Una critica che è stata mossa attorno al tema della legge salva-bebè sui dispositivi antiabbandono, che vuole tutelare i bambini riducendo il rischio di dimenticarli in automobile, ha riguardato il lato economico. Ovvero: non essendo spese leggere, perché tutti devono essere obbligati a cambiare i seggiolini che già hanno incorrendo in altre spese, enormi?
In realtà, non è necessario cambiare il seggiolino auto dei bambini acquistandone uno che sia “antiabbandono”. Esistono infatti in commercio molti dispositivi antiabbandono, ovvero dei sensori da applicare ai seggiolini che già abbiamo in uso. E da oggi è possibile anche chiedere un contributo statale del valore di 30 euro, proprio per acquistare uno di questi device contro l’abbandono dei bambini in automobile.
Dal 20 febbraio 2020 è possibile fare richiesta per un contributo statale di 30 euro per l’acquisto dei dispositivi antiabbandono, che sono dal 7 novembre 2019 obbligatori per legge se trasportiamo in automobile bambini fino ai 4 anni di età. Dal 6 marzo 2020 saranno in vigore anche le multe: chi non sarà in regola riceverà una multa dagli 83 ai 333 euro (che si riducono a 58 e 100 euro se si paga entro cinque giorni) e la sottrazione di 5 punti dalla patente. E se l’infrazione verrà commessa nuovamente entro due anni, allora scatterà la sospensione della patente da 15 giorni a due mesi.
Per richiedere questo contributo statale basta visitare il sito dedicato del Mit (il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), Bonus Seggiolino, e registrarsi nell’area dedicata. Per farlo, tuttavia, è necessario avere le credenziali SPID (il Sistema Pubblico di Identità Digitale).
Dopo la registrazione e la richiesta, il contributo di 30 euro per l’acquisto del dispositivo anti abbandono sarà ricevuto dal richiedente in forma di un buono-spesa elettronico associato al codice fiscale del bambino per il quale sarà acquistato il device (e infatti il contributo può essere richiesto per più bambini, ma al massimo uno per bambino). E questo buono spesa elettronico ricevuto potrà essere speso entro un mese dalla sua emissione.
La scelta del dispositivo sarà poi a discrezione dell’acquirente. E non essendoci ancora specifiche omologazioni, basterà sceglierne uno venduto con un certificato di conformità del produttore, che certificherà le caratteristiche che per legge, per ora, devono avere i dispositivi. Ovvero: devono avere segnali che si attivano automaticamente ad ogni utilizzo (senza quindi doverli attivare ad ogni accensione dell’automobile); devono avere segnali visivi e acustici e di vibrazione; e infine devono avere segnali visibili e ascoltabili sia dall’interno che dall’esterno dell’automobile.
Qualche tempo fa vi avevamo consigliato iSave, un dispositivo anti abbandono davvero semplice da utilizzare e molto sicuro, da applicare a qualunque tipo di seggiolino già in uso.
E per chi già aveva acquistato un dispositivo antiabbandono prima di questa notizia? In questo caso, è possibile fare richiesta di rimborso, sempre sulla stessa piattaforma, entro sessanta giorni a partire dal 20 febbraio 2020, allegando una copia della fattura o dello scontrino fiscale. Entro 15 giorni, poi, si riceveranno i 30 euro di rimborso.
"Baci polari", baci freddissimi, ghiacciati, nordici. Ma che parlano a tutti, perché non hanno nemmeno una parola!
Il nuovo libro di Janik Coat edito da L'Ippocampo è bellissimo. E non solo perché è un libriccino dalla dimensione simpatica e dalla copertina ruvida color pastello davvero stupenda, ma perché attraverso disegni semplici e quasi infantili parla a tutti, grandi e bambini, dell'amore. Con una semplicità disarmante e necessaria.
"Baci polari" è un libro da tenere sul tavolino in salotto. Primo: perché è proprio bello da vedere. Secondo: perché lo si può leggere e rileggere trovandoci cose nuove ogni volta. Perché non avendo parole (se non i titoli di ogni pagina), possiamo dare un'interpretazione e una lettura differenti ogni volta che lo sfogliamo.
