Uno studio pubblicato sul sito dell’Università del Michigan lo dice chiaramente: i bambini mostrano segni di altruismo già in tenerissima età. Ma allora la convinzione che l’egoismo sia insito nell’essere umano dove va a finire? E, soprattutto, come possiamo fare per far sì che la società non intacchi questa bellissima caratteristica naturale dei nostri bambini?
In altre parole: come possiamo fare per far sì che i nostri figli crescano altruisti (come da loro natura)?
Oltre allo studio citato in precedenza, a sostenere la questione è il ricercatore Felix Warneken, che in un’intervista all’Huffington Post ha dichiarato di aver scoperto che i bambini biologicamente e spontaneamente avrebbero una tendenza naturale a curarsi degli altri. “Aiutano fin da piccoli, e lo fanno senza che glielo si chieda, senza che gli si offra una ricompensa o senza che i genitori li osservino. Questo ci fa credere che la natura umana non sia egoista, ma che siamo ben equipaggiati con inclinazioni altruistiche che possono essere valorizzate”.
Detto questo, un conto è la natura, e un conto è l’educazione. E se l’educazione migliore è quella che passa dall’esempio e quella che tiene conto delle tendenze naturali dei bambini, capiamo che è fondamentale cercare di trasmettere questo valore ai nostri figli. Come fare, quindi, per mantenere questa tendenza altruistica?
Innnanzitutto, mostrandoci noi per primi altruisti. In casa, ad esempio, cerchiamo di aiutarci sempre gli uni gli altri, vicendevolmente.
Mostriamo poi le nostre emozioni e cerchiamo di parlare sempre dei sentimenti, di come ci si sente. L’altruismo, infatti, scaturisce prima di tutto dall’empatia: se un essere umano sa cosa prova un altro essere umano, allora tenderà ad aiutarlo, a confortarlo, a farlo sentire bene. Ecco che quindi l’empatia diventa il primo passo per coltivare l’altruismo, scacciando l’egoismo.
Per aumentare l’empatia, possiamo poi leggere dei libri sull’empatia ai bambini, ma anche leggere libri in generale: leggere significa mettersi sempre nei panni di qualcun altro!
Spingiamo poi, soprattutto i primi anni, sull’intelligenza emotiva e cerchiamo sempre di parlare di tutto. Il dialogo su temi importanti è importantissimo per sviluppare il senso critico dei bambini (parlando delle cose in base alla loro età) e per fargli sempre pensare agli altri, oltre che a loro stessi.
Enfatizziamo quindi la gratitudine: mostriamo la bellezza del donare, quindi, ma anche il piacere del ricevere. Quando qualcuno ci fa un favore, ringraziamo e parliamo di quanto è bello sentirsi coccolati; elogiamo i bambini quando si mostrano altruisti nei nostri confronti; e spingiamo in generale sul concetto di gratitudine.

