Una delle cose che si augura ai propri figli e alle proprie figlie è avere successo nella vita. La speranza è che, al di là degli aspetti economici, da adulti possano avere una vita soddisfacente e piena, facendo ciò che davvero desiderano ed essendo ciò chi sono davvero, nel profondo. Questi aspetti, infatti, sono una base importante per una vita felice, e la felicità è, credo concordiate, tra le fortune che auguriamo con più convinzione ai nostri bambini e bambine.
Avere successo nella vita richiede però impegno: le fortune arrivano, ma bisogna anche essere in grado di coglierle, riconoscendole e mettendole a frutto, mettendoci se stessi e impegnandosi davvero. Perché la vita è piena di sfide, e saperle affrontare è decisivo per un'esistenza serena, armoniosa e piena. Alcune competenze più di altre aiutano in questo: ma quali sono?
A stilare una breve lista delle competenze più importanti per avere successo nella vita ci ha pensato il Center on the Developing Child di Harvard, la prestigiosa università statunitense. Gli studiosi e le studiose sono infatti convinti che il successo nella vita non dipenda tanto dai voti e dai raggiungimenti scolastici, ma soprattutto dal ventaglio di competenze che ognuno si costruisce durante l'infanzia, da poter sfruttare nel corso della vita adulta e mentre si cresce.
Si tratta, essenzialmente, di competenze funzionali ed esecutive, come le definiscono, ovvero competenze concrete che permettono di affrontare al meglio le situazioni più disparate della quotidianità, privata e lavorativa. Sviluppando queste skill, quindi, i bambini e le bambine possono avere delle possibilità in più per diventare adulti capaci di destreggiarsi tanto sul lavoro quanto nelle relazioni sociali.
Ecco dunque le competenze a cui secondo i ricercatori di Harvard dovremmo allenare i nostri figli e le nostre figlie fin da piccoli, equipaggiandoli così per una vita di successi:
- Pianificazione, per avere bene in mente gli obiettivi ed essere capaci di stilare una strategia concreta
- Concentrazione, per sapere di volta in volta su cosa è meglio porre il proprio focus
- Autocontrollo, per conoscere meglio le proprie emozioni e viverle al meglio senza lasciarsi sopraffare nei momenti in cui sembra più difficile
- Consapevolezza, per riconoscere l'altro e se stessi rispettando tutti, ma avendo ben chiare anche le situazioni esterne
- Flessibilità, per sapersi adattare alle situazioni e alla vita, che è in costante mutamento.
Come fare, quindi, per trasmettere questi valori e insegnare le competenze ai bambini e alle bambine fin da quanto sono piccoli? Secondo gli studiosi è infatti importante cominciare a fornire il giusto bagaglio di skill fin dalla prima infanzia, ovvero fra i 3 e i 5 anni, calcando la mano anche durante l'adolescenza e la prima età adulta (fra i 13 e i 26 anni). Sono infatti questi i periodi più delicati, "finestre" durante le quali gli insegnamenti possono davvero fare la differenza.
Prima di tutto con l'esempio. Ma, soprattutto, proponendo giochi e attività particolarmente stimolanti da questi punti di vista.
Ad esempio: per quanto riguarda la concentrazione, possiamo insegnare il cucito e il ricamo.
Per insegnare il valore della pianificazione, possiamo impegnarci a giocare ai giochi di società con i bambini, in modo da stimolare sia la logica, sia la pianificazione. Possiamo poi creare delle tabelle di marcia per le faccende domestiche, per mostrare come la pianificazione sia utile per una vita ordinata, coordinata e serena, dove ognuno ha le proprie responsabilità.
L'autocontrollo? Quello lo si insegna ogni giorno, evitando di soffocare le emozioni dei bambini ma spronando a parlare di ciò che hanno dentro e delle sensazioni che percepiscono in determinate situazioni, provando a navigarle sempre meglio.
Chi pensa che gli inestetismi del viso come acne e punti neri riguardino solo le pelli più giovani si sbaglia. Anche le pelli più mature possono presentare queste imperfezioni, che con pazienza e attenzione possono essere facilmente prevenute. Di seguito verranno riportati dei consigli utili per evitare la formazione di inestetismi sul viso e suggerimenti validi per portare rimedio ai danni già presenti.
