(Photo credit: Samuele Gamba)
Fatica: probabilmente è questa la parola che associamo più spesso alla dislessia. Perché la dislessia porta questo, porta la fatica. Che non è solo la fatica a leggere o a studiare, ma anche a sopravvivere in una società che ancora (purtroppo) non ha gli strumenti necessari per andare incontro alle esigenze dei dislessici. Soprattutto, è faticoso vivere in una società nella quale la dislessia è ancora vista come una malattia o una mancanza. Un luogo comune da sfatare, assolutamente. Perché la dislessia è semplicemente un modo diverso di vedere le cose, di ragionare. E basterebbe davvero poco per rendere a tutti la vita meno faticosa!
L’arte: ecco una delle vie attraverso cui portare messaggi e smuovere le coscienze. E in merito alla dislessia c’è un artista che ci piace moltissimo, e non solo perché porta la sua condizione sulla tela, ma perché le sue opere sono davvero bellissime. Si tratta di Samuele Gamba e ora vi spieghiamo il suo lavoro.
Samuele Gamba è dislessico. Ma soprattutto, Samuele Gamba è un artista. La commistione tra questi due suoi lati porta ad una meraviglia: la dislessia raccontata in maniera artistica.
Ha poco più di vent’anni, Samuele, ed è mantovano. E ha fatto della sua arte uno strumento per parlare di qualcosa di cui si parla molto ma di cui si sa poco, generalmente: la dislessia. Con la sua espressività, Samuele riesce a parlare a colpi di pennello della sua fatica, ma anche del suo potenziale, della sua emotività e della sua empatia, che sono propri di tutti coloro che sono affetti da dislessia, ognuno a proprio modo.
Le sue tele contengono colore e segni, ma anche lettere e parole. E come potrebbero mancare? E poi i numeri. Perché la dislessia colpisce anche il calcolo.
Sono opere piene di significato e di espressività, quelle di Samuele. Sì, potremmo dirle espressioniste: perché è attraverso esse che l’artista esprime il suo sentimento nei confronti della dislessia, facendolo esplodere sulla tela, portandolo fuori da se stesso per donarlo al mondo. Ma non è un sentimento propriamente diretto alla dislessia in sé. Piuttosto, sono emozioni riguardanti il sistema scolastico, che ancora troppo spesso non riesce a lavorare con gli alunni dislessici, trattandoli in maniera sbagliata, o accondiscendente o irrispettosa.

(Photo credit: Samuele Gamba)
Sulla sua pagina Facebook sono pubblicate le sue opere, con bellissime spiegazioni: alcune parlano del dito per seguire le lettere sul libro consigliato da piccolo, altre della fatica a comprendere e ricostruire un testo (si fatica a leggere, e questo fa perdere il filo); ci sono poi il tentativo di trovare una propria strategia, l’importanza della diagnosi (presa un po’ sottogamba dalle scuole)… E infine la decisione di trovare il proprio percorso artistico al di là della scuola, dopo il diploma.
Tutto questo non è un caso: la dislessia è semplicemente un disturbo che colpisce lettura, scrittura e calcolo e che lascia invece intatte le altre funzioni intellettive. I dislessici, quindi, faticano quando intenti in queste attività ma sono assolutamente intelligenti quanto gli altri, se non di più. E dal momento che per imparare ed esprimersi si trovano a dover inventare strategie e a ricorrere ad altri mezzi, spesso l’arte diviene strumento preziosissimo. E se aggiungiamo che nei dislessici sono frequenti empatia, emotività, coordinazione e spirito artistico al di sopra della media, capiamo che è naturale che nelle accademie d’arte e nel settore artistico in generale la percentuale di dislessici sia superiore alla media!

(Photo credit: Samuele Gamba)
Samuele è solo un esempio, ma ci piace pensare che possa essere non solo utile a chi vuole conoscere meglio la dislessia, ma un esempio per chi è affetto da questo disturbo: non bisogna desistere ma semplicemente trovare la propria strada, la propria espressività.
Giulia Mandrino
Quando stai per diventare genitore sono tante le domande a cui voler trovare risposta e le cose di cui occuparsi. Un tema molto sentito è la progettazione e creazione di uno spazio pensato per quella bambina o quel bambino che sta per arrivare: la sua cameretta.