Ah! Infine, non preoccupatevi troppo se i bambini, nei primi anni, vi paiono “egoisti” perché non condividono le loro cose. Non condividere non è sinonimo di essere egoisti, ma è un comportamento naturale per i bambini (qui un articolo dedicato). Sarà proprio crescendo e venendo da noi educati che i bambini capiranno il valore della condivisione, di pari passo con il loro mantenersi altruisti.
Ci prende un po’ alla sprovvista, soprattutto le prime volte: quel singhiozzo nei primi mesi di vita è davvero spaventoso per un neogenitore! Ma la buona notizia è che è un riflesso naturale assolutamente innocuo e a livello medico-pediatrico, tendenzialmente, non c'è nulla di preoccupante.
Solitamente arriva dopo una poppata, e subito pensiamo: “Oddio, avrà succhiato troppo in fretta. Oppure in maniera troppo abbondante!”. In ogni caso, il primo singhiozzo del neonato può fare paura. Perché come tutto, un fatto così normale per noi adulti se associato ad un bambino molto piccolo può fare spaventare. Gli farà male? Finirà da solo? Dovrò fare qualcosa per alleviarlo?
La risposta è “no”. Non dobbiamo fare niente: il singhiozzo è uno spasmo muscolare involontario assolutamente naturale che secondo gli esperti andrebbe, anzi!, lasciato accadere.
In un’intervista a Today la dottoressa Hillary Sismondo, pediatra e assistente del NYITCOM dell’Arkansas State University, ha parlato proprio del singhiozzo nei neonati: “Molti genitori si preoccupano e pensano che il proprio bambino possa avvertire un disagio quando ha il singhiozzo. In realtà non è così”.
Il singhiozzo è infatti un riflesso naturale del diaframma, un muscolo tra gli addominali e i torace che si muove su e giù aiutando il respiro. A volte il diaframma, come tutti gli altri muscoli del corpo, soffre di spasmi, e questi spasmi causano il singhiozzo. Il motivo di questi spasmi, tuttavia, non è chiarissimo, e come non è chiaro il motivo, così non sono chiari i metodi per farlo passare. Ecco perché è meglio evitarli del tutto, lasciando quindi che il singhiozzo passi da sé.
Ci sono un gran numero di metodi casalinghi che promettono di fare passare il singhiozzo (se non per i neonati, almeno per i bambini). Pensiamo allo zucchero con il limone, al trattenere il respiro, al bere l’acqua… “Ho sentito parlare di un gran numero di rimedi casalinghi”, ha continuato la dottoressa Sismondo. “Nessuno di questi ha un’efficacia provata e non sono nemmeno sicuri per gli infanti”.
Continua, quindi, suggerendo gli unici metodi sicuri per non causare problemi ai bambini e per provare a calmare il singhiozzo prevedendolo: il semplice ciuccio potrebbe aiutare a prevenirlo, ad esempio, così come delle pause durante le poppate (durante le quali sarebbe bene provare a far fare il ruttino ai bebè). In questo modo uscirà l’aria in eccesso nello stomaco.

Anche allattare i bambini prima che siano troppo affamati è un buon metodo per prevenire il singhiozzo, in modo che non siano troppo famelici e quindi ingordi, di latte e di aria.
In generale, basta tenere presente che il singhiozzo non è pericoloso. Una visita dal pediatra, tuttavia, è consigliata in alcuni casi: quando la frequenza del singhiozzo è eccessiva, ad esempio, ma soprattutto quando il singhiozzo è spesso accompagnato dal vomito o da altri segnali di disagio del bambino.
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C’è chi vorrebbe subito fare il secondo dopo pochi mesi dalla nascita; chi dopo cinque anni è ancora insicuro; e chi proprio non ci pensa. In ogni caso, è giusto e naturale avere dubbi sul momento giusto di fare il secondo bambino.
Le mamme e i papà giustamente si chiedono: ma scombussolerà mio figlio, l’arrivo di un fratellino? Ma è troppo presto? Oppure è troppo tardi? Proprio ora che abbiamo trovato la giusta routine del sonno? Come influenzerà un secondo figlio sulla nostra famiglia? Riceveranno entrambi le stesse attenzioni?
I dubbi e le paure sono normali, e c’è da dire che: 1) ogni famiglia sa quando è meglio portare una nuova vita nel proprio nido; 2) non esistono calendari precisi e la cicogna arriva (se arriva) quando arriva; 3) nel momento in cui arriva un bimbo, presto o tardi, assestarsi risulterà naturale. Certo, ci saranno più o meno difficoltà, ma non abbiate paura.
Detto questo, effettivamente esiste un periodo migliore rispetto ad un altro, e a dirlo è la scienza. Secondo questo studio pubblicato sulla rivista di medicina internazionale JAMA per le madri che restano incinte meno di dodici mesi dopo la nascita del primo figlio, si alza il rischio di nascita prematura, malattie e morte. Questo non significa che sia vietato, anzi, ma semplicemente che il rischio si alza.
La dottoressa Patrice Harold, direttore di ginecologia microinvasiva del Detroit Medical Center's Hutzel Women's Hospital, ha spiegato in un’intervista su parents.com che il periodo migliore per concepire il secondo figlio sarebbe dunque dopo il compimento dei 18 mesi del primo figlio, confermando che attendere questo lasso di tempo diminuirebbe i rischi, come anche raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità (che addirittura consiglia di aspettare che il primo figlio abbia compiuto due anni).
In ogni caso, ogni attesa ha i suoi pro e i suoi contro.
Decidere di fare il secondo figlio subito, prima che il primo compia i due anni, è certamente suggerito per quei genitori che vogliono concentrare tutte le forze ora, sfruttando strumenti e approcci per due bimbi quasi contemporaneamente, con il pensiero aggiuntivo di farli crescere “vicini” di età, in modo da potersi tenere compagnia vicendevolmente. I contro di questa scelta sono certamente il caos che regnerà in casa (eh già! Due neonati!), le purtroppo ancora presenti difficoltà sul lavoro per le donne (che potrebbero trovarsi di fronte a scelte dolorose, in una società come la nostra) e il poco sonno.