Il primo passo da compiere per prevenire e combattere i brufoli senza lasciare cicatrici sulla pelle è sicuramente quello di evitare di spremere i brufoli, anche se la tentazione in caso di pus potrebbe essere molto forte. Questa abitudine, infatti, è comune in tantissime persone, ma se eseguita con mani sporche o strumenti non igienizzati può causare l’aggravarsi dell’infezione già in corso. Altro suggerimento è quello di optare per prodotti cosmetici delicati, utili non solo a idratare la pelle ma anche a purificarla.
Ottimi, ad esempio, i detergenti viso per pelle acneica nel caso di pelle impura. Se non si è esperti in materia è possibile richiedere l’aiuto di un dermatologo, in modo che la propria skincare sia studiata e personalizzata ad hoc. In base alla gravità degli inestetismi presenti in volto lo specialista potrebbe addirittura consigliare l’assunzione di integratori alimentari, non a caso la salute della pelle passa anche dalla tavola. Merendine, pizzette e fritti sono da evitare, esattamente come i cibi ad alto indice glicemico, poiché possibili incentivanti dei sintomi dell’acne.
Per l’eliminazione dei punti neri invece è altamente consigliato provvedere a costanti pulizie del viso possibilmente professionali, almeno ogni due mesi.
Giornalmente è opportuno inoltre utilizzare prodotti appositi, come esfolianti viso e cosmetici privi di silicone, nei cui inci non devono comparire i seguenti suffissi: -thicone, -xiloxane e -silanoil. Altra buona abitudine da seguire per aiutare la pelle a rimanere sempre sana e bella è quella di togliere accuratamente il trucco ogni sera, prima di andare a dormire, utilizzando latte detergente e tonico e mai le salviette umidificate.
Prevenire o eliminare i punti neri è un ottimo modo non solo per curare l’aspetto della pelle ma anche per evitare che sfocino in infezioni, fino a creare casi di acne profonda.
Esistono dei metodi naturali per farlo, come ad esempio le maschere di argilla purificante (verde o bianca), facilmente reperibile in commercio sottoforma di polvere, da miscelare insieme al succo di limone e da lasciare agire sul viso per 15-20 minuti. In questo modo i comedoni verranno rimossi e molti altri saranno ammorbiditi in maniera tale da facilitarne la rimozione. Altra idea per eliminare buona parte dei punti neri su naso e viso è fare scrub a base di miele, zucchero di canna e limone, creando un composto da massaggiare per qualche minuto e da risciacquare delicatamente.
Ecco, quindi, che i consigli appena riportati sono perfetti per qualsiasi tipo di persona, da chi ha una pelle giovane ed elastica, fino a chi presenta un derma con qualche segno del tempo ma ugualmente bisognoso di essere purificato.
Non riguarda solo le puerpere, ma in realtà quando si parla di mastite ci si riferisce nella maggior parte dei casi proprio ad un disturbo dell'allattamento, dal momento che questo gesto aumenta il rischio: la mastite è infatti un'infezione acuta che riguarda il seno e che spesso compare nei primi mesi dell'allattamento. Riconoscerla è importante, così come è importante rivolgersi subito ad un medico.
Ecco quindi tutto ciò che c'è da sapere riguardo alla mastite, per capire quali siano i sintomi e intervenire tempestivamente. Anche perché, oltre ai rischi, la mastite è davvero fastidiosa e provoca dolore!
La mastite (e in questo caso ci riferiamo alla mastite acuta puerperale) è un'infiammazione che colpisce la ghiandola mammaria e che si manifesta in varie forme, acute o croniche. Durante l'allattamento l'infezione è acuta (e non cronica) e insorge a causa delle sollecitazioni eccezionali che le mammelle subiscono durante il primo periodo (non essendo abituate). Tendenzialmente si manifesta in maniera monolaterale, ovvero prende solo una mammella, ma non è detto che non riguardi entrambi i seni.
