iniziare a farlo sin da subito, spazzolando noi i denti dei bambini quando sono molto piccoli (fino ai 24 mesi, con spazzolini appositi, molto morbidi, che massaggiano anche le gengive; noi utilizziamo questo, ad esempio, che contiene anche uno spazzolino da dito perfetto per chi fa fatica) e educandoli poi ad una corretta igiene orale in maniera naturale e quotidiana (gli stessi spazzolini di prima vanno bene, per i primi tempi). Rendetelo un po’ un gioco, inizialmente, e trasformatelo quindi in un rito (da eseguire la mattina, la sera e dopo ogni pasto) che unisce tutta la famiglia!

Anche gli strumenti sono molto importanti. Per incentivare il bambino ad “appassionarsi” al lavaggio dei denti lasciate che sia lui a scegliere il suo spazzolino, guidandolo comunque verso uno che sia fatto apposta per la sua età. Non è possibile, infatti, utilizzare gli strumenti dei grandi, poiché non sono adattati alla forma della loro bocca, più piccola e naturalmente diversa dalla nostra. Sceglietene quindi uno indicato per la giusta età. La testina sarà più piccola delle nostre, le setole saranno super soft e arrotondate e il manico sarà ergonomico per far sì che non facciano fatica.

Meglio evitare, quando i bimbi sono piccoli, gli spazzolini elettrici: prima è necessario che acquisiscano una manualità più precisa, altrimenti rischiano di graffiarsi o di rovinare lo smalto dei denti perché non sono ancora specializzati nei movimenti corretti.

Anche per il dentifricio affidatevi ai dentifrici specificamente indicati per bambini (questo di Weleda è assolutamente ottimo!). Fino ai sei anni sceglietene quindi uno con un contenuto di fluoro pari o inferiore a 500 ppm; superata quell’età, invece, potete utilizzare lo stesso che usate voi. Guardate poi gli ingredienti e preferite sempre prodotti con un solo conservante e senza coloranti, e che non abbiano gusti troppo “attraenti” (per evitare il pericolo di ingestione).

Una volta che siete a posto con gli strumenti del mestiere, è ora di insegnare ai bambini come spazzolarsi i denti nella maniera corretta (già verso i tre o quattro anni). La tecnica? Eccola!

Tenete lo spazzolino inclinato di circa 45 gradi rispetto al dente, verso la gengiva; muovetelo sempre dalla gengiva verso il dente con movimenti vibratori e leggera pressione (mai dal dente verso la gengiva); tenete lo spazzolino in posizione verticale quando pulite la superficie interna dei denti anteriori; e infine spazzolate avanti e indietro la superficie masticatoria dei denti più posteriori.

E mi raccomando, spazzolate per il giusto tempo: due minuti sono perfetti. E per rendere la cosa più interessante, tenete una clessidra a portata di mano!

Se avete bisogno di altre informazioni, vi consigliamo un sito davvero utile, semplice e affidabile: Il dentista dei bambini, il sito ufficiale della rete nazionale di odontoiatria pediatrica. 

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

Recentemente abbiamo letto un articolo sul blog Sacra Parental: si parlava del fatto che una recente ricerca abbia messo al primo posto tra i valori per i genitori queste tre cose: dire sempre per favore e grazie; rispettare i più anziani; avere delle buone maniere a tavola.

Ma come? Veramente? Se lo è chiesto l’autrice del blog e ce lo chiediamo anche noi. Sono davvero questi i valori delle famiglie di oggi? Non che siano cattivi valori, anzi. Ma dove sono finiti quelli più veri e profondi?

Una lista di valori imprescindibili in famiglia: perché creare una lista delle cose importanti per la nostra famiglia fa bene al cuore e alla crescita dei nostri figli

Che le buone maniere a tavola, il rispetto verso i più grandi e il “per favore” e il “grazie” siano importanti è verità assoluta. Ma definirli valori di una famiglia, beh, non è propriamente giusto. Perché più che valori sono buone abitudini.

Secondo noi i valori sono altro. Sono il rispetto verso l’altro (non solo “il più grande”), sono la gratitudine, l’amore, l’affetto, la gentilezza, l’amore per la natura, l’espressione delle emozioni, la verità...

Ogni famiglia naturalmente è differente, e ogni genitore basa l’educazione sui valori che più lo rispecchiano e lo rappresentano. Vi siete mai chiesti, quindi, quali siano i vostri, di valori?

