Sembra un topic semplice e spensierato, ma non lo è. Per due motivi: trasferirsi e traslocare non sempre è una buona notizia (a volte si è costretti, oppure la vita ha preso una direzione inaspettata); e, soprattutto, il trasloco è un grande cambiamento, e come tutti i grandi cambiamenti può essere vissuto dai bambini con intensità, stravolgendoli.
La cosa più giusta da fare è preparare per tempo i bambini, ovvero almeno due o tre mesi prima del trasloco (se ne abbiamo la possibilità). Anzi: prima è, meglio è. Diciamo quindi loro che dobbiamo parlare di qualcosa di importante, come persone adulte, e sediamoci al tavolo o sul divano e spieghiamo loro la situazione.
Prima di tutto scegliamo il giusto tono. Che non deve essere assolutamente negativo (per non proiettare le nostre emozioni su di loro), ma nemmeno eccessivamente eccitante per evitare di confondere loro le idee e per non sminuire la loro eventuale reazione negativa. Se invece loro saranno i primi entusiasti dell’idea, potremo unirci a loro.
Nel momento in cui si renderanno conto che cambieranno davvero casa, la situazione sarà sicuramente triste, con emozioni di malinconia che prenderanno il sopravvento. In questo caso e quando questo avviene è bene provare a stilare le cose positive della nuova sistemazione, della nuova zona, dei nuovi vicini, magari facendo una ricerca online insieme sui nuovi ristoranti, sui nuovi parchi e sui nuovi quartieri.
Soprattutto, possiamo elencare tutte quelle abitudini e tradizioni che non cambieranno e che verranno semplicemente “spostate” nella nuova casa.
A questo punto è bene coinvolgerli in prima persona e responsabilizzarli. Coinvolgerli chiedendo cosa farebbero e cosa porterebbero “di là” (oggetti, ma soprattutto le abitudini!) e responsabilizzarli dicendo che sarà loro compito organizzarla e sistemarla.
Altra domanda che possiamo rivolgere ai bambini è: “Come possiamo rendervi il trasloco più piacevole e confortevole?”. Sembra una domanda stupida ma è fondamentale, perché fa capire loro che non sono passivi e non considerati, ma che è importante per noi che stiano bene.
Se i bambini sono grandicelli, nessuno vieta, poi, di coinvolgerli direttamente nella ricerca della nuova casa ancora prima della decisione di traslocare. In questo modo si sentiranno più coinvolti, responsabili e “adulti” e questo coinvolgimento è molto positivo per l’atteggiamento.
In altre parole, coinvolgimento, ricerca e responsabilizzazione.
Dalla pandemia 2020 abbiamo imparato una cosa: che la panificazione è una figata! Non solo per quanto riguarda il pane "normale", ma anche quello più elaborato e sfizioso. Come ad esempio il pane integrale per hamburger fatto in casa, ovvero i panini ciccioni per accogliere i burger, da rendere più sfiziosi con i semi di papavero in superficie. Sono perfetti per la serata hamburger!
E no, la serata non dovrà per forza essere dedicata al junk-food. Basterà abbinare ai nostri panini per hamburger un burger di ceci e delle chips di verdure!
Ogni bimbo ha i suoi tempi, ma tendenzialmente i genitori si accorgono di quando è tempo di cambiare le abitudini della nanna passando dal lettino con le sbarre (o dal cosleeping) al lettino in cameretta. Un passaggio davvero importante, che tuttavia può riservare qualche insidia! Ecco quindi i nostri consigli per far sì che la transizione sia serena e senza intoppi.
I segnali più comuni che ci indicano che è arrivato il momento di spostarci nel lettino in cameretta sono la tendenza del bambino a scavalcare le sbarre (rendendo la culla pericolosa!), a saltare giù più spesso e ad agitarsi nel sonno. Non c’è un’età precisa, e, soprattutto per il primo segnale, è bene fare attenzione, poiché ci sono bambini che già a 18 mesi (se non prima!) riescono a scavalcare le sbarre, cadendo spesso rovinosamente in terra. Prevenire è meglio che curare, come sappiamo, ed è per questo che ai primi segnali è bene correre ai ripari.
C’è, ad esempio, chi prova con il lettino montessoriano già dai dodici mesi, e in effetti non è una cattiva idea, perché anche per i bambini che gattonano e non camminano ancora non c’è pericolo di cadere, poiché si tratta di un materasso essenzialmente appoggiato a terra.