Attendere tra i due e i quattro anni può risultare certamente più “rilassante”, poiché si sono trovati i ritmi con il primo figlio che, un po’ più grande, potrà capire meglio i cambiamenti e addirittura aiutarci. I bambini non saranno così distanti di età, crescendo, e potranno giocare comunque insieme. Anche per quanto riguarda il lavoro, si potranno sfruttare i congedi parentali tornando al lavoro e prendendo il secondo con l’arrivo del secondo bambino, senza stare a casa, in questo modo, per moltissimi mesi filati. I contro? È difficile trovare babysitter che si barcamenino con bimbi così diversi, ma è anche difficile, per alcuni genitori, “tornare” allo stadio uno, ormai superato con il primo figlio.

Attendere di più? I contro saranno gli stessi, e i pro saranno altrettanti: i due bimbi riceveranno quasi le stesse attenzioni (per quei genitori preoccupati del “protagonismo” inevitabile del neonato, che ruberebbe la scena al primogenito) e i genitori potranno focalizzarsi sulla crescita di entrambi, essendo il primo già più indipendente e collaborativo. I bambini saranno anche “lontani” a livello di età, ma anche questo ha i suoi pro: il primogenito si sentirà molto protettivo nei confronti del fratello e diventerà un po’ una guida. Sarà di certo difficile trovare l’equilibrio tra i pannolini e la scuola del bimbo ormai grande, ma sarà una bella sfida. Ah, tra i contro ce n’è anche uno economico: probabilmente tutta l’attrezzatura sarà passata in altre mani o non sarà più sicura perché non più a norma, quindi sarà da rifare!

Estate è sinonimo di sole, mare, sabbia, giornate lunghe, camminate… E di zanzare. Ahinoi, i piccoli insetti ci inseguono ogni anno per banchettare sulla nostra pelle (letteralmente), costringendoci ad ungerci con spray e creme antizanzare puzzolenti o iper profumati e a grattarci tutta notte le caviglie nel piccolo punto che avevamo lasciato fuori.
Un’altra soluzione è quella di riempire le case e soprattutto le soglie (e quindi i pressi delle porte finestre e delle finestre) di piante dal profumo sgradito alle zanzare. Invece di riempirci di antizanzare, insomma, rendiamo le nostre abitazioni anti zanzare naturali grazie a queste 6 piante, che oltre a proteggerci coloreranno i nostri spazi e li profumeranno anche.
La citronella è spesso la base dei prodotti antizanzara, ed è altrettanto ottima se posta sulle finestre o sulle porte. Il suo profumo di limone e di agrumi è molto forte e allontanerà le zanzare naturalmente riempiendo la nostra casa di verde.

Non sono solo decorativi e tipici dei balconi del Trentino Alto Adige: i coloratissimi gerani hanno un potere repellente davvero forte, tanto che potremmo utilizzarne anche l’olio essenziale diffuso per tenere lontane le zanzare. Se vogliamo coltivarli, basta qualche vaso: non hanno bisogno di spazi eccessivamente larghi e quindi vanno benissimo sulle finestre.

La sentono più i gatti di noi, ma il suo profumo ricorda quello della menta e il suo potere repellente è dieci volte superiore a quello delle altre piante citate!

Non serve solo per alleviare le irritazioni: la calendula è una pianta ricca di piretro che repelle le zanzare e che possiamo seminare fuori casa nelle aiuole (a terra ai bordi delle siepi e dei cespugli) oppure tenere in vaso sui davanzali e accanto alle porte finestre.