Le cause sono diverse. In alcuni casi, l'infezione arriva da piccole lesioni e ragadi del capezzolo che favoriscono l'ingresso di germi e batteri nella mammella, tramite la suzione del neonato; in altri, il motivo è un ingorgo mammario, ovvero un blocco della mammella che non riesce a svuotarsi completamente a causa dell'ostruzione di alcuni dotti galattofori. In questo caso, a provocare l'infiammazione è il ristagno di latte con conseguenti batteri.
Anche la cattiva igiene può provocare la mastite, così come la semplice dilatazione dei dotti galattofori, che durante l'allattamento si allargano lasciando defluire il latte ma, al contempo, diventando "ingresso" per i batteri.
Quando ci si trova di fronte alla mastite i segnali sono particolarmente riconoscibili, perché provoca molto fastidio e dolore. Innanzitutto, quindi, la mastite si manifesta con dolore durante l'allattamento. Di solito la mastite, come detto, colpisce solo un seno, quindi quando il dolore è unilaterale è segno di possibile mastite.
Il seno, poi, si presenta visibilmente diverso, con una zona calda striata di rosso, che tende anche ad indurirsi.
In alcuni casi la mastite provoca febbre, anche sopra i 38,5 gradi.
Infine, potrebbe manifestarsi con sintomi che ricordano quelli dell'influenza, con dolori, acciacchi, febbre e stanchezza.
La prima cosa è naturalmente contattare il proprio medico o la propria medica curante, che dopo un'attenta visita saprà definire se ci si trova di fronte alla mastite o ad altro. Anche la terapia sarà indicata dallo stesso medico o dall'ostetrica che ha in cura la puerpera.
Ci sono però anche alcuni metodi naturali per affidarsi per alleviare il fastidio della mastite, come ad esempio gli impacchi di argilla ventilata, disinfiammante. Sempre, però, da eseguire sotto consiglio del medico e in abbinamento alla terapia più adatta!
In generale, comunque, è sempre meglio prevenire che curare, e per questo motivo il consiglio è quello di rivolgersi ad un esperto o esperta dell'allattamento sin dai primi giori, in modo da imparare quali siano gli attacchi corretti e le abitudini più efficaci per la prevenzione della mastite, come le poppate regolari, gli svuotamenti manuali, l'igiene corretta e i tessuti migliori per il seno in questo periodo particolare.
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Di balbuzie soffre circa l'1% della popolazione, eppure ancora adesso balbettare viene percepito come qualcosa di negativo, da stereotipare, ridicolizzare e deridere. Affrontare la balbuzie tuttavia è oggi possibile e chi ne soffre può trovare il proprio modo di comunicare, affidandosi a specialisti e centri dedicati (oppure no: non tutti affrontano il percorso di riabilitazione e come sempre tutto è lasciato alla sensibilità del soggetto!).
Il 22 ottobre di ogni anno si dedica la giornata alla divulgazione riguardo a questo tema: anche noi vogliamo dare il nostro contributo per combattere gli stereotipi legati alla balbuzie, spiegando bene di cosa si tratta e mostrando i metodi e i percorsi ai quali ci si può affidare sin dall'infanzia per gestire al meglio questo disturbo che putroppo è ancora motivo di discriminazione, tanto a scuola quanto in età adulta.
La balbuzie è un disturbo del linguaggio detto anche balbettamento, dislalia, disfemia o disartria funzionale: chi ne è affetto fatica ad articolare le parole e di conseguenza si esprime in maniera meno fluida e incappando spesso in ripetizioni di sillabe, con involontari allungamenti di parole, saltelli o interruzioni del flusso del discorso.
In generale si possono distinguere tre diversi tipi di balbuzie. Prima di tutto c'è quella evolutiva, che si manifesta nella prima infanzia; c'è poi quella neurogena, che compare in età adulta in seguito ad alterazioni cerebrali; e infine c'è quella psicogena, che fa la sua comparsa in seguito ad alterazioni della sfera psichica.
Non c'è naturalmente un motivo uguale ad un altro, quando parliamo di cause, ma la balbuzie può essere inquadrata come in un'incertezza ed esitazione nel linguaggio. Se il 99% delle persone, infatti, quando parla non pensa al modo in cui vengono pronunciate le parole, venendone attratta o distratta, la popolazione che soffre di balbuzie inciampa spesso nelle parole proprio perché si concentra in maniera diversa e più pregnante sul linguaggio.