Il primo aspetto da considerare è che quando lei o lui arriverà, non sarà un ospite di passaggio: cominciare a pensare alla sua cameretta dovrà essere uno dei nostri primi pensieri (anche se sceglieremo di accoglierlo nella nostra camera per il primo periodo o i primi anni).
Qual è quindi la tempistica per l'allestimento della cameretta?
Io consiglio di progettare e allestire la cameretta negli ultimi mesi della gravidanza e prima della nascita della bambina o del bambino, o, in caso di affido o adozione, prima del suo arrivo.
Se ti stai chiedendo perché, considera che prima dell’arrivo non potrai sapere come scorreranno le giornate e successivamente le tue energie saranno concentrate su altro: la priorità sarà conoscervi, coccolarvi, ritrovarvi in un abbraccio. Potreste non avere né tempo né voglia di decidere dove posizionare la sedia a dondolo su cui allattare o il tappeto su cui posizionare il bambino o la bambina a guardarsi intorno le prime volte. Se tutto sarà pronto, sarà più facile.
Soprattutto, consiglio di ascoltare il proprio cuore e le proprie emozioni. È questo il momento in cui dentro di te si sta creando uno spazio mentale e fisico di accoglienza. Non a caso nelle donne in gravidanza, col passare dei mesi, aumenta il senso di attesa e questa attesa diventa parte del quotidiano, in maniera dolce e naturale.
Prova a sederti nella nuova stanza che accoglierà il tuo bambino: guardare con i tuoi occhi ciò che lui vedrà potrà essere utile.
Tieni inoltre vicino a te coloro che stanno condividendo con te questo percorso: osservate insieme la vostra casa e la nuova cameretta da questo nuovo punto di vista. Cosa vedete sedendovi per terra? Cosa apprezzate osservando ad "altezza bambino"? Cosa vedete stendendovi a terra (provando a immaginare il primo punto di vista del neonato nei primi giorni di vita)? Che sensazione vi danno il tappeto caldo in terra e la giostrina appesa sul soffitto? Che luce entra dalle finestre ? Com'è il colore del muro ? Abbastanza neutro e accogliente?

Queste domande sono tra le prime da porsi nel momento in cui ci si comincia a pensare ai nuovi spazi in casa per l’arrivo di un bambino, e sono le stesse che mi pongo io quando vengo contattata per la progettazione di una nuova cameretta.
L’approccio che seguo è di ispirazione montessoriana e parto dall’idea di bambino competente fin dalla nascita. Il neonato è estremamente ricettivo, ed è perciò necessario fare attenzione a non iper stimolarlo. Non conosce il mondo così come lo conosciamo noi, bensì ha avuto delle percezioni dalla pancia della mamma. Allo stesso tempo, è necessario presentargli con accuratezza le persone e le cose, in modo che possa farne conoscenza gradualmente.
La cameretta sarà uno spazio in evoluzione continua: crescerà con la bambina e il bambino, si trasformerà. Questo aspetto è molto importante e va tenuto in considerazione soprattutto nella fase di scelta dell’arredo; spesso ci vengono proposte soluzioni da fiaba, certamente bellissime, ma che fanno sorgere qualche domanda: per chi sono pensate? Per gli adulti o per i bambini? Quanto hanno bisogno un bambino o una bambina di una cameretta da fiaba? Non è meglio chiedersi cosa realmente sia utile per loro? Spesso basta davvero poco per rendere uno spazio funzionale e gradevole allo stesso tempo.
Per questo motivo, un altro consiglio è quello di continuare ad osservare il bambino in cameretta nel corso degli anni, quando crescerà: qui giocherà, qui passerà il suo tempo, e solo guardando come tuo figlio o tua figlia si muove, impara e gioca nella sua cameretta capirai come sistemare lo spazio, cosa tenere, cosa eliminare e come rendere il tutto piacevole e funzionale.
Se ti interessa approfondire l’argomento, ti aspetto il mese prossimo con la pubblicazione di un nuovo articolo in cui tratterò il tema dei criteri di organizzazione della cameretta e di scelta dei materiali in stile montessoriano.
Passione a Mano Libera di Chiara Palmieri
Bibliografia
Tracy Hogg “ Il linguaggio segreto dei neonati “ 2013, Mondadori
Azzarà Maya, “Case anche per bambini – Educare i bambini attraverso lo spazio domestico”, 2014,
La Merdiana
Honegger Fresco G., “Una casa a misura di bambino ” , 2000, red!