Un esercizio molto utile da fare in questo senso è provare a pensare, anche tutti insieme, a questi valori, restringendo poi il campo ai tre più importanti (utilizzando quindi quella ricerca come spunto per qualcosa di un pochino più profondo).

Potrebbero saltare fuori la compassione, l’empatia, il rispetto per l’altro, la gentilezza, la sostenibilità, l’amore per la natura, l’amore per le altre culture, l’amore per la lettura, il non avere mai pregiudizi, l’educazione, il senso profondo di famiglia, l’indipendenza, il prendersi cura dell’altro, il prendersi cura di se stessi, il prendersi le proprie responsabilità, il non essere troppo attaccati alle cose materiali, il rispetto degli errori propri ed altrui, la gioia di vivere, la saggezza...

I valori che ci spingono sono infatti moltissimi. Ma la domanda che dobbiamo farci è: quali sono i tre più importanti per noi? Quali sono quelli che potremmo ritenere i “tesori” della nostra famiglia, della nostra vita? Quali sono le tre cose che voglio insegnare ai miei figli, le tre cose che voglio che imparino anche attraverso il nostro esempio di genitori?

Dopo avere quindi scelto i tre valori più importanti, cerchiamo di nominarli sempre in casa. Scriviamoli. Facciamo un quadretto. E soprattutto seguiamoli.

Insegniamo quindi con il buon esempio ai nostri figli cosa significa essere generosi, empatici, rispettosi, grati e tutte quelle cose che rispecchiano e seguono i valori che abbiamo scelto per la nostra famiglia.

Come? Dicendolo sempre, complimentandoci quando agiamo o agiscono secondo uno di questi valori, inserendo le parole nelle nostre preghiere (“fa’ che siamo sempre generosi, compassionevoli, empatici, amorevoli....”), ricordando nel momento della buonanotte i momenti che hanno caratterizzato la giornata e che sono stati in linea con i nostri valori... Insomma, rendiamoli quotidiani, normali, in maniera astratta (parlandone) ma anche in maniera concreta, rendendoci conto tutti insieme di cosa significa vivere secondo dati valori.

Abituiamoci, e abituiamo i nostri figli a questi valori. In modo che crescendo li considerino davvero un'abitudine. E cioè qualcosa che è giusto che ci sia, perché è così. Perché è "normale"!

 

Non ci stancheremo mai di dirlo: il gioco all’aria aperta, in estate o in inverno, con il sole, con la pioggia o con la neve, è quanto di più sano possiamo regalare ai nostri bambini. Lo dice sir Kenneth Robinson, ma lo ribadisce anche il buonsenso: i nostri bambini passano troppo tempo seduti e chiusi in ambienti con quattro pareti, quando per loro natura dovrebbero stare il più possibile fuori a giocare, esplorare e fare esperienze dirette.

Detto questo, a ribadire l’importanza del concetto ci ha pensato una recente ricerca britannica, che ha sottolineato la relazione tra aria aperta e intelligenza. In poche parole: più i bambini si arrampicano sugli alberi e si sporcano nelle pozzanghere, più la loro mente è stimolata e quindi l’intelligenza sviluppata; più passano il tempo davanti ai loro device tecnologici, più questa intelligenza si assopisce.

L’intelligenza passa dalle pozzanghere di fango: una ricerca sottolinea come i bambini che passano più tempo all’aria aperta siano più intelligenti di quelli che passano le ore davanti al tablet

Il pericolo di smartphone e tablet è davvero reale: l’abbiamo detto e lo ribadiamo. Il consiglio è sempre quello di utilizzare quindi tutto con moderazione, senza stigmatizzare nulla ma senza nemmeno fare della tecnologia il punto fermo della nostra vita (né di quella dei nostri figli). Detto questo, a confermare il pericolo (o quantomeno a confermare la non propriamente salubrità dell’abitudine a dare in mano tutti i giorni e per troppe ore i telefonini ai nostri bambini) ci pensa una ricerca, che ha messo in relazione le ore passate al chiuso e quelle passate all’aperto con l’intelligenza.

Gli studiosi hanno preso in considerazione 12000 famiglie con bambini tra i 5 e i 12 anni. Il risultato? I bambini presi ad esempio passano in media mezz’ora al giorno a giocare all’aperto. Questa è una media: significa che c’è chi passa molte più ore fuori e chi invece quasi tutta la giornata la passa al chiuso.