Allo stesso modo, non c'è una balbuzie uguale ad un'altra, ma si possono distinguere alcuni disturbi ricorrenti: la ripetizione di sillabe e suoni, i prolungamenti di certi suoni, le disritmie (interruzioni), blocchi, tensione fisica nella pronuncia, esitazioni...
Sono diversi i metodi riabilitativi per i bambini e le persone che vogliano affrontare il disturbo risolvendolo. Uno di questi si chiama Metodo MRM-S (Muscarà Rehabilitation Method for Stuttering). Si tratta di un metodo per il trattamento della balbuzie elaborato dal centro medico Vivavoce che non agisce direttamente sulla voce (e quindi sulla modifica dei suoni come escamotage ai blocchi alla base della balbuzie), ma sul controllo motorio di tutte le parti legate alla fonazione (lingua, labbra, diaframma), modificando permanentemente un comportamento attraverso la pratica e l'esperienza.
Esistono poi alcune associazioni, come l'Associazione Vivavoce, il cui obiettivo - oltre alla sensibilizzazione - è supportare alunni, genitori e docenti per capire meglio a cosa ci si trova di fronte, affrontando il disturbo attraverso percorsi di riabilitazione, di gestione dello stress derivante dalla balbuzie e addirittura prevenendolo.
Altra attività molto consigliata è poi il teatro: i corsi di recitazione e l'approccio al palcoscenico sono per molte persone balbuzienti un metodo validissimo per imparare a gestire meglio tanto la voce quanto lo stress e l'ansia che derivano dallo sforzo di parlare di fronte ad altri (non solo ad un pubblico ampio, ma anche con singoli interlocutori).
Balbuzienti famosi? Ce ne sono a decine e possono diventare un esempio e un'ispirazione per chi soffre di questo disturbo del linguaggio. A partire da Giulio Cesare fino ad arrivare a re Giorgio VI, padre di Elisabetta protagonista del film "Il discorso del re". Anche Paolo Bonolis è balbuziente, così come lo sono Joe Biden e Bruce Willis, Vinicio Marchioni ed Emily Blunt.
Rosa e vegana, ma anche gustosa e irresistibile: questa maionese di barbabietola è bellissima da vedere e questo ha due vantaggi. Vi fa fare un figurone con gli ospiti, ed è anche un buon modo per fare mangiare questo ortaggio benefico ai bambini e alle bambine.
Come sempre, quella che vi propongo è una ricetta sfiziosa ma semplicissima da preparare, per proporre piatti diversi e healthy in famiglia spaziando tra gli ingredienti che la natura ci regala.
La risposta alla domanda nel titolo è "no", ma non è così semplice. Facciamo un passo indietro.
Ricordate quel libro che parlava della frutta e della verdura per fare capire ai bambini che i frutti e gli ortaggi non nascono sugli scaffali del supermercato? Nasceva dal fatto che i bambini e le bambine d'oggi non passano abbastanza tempo nella natura da capire immediatamente che banane, noci, lattuga e mele arrivano dagli alberi e dalla terra.
Per lo stesso motivo, i bambini non sanno di stare mangiando degli animali nel momento in cui si trovano nel piatto della carne. Ma questa potrebbe essere una buona notizia se presa dal punto di vista della sostenibilità e dell'ecologia. Perché? Ecco lo studio che spiega meglio questa correlazione.
Si tratta di una ricerca recentemente pubblicata sul Journal of Environmental Psichology, Children are unsuspecting meat eaters: An opportunity to address climate change, ovvero I bambini mangiano la carne senza sospettare nulla: un'opportunità per affrontare il cambiamento climatico. Tutto parte da una considerazione, ovvero dal fatto che i bambini non sono attendibili quando si tratta di riconoscere l'origine del cibo che si trovano nel piatto. Non lo sanno fare con le verdure e tanto meno con la carne. Il 41% dei bambini e delle bambine intervistati (ragazzini statunitensi tra i 4 i 7 anni), ad esempio, è convinto che il bacon cresca su una pianta.