Chiara Palmieri, pedagogista, curatrice del sito Passione a mano libera
Via Borgo di San Pietro, 134 | 40126 Bologna| tel.3294559295 | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Il curry di Madras (una miscela molto diffusa che comprende le spezie “base” - curcuma, coriandolo, paprica, pepe, senape, fieno greco, zenzero, semi di finocchio, cardamomo, aglio e peperoncino) è perfetto per i bambini: non troppo piccante, permette di insaporire i piatti lesinando sul sale. Queste mazzancolle con salsa di mango al curry parrebbero un piatto tipicamente "adulto", ma, appunto per l'utilizzo del curry di Madras, sono deliziose e piacciono moltissimo anche ai bambini, che ne vanno davvero matti!
L’allattamento è una scelta materna tra le più delicate: siamo dell’idea che ogni mamma sappia quale sia l’opzione migliore per sé e per il proprio bambino e chi sceglie l’allattamento artificiale non è assolutamente da condannare. Quando però si tratta di informazioni riguardanti l’allattamento, siamo convinte che gli ospedali debbano stare più vicini alle neo-madri, fornendo tutte le informazioni di cui hanno bisogno.
Questo perché sono molte le neo-mamme che rinunciano all’allattamento al seno per mancanza di informazioni e di supporto. E in questo senso, negli ultimi giorni, in un’operazione congiunta, OMS e Unicef hanno stilato una serie di consigli a supporto di una politica scritta sull’allattamento al seno, per spronare tanto le mamme quanto gli ospedali a incentivare questa pratica che salverebbe la vita di moltissimi bambini e che sarebbe vitale per la loro salute, oltre che per la buona sanità. Vediamo insieme come e perché.
Secondo gli ultimi dati diffusi da OMS e Unicef, allattare al seno fino ai 2 anni salverebbe la vita di circa 820.000 bambini in tutto il mondo. Questo perché l’allattamento al seno (soprattutto entro la prima ora di nascita - e in questo senso il breast crawling è una pratica davvero utile) ridurrebbe il rischio di infezioni nei neonati, abbassando anche il pericolo di diarrea (spesso fatale nei neonati), situazioni frequenti quando i bimbi vengono allattati al seno solo parzialmente o quando vengono nutriti esclusivamente con latte artificiale.
Oltre a questo, l’allattamento al seno migliorerebbe il quoziente intellettivo del bambino, beneficio che ricadrebbe su tutta la vita adulta. E, per quanto riguarda le madri, sono molti studi a ritenere che allattare al seno ridurrebbe il rischio di sviluppare negli anni il cancro al seno.
Ricordiamo poi che il latte materno è la principale fonte di energia per un neonato, anche durante la malattia e la convalescenza. Infine, vari studi dimostrano che i bimbi e gli adolescenti allattati al seno durante i primi anni di vita hanno meno probabilità di crescere sovrappeso o obesi.
Ecco perché le due organizzazioni hanno deciso di stilare una guida in dieci passi per aiutare le strutture sanitarie a mettere a punto un iter che faciliti l’allattamento e che fornisca tutte le informazioni sul caso alle madri che le necessitano. In questo modo è possibile sostenere l’allattamento al seno, che è vitale tanto per la salute del bambino quanto per la buona sanità. Questa pratica, infatti, riduce nettamente i costi, ricadendo positivamente sulle famiglie e sui Paesi.
Questo supporto alle strutture è necessario perché per quanto l’allattamento richieda aiuto e guida, sono ancora troppi gli ospedali e le cliniche (private o pubbliche) che non hanno le capacità o gli strumenti per stare accanto alle madri come dovrebbero. Pensiamo soprattutto ai paesi più poveri, dove le informazioni sono difficilmente recuperabili. Dare una guida semplice e comprensibile agli operatori (e alle madri) significa quindi, per proprietà transitiva, dare un aiuto ai bambini, migliorando la loro vita sin dalle prime ore, attraverso una pratica naturale, economica, ecologica e (quando supportata come si deve) semplice.
Le infografiche che OMS e Unicef hanno sviluppato sono in questo senso preziose:

Fonte mmagine: Organizzazione Mondiale della Sanità
La guida per immagini descrive molto bene le pratiche che le strutture (e i Paesi in generale) dovrebbero seguire quando si tratta di accompagnare le madri nell’allattamento al seno, aiutandole fin dalla prima ora dopo il parto, preparando a dovere gli operatori e mettendo a punto le cure migliori.