Il libro, illustrato da Janik Coat, ha moltissime pagine, e ogni doppia pagina racconta attraverso la semplicità dei disegni la fase di una storia d'amore. Praticamente, è una meravigliosa cronologia illustrata di una storia romantica. In questo caso, tra due animaletti, Nina e Clotario.
Si parte dalla parte della "solitudine", ovvero della vita prima dell'incontro. Si passa quindi dall'incontro all'innamoramento, fino al distacco e al ritrovarsi. Ma non in maniera banale: Janik Coat parla di cucina, di sentimenti, di quotidianità, abitudini... Solo con una parola e con un'illustrazione.
Piano piano, quindi, i bambini possono capire cosa accade quando ci si innamora di qualcun altro, dei sentimenti che possono invaderci, di come la quotidianità cambi quando si è in due... E possono, altrettanto, seguire la storia di Nina e Clotario con suspance, perché alla fine di un racconto si tratta!
In tutto questo, però, dobbiamo dire una cosa: ogni descrizione in qualche modo banalizza questo libro, che fino a che non lo hai tra le mani non puoi capire cosa sia. Il consiglio è quindi quello di scoprirlo da soli, leggendoci ciò che si vuole, ciò che si sente, e sfruttandolo nelle maniera più diverse, anche educativamente. Perché grazie alla non-verbalità, "Baci polari" diventa davvero preziossimo!
Si parla tanto dell’adolescenza, e ci sta: è un periodo così delicato e denso di cambiamenti, tensioni ed emozioni che è giusto parlarne, sfogarsi, analizzare e cercare di navigare insieme in quelle acque difficili. E della preadolescenza ce ne dimentichiamo?
Se gli adolescenti non sono più ragazzini e non sono ancora adulti, i preadolescenti si trovano in un limbo ancora meno definito: non più bambini, non sono ancora teenager. Non sono ancora grandi abbastanza per prendere decisioni, per sentirsi più autonomi, per conoscere a fondo i propri sentimenti, ma non sono nemmeno così piccoli da poter ignorare i cambiamenti del proprio corpo, le emozioni nuove e i sentimenti che impauriscono.
Insomma: per noi sarà difficile, certo, ma nemmeno per loro sarà una passeggiata.
Preadolescenza: che significa? Con questo termine si indica la fase di sviluppo che precede la pubertà, e che sta, solitamente, tra i 10 e i 14 anni. In questo periodo, i ragazzi e le ragazze assistono ad un repentino accrescimento somatico e ad un aumento delle pulsioni sessuali. Ma come si manifesta?
Innanzitutto, per far sì che la preadolescenza non sia un disastro per la famiglia (aiuto, che fatica!), è bene immedesimarsi nei nostri ragazzi: ricordate la fine delle scuole elementari e l’inizio delle medie? Quando tutto era nuovo, quando gli altri ragazzi parlavano di cose di cui mai avevamo sentito parlare e ci sentivamo esclusi? Di quando la “stupidera” caratterizzava noi e i nostri amici? Di quando ogni piccola cosa riguardante il nostro corpo ci faceva sentire a disagio? Di quando le prime vere cotte ci scombussolavano sul serio, profondamente? Ecco, quella è la preadolescenza, e per quanto a noi adulti sembri qualcosa di normale e passeggero, per un ragazzo che ci sta passando è davvero qualcosa di enorme. E oltre a immedesimarci, è bene tenere a mente che i tempi sono cambiati, e che in ogni caso la loro preadolescenza sarà molto diversa dalla nostra.
La preadolescenza, quindi, è quel periodo che dondola tra l’infanzia e l’emancipazione, la dipendenza dai genitori e la voglia di autonomia, il tutto condito dall’insicurezza nei confronti di qualunque cosa ci si trovi di fronte. È quel periodo in cui i nostri bambini sembrano così sicuri di sé da spaventarci, quando in realtà dentro sono super confusi. È quel momento in cui si omologano, si tagliano i capelli come tutti gli altri e vogliono i vestiti più gettonati, mentre dentro combattono per differenziarsi e per capire chi sono.