Il suo profumo è forte e penetrante, molto piacevole al naso degli esseri umani e molto sgradito a quello delle zanzare. La si coltiva o a terra o in grandi vasi ed è quindi adatta per giardini e balconi.

Il basilico in vaso già di suo andrebbe vicino alle finestre per acchiappare tutta la luce del sole disponibile in estate. Lasciamolo quindi in una zona soleggiata (ma non alla luce diretta), vicino alle finestre: il profumo allontanerà le zanzare, inebrierà la casa e ci permetterà di avere a portata di mano qualche foglia per il pesto all’occorrenza.

Per i bambini impegnarsi nelle faccende domestiche fin da piccoli è fondamentale ed estremamente educativo (oltre che utile alla vita, dato che rimarrà loro un bagaglio di azioni che gli permetterà di arrangiarsi e di diventare responsabili).
Ma quali sono le faccende domestiche più adatte ai bambini? Quali compiti assegnare loro per educarli e per insegnargli l’importanza della responsabilità?
Dai due anni, lasciamo che i bambini raccolgano i loro giocattoli e che li ripongano in un cesto o nella zona in cameretta dedicata. In cucina, possiamo invece lasciare che ci aiutino a lavare gli ingredienti, come la frutta, e in lavanderia possiamo lasciarli dividere insieme a noi i colori degli indumenti da lavare.
Importante è anche, in questo periodo, far sì che i bambini giochino alle faccende domestiche, lavando ad esempio le bambole o stendendo per finta, ad esempio i fazzoletti o i vestiti delle bambole.
Dai quattro, cinque anni un compito perfetto per i bambini è lo spolverare: lasciamo loro un panno in cotone o un panno elettrostatico e lasciamo che puliscano le zone sicure in cui arrivano (e che noi, oltretutto, raggiungeremmo a fatica): le basi dei mobili, i ripiani bassi, gli angolini… Crescendo, poi, potranno spolverare tutto, avendo acquisito una buona manualità da piccoli.
Importante è, se abbiamo un animale domestico, dare un po’ di responsabilità ai bambini in questo senso. Lasciamo che siano loro ad occuparsi ogni mattina e ogni sera dei croccantini, ad esempio, controllando sempre la ciotola dell’acqua. Dai cinque anni questo dovrebbe essere un compito semplice ma serio e importante, che dà loro senso di responsabilità.
Dai sette, otto anni è ora di aiutare davvero con i compiti quotidiani e non solo con lo spolvero del sabato. I bambini a questo punto potranno apparecchiare e sparecchiare (se già non lo facevano) e caricare la lavastoviglie o lavare i piatti dopo il pasto.

Sempre verso quest’età, è il momento di lasciare ai bambini spazio nella loro cameretta, lasciando a loro il compito di tenerla pulita e in ordine. Una volta a settimana, mentre tutti puliscono la propria zona, i bambini sistemeranno la camera, spolverando, mettendo in ordine e pulendo anche il pavimento. L’aspirapolvere a questo punto dovrebbe infatti essere perfetto per la loro altezza!
Altre faccende domestiche che possiamo affidare ai bambini per insegnare loro educazione, responsabilità, importanza dell’igiene e soddisfazione sono il lavare la macchina (magari pagandoli, e insegnando così loro anche l’importanza del denaro guadagnato), il caricare le lavatrici imparando i cicli di lavaggio, il cucinare insieme a noi e pulire il giardino, il vialetto o l’esterno di casa.
Non dimentichiamo poi il piegare bene i panni quando escono dall’asciugatrice o quando sono asciutti (si potrebbe fare una volta per uno), l’aspirare i tappeti di casa, il semplice asciugare le stoviglie una volta lavate o l’organizzare la raccolta differenziata portando sempre carta, plastica e vetro al posto giusto.