Se invece i bambini sembrano dormire tranquillamente nel lettone o nella culla, possiamo lasciali lì fino ai due anni senza problemi: saranno loro, con naturalezza, a fare capire quando sarà il momento di passare al lettino, mostrando voglia di autonomia e passando sempre più tempo nella loro cameretta.

Un’idea, quindi, può essere quella di montare il lettino per tempo, prima che il bambino abbia raggiunto l’età per dormirci da solo. Oppure, se temiamo che i capricci si facciano sentire perché il bambino è particolarmente attaccato al suo lettino, possiamo proporre, ad un certo punto, il lettino in cameretta come un regalo “da grandi”, facendolo trovare come una sorpresa e invogliando così il bambino ad entrarci e a dormirci.
I primi giorni, probabilmente, farà comunque una capatina nel lettone o nel suo vecchio lettino (se riesce ad entrarci). Per questo motivo, è sempre meglio mettere il lettino vecchio fuori dalla portata del bambino e soprattutto lontano dai suoi occhi. In questo modo, pian piano, se lo dimenticherà.
Nello stesso momento possiamo ideare una nuova routine della buonanotte, in modo che i bambini associno ai gesti (un nuovo spazzolino, la lettura di un libro a letto, una coccola speciale…) la nanna nel lettino nuovo.
Colpisce sei bambini su cento, eppure la maggior parte di noi non ne ha mai sentito parlare. Stiamo parlando della disprassia, disturbo che riguarda lo sviluppo motorio del bambino e che ne rende difficili i gesti quotidiani ed espressivi. In altre parole, il bambino che soffre di disprassia fa fatica a vestirsi, allacciarsi le scarpe, cominciare emozioni con i gesti, usare la manualità fine…
Come riconoscere quindi la disprassia? E come risolverla?
Purtroppo è una condizione ancora molto poco conosciuta e di cui non si hanno informazioni (e per questo è poco riconoscibile e diagnosticabile - per intenderci, non esce durante gli indici di Apgar), ma la disprassia fa sì che i bambini non riescano facilmente a coordinare i propri movimenti e a programmare ed eseguire le azioni che vogliono compiere. Proprio per il suo non essere conosciuta e di conseguenza riconosciuta, spesso la disprassia porta i genitori ad identificare i bambini semplicemente come goffi (quando non è marcata). Tuttavia ci sono segnali che possono farci capire di essere di fronte proprio a questo disturbo.
Ma andiamo con ordine. La disprassia è una condizione dovuta all’alterazione dello sviluppo degli apprendimenti dei gesti e dei movimenti, ovvero delle azioni coordinate nel tempo e nello spazio per eseguire una determinata azione. In altre parole, i bambini affetti da disprassia non riescono immediatamente ad eseguire i gesti che hanno in mente di compiere, soprattutto quando questi sono precisi e specifici. Tutto questo, tuttavia, non deve essere associato ad altre malattie neurologiche o ad altri deficit mentali, che potrebbero essere la causa della difficoltà.
Più frequente nei maschi che nelle femmine, la disprassia può essere identificata dai genitori e dai medici curanti quando c’è difficoltà nei movimenti o ritardo nello sviluppo della coordinazione; quando ci sono difficoltà di coordinazione non dovute ad altre patologie specifiche; e quando queste difficoltà di coordinazione interferiscono con lo svolgimento delle azioni quotidiane e scolastiche.
In particolare, alcuni segni precoci di disprassia sono l’eccessivo ritardo nel gattonare o nel camminare, le scarse capacità sportive e la non coordinazione o l’essere particolarmente goffi e impacciati nei movimenti. In particolare, il bambino disprassico fatica ad allacciarsi le scarpe e a chiudere i bottoni, ad assemblare i puzzle, a scrivere, a disegnare, a giocare con le costruzioni e a utilizzare le posate.
Quando genitori ed educatori si accorgono di tutto ciò, è bene rivolgersi al medico e al pediatra, che giungeranno ad una diagnosi e sapranno guidare la famiglia verso l’indirizzo terapeutico migliore, che potrà essere variegato e non univoco, associando la logopedia con la psicomotricità e la psicoterapia. In particolare, le attività consigliate per risolvere la disprassia sono quelle che mirano ad una migliore conoscenza del proprio corpo, alla propriocezione, alla comunicazione, al miglioramento delle posture, alle analisi delle distanze nello spazio tridimensionale e all’automatizzazione di gesti quotidiani e frequenti.