Come capire, tuttavia, che quella che stanno passando è proprio la fase della preadolescenza? Innanzitutto, lo vedremo dal corpo dei nostri figli che comincia a cambiare. Ma anche e soprattutto dagli atteggiamenti e dai comportamenti. Ogni ragazzo e ogni ragazza è a sé, è chiaro, ma ci sono segnali pressoché uguali per tutti: la scontrosità con i familiari, la voglia di solitudine e di conseguenza il chiudersi in camera, l’abbassamento delle prestazioni a scuola (più per sfida e non voglia), le prime cotte e i primi baci…
Una volta appurato che si tratta di preadolescenza, ciò che dobbiamo tenere presente è che non sarà un periodo facile, proprio come l’adolescenza. E che sarà lungo. Perché i mutamenti che avvengono nei preadolescenti sono graduali ma enormi, a livello psicologico e fisico, con nuove pulsioni, nuovi pensieri e nuove emozioni.
Oltre a questo, in questo periodo i nostri figli cominciano a guardare a sé stessi in autonomia, con una mano tesa al passato e una al futuro, cercando di capire la propria identità slegandola dalla famiglia.
Insicurezza, ansia, paura… Tutto questo li porterà ad esplorare il loro nuovo essere (fisico e mentale) cercando, ogni tanto, rassicurazioni in ciò che erano. Sarà normale, quindi, vedere atteggiamenti di regressione (come voglia di coccole o il ritorno ad abitudini passate) unito a più frequenti atteggiamenti di sfida e di ricerca di sé.
Che fare, quindi? Come sempre, esserci. E anche parlare potrebbe essere utile, ma sappiamo che parlare sarà difficilissimo, perché i nostri figli ci ignoreranno o, più probabile, rifiuteranno il dialogo.
I nostri figli cambiano, e noi dobbiamo un po’ cambiare con loro. Osserviamo, ascoltiamo, facciamo capire che ci siamo. Diamo esempi concreti. Vigiliamo, ma non invadiamo. Lasciamogli un po’ di agio, lasciamo che sbaglino, ma poi interveniamo nel momento del bisogno. E sì, ci saranno anche le trasgressioni. Di nuovo, osserviamo e vigiliamo, interveniamo quando i confini superati sono troppo importanti. Ma capiamo, anche, che fa tutto parte di una ricerca d’identità davvero enorme, paurosa ed emozionante.
Genitori che continuano a lavorare subito dopo la nascita del bambino; mamme in casa da sole che vogliono avere la casa in ordine, oltre che il bimbo nutrito e cambiato; genitori che, semplicemente, vogliono concentrarsi e approfittarne: essere produttivi quando c’è un neonato in casa non è impossibile.
Bisogna però focalizzarsi, ottimizzare tempi e spazi e non rinunciare a prendersi cura di sé, ricordandosi tuttavia che il protagonista ora è il nostro bambino, e non noi.
Il marsupio, innanzitutto, è la soluzione a moltissime situazioni. Portando il bambino in fascia o nel marsupio, infatti, possiamo spolverare, spazzare, piegare i panni, lavorare al computer… Certo, più lentamente e con più delicatezza, ma almeno possiamo unire la produttività all’intimità, dal momento che al bambino fa davvero molto bene stare a contatto con il genitore il più possibile (e no, non è un vizio).
Spesso prendersi cura di un neonato è estenuante sia a livello mentale che fisico, e sembra che tutto ci sopraffaccia. Ecco perché è necessario rifocalizzarci, tenendo bene a mente le cose che dobbiamo fare . Scriviamo quindi una lista di micro-cose da completare nella giornata e di macro-cose da fare entro la settimana, spuntandole piano piano, senza strafare e senza fare tutto insieme (perché il multitasking può essere davvero faticoso e controproducente).
I neonati dormono moltissimo durante il giorno, ma spesso, tra cambio pannolino, ruttino e cose varie, riusciamo a rilassarci solo per mezz’oretta. Sfruttiamo però queste finestrelle al meglio: se abbiamo bisogno di relax, non sentiamoci in colpa e chiudiamo gli occhi. Se invece sentiamo di doverci muovere e fare, facciamo, lavoriamo, facciamo esercizio. Di nuovo, senza sentirci in colpa: ascoltare il nostro corpo è una priorità.
Mail, messaggi, messaggi su whatsapp, notifiche dei social… Ormai il cellulare non è solo per chiamare e ricevere telefonate. Mettiamo quindi per un po’ il silenzioso, quando dobbiamo essere produttivi, e in questo modo avremo moooolte meno distrazioni.