Quando è stato chiesto loro se gli animali fossero fonti di cibo appropriate, hanno risposto di no. Allo stesso modo, si sono detti contrari a mangiare polli, mucche e maiali.
Visti questi presupposti, le conseguenze sono due: i bambini e le bambine prima di tutto hanno bisogno di un'educazione alimentare più efficace. Non è giusto che non conoscano la provenienza del cibo che arriva in tavola. Ma allo stesso tempo per i ricercatori questa potrebbe rivelarsi un'opportunità per far fronte al cambiamento climatico in maniera positiva. Come mai?
Come ormai sappiamo, la dieta vegetariana è la più sostenibile. Mangiare carne causa un'impronta ambientale davvero molto pesante, a causa degli allevamenti intensivi e per colpa delle modalità di produzione.
Se i bambini conoscessero meglio le origini dei cibi (non solo della carne, ma anche degli alimenti a base di derivati animali) potremmo costruire una nuova consapevolezza e magari dare una spinta in più alla riduzione del consumo di carne e di derivati animali.
Un po' come con il riciclo: la raccolta differenziata in Italia ha visto un'accellerazione quando è entrata nelle case di tutto il Paese attraverso la scuola, quando negli anni Novanta si cominciò a diffondere la cultura del riciclo. Tutto scaturì da una consapevolezza scientifica, ma furono i bambini a dare il boost, spingendo i genitori ad impegnarsi. E ora i millennial, quei bambini ormai cresciuti, sono i più dediti alla raccolta differenziata e i più consapevoli rispetto ai cambiamenti climatici.
Educare i bambini a riconoscere il consumo di carne come potenzialmente problematico (se non contenuto e se fondato solo sugli allevamenti intensivi) significa dare una nuova spinta, "obbligando" gli adulti ad impegnarsi a loro volta nel preferire cibi di origine vegetale.
O li ami o li odi, anche perché lasciano in casa un aroma persistente! I cavoletti di Bruxelles sono una crocifera molto benefica (conoscete le crocifere?) e anche per questo si dovrebbero inserire nella propria dieta settimanale più spesso.
Anche perché a volte piacciono molto ai bambini, più dei classici broccoli: forse proprio grazie al loro nome e alla loro forma divertente!
I cavolini di Bruxeless sono dei cavoli in miniatura e le proprietà ricordano quindi quelle dei cavoli, dei broccoli, delle cime di rapa e delle verdure che tipicamente troviamo al mercato in autunno e inverno. Sono quindi ricchi di vitamina C, vitamina A, vitamina K e vitamine del gruppo B, ma anche di proteine, fibre e sali minerali.
Sono considerati anche un potente antiossidante grazie al sulforafano contenuto.
Ma come cucinare i cavolini di Bruxelles? Quali sono le preparazioni dei cavoletti per renderli gustosi, teneri e mai noiosi?
La ricetta più classica e semplice per gustare i cavolini di Bruxelles è prepararli bolliti: dopo aver rimosso la parte più dura (quella sul fondo della pallina) e le foglie più sporche, lavate i cavoletti e metteteli a bollire per circa 15-20 minuti, scolandoli a seconda del grado di morbidezza che preferite.
In alternativa, potete cuocerli anche al vapore: ci impiegheranno qualche minuto in più, ma la cottura sarà più dolce e delicata e si manterranno meglio le proprietà nutrizionali.
È possibile mangiare i cavoletti semplicemente con un po' di sale e un filo d'olio, oppure al naturale. Si tratta di un contorno sano, semplice e veloce.
Qui troverete una ricetta davvero gustosa, per proporre i cavolini anche a chi pensa di non amarli. In forno diventeranno infatti croccanti estenamente, mantenendo il gusto della polpa interna, leggermente ammorbidita dal calore del forno.

Invece della classica parmigiana di melanzane, possiamo provare la parmigiana di Cavoletti di Bruxelles: basta sbollentarli, scolarli bene e metterli nel forno con una spolverata di parmigiano in superficie, lasciandoli cuocere a 180 gradi per circa 20 minuti, controllando bene il grado di gratinatura.