1. Politiche ospedaliere: gli ospedali dovrebbero supportare le madri non promuovendo il latte artificiale, rendendo le pratiche di allattamento una pratica standard e tenendo traccia dei supporti necessari
2. Competenza dello staff: gli ospedali dovrebbero preparare gli operatori riguardo al supporto alle madri e offrire al personale conoscenze e abilità
3. Cura prenatale: gli ospedali dovrebbero supportare le madri discutendo con loro l’importanza dell’allattamento al seno per mamme e bambini e preparandole alla pratica
4. Cure immediate dopo il parto: Incoraggiare il contatto pelle a pelle con il neonato subito dopo il parto e aiutare le madri a sistemare il piccolo nella maniera corretta per l’allattamento
5. Supportare le madri nell’allattamento: controllando la posizione, l’attaccamento e il succhio del bambino, dando consigli pratici e aiutando le madri a risolvere i più comuni problemi dell’allattamento
6. Integrare: Quando necessario, gli ospedali dovrebbero incoraggiare ad allattare al seno fin quando non esistono ragioni mediche che lo vietano, e anche in quel caso, sarebbe opportuno dare priorità al latte materno donato.
7. La stanza: Gli ospedali dovrebbero permettere alle madri di dormire fin da subito con i bambini nella stessa stanza, anche in caso di bimbi malati
8. Allattamento responsabile: Aiutare le madri a capire quando il bimbo è affamato, senza limitare la frequenza dell’allattamento
9. Biberon, tettarelle e ciucci: gli ospedali dovrebbero consigliare le madri sull’uso e sui rischi di usare biberon, ciucci e tettarelle in maniera non consona
10. Dimissioni: Gli ospedali dovrebbero consigliare alle madri gruppi di supporto e risorse riguardanti l’allattamento, e lavorare con questi gruppi e comunità per implementare i servizi riguardanti l’allattamento al seno.
Giulia Mandrino
Il giardino nella pedagogia montessoriana è un luogo tra i prediletti. Questo perché il giardino racchiude in sé una miriade di caratteristiche in linea con i precetti di Maria Montessori: il contatto con la natura, la possibilità di toccare ed esplorare la sensorialità (le consistenze, i profumi e i colori all’aperto sono infiniti!), l’attività manuale e quindi la manualità, la manipolazione, l’esplorazione, l’imitazione della vita adulta…
Sono quindi moltissime le attività montessoriane che possiamo svolgere in giardino con il nostro bambino! Vediamo insieme quali.
Innanzitutto, l’orto: fare l’orto insieme ai bambini (in giardino o sul balcone di casa se non abbiamo spazio) è un’attività preziosa e ricca. Ci permette innanzitutto di avvicinare il bambino all’amore per la natura, aiuta il bambino a vedere come crescono gli alimenti e stimola moltissimo tanto i sensi quanto la coordinazione occhio-mano (annaffiare, travasare, rinvasare, tagliare, potare…). Basta usare strumenti a misura di bambino e lasciare che i bimbi provino e facciano da sé, imitando noi (che li guidiamo).

(https://www.educatednannies.com/gardening-with-your-kids-is-more-than-just-playing-in-the-dirt/)
Anche dei semplici giochi d’acqua in giardino sono molto montessoriani. Basta un piccolo annaffiatoio, ad esempio, per divertire anche i più piccoli, che possono giocare a travasare, a dare da bere alle piante (ma non solo! Loro darebbero da bere a tutto!), a spruzzare, a portare l’acqua di qua e di là…
Il travaso è sempre un gioco d’acqua, ma molto più specifico e assolutamente montessoriano. Bastano una bacinella, un imbuto e dei bicchieri o contenitori di diversa misura. Il bello è che questo gioco, che faremmo anche in casa, qui diventa più divertente, perché essendo all’aperto i bambini non hanno limiti (non rischiano di allagare casa!). Dalla bacinella, con l’imbuto o con un bicchiere, travasano l’acqua di qua e di là, sviluppando la coordinazione occhio mano, preziosissima per la crescita e per la scrittura.
Dopo il travaso dei liquidi, ecco il travaso dei solidi. In giardino possiamo sfruttare i sassolini e la terra. Anche qui, mettiamoli in un recipiente come una bacinella e lasciamo che i bimbi decidano come travasarli e come trasportarli, lasciando correre la loro curiosità e la loro immaginazione. Saranno molto stimolati ed esploreranno così con le loro mani la terra.