Se il “lavoro di un bambino” è il gioco e se il nostro lavoro si svolge da casa (ormai sono tantissimi i genitori che sfruttano lo smart working da remoto), possiamo creare una postazione per noi e una per il bambino (come le working station montessoriane), lasciando che i bambini si concentrino e lavorando vicino a loro.
Ad un certo punto, le routine con un neonato e con un bambino diventano chiare, e le giornate saranno scandite dai tempi della poppata, del cambio, del gioco, del lavarsi i denti, del mangiare… Seguiamo quindi naturalmente queste routine, infilando ciò che dobbiamo fare nei tempi morti, ovvero quelli dei pisolini (soprattutto con un neonato) e del gioco o dei compiti (con i bimbi più grandi).
Appunto perché molti genitori lavorano da casa, perché non creare un ambiente che sia perfetto per un adulto che lavora e per un bambino che vuole rilassarsi? Scegliamo un angolo della casa e mettiamoci una scrivania con un laptop e una piantina (che rilassa, ossigena e fa sempre bene!), e vicino mettiamo una culla o un lettino, un tappeto gioco, dei peluche, dei giocattoli, dei libri e tutto ciò di cui un bambino potrebbe avere bisogno mentre sta accanto a noi.
Greg Heffley non è solo simpatico. Ha avuto il merito di aver avvicinato una generazione intera alla lettura (come prima di lui hanno fatto Harry Potter, i Piccoli Brividi, Geronimo Stilton e compagnia bella). Greg è infatti il protagonista di “Diario di una Schiappa”, la serie di romanzi per ragazzi nati dalla penna di Jeff Kinney (“Diary of a Wimpy Kid”).
Ora, però, la palla passa a Rowley: il migliore amico di Greg sarà infatti l’autore della nuova puntata dello spin off “Diario di un amico fantastico”, che uscirà in Italia a maggio 2020 e che si intitolerà “Le avventure di un amico fantastico”. La novità? L’ingresso della saga nel mondo del fantasy!
Lo scorso anno, a maggio 2019, uscì in Italia “Diario di un amico fantastico”. Si trattava del primo spin-off derivato da “Diario di una schiappa” di Jeff Kinney (in Italia edito da Il Castoro), ovvero un de-tour rispetto alla serie di romanzi narrati dal punto di vista del protagonista Greg. In questo caso, a raccontare le vicende era il migliore amico di Greg Heffley, Rowley Jefferson, già conosciutissimo e molto amato dai piccoli lettori, trasformatosi in “biografo” di Greg.
Dopo il successo di questo spin-off che fa scoprire ai bambini il punto di vista di Rowley, ecco che a maggio 2020 ne uscirà un altro: si intitolerà “Le avventure di un amico fantastico” e sarà nuovamente narrato dal punto di vista dell’amico di Greg, che tuttavia stavolta si trasformerà in “Rolando”. Negli Stati Uniti il romanzo uscirà ad aprile e si intitolerà “Rowley Jefferson’s Awesome Friendly Adventure”.
Il libro (che sarà stampato in 100.000 copie e che è già possibile preordinare su Amazon a questo link) racconterà le vicende di “Rolando il Gentile” e di “Grog il Barbaro”, migliori amici che si ritrovano a dover abbandonare il proprio villaggio per salvare la madre di Rolando dal terribile Stregone Bianco. Un fantasy, insomma, inventato proprio da Roland.
La notizia del romanzo già favolosa di per sé (quanti bimbi lo stanno già aspettando??) si correda però di un’altra sorpresa: in occasione dell’uscita del volume Jeff Kinney sta infatti organizzando l’Awesome Friendly Adventure Tour, un tour a sorpresa in giro per gli Stati Uniti. Nessuno sa dove andrà (nemmeno lo stesso Jeff Kinney!), e librari, bibliotecari, insegnati e lettori se lo ritroveranno accanto a sorpresa! Per non lasciarselo sfuggire, tuttavia, c’è un bellissimo sito: i fan della Schiappa potranno infatti seguire il tour e conoscere le tappe di giorno in giorno sul sito wimpykid.com/AwesomeFriendlyAdventureTour.