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Questa ricetta non è "originale" cinese. In realtà è un'elaborzione di un piatto tipico e semplice, ovvero la minestra di mais e uovo. Per renderla ancora più facile e per darle un tocco in più basta qualche noodle di grano. Il risultato è una zuppa-minestra corposa e saporita, perfetta per riscaldare le sere d'inverno (ed è pronta in dieci minuti! Basta avere il bollitore elettrico e il gioco è fatto).
Premesso che non vi è una regola precisa e che tutte le posizioni dell'allattamento possono essere giuste, è bene conoscere quelle ritenute più performanti, comode ed efficienti. I primi tempi sono fatti apposta per provare di volta in volta una nuova posizione; la mamma e il bambino capiranno poi quali sono quelle giuste per loro, quelle più comode, quelle in cui si trovano maggiormente a proprio agio.
Prima di tutto, è bene sapere che ogni posizione implica una maniera diversa di svuotamento del seno e di una sua diversa area (non tutte si svuotano durante la poppata!); in secondo luogo quando si parla di “posizioni per l'allattamento” il protagonista è il bambino, e cioè come viene sistemato sul corpo della mamma.
La prima cosa da controllare è che il suo corpo sia in asse con il nostro, completamente rivolto verso di noi, con la pancia contro di noi. Il primo trucco è quindi quello di avvicinare non la sua bocca, ma il suo naso al capezzolo. Solo così tutti i sensi, compreso l'olfatto, si attivano.
Ed ecco che allora il bambino può prendere in bocca tutto il capezzolo, compresa buona parte dell'areola e non solo la punta. Questo perché non è “allattamento al capezzolo”, ma “allattamento al seno”: la suzione è completa, e il capezzolo svolge solo la funzione primaria si agevolare l'entrata in bocca al bambino, che succhierà anche dall'areola.
La mamma dovrebbe poi controllare che la suzione sia ottimale: osserviamo il viso e la bocca del neonato per capire se, con il naso e il mento vicini al seno e le labbra estroflesse, riesce a deglutire senza rumori che indichino passaggi di aria. Un altro segnale di suzione “sbagliata” può quindi essere il rientramento delle guance.
Due piccoli segnali della buona riuscita sono invece l'assenza di dolore (dopo le prime poppate normalmente fastidiose a causa del ritmo non ancora regolarizzato) e la sete della mamma: la sete è il segnale che il bambino sta poppando davvero bene!
Ed ecco le posizioni. Come accennato dipende da donna a donna e da bambino a bambino, ma la prima regola è la comodità: i cuscini per sostenere il bambino, ma anche quelli per alleviare il fastidio a schiena e braccia sono un valido aiuto. E, come dicevamo, i primi tempi è bene sperimentare un po' tutte le posizioni, per capire quella più adatta a noi; nel caso di dotti ostruiti, ingorghi e difficoltà è sempre bene in ogni caso consultare un'ostetrica specializzata, che saprà indirizzare verso la soluzione più efficace.
La prima posizione da sperimentare è quella sottobraccio davanti. È la più comoda e semplice per iniziare e imparare ed è adatta nelle situazioni in cui il bambino si trovi in difficoltà ad attaccarsi al seno. Adagiate vostro figlio nell'incavo del braccio corrispondente al seno e fate aderire la sua pancia con la vostra.
La posizione davanti è quella più utile nel caso di bambini prematuri, deboli o ammalati, ma è davvero piacevole per tutti: è quella che consente maggior contatto tra mamma e figlio!
C'è poi la posizione da sdraiata, durante la quale la mamma si riposa in maniera perfetta. Adagiandosi entrambi sul letto o sul divano, il bambino è di fronte a voi con il viso rivolto verso il seno. E' molto utile nel caso in cui ci sia un forte riflesso di emissione, e cioè quando il latte fuoriesce dal seno con forza disturbando il bambino.
La terza e ultima posizione da provare è quella a palla da rugby. Immaginate proprio il modo in cui i giocatori di rugby tengono la palla ovale durante la corsa, e cioè sottobraccio con il gomito che tende verso la schiena. In questo caso il bambino avrà sotto la testa un cuscino, per sorreggerla al meglio, mentre voi terrete delicatamente la sua testa e il suo corpo con il braccio corrispondente al seno poppato. Grazie alla posizione a palla da rugby si svuoterà l'area più esterna del seno, non sempre stimolata.
E per quanto riguarda tutte queste posizioni è sempre bene tenere in considerazione alcune regole. Ad esempio, bisogna sempre sorreggere tutto il corpo del neonato, non solo la testa, la quale dovrebbe essere sostenuta da sotto e non bloccata da dietro, per consentire al bambino di muoversi e staccarsi quando vuole.
