Le parole che feriscono i bambini

Lunedì, 18 Settembre 2017 13:27

Non sono solo gli sculaccioni a ferire i bambini. Non sono solo le botte. E non sono solo le violenze fisiche a segnarli. Anche le parole sono importanti. Sono fondamentali, anzi. Perché i bambini recepiscono tutto, non solo le parole d’affetto, ma anche quelle taglienti magari dette sbadatamente, o quelle sussurrate, o quelle scambiate lontani dalle loro orecchie ma che in qualche modo riescono a sentire. Facciamo attenzione. E guardiamo il nuovo video dell’Associazione Infanzia Senza Violenze.

Le parole che feriscono i bambini: la violenza verbale è distruttiva quanto quella fisica, e un video ci mostra la realtà

L’Associazione Infanzia Senza Violenze è un’istituzione francese. Insieme all’Osservatorio sulla Violenza Educativa Ordinaria (la violenza fisica, psicologica e verbale che i bambini subiscono quotidianamente) ha deciso di porre il focus sul male che possono fare le parole rivolte ai bambini, male che può essere tranquillamente equiparato a quello suscitato dalle ferite fisiche.

Il video è abbastanza forte: sono adulti, che parlano. Ma quelle parole sono le parole che si sono sentiti rivolgere da bambini, e che moltissimi bambini ancora ascoltano dalla bocca dei propri genitori.

"Cosa ho fatto per avere un figlio come te?”.

"Se l'avessi saputo prima non avrei fatto un figlio”.

"Sei un buono a nulla, non sei capace di fare niente”

"Sei sempre stato più lento di tuo fratello”.

"Non indossare quella t-shirt, che ti fa le braccia grosse”.

Sono frasi tra il leggero e il forte, che a volte si dicono sovrapensiero, e a volte si dicono durante un’arrabbiatura. Oppure le si pronuncia tutti i giorni, perché si crede che attraverso la durezza delle parole possa passare l’educazione dei bambini. In realtà non è l’educazione, che passa, ma la violenza nuda e cruda. Le parole dette in questo modo sono umilianti, segnanti e ferenti.

La conseguenza diretta è un malessere passeggero del bambino, che incassa, subisce e reagisce a suo modo (o con altrettanta violenza, o chiudendosi in se stesso, o seguendo le direttive dei genitori), ma il problema è ben più grande, perché gli strascichi i bambini se li portano dietro per tutta la vita, crescendo e diventando adulti.

Gli adulti che in infanzia hanno subito questo tipo di violenza verbale diventano quindi adulti insicuri, ma soprattutto adulti che (mettendolo in pratica o comunque pensandolo) ritengono che la violenza, la durezza, l’aggressività e questi atteggiamenti negativi siano l’unico modo per gestire le situazioni in maniera adeguata. E il più delle volte il circolo vizioso non si spezza: i loro figli molto probabilmente riceveranno la stessa educazione.

Ciò su cui si dovrebbe puntare è invece la gentilezza. Il dialogo. Le parole vere ma calibrate. Quelle che insegnano davvero, mostrando il perché delle azioni e dei consigli e facendo a capire al bambino ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

La violenza, verbale o fisica, crea uno stress inutile che influenza negativamente lo sviluppo. E va fermata, senza se e senza ma.

 Giulia Mandrino

Dopo le ricette estive perfette per iniziare a lasciare cucinare i bambini, ecco un’altra selezione di piatti semplici e veloci, stavolta autunnali, che si prestano alle prime preparazioni. I bambini possono così divertirsi in cucina cominciando a sperimentare le gioie del preparare qualcosa con le proprie mani a partire dalle materie prime!

8 ricette autunnali per fare cucinare i bambini: dalla zucca nell’humus al frullato di spinaci, i piatti da fare cucinare ai nostri figli per avvicinarli alla cucina

Hummus di zucca: la nostra ricetta è davvero molto facile, e prevede semplicemente di frullare tutti gli ingredienti (la zucca, i ceci, la tahina e il limone) in un mixer. Il risultato è una crema arancione divertente, buona e versatile da utilizzare con le verdure, con i crostini o nei panini.

Spiedini di verdure d’autunno: prendiamo pomodorini, carote, finocchio, sedano e indivia. Laviamo bene tutto, quindi tagliamo le carote a rondelle, il finocchio a spicchi piccoli, il sedano a tocchetti e l’indivia a striscioline corte. Prendiamo degli stuzzicadenti lunghi e infilziamo le verdure. Da mangiare insieme all’hummus o con il più tradizionale pinzimonio di olio evo e sale alle erbe, anche questo da preparare insieme ai bimbi!

Involtini di mopur con ricotta di capra: Se amate gli involtini di affettati, sappiate che si possono realizzare anche con affettati naturali, sani e buonissimi. Parliamo del Mopur, affettato che non deriva dalla carne rossa. Con il Mopur (o in alternativa con la bresaola) i nostri bimbi possono preparare dei deliziosi involtini: basta che spalmino della crema di ricotta di capra e che li arrotolino su se stessi, condendo poi con un filo d’olio, sale e pepe.

Piadina integrale: la nostra ricetta della piadina integrale fatta in casa è perfetta per i bambini, poiché è un primo passo per imparare a impastare, un’azione che piace moltissimo ai piccoli.