Quando il Carnevale si avvicina, anche le regole vengono un po’ piegate. E se a Carnevale ogni scherzo vale, vale anche qualche strappo alla regola in cucina. Ed è bello concedersi i classici dolci della festa in cui i nostri bimbi si mascherano (e noi con loro!), soprattutto quando troviamo delle versioni più leggere delle classiche, dal momento che frittelle and co. sono davvero belle pesantucce e super zuccherate.
Ecco quindi una selezione di ricette per il Carnevale da cui prendere spunto per festeggiarlo golosamente ma con un po’ meno sensi di colpa!
Le frittelle forse sono il dolce più tipico e più atteso del Carnevale. E in effetti sono deliziose, per quanto pesanti! Eh sì, perché sono fritte. Ma questa ricetta prevede la cottura delle frittelle al forno, rendendole più leggere ma altrettanto gustose.

Cenci, bugie, lattughe, frappe, maraviglias… Solitamente sono fritte e contengono burro, ma questa ricetta è leggermente più salutare, con olio di semi e zucchero di cocco.

Non ha niente a che vedere con il sanguinaccio, e il nome dipende solo dal colore! Si tratta di una crema dolce a base di cacao e cannella e la si prepara così: uniamo in una ciotola 200 grammi di zucchero di canna integrale con due cucchiaini di cannella, 40 grammi di maizena e 70 grammi di cacao amaro, quindi versiamo 500 grammi di latte di mandorla mescolando con una frusta il tutto. Facciamo addensare in un pentolino il composto e una volta caldo aggiungiamo 80 grammi di cioccolato fondente a pezzetti e 30 grammi di margarina, mescolando e facendo sciogliere bene. Trasferiamo in una tazza e facciamo riposare in frigorifero per un paio d’ore prima di servire.
Sono irresistibili e bellissimi da vedere, e possiamo prepararli con i bambini, che si divertiranno a tirare la pasta e a tagliare i cerchi che serviranno per formare i ravioli, ripieni di marmellata o di crema di cioccolata! La ricetta è questa (e sono al forno!).

Simili alle chiacchiere, i crostoli sono un dolce tipico toscano e veneto e si tratta di fragili rettangoli leggeri da mangiare proprio in questi giorni di Carnevale. La ricetta è questa, nella nostra variabile non fritta.

Anche i bomboloni (simili ai krapfen) si mangiano tutto l’anno ma sono un dolce tipico del periodo di Carnevale. Anche in questo caso, per rendere la ricetta più leggera possiamo scegliere una versione al forno. La nostra ricetta vi permetterà di preparare i bomboloni al forno, e soprattutto vegan (e quindi senza burro).
A Napoli è il classico dolce di Carnevale: parliamo del migliaccio, dolce a base di semolino. Qui trovate la nostra ricetta, perfetta per la colazione e la merenda di questi giorni.

In molte regioni d’Italia la torta di riso viene preparata proprio in questi giorni. È a base di riso (sì, proprio riso!), latte, uova e scorze di agrumi, ed è buonissima (e potenzialmente farcibile con della deliziosa crema!). La ricetta? Eccola.
La didattica digitale è il futuro. E non solo perché è così che deve andare in un mondo sempre più tecnologico, ma perché ha effettivamente un sacco di vantaggi e benefici, quando sfruttata nella giusta maniera. Il digitale, infatti, permette di rendere le lezioni più coinvolgenti, più interattive e più divertenti, oltre che più concrete e pratiche. E la pratica è un elemento fondamentale quando si parla di apprendimento, poiché i bambini quando applicano i concetti li capiscono meglio.
Questo tuttavia significa che anche gli insegnati e i genitori devono aggiornarsi, apprendendo al meglio le potenzialità degli strumenti digitali applicati alla scuola e imparando a utilizzare tutte le nuove tecnologie.
Come fare? Una buona idea è partecipare ai corsi di formazione MyEdu, o organizzarli nella propria scuola.
MyEdu è una piattaforma online di apprendimento digitale che mette a disposizione di scuole, insegnanti e famiglie migliaia di materiali didattici digitali e interattivi relativi a tutte le materie scolastiche, per imparare, esercitarsi e allenarsi. Qui vi spieghiamo in dettaglio di cosa si tratta.