Insomma, di faccende domestiche per bambini in casa ce ne sono, basta individuarle e dare la possibilità ai nostri figli di svolgerle, non accollandoci tutto e soprattutto insegnando loro il valore della condivisione, della cooperazione e dell’altruismo.
Come negli adulti, lo stress può presentarsi anche nei bambini. Solo che pensiamo sempre che questo aspetto della vita non li tocchi: “sono ancora piccoli, cosa mai potrebbe stressarli?”. E invece…
E invece la scuola e i voti, le separazioni, le perdite, i litigi, gli incubi, lo sport e chi più ne ha più ne metta provocano spesso stress nei bambini. Che tuttavia non ci comunicano questo loro disagio, in primis perché non sanno riconoscerlo nemmeno loro. Sta a noi genitori, quindi, leggere i segnali e riconoscere i sintomi dello stress infantile, cercando poi di alleviarlo e di cercare aiuto professionale quando la situazione si fa seria.
Innanzitutto, lo stress vero non è il semplice disagio e il temporaneo senso di agitazione che accompagna tutti nella vita. I bambini stanno crescendo, quindi molte situazioni provocheranno in loro strane emozioni. Questo è normale, è naturale ed è necessario alla crescita. Lo stress, invece, è altro: è una situazione mentale estrema, che fa stare male il bambino a lungo e che potrebbe avere strascichi negativi.
Il primo segno dello stress sono quindi l’irritabilità e i capricci. Non quelli classici, ma quelli espulsivi e ripetuti, quotidiani e lunghi. Quando l’irritabilità è così spiccata, sembra quasi che i bambini abbiano le classiche “giornate no” tutto il giorno e tutti i giorni.
Altro segnale di stress nei bambini sono i frequenti mal di pancia e i frequenti mal di testa, di quelli che fanno saltare la scuola o gli impegni troppe volte al mese. In questo caso non sono malesseri inventati per “saltare qualcosa”, ma è un segno che l’ansia del bambino e il suo stress si stanno riversando fisicamente nella pancia (l’intestino è il secondo cervello!) e nella testa, affollata di pensieri. Quando i bambini ci comunicano spesso che hanno mal di pancia, quindi, ascoltiamoli: è il loro corpo che ci sta comunicando ciò che a parole non riescono ad esprimere.
Ci sono poi bambini che delle ansie parlano. E anche questo è un segnale: se in un determinato periodo ci parlano sempre dei loro incubi o della sensazione di chiusura sulla bocca dello stomaco, allora è probabile che sia lo stress. Anche in questo caso, l’ascolto è importantissimo.
Essendo le routine fondamentali per la vita dei bambini, possiamo poi fare affidamento su di esse per capire se nostro figlio è vittima dello stress. In particolare, la routine del sonno potrà essere un campanello di allarme nel momento in cui il bambino faticherà ad addormentarsi alla solita ora o quando si sveglierà molte volte nel cuore della notte. Allo stesso modo, anche dormire molto di più del solito (in situazioni normali, non in vacanza) è un segnale di stress.
Non sottovalutiamo, inoltre, quando un bambino sviluppa comportamenti “scaramantici”, ripetitivi o irrazionali. Ad esempio, ha paura a fare qualcosa per paura che un’altra cosa accada. Oppure ha dei gesti personali che ripete svariate volte al giorno, anche in maniera ossessiva. Ci sono poi bambini che controllano di aver fatto le cose in maniera impeccabile, guardando e riguardando il rislultato con la paura di trovare errori.
Infine, segnale importante di stress nei bambini sono l’abbassamento dei voti a scuola e la difficoltà a connettere con gli amici della propria età.
Quando questi segnali cominciano ad accumularsi e a mostrarsi insieme, è bene consultare il nostro pediatra: lo stress è deleterio non solo a livello mentale, ma anche fisico, e trovare la soluzione per tornare ad una situazione di serenità è quanto mai auspicabile.
Comunicare in modo efficace con i bambini rappresenta uno dei punti saldi di una relazione sana, rispettosa e funzionale.
“Le parole sono finestre oppure muri” diceva Rosenberg, e dipende da noi, aggiungo io.
Comunicando trasmettiamo non solo messaggi espliciti, ma anche desideri, bisogni e aspettative.
Le parole hanno un peso, così come le azioni.