Durante la stagione della zucca è bene approfittarne, acquistandola fresca e declinandola in varie ricette (come la zucca in padella). Questa è una delle preparazioni classiche che non passano mai di moda e che piacciono spesso a tutti (è delicata e versatile! La si può condire con sapori diversi variando anche le spezie): si tratta della vellutata di zucca. E, oltre che molto gustosa, è anche molto facile da fare (oltre che utile per scaldare la cucina nei mesi miti).
Ecco la nostra ricetta.
Sapete quando un romanzo vi prende e vorreste non appoggiarlo più? Ma che allo stesso tempo vorreste non terminasse mai perché poi finirebbe il piacere? Beh, accade anche con i libri per bambini. Anzi, per ragazzi. Perché i romanzi per ragazzi sono spesso deliziosi: cominciano a farsi densi di trama e hanno trovate divertentissime e un linguaggio perfetto per i nostri bambini che cominciano a leggere in autonomia.
Bene: Sarah Spinazzola aveva scritto il “Manuale di sopravvivenza senza genitori”. Bellissimo! E per la regola di prima, non avremmo mai voluto finisse. La buona notizia è che in questi giorni è uscito il seguito! Si intitola “Manuale di sopravvivenza alle scuole medie” ed è di nuovo meravigliosamente delizioso.
Appassionante ed esilarante, ma anche importante per piccole riflessioni che suscita: si potrebbe riassumere così questo libro (anzi, questa serie che ci auguriamo prosegua!) di Sarah Spinazzola. I suoi “Manuali di sopravvivenza” editi da Marcos y Marcos sono coinvolgenti, divertenti e bellissimi e fanno capire ai bambini cosa significhi davvero il piacere della lettura.
Protagonista è Oliva Riva, che nel primo libro si ritrova di fronte ad una settimana lontana da mamma e papà per andare ad un campo estivo, senza averne per niente voglia! Ne esce così un manuale di sopravvivenza che ne segue le avventure e le amicizie nate un po’ per caso, proprio come accade ai nostri bambini.
Nel secondo volume ecco che Oliva si ritrova alle scuole medie, o meglio, alla fine della prima media, dopo aver passato un anno tremendo come può accadere a tutti i ragazzi al passaggio dalle elementari alle medie (o dall’essere bambini all’essere ragazzini!). Di nuovo, una serie di avventure, nomignoli, chiacchierate e contrattempi porteranno Oliva a ideare soluzioni e a redigere regole di sopravvivenza.
Il tutto rivolgendosi sempre in maniera diretta ai lettori, inserendo qua e là i suoi consigli di sopravvivenza e utilizzando un linguaggio semplice, diretto e adattissimo a quest’età. I libri sono pensati infatti per i ragazzi dai 9 anni, ma nessuno vieta di leggerli a 8 (o a 32: anche gli adulti possono leggere, stupendosi!, i libri per ragazzi).
Il bello è che certe dinamiche e certe relazioni sono assolutamente vere e realistiche, ed è questa la cosa più coinvolgente e ammirevole! Ed ecco perché piace ai ragazzi e alle ragazze. Un regalo, insomma, che farà felici i bambini, perché è un romanzo davvero piacevole e pensato per incollarli alle pagine, mettendosi nei loro panni e mostrando loro che non sono da soli! Perché Oliva è esattamente come loro.
Il diabete gestazionale è un tipo di diabete che colpisce esattamente le donne in gravidanza e che compare per la prima volta proprio durante le gestazione. Si tratta di un aumento della glicemia in certe situazioni e si manifesta tendenzialmente nel secondo trimestre.
Riconoscerlo è importante, perché il diabete mellito è pericoloso tanto per la donna quanto per il feto. Vediamo quindi insieme quali sono i segnali da riconoscere, come prevenirlo e come curarlo.
Il diabete mellito gestazionale è il diabete che colpisce le donne per la prima volta in gravidanza, con un aumento degli zuccheri nel sangue (o glicemia) a digiuno o successivamente i pasti. Tendenzialmente, ne soffrono le gestanti a partire dal secondo trimestre di gravidanza ed è importante tenerlo sotto controllo. Alcune donne, invece, trovano livelli alti di glicemia anche nei primi mesi: in questo caso potrebbe trattarsi di diabete non diagnosticato prima. Se invece è gestazionale, questo passerà dopo il parto.