A volte bastano pochi elementi per fare un gioco strepitoso: in questo caso, dei fiori e uno scolapasta. Possiamo così creare un vaso creativo (o un copricapo floreale!), lasciando che i bambini si divertano e stimolando la manualità fine.

(https://teachingmama.org/playing-with-dandelions/)
Un vassoio, delle pinze e tante piccole bacinelle: con questi strumenti i bambini potranno esplorare il giardino e scegliere i fiori e i sassolini che più li colpiscono. Una volta raccolti, potranno dividerli a seconda del colore, della consistenza, della specie o della dimensione nelle varie bacinelle. E sappiamo quanto è importante per lo sviluppo il gioco della classificazione.
In una bella giornata di sole, possiamo approfittarne per esercitarci alla vita pratica! Lavare i panni a mano è di certo scomodo oggigiorno, ma insegnarlo ai bambini è divertentissimo. Laviamo insieme e poi stendiamo: sarà un esercizio prezioso per la vita pratica e i bambini impareranno moltissime cose (anche fisicamente! Sono ottimi esercizi per la coordinazione occhio mano).

(https://it.pinterest.com/pin/389842911480905787/)
Giulia Mandrino
Lo sviluppo cognitivo è il processo di evoluzione delle capacità intellettive dell’essere umano, capacità che acquisisce in maniera differente in base al momento della sua vita. Lo sviluppo cognitivo permette di immagazzinare le informazioni prese dall’ambente circostante e di riutilizzarle nella vita quotidiana. Ma come accade questo nel bambino?
Lo ha spiegato bene con i suoi studi Jean Piaget, uno dei massimi studiosi dello sviluppo cognitivo, in particolare di quello del bambino. Ma vediamo insieme di cosa trattano le sue teorie e perché è importantissimo per la pedagogia contemporanea.
Jean Piaget è vissuto nel secolo scorso (nacque nel 1896 e morì nel 1980) ma le sue teorie sono validissime ancora oggi. I suoi studi sono partiti sempre dall’osservazione del bambino, attraverso la quale è riuscito a stilare una serie di tappe tipiche dell’infanzia, tappe che descrivono bene lo sviluppo della cognizione e dell’intelletto del bambino nei primi anni di vita.
Attraverso questa osservazione Jean Piaget è riuscito a giungere ad una teoria, l’epistemologia genetica. Di cosa si tratta? In altre parole, l’epistemologia genetica spiega come lo sviluppo dell’intelligenza dell’essere umano, e in particolare dell’infante, passi dall’evoluzione del pensiero alla luce dell’esigenza del corpo di adattarsi all’ambiente circostante. L’intelligenza, quindi, è per lui strettamente legata alla capacità di adattamento all’ambiente esterno, sociale e fisico, di una persona.
L’intelligenza di un essere umano, dunque, è una funzione cognitiva che permette di adattarsi all’ambiente esterno, garantendo l’equilibrio tra le strutture cognitive. E in effetti ciò che spinge la persona a formare strutture mentali organizzate e complesse si può chiamare anche il “fattore d’equilibrio”.
In altre parole più semplici, parafrasando gli studi di Jean Piaget possiamo dire che l’intelligenza e lo sviluppo cognitivo abbiano un’origine individuale, ma l’ambiente esterno e i fattori sociali (le interazioni) possono influenzare questo sviluppo (al contrario di altre teorie che dicono esattamente il contrario, e cioè che i fattori esterni siano addirittura la causa dell’intelligenza).
L’equilibrio tra le strutture cognitive di cui parlavamo consente al bambino di rafforzare le sue conoscenze e di sviluppare il suo intelletto. Il tutto attraverso l’interazione tra ciò che già possiede e ciò che riceve dall’ambiente esterno. Un esempio chiarisce meglio questo processo: quando il bambino ha già assimilato dentro di sé un comportamento “base” che possiede per natura (come ad esempio il lanciare gli oggetti) scopre che un altro comportamento produce qualcosa di più piacevole (come ad esempio un suono quando muove questo oggetto senza gettarlo), e da quel momento impara qualcosa di nuovo.