Forse anche tu fai parte di quella nutrita schiera di genitori che ritiene di non riuscire a comunicare bene con i figli e di non trovare il modo più efficace per farlo.
Di seguito puoi leggere alcune riflessioni, per darti degli spunti utili per la tua personale ricerca in tal senso.
Puoi dare valore alla relazione in molti modi, sicuramente con la scelta delle parole da dire per sostenere il tuo bambino e comunicare la tua presenza.
Ricorda che i piccoli gesti, il contatto fisico e lo sguardo hanno la loro importanza anche e ancor di più in situazioni di “crisi”.
I bambini hanno bisogno di sentirsi accettati per ciò che sono, di essere pensati e di essere visti!
Si è soliti pensare all’educazione dei bambini secondo una doppia visione che da un lato ritiene che sia indispensabile essere rigidi e imporre regole, e che dall’altro sostiene che i limiti siano neccessari ma che non debbano essere eccessivi.
Secondo la visione che abbraccio, le regole funzionano se sono chiare e semplici.
Un eccesso di limiti, inoltre, può innervosire, frenare e addirittura inibire.
Chiediamoci: “questa regola è necessaria o è una mia necessità”?
Ricatti e minacce sono strumenti con i quali l’adulto detiene il potere, spesso ancora considerati necessari per ottenere ascolto e obbedienza.
Vi invito a riflettere sul loro impatto emotivo, prima di tutto.
Come si sentirà il bambino minacciato dalle persone più importanti per lui?
Inoltre, anche se si ottenesse l’ascolto o l’adesione, ci pensate al paradosso? Il bambino vi sta ascoltando perchè ha capito le vostre ragioni oppure è semplicemente emotivamente costretto?
Nello stesso filone vanno inseriti i premi e le punizioni; assolutamente privi di valore educativo e strumenti che alla lunga sviluppano insicurezza e dipendenza.
Seppur con intenzioni benevole, può capitare di trovarsi a squalificare il messaggio che ci sta comunicando il bambino.
Frasi come “non è successo nulla” o “non devi piangere per queste sciocchezze” trasmettono un giudizio che va nella direzione del “ciò che mi stai dicendo/ ciò che stai facendo non ha rilevanza”.
Un concetto trasmesso con un linguaggio positivo avà successo in quanto incentiva e non mortifica, infonde fiducia e non rende timorosi.
Frasi come “Attenta che cadi, non correre” o “presta attenzione” avranno un effetto diverso sulla psiche del bambino, che nel primo caso, molto probabilmente sperimenterà la sensazione di non essere in grado.
Allo stesso modo anche raccomandazioni come “Non toccare nulla nel negozio” andrebbero evitate, poichè mettono l’attenzione sull’azione e ne richiamano la rappresentazione che gurda caso tende realmente a verificarsi!Vero?
Quando il bambino compie un’azione che non ci piace, prestiamo attenzione alle parole; connotiamo l’azione e non il bambino.
Dire “sei un bugiardo” etichetta, giudica. Rivolgersi al bambino dicendo “hai detto una cosa non vera, parliamone” è ben diverso.
Essere autentici e quindi coerenti ripaga sempre.
Spesso il linguaggio non verbale mostra ciò che vorremmo tacere e la nostra credibilità agli occhi dei bambini rischia di essere minata.
I bambini del resto, sono osservatori favolosi e ci mettono con le spalle al muro!
L’intelligenza emotiva si allena fin da piccoli e gli adulti possono dare il buon esempio, esprimendo le emozioni senza timore di mostrare la propria vunerabilità.
Se siamo arrabbiati, stanchi, euforici o delusi, dichiariamolo.
Servirà a noi e ai bambini che avranno un’occasione per allenarsi nel riconoscimento e nella comprensione delle emozioni altrui.
Riassumendo e semplificando, la capacità di ascolto e l’autenticità sono un buon punto di partenza per una reciproca soddisfacente relazione e di conseguenza una migliore comunicazione.
Dott.ssa Acanfora
Gira la Moda, Pallino, l’Orso Tatu, le Polly Pocket, Mister Muscolo, le macchinine che sfrecciavano… Qual era il vostro giocattolo preferito? La bella notizia è che molti esistono ancora (anche se in versioni aggiornate!) e quindi i nostri bambini possono fare insieme a noi un tuffo negli anni Novanta!
Ora si chiama Pallino Coding, ma di base è il classico Pallino di Quercetti che tutti abbiamo amato da piccoli! Non è solo divertente: insegna ai bambini a scomporre i problemi e a renderli più semplici. Giocando! Lo troviamo qui.