I rischi del diabete gestazionale sono diversi, e per quanto riguarda il feto, lo zucchero nel sangue della madre stimola il pancreas del bambino a produrre più insulina, che può portare ad un aumento di peso alla nascita e al rischio di ipoglicemia una volta nato (a causa, appunto, degli alti livelli di insulina, l’elemento che abbassa i livelli di glicemia nel sangue).
I sintomi del diabete mellito gestazionale sono però purtroppo inesistenti o impercettibili, ed è quindi compito del medico curante tenere sotto controllo i livelli della glicemia facendo eseguire alla donna degli esami specifici regolarmente (con i valori che non devono superare i 95mg a digiuno, i 180 dopo un’ora dai pasti e 153 dopo due ore).
Detto questo, alcuni campanelli d’allarme potrebbero essere l’aumento di sete e l’aumento delle capatine al bagno per fare pipì, la perdita di peso, nausea, disturbi della vista e cistiti e candidosi frequenti.
I fattori di rischio, invece, sono l’età (le gestanti con più di 34 anni), l’obesità, l’ereditarietà del diabete, l’aver avuto in precedenza il diabete gestazionale durante le prime gravidanze e i genitori biologici provenienti dall’Asia del Sud, i Caraibi o il Medio Oriente.
Per prevenire e regolarizzare il diabete gestazionale la prima regola è seguire un’alimentazione corretta, senza mangiare “per due” e senza aumentare troppo di peso, mangiando cibi freschi e variegati. Se l’iperglicemia, tuttavia, è notevole, il medico suggerirà terapie specifiche per tenerla sotto controllo.
Anche fare della blanda attività fisica (dello sport indicato in gravidanza, come la camminata, il nuoto o lo yoga) è importantissimo per regolare i livelli di zucchero nel sangue.
Il primo è stato duro, ma siamo sopravvissuti. Il secondo? Sarà ancora più difficile, perché è inverno, le feste sono vicine, tanti bambini non vanno a scuola e tutto sembra più nero. Tuttavia è il nostro dovere civico e umano: dobbiamo stare a casa e rispettare le regole. Cercando, allo stesso tempo, di trarre il meglio da questo secondo lockdown.
Per farlo, ecco qualche frase che all’occorrenza possiamo dire ai bambini per offrire spunti di riflessione, parlare, tirare su il morale e tirare fuori la nostra resilienza familiare.
Mostrare ai bambini che anche noi siamo tristi e amareggiati, ma che ci può essere sempre qualcosa che ci tira su di morale è un buon esempio. Dicendo loro cosa fa sentire meglio noi, anche loro saranno stimolati a pensare a qualcosa di positivo. Senza tuttavia sminuire l’amarezza o l’arrabbiatura: quella c’è, è un sentimento umano.
Sia sotto Natale che ogni giorno possiamo provare a trovare qualcosa di diverso per rendere speciali le giornate. Che sia uno strappo alla regola alimentare (ordinando una pizza d’asporto), un film seduti sul tappeto, una sessione di lettura nella tenda indiana… Basta che sia qualcosa di unico, che di solito non ci concediamo. Ora abbiamo più tempo: lasciamo che i bambini volino con la fantasia e decidiamo insieme cosa fare.
Un po’ di entusiasmo non guasta: pensiamo quindi insieme a tutte quelle cose che solitamente non abbiamo tempo di fare e che rimandiamo. Imparare a fare il pane, stare tutto il giorno (ma davvero tutto il giorno!) in pigiama, costruire quel mega veliero della Lego…
Anche riconoscere la difficoltà del momento senza minimizzare e senza dire “Smettila di lamentarti” (e senza cercare di riempire per forza i momenti morti!) è necessario, perché anche i bambini provano la nostra stressa frustrazione ed è legittima.
Responsabilizzare i bambini facendoli sentire speciali, grandi e utili è sempre una buona idea, soprattutto in questo periodo così strano. Ognuno, in casa, deve impegnarsi, soprattutto quando ci si passa così tanto tempo. I bambini, quindi, potranno avere un loro compito. Anche sotto le feste: potranno fare l’albero completamente da soli, oppure essere gli abitanti ufficiali in cucina…
Ma non in senso “luogo comune”. No: pensiamolo davvero, facendo una lista di cose belle che possono accadere quando la famiglia passa così tanto tempo insieme. Non era mai accaduto e possiamo pensare a tutte le cose positive!
Ogni tradizione inizia da qualche parte. Questo 2020 che finisce potrebbe portarne con sé di nuove, da inventare tutti insieme!