Oggi però vogliamo parlarvi nello specifico dei corsi di formazione che propone MyEdu per gli insegnanti. Si tratta di corsi svolti in presenza di formatori qualificati, ovvero tutor FME Education, specializzati nell’uso delle tecnologie applicate alla didattica, per dare agli insegnati di tutte le scuole le giuste competenze per utilizzare concretamente la tecnologia in classe. Il tutto attraverso lezioni pratiche cucite sulle esigenze dei partecipanti, che assistono a dimostrazioni e partecipano attivamente, attraverso lezioni teorico-pratiche.
Il corso permette di acquisire le giuste competenze per sfruttare al meglio gli strumenti digitali con gli alunni, producendo anche dei contenuti personalizzati da proporre alla classe, come immagini, schede, testi, quiz e verifiche.
La scuola, quindi, può scegliere il piano di formazione che desidera in base alle sue esigenze, sempre supportata dai tutor MyEdu, scegliendo tra corsi modulari (da 4, 8, 10 o 20 ore) e personalizzabili, al termine dei quali i docenti riceveranno un attestato di partecipazione.
Il modulo base ha una durata di 4 ore ed è rivolto a tutti i docenti delle classi che aderiscono al progetto MyEdu School. I formatori, in questo caso, aiuteranno i docenti a comprendere l’uso delle tecnologie digitali applicate alla didattica e offriranno una guida di base ai contenuti digitali presenti sulla piattaforma MyEdu.
I moduli da 4, 8 o 10 ore su temi specifici riguardano invece la didattica digitale (con un’introduzione sulla tecnologia applicata alla didattica mirata ad acquisire le competenze per la creazione di lezioni multimediali), la comunicazione efficace (per capire come comunicare meglio con i nativi digitali utilizzando i device per lezioni innovative) e l’insegnare in digitale (per padroneggiare gli strumenti e migliorare la comunicazione con lezioni davvero coinvolgenti).
Infine, il modulo da 20 ore è il corso di formazione completo intitolato “Didattica digitale e comunicazione”, accreditato dal Ministero dell’Istruzione, disponibile sul portale Sofia. La didattica digitale e la comunicazione sono i due temi centrali, e i formatori guideranno i docenti su questi argomenti: l’interattività intelligente, la creazione di mappe concettuali e timeline, la didattica e i social media, la produzione e distribuzione di contenuti personalizzati e la gamification (ovvero la ludodidattica), nonché su tutto ciò che riguarda la comunicazione, la relazione, il linguaggio, l’organizzazione e la crescita personale.
Per informazioni e per organizzare un corso direttamente a scuola, vi invitiamo a contattare la responsabile del progetto, Benedetta Negri (+39 02 30076303 o Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).
Questo libro è bello perché le illustrazioni sono magnifiche. È bello perché i dettagli sono infiniti, curiosissimi e precisi. Ed è bello perché con pochissime parole crea una storia semplice ma sorprendente, piccola ma alta quanto un palazzo, buffa ma profonda come il messaggio che vuole portare.
Einat Tsarfati è una bravissima illustratrice israeliana e questo è il suo primo albo illustrato per bambini. Ma che esordio, ragazzi! (Ah, qui trovate un’intervista che le hanno fatto recentemente!).
“I miei vicini” (Editrice Il Castoro) è un libro grande, di quelli belli da sfogliare anche sul tappeto, da tenere sul tavolino in salotto e da sfoderare ogni volta che vogliamo, imparando la storia a memoria ma scoprendo nuovi dettagli ad ogni nuovo lettura. Perché le illustrazioni sono così fitte (e meravigliose) che non annoiano mai, ma, anzi, fanno venire voglia di continuare a posarci gli occhi.
La storia, dicevamo, è molto semplice, ed è questo un punto a super favore di questo libro: tutti i bambini, più o meno, possono identificarsi con la protagonista delle pagine, che semplicemente racconta di come ogni giorno si trovi a percorrere le scale che la porteranno al settimo piano del condominio in cui vive, al suo appartamento.