Il bambino, insomma, organizza le funzioni intellettive innate, che ha dentro di sé, con quelle che apprende dal mondo esterno, e la combinazione dei diversi schemi mentali andrà a costituire proprio lo sviluppo cognitivo della persona. Si crea dunque un equilibrio, come dicevamo, e questo equilibrio porta, attraverso la logica e il pensiero, al controllo dell’ambiente circostante.
Nel momento in cui un nuovo elemento (una nuova informazione) entra nel quadro che si è creato, il bambino percepisce una sorta di disequilibrio. A questo punto cercherà un nuovo equilibrio, modificando gli schemi cognitivi costruiti precedentemente, ampliando le conoscenze.
In tutto questo, Piaget ha anche individuato diverse fasi che durante l’infanzia caratterizzano lo sviluppo cognitivo. Anche se, dunque, ogni essere umano, ogni bambino ha le sue capacità, i suoi tempi e i suoi schemi, c’è una sorta di pattern che potremmo prendere come modello di riferimento. Questo pattern è composto da cinque fasi dello sviluppo cognitivo:
0-2 anni: è la fase senso-motoria, durante la quale il bambino passa dall’utilizzo dei riflessi innati, della ripetizione e dell’istinto a l’uso di comportamenti che gli permettono di capire le conseguenze sul corpo e sull’esterno. Tutto ciò che viene prodotto sull’ambiente esterno dai suoi comportamenti sono nuove informazioni. Prima queste informazioni sono quasi riflessive, ma dai 18 mesi il bambino sviluppa già un ragionamento simbolico che gli permette di capire concretamente e testare le conseguenze delle sue azioni sull’ambiente.
2-4 anni: si chiama fase pre-concettuale. In questi anni il bambino sviluppa un pensiero ego-centrico, e crede che tutti capiscano ciò che pensa, ciò che desidera. È durante questi due anni che acquisisce un linguaggio più utile a spiegare le cose che pensa e le cose che si trova attorno, ma non ha ancora sviluppato la capacità di passare dal ragionamento generale a quello particolare.
4-7 anni: sono gli anni del pensiero intuitivo, durante i quali il bambino acquisisce un sacco di informazioni (anche grazie all’interazione con gli altri bambini alla scuola materna), ma non ha ancora immagazzinato la capacità di metallizzare l’azione come causa di conseguenze, o come mezzo per raggiungere un fine.
7-11 anni: Pian piano, durante la “fase delle operazioni concrete”, il bambino rafforza la coordinazione tra le azioni che compie e il pensiero induttivo. Comincia anche a passare dal particolare al generale e dal generale al particolare. Tuttavia, ancora per un po’, il bambino continua a legare il pensiero e i processi cognitivi alle azioni.
11-14 anni: L’azione e il pensiero deduttivo si incastrano sempre di più in questa fase delle operazioni formali e il preadolescente riesce ora a immaginare scenari e a mettere in atto azioni legate a questi scenari. Assimilazione (l’inserimento delle informazioni di base nella struttura cognitiva dell’individuo) e accomodamento (la modifica delle strutture cognitive attraverso l’interazione con l’ambiente circostante, fisico e sociale) sono quindi sempre più in equilibrio ed è grazie a questo equilibrio che il ragazzo può ora sviluppare la capacità di giudizio, la misura, la comprensione dei simboli e la relatività dei differenti punti di vista.
Leggendo le teorie di Jean Piaget, si capisce bene l’importanza del suo pensiero sulla pedagogia. Perché se è vero che l’intelligenza del bambino è innata, è anche più che vero che ciò che riceve dall’esterno è altrettanto importante e fondamentale per il suo sviluppo. Insomma: un bambino può essere estremamente intelligente, ma se la sua intelligenza non viene stimolata con agenti esterni che gli permettono di allenare le sue capacità di adattamento, equilibrio, assimilazione dei concetti e pratica di ciò che riceve, la sua intelligenza non si svilupperà mai.
Questo significa che gli stimoli che proponiamo ai nostri bambini sono importantissimi. Che il gioco libero (durante il quale, attraverso i ruoli, i bambini sperimentano la vita adulta) è fondamentale. Che è necessario lasciare che sperimentino il pericolo. Che niente è “inutile”, né gli stimoli sensoriali montessoriani, né il gioco, né la lettura, né l’ascolto delle parole di noi adulti, né l’imitazione di ciò che facciamo, né lo sport, né le chiacchierate.