I cavoletti di Bruxelles possono essere preparati anche in padella: dopo averli puliti, lavati e tagliati a metà, mettiamo a rosolare in un filo d'olio una cipolla rossa tagliata fine, quindi buttiamoli in padella. Lasciamoli insaporire, quindi aggiungiamo un goccio di brodo vegetale oppure di semplice acqua (ne basta un dito) lasciandoli cuocere in questa maniera per circa 15 minuti. Teniamo controllato il livello di acqua, mescolando bene quando s'è assorbita e lasciando abbrustolire leggermente i cavolini.

Non demonizziamo la tecnologia: i nostri figli e le nostre figlie sono nativi digitali e fin dai primi anni di vita hanno a che fare con gli strumenti digitali che ogni giorno utilizziamo. E che sono una risorsa, se sfruttati nella giusta maniera. Anche perché è impossibile non lasciare che prendano familiarità con smartphone, tablet e computer, e non è nemmeno giusto tenerli lontani, rischiando che crescano fuori dal mondo.
Naturalmente però c’è un’età per tutto. E una misura. Anche perché passare troppo tempo davanti agli schermi non è deleterio solo a livello educativo, di concentrazione e di motricità. Anche la vista ne risente e ora a dirlo è anche la scienza.
Qualche giorno fa è comparso sulla rivista The Lancet digital health un articolo scientifico dal titolo “Associazione tra l’uso di strumenti digitali smart e la miopia: una revisione sistematica e una meta-analisi”. I ricercatori, guidati dal dottor Joshua Foreman, hanno riassunto così lo studio: “Excessive use of digital smart devices, including smartphones and tablet computers, could be a risk factor for myopia. We aimed to review the literature on the association between digital smart device use and myopia”. Tradotto, dice questo:
L’utilizzo eccessivo di device smart digitali, inclusi smartphone e tablet, potrebbe essere un fattore di rischio per la miopia. Il nostro obiettivo era studiare la letteratura che tratta l’associazione tra l’uso di questi device e la miopia.
I ricercatori hanno dunque preso in considerazione la letteratura scientifica, analizzando più di 3000 articoli riguardanti la salute optometrica dei ragazzi fra i 3 e i 16 anni, dai quali si evince che più ore passate davanti allo schermo aumentano il rischio di sviluppare miopia del 30%. Addirittura, si arriva all’80% se tra gli schermi viene utilizzato anche un personal computer.
Un altro studio che dimostra la correlazione tra device digitali e miopia nei bambini è stato condotto recentemente in Cina. Alcuni studiosi dell’Università Yat-Sen di Guangzhou hanno analizzato i bambini provenienti da 12 scuole primarie cinesi e hanno notato come la miopia tra i bambini sia peggiorata durante la pandemia da Covid-19, periodo nel quale i piccoli si sono trovati chiusi in casa con un campo visivo ridotto e con la possibilità (e necessità, se pensiamo alla DAD) si utilizzare schermi digitali. I dati parlano chiaro: se, ad esempio, nelle classi terze nel 2019 c’era un’incidenza di miopia del 13%, nel 2020 si è passati al 20%.
Se i casi di miopia stanno aumentando uno dei motivi è di certo da ricercare nella pandemia. I vari lockdown e le quarantene preventive che in Italia hanno riguardato moltissime scuole hanno portato i bambini ad isolarsi in spazi ridotti e a tagliare la possibilità di passare tempo all’aperto (abitudine benefica per la vista). Soprattutto, tanto la DAD quanto le attività svolte in lockdown (guardare video, telefonare ad amici e parenti…) hanno contribuito all’abbassamento della vista dei bambini, a cui troppe ore davanti agli schermi fanno effettivamente molto male a livello ottico, come questi studi hanno dimostrato e come altri continuano a dimostrare.
L’ideale è quello di limitare sempre le ore passate davanti agli schermi digitali, soprattutto quelli più piccoli, favorendo il gioco all’aperto e la lettura di libri cartacei.
Arriva in Italia la Cannabinologia! Alcune Università italiane hanno fatto partire i primi corsi che insegneranno tutto quel che c’è da sapere sulla canapa sativa e i suoi prodotti.
Chi era già al corrente della notizia, ma anche chi la sta leggendo per la prima volta qui, avrà dei dubbi che si tratti di uno scherzo o che questi corsi siano solo una trovata provocatoria che scemerà in breve tempo.