Di pianerottolo in pianerottolo, la bimba fa ciò che tutti i bimbi del mondo fanno: immagina. Immagina chi ci possa essere dietro ad ogni porta, affidandosi di volta in volta ad un indizio diverso. Gli odori, i rumori, gli oggetti appoggiati allo zerbino… Tutto diventa pretesto per cucire una storia diversa riguardante gli abitanti del palazzo. Che, naturalmente, sono affascinanti e straordinari: ci sono il pirata e la sirena, la famiglia di ladri, i circensi…
La bimbetta, insomma, dà voce (e disegno!) a quello che tutti abbiamo fatto almeno una volta, ovvero tentare di indovinare cosa stiano facendo i nostri dirimpettai, o quelli che stanno al piano di sopra, o al piano di sotto, captando piccoli rumori, e profumi, e voci… Dà voce, quindi, alla curiosità, all’immaginazione e alla creatività dei bambini (e di noi adulti!), esternando la bellezza della diversità, perché, beh, che mondo piatto e noioso sarebbe se dietro alle porte fossimo tutti uguali?
Alla fine la bimba giunge alla sua casa, alla sua famiglia “normale”, “noiosa” e “piatta”. Ma non importa: perché l’amore aleggia anche lì! E poi nessuno è normale. E un esercizio di immaginazione con i bimbi potrebbe essere quello di provare a immaginare come potrebbero immaginarci i vicini ascoltando i rumori e i profumi che produciamo noi!
Ah, e poi in ogni pagina si nasconde il criceto Bennie: un piccolo giochino in stile “dov’è Wally?” che ai bambini piace sempre da matti!
Il mondo sta cambiando e il progresso tecnologico a cavallo dei due secoli è stato gigantesco, è vero. Ma il cambiamento non è solo digitale. È anche umano.
A dimostrarlo è il tempo che i papà millennial trascorrono con i loro figli, così come i pannolini che cambiano: le statistiche parlano chiaro e ci informano che rispetto al passato i padri sono davvero molto più coinvolti e presenti nella vita dei loro bambini.
La tecnologia ha cambiato il mondo, insomma, ma anche la società stessa lo sta modificando. In meglio, si spera. E questi dati sembrano darci un po’ di speranza. Perché il succo è semplice: questa generazione di papà spende molto più tempo insieme ai propri figli rispetto alla generazione precedente.
Un dato molto semplice a conferma di questo? Riguarda il pannolino. Secondo una ricerca del 1982, infatti, i padri che mai avevano cambiato un pannolino erano il 43% degli intervistati. Nel 2000, solo il 3% dichiarò invece di non averlo mai fatto.
Questa tendenza in realtà è frutto di un lentissimo ma sostanziale cambiamento nella relazione padri-figli che sta avvenendo da secoli. Se pensiamo all’epoca vittoriana, o al rinascimento, o addirittura ala preistoria, il ruolo del padre era molto autoritario e distaccato. Dal Novecento, invece, i padri pian piano hanno cercato di farsi coinvolgere sempre di più nella vita dei propri figli, prima in maniera decisionale e, dagli anni Sessanta e Settanta (anche se molto, molto lentamente) anche a livello pratico.
Ed è così che si arriva a noi. Anche se la parità di genere non è ancora raggiunta (anzi!), i padri millennial, ovvero quelli nati suppergiù tra il 1981 e il 1996, mostrano come le cose stiano cambiando.
Una ricerca pubblicata qui mostra non solo come i padri che scelgono di prendere un congedo dopo la nascita dei figli siano aumentati quattro volte dal 1990 al 2017, ma anche come questi stessi padri siano tre volte più presenti nella vita dei loro figli rispetto ai padri del passato. E, è bene sottolinearlo, la maggior parte di loro considera una priorità essere un buon padre come parte integrante della propria identità.
Questo atteggiamento è certamente positivo, ed è fondamentale per il benessere della famiglia, come spiega questo studio effettuato dalla Cornell University, secondo cui i padri che prendono un congedo di paternità più lungo del consueto tendono poi ad essere più coinvolti nella vita dei loro figli a lungo andare.
Oltre a questo, è evidente che i nuovi padri siano molto più consapevoli - tendenzialmente! - dell’importanza dell’uguaglianza di genere in famiglia. Sono molti i papà che cercano di dividere equamente i compiti domestici e parentali con le madri (e anche se queste ultime sono ancora quelle con più compiti, oggi gli uomini trascorrono in media trenta minuti in più al giorno intenti nelle faccende domestiche, cosa che non accadeva assolutamente trent’anni fa).