Negli Stati Uniti, ad esempio, il 50% dei bambini in età prescolare esce fuori solo alcuni giorni a settimana. Nel Regno Unito addirittura il 64% dei bambini gioca all’aperto meno di una volta a settimana, e il 20% del totale non si è mai arrampicato su un albero.

Mai. Arrampicato. Su. Un. Albero.

Fa spavento, sì. Ma se ci pensiamo la nostra vita ci porta proprio a questo: a rinchiuderci in casa, a scuola e in ufficio senza renderci conto che non passiamo più un attimo all’aria aperta. Meglio però rendersi conto della cosa: bisogna cambiare rotta.

Anche perché passare del tempo all’aperto non significa solo giocare, ma crescere, ed è per questo che i bambini che spendono più tempo fuori sono più intelligenti. Perché? Basta guardare i fatti. Un bambino su dieci non sa andare in bicicletta. La maggior parte dei bambini non conosce palla avvelenata. Non sanno arrampicarsi sugli alberi. Non hanno mai saltato nelle pozzanghere senza la paura di venire sgridati, in maniera spensierata. Non hanno mai toccato un insetto.

Tutte queste sono però attività che portano all’indipendenza, alla scoperta concreta e personale del mondo, alla capacità di risolvere problemi, alla stimolazione della creatività. Allo sviluppo fisico ed emotivo completo, insomma. E uno sviluppo psicofisico completo (che non si acquisisce giocando sul tablet) porta ad essere più intelligenti. E ciò non significa secchioni o con buoni voti: significa essere esseri umani capaci di cavarsela nella vita.

La dermatite atopica

Giovedì, 08 Giugno 2017 12:31

Quasi il 20% dei bambini soffre di dermatite atopica, uno stato di infiammazione della cute che fatica a passare e di cui spesso i genitori sanno poco. Tuttavia sarebbe bene conoscere questa patologia: sapere le cause, le cure, gli accorgimenti e la sintomatologia è infatti il primo passo per arrivare alla cura completa, scegliendo ciò che è bene per il piccolo.

La dermatite atopica: cos’è, quali sintomi ha e come si cura questa patologia di cui soffrono davvero moltissimi bambini

Il volto, il collo, il retro delle orecchie e le pieghe dietro alle articolazioni: questi sono i luoghi tipici di apparizione della dermatite atopica. Cos’è? È una malattia cronica infiammatoria della pelle che interessa tra il 6 e il 20% dei bambini (soprattutto quelli nati nei paesi del nord come Germania e Scandinavia) e che si caratterizza per la secchezza cutanea e per il conseguente forte prurito.

I bambini che ne soffrono spesso incorrono in questa patologia già nei primi mesi di vita, e spesso soffrono in concomitanza di asma o rino-congiuntiviti allergiche. Il problema è che pur essendo una malattia prevalentemente topica, la dermatite si accompagna ad effetti negativi su tutta la persona e su tutta la famiglia: disturbi del sonno, maggiore irritabilità, diminuzione dell’autostima (con conseguenti difficoltà scolastiche), ansia dei genitori, calo del rendimento scolastico...

Ecco perché è bene riconoscere presto i segnali particolari e inconfondibili (che si differenziano anche in base all’età del piccolo), in modo da agire subito. In generale, il rossore e il forte prurito sono i sintomi generali, ma vediamo nel dettaglio come variano in base al periodo.

I bambini di età inferiore all’anno manifestano spesso eritemi, edemi, vesciche, croste ed erosioni che interessano prevalentemente il viso e gli arti. Dall’età di un anno fino ai dieci anni, invece, sono più tipiche le croste nelle pieghe flessorie degli arti, sui polsi, sulle palpebre e sul dorso delle mani. Nell’adolescenza ecco invece le lesioni croniche e le ragadi su collo, pieghe, palmi delle mani e dei piedi, intorno agli occhi e intorno alla bocca.

Le cause, purtroppo, sono molteplici, e vanno dai fattori ambientali a quelli genetici ed immunologici. Quelli genetici, in particolare, sono purtroppo decisivi, poiché se un genitore ne ha sofferto il figlio ha il 60% di possibilità di esserne affetto. Addirittura, se entrambi i genitori hanno avuto la dermatite, la percentuale sale all’80%, contro il 20% che avranno i bambini nati da genitori “sani”.