Giulia Mandrino
Stem: Science, Technology, Engineering, Mathematics. Ovvero le materie scientifiche. Ma perché va tanto di moda dire STEM, oggigiorno? Perché in realtà questo acronimo non esaurisce il suo significato al semplice “materie scientifiche”, ma si espande fino a diventare un argomento per sensibilizzare sulla parità di genere.
Perché, diciamolo, sono molto poche le donne negli ambiti scientifici, e quando le troviamo ce ne stupiamo. Un retaggio della nostra cultura, questo, che può essere combattuto. Non obbligando le bambine a studiare le materie scientifiche in quanto tali e per partito preso, ma almeno proponendo a tutti, maschi e femmine, gli stessi campus, le stesse opportunità e le stesse attività ludico-scientifiche!
Gli stereotipi sono molto insidiosi, perché si infilano nella nostra mente senza che ce ne accorgiamo, facendoci vedere il mondo con degli occhiali distorti dal retaggio culturale. È per questo che, volenti o nolenti, a molti fa ancora strano vedere donne astronaute, uomini ballerini, bambine che giocano a calcio o bimbi a cui piace da morire cucinare con la mamma. Fortunatamente stiamo superando questo scoglio. Ma in alcuni campi restano ancora moltissimi pregiudizi e stereotipi che anche non volendolo condizionano la vita dei nostri bambini e delle nostre bambine.
Da qualche parte, quindi, bisogna partire. E perché non partire da un dato? Le ragazze che studiano all’università le materie scientifiche e tecnologiche in Italia sono solo il 12% del totale degli studenti. E l’Italia è solo un esempio, perché la tendenza è comune in tutto il mondo.
Le STEM sono nate quindi da questo dato: grandi compagnie tecnologiche e piccoli imprenditori dediti alla causa hanno cominciato a proporre tour, hackaton, campus, campi estivi e attività variegate dedicate interamente alle donne e alle bambine che vogliono avvicinarsi alle materie scientifiche (e proprio in questi giorni a Milano è tempo di #STEMinthecity, la seconda edizione della maratona dedicata al talento femminile nel mondo delle scienze - ve ne parliamo qui).
Il divario tra i maschi e le femmine nell’ambito scientifico nasce proprio da uno stereotipo, quello per il quale le materie scientifiche non sarebbero “adatte” alle donne, non sarebbero nelle loro corde. Magari è vero, magari la maggior parte delle rappresentanti del genere femminile è più portata per studiare le materie umanistiche o artistiche. Ma questo non significa che il resto delle donne debba privarsi del piacere di poter studiare una materia che ama, sentendosi sempre gli occhi addosso e soprattutto sentendosi come un unicorno in un mondo maschile. Perché il rischio non è solo quello di non sentirsi accolte, ma dall’altra parte c’è il pericolo che una donna brava nel suo campo scientifico venga esaltata e osannata in maniera eccessiva, facendo passare il messaggio che quello non sia il suo luogo e che quindi sia ancor più brava dei suoi colleghi uomini proprio per questo motivo.
No, le STEM sono per tutti, e non è il sesso a definire la bravura di una persona.
Detto questo, la stem-mania è qualcosa di positivo e ragguardevole proprio perché vuole smuovere le coscienze e instillare piano piano in tutti noi una convinzione che dovrebbe essere dentro di noi naturale: ognuno può studiare ciò che vuole. Indipendentemente dal sesso.
Ecco perché dobbiamo prendere questa mania con il giusto atteggiamento. Le STEM non sono fatte per obbligare le bambine a studiare le materie scientifiche. Sono un’opportunità. Sono un valido strumento per capire se quello è il campo di interesse delle nostre figlie. Come in tutte le cose, non dobbiamo indirizzarle, ma guidarle proponendo varie discipline e lasciando capire a loro quale sia la loro strada.
È giusto e bello, quindi, approfittare delle maratone STEM, dei corsi, dei campi estivi e delle attività che stanno spuntando qua e là, portandoci le nostre bambine. Se mostreranno interesse, sarà bellissimo vederle diventare nella vita degli ingegneri, delle astronaute, dei medici e delle tecniche informatiche toste. Ma sarà anche bello vedere che la matematica non è proprio il loro mestiere, portandole invece a teatro o nei musei, i loro luoghi prediletti. Oppure in piscina, a danza e al campo da calcio, perché da grandi si vedono sportive.