C’erano all’asilo, c’erano a casa: i chiodini erano un must dell’infanzia negli anni Ottanta e Novanta. Li troviamo qui.

“Orso Tatu, con te mi diverto di più!”. Sì, esiste ancora! Eccolo.

Sì, le macchinine che sfrecciavano nel giro della morte erano un sogno! Ci sono ancora, e qui trovate il set camion-trasportatore.

Esiste ancora anche Cicciobello, in mille versioni (sederino rosso, bua, lacrime vere…). Un’alternativa, tuttavia, è scegliere bambole più inclusive, come queste.
Il “vero” Mister Muscolo (quello a cui si allungavano gli arti!) è difficile da trovare, ma online (come qui) ne troviamo alcune versioni davvero simili!

Uno dei giochi da tavolo più amati dai bambini (e dai grandi): si allenano la manualità fine, la precisione e la conoscenza del corpo umano (anche se, sì, in maniera goliardica!).

Divertentissimo per le serate in famiglia e perfetto per tenere i bambini occupati e concentrati, il Cocco Dentista al quale dobbiamo schiacciare i denti con delicatezza evitando il suo morso esiste ancora!

Ora le fanno grandi e ampie, ma le Polly Pocket nella conchiglia esistono ancora: questa ad esempio porta le nostro Polly Pocket al mare!