In realtà il settore industriale della Cannabis è in crescita e la richiesta di persone formate in maniera scientifica è alta. Per questo il mondo accademico si sta iniziando ad adeguare per stare al passo coi tempi.
In quest’articolo spiegheremo come sia nata la Cannabinologia, dove viene insegnata e in cosa consistono i nuovi corsi delle Università italiane.
L’idea di organizzare un corso di studi sulla Cannabis non poteva che nascere all’interno del maggior produttore mondiale di questa pianta, vale a dire gli USA.
In America il mercato della Cannabis vale miliardi di dollari e si prevede che in futuro la richiesta di esperti del settore da parte di aziende pubbliche e private debba aumentare esponenzialmente.
Per formare i professionisti del futuro sono dunque nati corsi universitari nei quali si studia il settore della canapa dal punto di vista chimico, medico ma anche finanziario.
Per dare la misura di quanto il panorama stia cambiando rispetto al proibizionismo del passato si pensi che l’Università del Colorado propone un corso di laurea in “Biologia e Chimica della Marijuana”.
Sembra incredibile che la parola Marijuana sia utilizzata per indicare corsi accademici dopo essere stata per lungo tempo sinonimo di crimine e droga, ma è proprio così.
Al di fuori degli States sono ancora pochi i Paesi che hanno seguito quest’esempio e tra questi si annoverano il Canada e Israele.
Quando si tratta di progresso l’Italia spesso arranca dietro i più avanzati Paesi occidentali e possiamo verificarlo anche in questo caso.
Infatti nel Bel Paese non c’è ancora alcun segno di lauree vere e proprie orientate al mondo della Cannabis.
Tuttavia qualcosa si sta muovendo. In alcune Università italiane stanno iniziando a nascere infatti dei corsi singoli di formazione in “Cannabinologia”.
Ad aprire le danze è stata a fine 2019 l’Università La Sapienza che, all’interno del corso di laurea in Scienze Sociali Applicate, ha inaugurato il laboratorio di “Analisi socio-economica del mercato della Cannabis”.
Il passo più audace è stato compiuto invece dall’Università di Padova che offre la possibilità di un Master in Cannabinologia.
Si muove un po’ in ritardo quindi quella che fino agli anni ’40 era la seconda produttrice mondiale di canapa dietro solo all’Unione Sovietica. Ma le prospettive sembrano promettenti.
Se la timida liberalizzazione di questi anni dovesse andare avanti, si stima un vero e proprio boom economico nel mercato italiano della Cannabis.
Esistono già tante aziende serie e solide in questo campo come l’italianissimo Justbob.it, tra i più affermati nel comparto della canapa. Tuttavia la tendenza legislativa proibizionista ostacola la crescita di un settore con enormi potenzialità come quello della Cannabis.
Basti pensare che, per quanto riguarda il mercato della canapa light e tutto l’indotto, la società londinese Prohibition Partners prevede nei prossimi 10 anni un giro di affari tra i 7 e i 30 miliardi di euro!
Tutto dipenderà dallo sviluppo della situazione legislativa sulla Cannabis. Se si uscirà dal continuo avanti-indietro tra norme progressiste e norme proibizioniste, potremo sperare di assistere a una nuova crescita economica e alla creazione di numerosi posti di lavoro.
Attualmente la legislazione sulla Cannabis in Italia è particolarmente ingarbugliata e confusa e ciò non aiuta ad attirare investimenti nel settore della canapa legale.
Troppa burocrazia, troppe regole e l’incertezza per il futuro sono un grande ostacolo per le giovani aziende di questo comparto.
Tuttavia ha creato scalpore e rinnovato le speranze una nuova proposta di legge che ha superato l’esame della Commissione di Giustizia della Camera l’8 settembre scorso.
La proposta non si occupa di produzione di canapa a livello industriale ma ne disciplina la coltivazione domestica. Tuttavia può essere un segnale di apertura della politica ad altri passi verso la liberalizzazione e la conseguente crescita economica del settore della Cannabis.