Ecco invece le altre cause. La pelle potrebbe avere un difetto di barriera, e quindi perdere più acqua del previsto; la conseguenza è la secchezza che aiuta l’ingresso di allergeni e microrganismi che peggiorano le infiammazioni. C’è poi un’eccessiva risposta pruriginosa agli stimoli, e qui il problema sono le fibre nervose, che, aumentando, veicolano il prurito. Anche un’eccessiva risposta immunitaria può causare la dermatite, poiché il corpo rilascia troppe sostanze antinfiammatorie in risposta a vari stimoli e questo si traduce in rossore e iper-reattività della cute.

Un altro problema è anche la recidività della dermatite atopica, poiché spesso i bambini che ne sono affetti ci ricadono. Tuttavia basterebbe fare attenzione a certe situazioni per diminuire questa eventualità. In primis, evitare sempre irritanti chimici o meccanici (come i saponi o cosmetici troppo forti o troppo alcolici o tessuti come la lana); e poi prendere misure contro gli acari e adottare le giuste terapie cutanee in base alla situazione (poca umidità ambientale, esposizione al sole, basse temperature...).

Un argomento molto dibattuto attorno al tema della dermatite è la questione se i cibi possano essere una causa scatenante o meno. Questo dibattito si è aperto poiché molti bambini hanno mostrato l’insorgere della patologia in seguito a reazioni allergiche a determinati alimenti, in particolare latte vaccino (e suoi derivati) e uova, arachidi, grano, soia, nocciole e pesce. Tuttavia non sempre i pediatri raccomandano l’eliminazione di questi alimenti in maniera massiva dalla dieta del bambino: se infatti non ci sono reazioni allergiche eccessive e pericolose (e quindi se è solo un’intolleranza leggera) togliere quell’alimento potrebbe essere controproducente, perché si eliminerebbe la possibilità di indurre il corpo ad una naturale desensibilizzazione alimentare. Le ultime ricerche infatti confermano che non sono gli alimenti a causare l’insorgere di dermatite atopica, ma sarebbe in realtà questa patologia a predisporre il bambino allo sviluppo di allergie a causa di meccanismi infiammatori che si verificano nell’organismo.

Le terapie, quindi, dovrebbero essere prima di tutto topiche, e cioè prevedere cure direttamente sulla pelle e prima di ogni altra cosa è fondamentale seguire questa indicazione: effettuare quotidianamente un breve bagno o una doccia e applicare entro 3 minuti dall’uscita di questi applicare una crema emolliente. Si è infatti scoperto che le pelli atopiche perdono acqua transepidemica, a causa della diminuzione dei ceramidi o comunque di una alterazione di essi.

Detto questo, tra i rimedi più indicati stanno certamente le terme. Le terapie termali, infatti, possono essere un ottimo coadiuvante nella gestione a lungo termine della dermatite. Devono però avere delle specifiche tecniche particolari: le acque dovrebbero infatti essere bicarbonato-calcio-magnesiache, per essere il più possibile efficaci.

Il bello è che con la terapia termale, come quella proposta dalle Terme di Comano in Trentino, attraverso sia i bagni giornalieri nelle loro acque (che sono proprio bicarbonato-calcio-magnesiache come raccomandato), sia l’assunzione via bocca dell’acqua (favorendo così la diuresi e aiutando l’intestino a produrre la sua barriera contro le sostanze allergene), i sintomi si alleviano e la fase di remissione viene prolungata, senza alcun effetto collaterale. Diminuiscono prurito, arrossamento e desquamazione, la cute si idrata a fondo, il film idrolipidico si riequilibra e i segni della malattia si riducono. Alle Terme di Comano i bambini possono accedere alle cure dagli 8 mesi. Per i genitori sono proposti dei percorso di educazione terapeutica, per imparare a gestire la dermatite atopica nella vita quotidiana. Le cure termali sono completamente naturali, non prevedono l’uso di farmaci e danno soprattutto efficaci e sicure, con risultati che durano nel tempo. Lo dicono le tante ricerche condotte a Comano, ma anche i quasi 3000 bambini che ogni anno scelgono queste terme per curare la loro dermatite atopica.