“Il nuoto è uno sport completo” è un luogo comune per eccellenza. Una frase cliché che probabilmente si prende il podio delle frasi cliché più pronunciate al mondo. Ma come sempre, nei luoghi comuni un fondo di verità c’è. Ed effettivamente il nuoto è uno sport così completo da risultare una delle attività fisiche migliori per i bambini.
Lo si può cominciare fin da piccolissimi (ci sono corsi per genitori e neonati nei primi mesi, e corsi di nuoto a partire dai 3 anni di età); lo si può svolgere sempre, quando non ci sono particolari condizioni di salute; ed è super completo a livello muscolare. Il nuoto è davvero lo sport più completo ed è molto consigliato, dal momento che stimola i bambini fisicamente e mentalmente.
Ma perché “completo”? “Completo” è l’aggettivo che più si sente associato a questo sport, ed è così perché per restare a galla e per nuotare sono coinvolti tutti i principali muscoli del corpo, e non solo quelli delle braccia e delle gambe, ma anche quelli del torso.
Innanzitutto, quindi, il nuoto è uno sport consigliato fin dai primi anni di vita proprio per questo motivo, ovvero perché mette in moto tutti i muscoli dei bambini, facilitandone lo sviluppo. Allo stesso tempo, fa consumare un sacco di energie, mantenendo così i bambini nella giusta forma (e con il giusto appetito: arrivano a sera con una fame da lupi dopo il nuoto!).
La coordinazione, poi, ne beneficia immensamente. Innanzitutto, di nuovo, perché anche solo per restare inizialmente a galla c’è bisogno di controllare moltissimi muscoli e movimenti, e poi perché l’acqua, essendo un elemento diverso dall’aria, porta i bambini a sperimentare uno stato diverso, portandoli a calibrare i movimenti e a scoprirne di nuovi. Tutto questo, però, non solo quando i bambini impareranno a nuotare, ma anche prima: spesso, infatti, i neonati che seguono corsi in acqua con i genitori imparano prima anche a camminare (nonostante si tratti, in questo caso, di semplici momenti di breve apnea e di movimenti semplici e controllati).
La respirazione è il terzo aspetto che trova beneficio dal nuoto. Essendo alternativamente sott’acqua e sopra l’acqua, i bambini devono imparare a modulare il loro respiro, comprendendolo meglio fin da subito.
Per non parlare della postura e della schiena: i medici consigliano moltissimo il nuoto come sport per aiutarsi ad acquisire una postura migliore e per mantenere in buona salute la nostra schiena, prevenendo anche la scoliosi ed altri problemi importanti.
Come tutti gli sport, poi, il nuoto è stimolante a livello di apprendimento (perché ascoltando l’istruttore si imparano sempre cose nuove e si impara - allo stesso tempo - a dare ascolto a chi ci sta di fronte, come in un circolo vizioso che aumenta la concentrazione e l’ascolto), ed è ottimo per socializzare, anche per quei bambini che non amano gli sport di squadra.
Infine, essendo uno sforzo difficile e non naturale, il nuoto aiuta i bambini ad aumentare la propria autostima. Inizialmente, infatti, è molto difficile nuotare, ed è anche parecchio pauroso. Pian piano, imparando, il bambino supera i suoi limiti e le sue paure, trovandosi indipendente e capendo che è possibile fare cose che si pensavano impossibili.
Visti i benefici, quindi, il nuoto è davvero consigliato per i bambini. E sì, è uno sport completo, anche se non il più completo. Perché ci sono moltissime altre attività complete e benefiche: il calcio, il rugby, lo skate, il pattinaggio, la danza, la camminata in montagna, lo sci di fondo per bambini…
Qui un articolo dedicato allo sport da scegliere in base all’età dei bambini.
Piccoli eroi: sono questo i nostri bambini in tempo di pandemia. Isolati in lockdown, lontani dalla scuola, lontani dagli amici. E ora attentissimi quanto noi alle regole: distanziamento, igiene, mascherina.
Già, la mascherina: che pizza! Lo è per noi, immaginate per i bambini. Ma è necessaria, punto, e non si discute. Perché è uno strumento che protegge noi e che protegge gli altri.
Ma come renderla più sopportabile? Come far sì che i bambini accettino più volentieri la mascherina? Ecco qualche consiglio.
Innanzitutto, i nostri bambini non sono mai troppo piccoli per capire l’importanza della mascherina antivirus. I bimbi più piccoli possono non portarla, ma dai sei anni, come spiegano sul sito del Ministero della Salute, è necessario indossarla nei luoghi pubblici o affollati (negli Stati Uniti, addirittura dai 3 anni).
Il primo consiglio quindi è quello di parlare della mascherina e del suo utilizzo, e di come questo apparentemente scomodo strumento sia necessario e utile per limitare la diffusione del covid, che sta piegando il mondo intero (e questo diventa anche un modo per parlare apertamente ai bambini della pandemia, anche a quelli più preoccupati). La mascherina, dunque, è un piccolo gesto igienico che, insieme al lavaggio costante delle mani, possiamo compiere per evitare di contagiare e di essere contagiati, spezzando una catena pericolosa.
Spieghiamo anche che indossare la mascherina è un gesto di generosità e attenzione nei confronti degli altri! Diventeremo, insomma, dei piccoli supereroi.
Il secondo consiglio è quello di acquistare delle mascherine per bambini che siano innanzitutto fatte per loro: se sono troppo grandi o troppo piccole, infatti, diventano ancora più scomode.
Terzo consiglio è lasciare che i bambini scelgano la fantasia della loro mascherina. Si sentiranno più responsabili, si entusiasmeranno per il soggetto (sì, preparatevi a dover comprare mascherine di Frozen e di Peppa Pig!) e la indosseranno così più volentieri. Se ci dilettiamo con la macchina da cucire, possiamo anche cucire insieme ai bambini le nostre mascherine, lasciando che scelgano il tessuto. E se non ne abbiamo ma dobbiamo uscire, possiamo fare la mascherina dell’ultimo minuto con un foulard o una bandana e due elastici; anche in questo caso, lasciamo che i bambini scelgano il tessuto e la fantasia.
E prima di portarla in pubblico, assicuriamoci che i bambini sappiano portarla. Anche per noi a volte è difficile, no?, con gli elastici che fanno male alle orecchie, il tessuto che scende sotto il naso e gli occhiali che si appannano (anche se c’è un trucco per far sì che non si appannino!). Insegniamo quindi ai bambini ad indossarla correttamente e teniamola per qualche tempo in casa. In questo modo, quando la porteranno nei luoghi pubblici sapranno già come tenerla al meglio.