Questo crea certamente un ambiente familiare più sereno e armonioso, dando allo stesso tempo l’opportunità ai figli di crescere con un esempio positivo di collaborazione equa, etica e positiva a livello di uguaglianza.
I casi ci sono (come quello del bambino in Germania), ma sono davvero pochi: il CoronaVirus (o Covid-19) sembra colpire pochissimo i bambini. Ma per capire il perché e ipotizzare gli sviluppi, dobbiamo fare un passo indietro e capire di cosa parliamo quando parliamo del nuovo 2019-nCoV.
Il 2019-nCoV o COVID-19 è il nuovo Coronavirus che ha causato un focolaio epidemico a fine 2019 e inizio 2020 nella città di Wuhan, della stessa famiglia della Sars, della Mers e - pochi lo sanno - del comune raffreddore. Questo virus provoca tosse, febbre e difficoltà respiratorie, e nel caso di persone vulnerabili, come gli anziani, le complicanze possono essere molto dure, portando anche al decesso.
Al momento in cui stiamo scrivendo, 11 febbraio 2020, questo nuovo coronavirus ha finora contagiato più di 40.000 persone e più di 1000 ne sono morte, ma di queste i soggetti in età infantile sono davvero pochissimi. O, almeno, solo pochissimi mostrano sintomi riconoscibili.
Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine ha subito messo in luce un fatto: dei primi 425 casi di contagi da Coronavirus, nessun infettato aveva meno di 15 anni.
E in effetti l’età media dei pazienti infetti da Coronavirus Covid-19 sta tra i 49 e i 56 anni, come fanno sapere da un articolo pubblicato sulla rivista Jama, sottolineando come i casi di bambini affetti dal virus siano davvero molto rari. Ma perché, dunque, così pochi bambini vengono infettati?
Il dottor Malik Peiris, capo di virologia dell’Università di Hong Kong, ha ipotizzato in un’intervista sul New York Times che i bambini potrebbero non essere immuni da quest’infezione come pensiamo, sviluppando, invece, dei sintomi molto ma molto più lievi e meno pericolosi rispetto agli adulti. In quel caso, scoprire i casi relativi ai bambini sarebbe molto più complicato, dal momento che la maggior parte non si accorgerebbe nemmeno di essere in presenza di coronavirus, scambiando la malattia magari per un banale raffreddore e non recandosi nemmeno in ospedale.
Lo stesso accadde con la SARS e la MERS: la MERS, scoppiata in Arabia Saudita nel 2012, fece 800 morti, ma come in questo caso la maggior parte dei bambini infettati non sviluppò nemmeno i sintomi. Idem la SARS: nessun bambino morì durante l’epidemia del 2003, e di tutti gli 8000 casi di contagio, solo 135 furono identificati come bambini.
Le altre ipotesi del perché i bambini non vengano contagiati dal coronavirus riguardano principalmente le cause del contagio. Ovvero: i bambini, frequentando meno i mercati di animali vivi (dove, a Wuhan, è partito il focolaio, con il contagio di un umano da parte di un pipistrello - probabilmente) avrebbero meno possibilità di venire infettati. Oppure, potrebbero addirittura essere “protetti” dagli adulti, che lavandosi più spesso le mani e proteggendosi molto meglio rispetto a loro (che non hanno il senso della sicurezza), creano in qualche modo una barriera, uno scudo.
In ogni caso, non è raro per i virus colpire i bambini in maniera più leggera rispetto agli adulti. Pensiamo a come la varicella sia più pericolosa in età adulta e innocua in età pediatrica, o alla semplice influenza, che negli adulti può addirittura provocare la morte, mentre nei bambini è rarissimo che ciò avvenga.
Detto questo, ipotesi o supposizioni che siano, il fatto è certo: la popolazione pediatrica viene colpita meno e meno duramente rispetto agli adulti dal coronavirus. E non può che essere una buona notizia.
Qui sotto vi lasciamo un interessantissimo e molto utile video nel quale il direttore della S.C. Malattie Infettive presso l’Ospedale Niguarda, il professor Massimo Puoti, spiega in maniera semplice e seria tutto ciò che dobbiamo sapere sul Coronavirus Covid-19 e le misure precauzionali da adottare per evitare il contagio.
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