Riprendendo il discorso sulle terapie topiche, come accennato, è sempre indicato utilizzare, sia per quanto riguarda il vestiario sia per quanto riguarda il dormire e l’asciugarsi, tessuti non irritanti. Esistono nuovi tessuti in maglia di seta addizionati con agenti antibatterici, oppure tessuti arricchiti con argento, che sembrano effettivamente ridurre i sintomi della dermatite. Il cotone, soprattutto bianco, è comunque sempre da preferire sugli altri tessuti, in particolare la lana, che se a contatto direttamente con la pelle rischia di irritare ancora di più le zone interessate. È determinante quindi fare attenzione a quali sono i tessuti che entrano direttamente a contatto con la pelle, scegliendoli sempre delicati.

Anche la detersione deve essere delicata: è bene lavare i bambini brevemente e in acqua tiepida, con detergenti i più possibile delicati, senza conservanti o profumi. Asciugando, poi, è fondamentale utilizzare asciugamani non ruvidi ma morbidi e delicati.

Gli emollienti, poi, sono la terapia più indicata, poiché permettono alla pelle di idratarsi e di combattere la secchezza.

Si passa quindi poi alle terapie specifiche, e dunque alle creme pensate apposta per rispondere alla patologia. Non ne esiste una univoca o miracolosamente definitiva, purtroppo, poiché ogni situazione è a sé e ogni pelle risponde alla sua maniera. Queste creme a base di steroidi consigliate dai dermatologi (in particolare il fluticasone propionato, il metilprednisolone aceponato, il mometasone furoato, l’idrocortisone acetato e il prednicarbato) hanno il solo scopo di eliminare i sintomi. Anche se sembra inutile o non risolutivo, in realtà è importantissimo, poiché ridurre i sintomi significa diminuire il rischio di recidività e di aggravanti.

In particolare, un metodo di applicazione delle creme si è rivelato più efficace di altri, poiché permette di mantenere la pelle molto più idratata. Si tratta del wet-wrap dressing, e cioè dell’applicazione di garze imbevute e umide secondo una procedura particolare. Questa procedura prevede l’applicazione della crema sulla zona interessata e il successivo bendaggio con due garze: la prima umida e la seconda asciutta.

Per evitare però di utilizzare troppo a lungo queste creme a base di steroidi (poiché il rischio è quello che la pelle assorba questi steroidi, mettendoli in circolo nell’organismo) il consiglio è quello di continuare ad usare in maniera costante gli emollienti, e cioè le creme pensate per l’idratazione profonda, una o più volte al giorno (soprattutto in fase di remissione), in modo da aiutare la cute a guarire in maniera più naturale.

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale. 

 

Rieccoci con il nostro commento sul programma 4Mamme, in onda su Fox Life ogni mercoledì! Ieri è andata in onda la seconda puntata, e devo dirlo: per mio gusto personale è stata ancora più interessante della prima, perché ho riscontrato molti punti in comune con alcune mamme. 

Ma scopriamole una per una: 

Claudia è una mamma che si definisce indipendente. Ama trascorrere tempo con le figlie, ma si sente molto distante da quelle che lei definisce “mamme cozze”, mamme apprensive che passano la loro giornata tra effusioni con le bambine e risposte troppo pronte e svelte a tutte le loro richieste. Il suo obiettivo è creare figlie indipendenti e forti, in grado di cavarsela da sole, sicuramente non mammone. Di lei ho apprezzato molto il fatto di responsabilizzare le bambine, permettendo di partecipare alla quotidianità della casa

Silvia, la seconda mamma, è una madre e donna molto dolce, elegante, il cui percorso è piuttosto complesso. Queste vicessitudini l’hanno portata a diventare una mamma che punta molto alla comunicazione fisica con la sua bambina. È anche una mamma molto presente, e per questo motivo le loro giornate sono ricche di baci, abbracci e interazione. Mi sono sentita molto vicina a lei nel suo modo di coccolare la piccola e dimostrarle fisicamente il suo amore. 

Ester è la terza mamma che ha fatto parte alla seconda puntata ed è una mamma eco e friendly: molto attenta al concetto di sostenibilità ambientale, tiene molto ai suoi valori che cerca di comunicare alle sue bambine, in modo che li facciano loro a loro volta. È anche molto giocherellona e sportiva e ama mettersi in gioco (anche con le bimbe). Adoro i suoi valori e principi e il suo lato giocoso, che purtroppo mi rendo conto spesso mi manca. 

Miguelina è la mamma caraibica di 4mamme: originaria di Santo Domingo, è separata e ha un bimbo di nome Daniel. È molto positiva e sorridente, forse anche grazie al suo percorso tortuoso che l’ha portata a doversi ambientare nella fredda Milano dopo una vita passata ad un’altra latitudine. Con il suo bimbo Daniel è molto dolce, e gli trasmette energie positive e serenità. Ho amato il suo pic nic sul tappeto e la capacità di ascoltare il suo piccolo. 