Le STEM non sono per tutti, nemmeno per tutti i maschi. Sono per coloro che le amano, indipendentemente dal sesso. Noi cerchiamo solo di esserci sempre, per i nostri figli, insegnando il rispetto per gli altri e per le loro scelte e supportando la strada che vorranno percorrere con impegno.
Ridursi all’ultimo minuto e rimediare una minestrina o una pasta in bianco: l’abbiamo fatto tutti, non vergogniamocene! Le famiglie disordinate sono proprio quelle che preferiamo, perché ne facciamo parte anche noi.
Quando troviamo servizi che ci aiutano un pochino, dunque, non ci nascondiamo dietro un dito e non sdegniamo la cosa, anzi! Di tanto in tanto un aiuto in casa lo chiediamo anche noi, per non parlare delle volte in cui i nonni e gli zii ci hanno salvato la giornata!
Anche quando si tratta di cibo, quindi, abbiamo ormai trovato il nostro cavaliere salvatore. La consegna a domicilio! No, non va contro i nostri principi di cucina naturale. E sapete perché? Perché ordinare fuori non significa solo cibo spazzatura o strappi alla regola, anzi. Molte volte ordiniamo da ristoranti di cui ci fidiamo, le cui preparazioni sono molto simili alle nostre. Non solo: sapete quanto amiamo la cucina etnica, e in questo senso la consegna a domicilio è una manna dal cielo, sia nei momenti di caos in cui non riusciamo a cucinare un pasto decente sia quando semplicemente vogliamo passare una serata diversa a casa!
A chi ci affidiamo? A Mymenu, comodissimo, di fiducia e di qualità.
Mymenu è il servizio di consegne a domicilio che preferiamo, e i motivi sono semplicissimi. Sono veloci, puntuali e comodi, ma soprattutto hanno più di trecento ristoranti affiliati in cinque città (Padova, Modena, Verona, Bologna e Brescia) e più di 400 driver, ovvero il personale (professionale e molto cordiale!) che porta direttamente a casa nostra i prodotti che ordiniamo. Con puntualità, dicevamo, tanto che anche solo qualche minuto di ritardo si traduce in un buono sconto da utilizzare sulle prossime consegne.
Ma il punto che certamente va maggiormente a loro favore è la qualità dei locali affiliati a Mymenu, qualitativamente molto alti e tra i più conosciuti nelle città.
Qualche esempio? Per quanto riguarda i ristoranti giapponesi troviamo Yoshi, Zushi, Tao, Ikai… Per i locali storici e tradizionali abbiamo invece la Terrazza Carducci, l’Osteria da Ugo, la Vecchia Pirri (andata in onda su 4 Ristoranti), la Bottega Scapin, Tartare18, La Polveriera… Ci sono poi il Fiorital (il ristorante di pesce che porta il fresco direttamente dalle navi del Mare del Nord), il Calandrino e la sezione pasticceria, e infine La Romana, la storica gelateria, che distribuisce a domicilio i suoi deliziosi gelati solo con Mymenu.
E poi, ovviamente, gli etnici, i nostri preferiti! A Mymenu sono affiliati il Buddha, il Peace n Spice, La Pagoda, l’Elefante Blu, il Rangoli…
Questo è possibile grazie alla selezione diretta che il personale di Mymenu svolge. Prima di avviare la collaborazione, infatti, i responsabili si recano direttamente in ogni ristorante valutandone la qualità e la bontà.
Detto questo, non ci nascondiamo: anche noi spesso ci affidiamo alla consegna a domicilio di Mymenu. E non solo per la (innegabile!) comodità, soprattutto nei giorni più caotici e pieni di impegni! Ordinare fuori, scegliendo tutti insieme il menù, è qualcosa che ci piace moltissimo fare in famiglia, sbizzarrendoci e cambiando ogni volta genere. Sushi, indiano, classicone lombardo, pesce, pizza… E poi, sì, il gelato!
Giulia Mandrino
Questa ricetta viene dalla Toscana ed è deliziosa: associa la morbidezza della classica focaccia con la dolcezza dell'uva e il risultato è una focaccina perfetta per merenda!
La colazione con il cornetto è un must. E diventa ancora più goduriosa se le brioches le proviamo a fare in casa! Questa ricetta vi permetterà di preparare con le vostre mani delle brioches multicereali davvero deliziose per una colazione con i bambini deliziosa e sfiziosa!