Questi sono i principali punti del nuovo disegno di legge:
Ecco spiegato, per filo e per segno, cosa stia succedendo nelle Università italiane.
Il panorama accademico si è popolato di una nuova scienza in linea con le prospettive future di liberalizzazione della Cannabis.
Ancora non sono stati istituiti dei veri e propri corsi di laurea. Ma stupisce sapere che esistono Master in Cannabinologia se si pensa a che punto di incertezza e arretratezza si trovi ancora la legge italiana su questo tema.
Sono diversi gli studi che dimostrano come ridere con i bambini sia fondamentale per la crescita. Fare battute, ridere e scherzare non solo fa bene all'umore, ma migliora le relazioni interpersonali e addirittura stimola i ragionamenti e l'intelligenza. Le barzellette, quindi, sono un pilastro della crescita!
Raccontare barzellette ai bambini è quindi molto raccomandato. Si tratta di uno dei primi modi con cui stimoliamo la comicità verbale dei nostri figli e figlie (che in realtà nei primi mesi e anni di vita ridono e sperimentano in moltissimi altri modi!), che potranno poi prendere spunto dalle nostre battute divertenti per inventarne di loro, o semplicemente le replicheranno per suscitare ilarità negli altri.
Ecco dunque le più belle barzellette per bambini (corte e lunghe!), appropriate, divertenti ed esilaranti.
Una leonessa sta chiacchierando con un leone nella savana. Nel mentre, arriva un gruppo di turisti su una jeep intenti in un safari. Così la leonessa dice al leone: "Mannaggia, anche oggi ci toccherà mangiare carne in scatola...".
Uno studente chiede al prof: "Si può punire qualcuno che non ha fatto nulla?". Il prof risponde: "Certo che no!". E lui: "Bene, allora non ho niente di cui preoccuparmi, visto che non ho fatto i compiti".
La mamma di Giovanni fa irruzione nella sua camera: "Alzati, pelandrone!". Lui, assonnato, si lamenta: "Ma mamma, non ho voglia di andare a scuola, preferisco stare nel letto, che pizza!". E la mamma risponde: "Vedi di alzarti al volo, che a scuola ci devi andare, visto che hai 40 anni e sei il preside!".
Pierino va in bicicletta e urla al nonno: "Guarda guarda! Senza mani!". "Guarda guarda! Senza piedi!". "Guarda guarda! Shensha denthi!".
Una notte Gaia sente una voce spaventosa. "Chi è?", chiede". "Buahahaa, sono il fantasma formaggiiiiinooo!". Impaurita, va dalla mamma, che le dice: "Sai una cosa? So io cosa devi dirgli la prossima volta che arriva!". La notte successiva Gaia sente di nuovo la voce spaventosa. "Chi è?", chiede. "Buahahaa, sono il Fantasma Formaggino!". "Vieni vieni, che ti spalmo sul panino!".
Un signore sta passeggiando con il suo serpente al guinzaglio. "Oddio, signore! Lo porti subito allo zoo!", esclama una poliziotta. Il signore le risponde: "D'accordo!". Il giorno dopo la poliziotta incontra di nuovo lo stesso signore, ancora con il serpente al guinzaglio. "Ma non le avevo detto di portarlo allo zoo?", gli chiede. "Certo", fa lui, "ieri l'ho portato allo zoo, oggi al cinema, domani in piscina!".
Una sera, un passante vede un ubriaco che cerca qualcosa a terra, ai piedi di un lampione. Gli chiede: "Cosa sta cercando, signore?". "Le chiavi di casa! Mi aiuta a trovarle?". "Certo", risponde questi, "dove le sono cadute, più o meno?". "Laggiù", risponde l'ubriaco, "dove ci sono gli alberi! Ma ora sto provando a cercarle qui, che è bello illuminato!".
Cosa fa un televisore nel mare? Va in onda!
Un daino dice a un altro daino: "Giochiamo a nascondino". E l'altro: "Dai, no...".
Perché il quaderno di matematica sta piangendo? Perché è pieno di problemi!
Il colmo per il prof di musica? Non dare mai note!
Qual è il ballo preferito dalle scimmie? L'Orangotango!
Sai perché il formaggio non riesce a dormire? Perché l'insalata russa!