In merito alla puntata di oggi vorrei soffermarmi su un concetto a me molto caro: quello di indipendenza. Cosa significa crescere figli indipendenti? 

Per indipendenza si intende “la capacità di sussistere e di operare in base a principi di assoluta autonomia”: essere indipendenti è un istinto naturale per l’adulto sano, come quello di respirare e mangiare. 

Quello a cui dobbiamo puntare è distinguere i bisogni di indipendenza del bambino e incoraggiarli, così come sostenere e accogliere le esigenze di contatto, le richieste di aiuto e i bisogni in generale. Il bambino nasce totalmente dipendente dalla mamma: non può sopravvivere senza di lei, senza il suo seno e ancora prima senza il cordone ombelicale nella sua pancia. È semplice per noi comprendere la loro “dipendenza” fisica, mentre non è altrettanto facile capire quella psicologica.

L’indipendenza infatti si acquisisce con gradualità, attraverso non anni, ma decenni. Forzare questa caratteristica nel bambino è fuorviante perché, come sempre quando parliamo di educazione, si rischia di saltare i passaggi fondamentali, quelle solide basi e quei pilastri che permettono di costruire la sua forza emotiva. Ed è proprio la solidità emotiva che gli consentirà di essere e di sentirsi così forte da potersi staccare dalla mamma. 

Paradossalmente storciamo un po’ il naso quando i nostri figli ci chiedono di fare le cose da soli, come versare l’acqua nel bicchiere: questo perché comporta un rischio a livello di tempo e di sforzi importante per noi, perché è molto probabile che il versi l’acqua per terra e a noi tocchi pulire. Comprensibilissimo.. Di nuovo però, paradossalmente, sono proprio questi i primi passi verso l’indipendenza, per costruire quella sicurezza che fa pensare loro: “anche senza la mamma qualcosa posso fare”. Non solo, a mio parere, dovremmo consentire ai nostri figli di fare cose da soli anche nei primi 3 anni di vita, ma dovremmo anche sostenerli e incoraggiarli in ciò. 

Vogliono vestirsi da soli? Incoraggiamoli, non importa se la maglia non si abbina ai pantaloni (chiaramente se proprio quel giorno abbiamo un incontro importante o un evento possiamo di certo consigliare loro qualcosa di più indicato; ma nella quotidianità passiamoci sopra). 

Questo perché è fondamentale stimolare il desiderio si essere indipendenti, e di legittimarlo. Una volta che mi sentirò sicuro di me sentirò di avere le capacità per allontanarmi e camminare da solo: questo sente il bambino. 

Altro invece è il bisogno di sapere che la mamma c’è: i bambini - e chiaramente ancora di più i neonati - hanno la necessità di sapere che la mamma e il papà ci sono, sempre e comunque, quando loro hanno bisogno. Questo paletto fondamentale per il loro benessere si costruisce a mio modo di vedere rispondendo alle loro chiamate e ancor più non sminuendo i loro bisogni. Il piccolo cade, piange e si gira a guardare la mamma, inizia a lacrimare per chiedere il suo aiuto: la mamma corre da lui, lo abbraccia, lo bacia, guarda la sua inesistente bruciatura e lo tranquillizza. La nostra mente di adulto lo sa che non è nulla, che non c’è motivo di piangere e di correre verso di lui: ma il bisogno del bambino non è fisico ma emotivo. ”Mamma mi sono spaventato, aiutami a gestire la situazione, a rielaborarla, fammi sentire il tuo amore e il tuo contatto dopo la paura”: significa questo. 

Il problema è che noi adulti vedendo questa situazione percepiamo solo il lato razionale dell’accaduto, mentre il bisogno è emotivo.

Così un neonato è all’inizio della sua “esperienza di uomo”: inizia questo viaggio senza la capacità di fare nulla per se stesso ed è, come abbiamo detto prima, totalmente dipendente. Lui ha bisogno di apprendere come fare ogni cosa. 

Per farlo ha bisogno di tempo, di insegnamenti e di pazienza: ma prima di ogni altra cosa ha la necessità di aver riconosciuti i suoi bisogni primari che non sono solo fisici ma anche emotivi, come il contatto pelle a pelle con la mamma o il bisogno di sentirsi preso in braccio quando chiama. Questi non sono vizi, ma bisogni essenziali.

 

Gravidanza, la spa in casa con il pancione

Mercoledì, 07 Giugno 2017 08:03

La gravidanza è quel momento della vita di una donna durante il quale tutto cambia. E a cambiare, naturalmente, prima di tutto è il corpo. Pian piano i mesi avanzano, cominciano i fastidi dovuti anche al peso portato. Ma chi l’ha detto che non si possa trovare sollievo rilassandosi e prendendosi del benefico tempo per se stesse?

Quando il piccolo arriverà ritagliarsi questi momenti sarà un po’ più difficile, quindi accettate il nostro consiglio: prendetevi un paio d’ore e preparatevi un bagno come si deve, con oli essenziali e sali pensati appositamente per rilassarsi ancora di più, per sentire meno il peso della pancia e per alleggerire anche lo spirito, oltre ai fastidi della gravidanza! 

Gravidanza, la spa in casa con il pancione: il bagno perfetto per le donne in gravidanza, rilassante, tonificante e rigenerante

Il trattamento che vi proponiamo in una spa verrebbe chiamato balneoterapia, e cioè terapia del bagno, dell’acqua. Insomma, un bagno super rigenerante che rilassa, tonifica e alleggerisce. Perfetto per le donne in gravidanza.

Iniziate riempiendo la vasca con anticipo e chiudendo la porta del bagno. In questo modo si creerà un leggero vapore, tanto benefico quanto il bagno stesso. Tenete la temperatura dell’acqua tra i 30 e i 35 gradi (ma solo se non soffrite di capillari fragili; in quel caso abbassatela un po’), quindi cominciate a mischiare all’acqua gli elementi della nostra balneoterapia.

Per un po’ di atmosfera, però, accendete preventivamente qualche candela qua e là nel bagno, e spegnete la luce principale della stanza, lasciando accesa solo - eventualmente - quella più tenue dello specchio.

Aggiungete all’acqua del bagno un po’ di bicarbonato di sodio, quello che utilizziamo di solito in cucina. In questo modo la sostanza agirà sulla pelle, la pulirà in profondità dalle tossine e la lascerà liscia, morbida e levigata, proprio come una crema miracolosa.

Scegliete quindi l’olio essenziale che preferite, in base alle esigenze.

- Se, ad esempio, sentite il bisogno di energia in un momento un po’ down, mischiate tre gocce di olio essenziale di sandalo, tre di limone e tre di mandarino.

- Defaticante è anche il mix sandalo, vaniglia e neroli.

- Rinfrescante ed emolliente è il bagno con geranio, timo, lavanda e menta.

- Se, invece, volete rilassarvi a fondo, la lavanda farà al caso vostro. In questo caso potete aggiungere nell’acqua anche qualche rametto di melissa (magari preso dal vostro giardino o dal balcone!): questa pianta dal profumo di citronella è ottima per distendere i nervi e per calmarsi a fondo.

- Anche l’olio essenziale di rosmarino fa bene in caso di stress o di ansia: allevia infatti il nervosismo, oltre a depurare dalle tossine.

Un’altra idea per un bagno in gravidanza davvero perfetto e rigenerante è aggiungere all’acqua dei sali da bagno. Potete usare il sale grosso da cucina, ma ancora meglio agiscono i sali del Mar Morto, ricchi di oligoelementi e preziosi contro la ritenzione idrica che spesso accompagna il momento della gravidanza. Sono drenanti e tonificanti, ma anche antinfiammatori e quindi ottimi in caso di problemi della pelle (e in questo caso fa benissimo aggiungere anche due cucchiai di avena). Noi li scegliamo sempre naturali al 100% (come questi), puri ed efficaci contro la sensazione di stanchezza. Ne bastano quattro o cinque cucchiai colmi per un bagno.

Prendetevi almeno mezz'oretta, rilassandovi, leggendo un libro o ascoltando la musica che più vi aggrada (i toni tenui della musica classica sono i più indicati, ma potete scegliere il sound che preferite, purché sia leggero e rilassante). Quindi uscite dalla vasca, asciugatevi con un panno morbido (magari scaldato sul termoarredo!) e idratate la pelle con una crema idratante naturale, per sentirvi ancora meglio! Sarà un toccasana, senza dubbio, che farà bene tanto al corpo quanto alla mente.

 

Sara

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Cecilia

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