Purè vegetale: con i bambini, prepariamo un brodo vegetale (350 grammi) e tuffiamoci un kilo di patate sbucciate e tagliate a tocchetti. Accendiamo il fuoco e una volta che l’acqua bolle lasciamo cuocere per circa 10 minuti. Spegniamo la fiamma e facciamo frullare ai bambini (con il frullatore a immersione o nel mixer) le patate insieme al brodo, a 40 grammi di olio evo e a un pizzico di sale. Rimettiamo quindi in padella e cuociamo fino a ottenere la consistenza desiderata.

Frullato di spinaci: un frullato buono e sano che coniuga i benefici degli spinaci con la bontà della frutta e che permette di fare apprezzare ai bambini anche le verdure, dal momento che si divertiranno a prepararlo! Basta frullare 50 grammi di spinaci freschi con una banana, 150 grammi di uva senza semi, mezza mela e un vasetto di yogurt di soia alla vaniglia (oppure, in alternativa, un goccio di latte di mandorla).

Crema menta e cioccolato: prepariamo gli ingredienti (250 grammi di panna di avena da montare fredda di frigo, 100 grammi di ricotta di pecora, 1 cucchiaio di zucchero di canna integrale, un bicchierino di sciroppo di menta bianco e una manciata di gocce di cioccolato fondente), quindi facciamo mescolare ai bambini la ricotta con lo zucchero e lo sciroppo in una ciotola. Facciamogli poi montare la panna con le fruste elettriche, quindi uniamola al composto insieme alle gocce di cioccolato. Mescoliamo bene e versiamo la nostra crema in bicchieri monoporzione!

Tartufini al cioccolato: buonissimi, sono anche semplicissimi da preparare. Basta sciogliere in un pentolino 30 grammi di margarina con 100 ml di panna di avena, quindi sciogliere in microonde 200 grammi di cioccolato fondente. Uniamo i due composti e mettiamo la crema in frigo ad addensare. Prima che si solidifichi, tiriamola fuori e con un cucchiaino formiamo delle palline, da rotolare in una montagnetta di cacao amaro. Rimettiamo in frigo e serviamo belli freddi.

Giulia Mandrino 

“Avete visto Anna?”

Venerdì, 15 Settembre 2017 13:55

Anna è sparita. La mamma s’è distratta un attimo e la bambina è scomparsa. Una trama horror, per un genitore. Ma non in questo libro: perché Susanna Mattiangeli e Chiara Carrer hanno scritto una storia magnifica, con illustrazioni geniali, per parlare di unicità.

“Avete visto Anna?”: il libro di Susanna Mattiangeli e Chiara Carrer che insegna ai bambini l’importanza di essere unici

Si parte da lì: dal momento in cui la mamma perde Anna tra una bancarella di pomodori e una di mutande. “Avete visto Anna?”, della casa editrice Il Castoro, prende il via da un evento potenzialmente drammatico trattato però con leggerezza, in maniera tranquilla e spontanea. Perché al centro non sta la tragedia. Sta l’insegnamento!

Siamo al mercato, e la gente si chiede: “Ma com’è fatta Anna? Come possiamo riconoscerla per ritrovarla?”. E qui parte l’avventura.

Perché Anna è morbida, ma anche ruvida. È grandissima, ma a volte entra in una scatola. È chiacchierona, ma a volte sta zitta per ore, davanti ad un libro o a qualcosa di curioso. È appiccicosa, a volte, ma falla arrabbiare e diventa così spinosa da non poterla toccare. Insomma: Anna è tante cose. Anna è tutto e il suo contrario. Perché Anna è unica.

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A ritrovarla, alla fine, è la mamma, che la riconosce: Anna si rivela essere una bambina normale, uguale a molte. Eppure è unica, per chi la conosce. È unica per la sua mamma, che coglie tutte le sue sfumature e sa descriverla in ogni particolare. Morale: siamo tutti unici, e anche se ci sembriamo "normali" o insignificanti, ci sarà sempre qualcuno che ci riconoscerà in mezzo ad una folla!

La bellezza del libro sta però anche nelle illustrazioni: i disegni sono a pennarello, proprio come quelli dei bambini, e come quelli dei bambini hanno un tratto infantile riconoscibile, intimo e accoccolante. Li vedi e ti riconosci, e si riconoscono i bambini. Sui quadretti, sulle righe, sulla carta millimetrata: lo sfondo è scolastico e davvero tenero.

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Il grande formato del libro è perfetto per questa storia, perché Anna alla fine si trasforma un po’ in un Wally (il bimbo con occhiali, berretto e maglia a righe bianche e rosse) da trovare tra la folla. I bambini leggono, imparano la storia, conoscono parole nuove. E poi la cercano, e la trovano, e ti sfidano! È bellissimo: il libro diventa parte della famiglia, un po’ come facevano una volta i caotici libri di Richard Scarry.

Sara Polotti 

“Ho Caldo!” di Mako Taruishi

Venerdì, 15 Settembre 2017 13:09

Non so voi, ma a noi i libri cartonati di Babalibri ci piacciono sempre da matti. Qualche tempo fa è uscito in libreria “Ho caldo!”, libro del giapponese Mako Taruishi, un libro disarmante nella sua semplicità, divertente, rilassante e coinvolgente per i bimbi che iniziano a prendere confidenza con il piacere della lettura.

“Ho Caldo!” di Mako Taruishi: il nuovo libro edito da Babalibri che con semplicità parla di amicizia, aiuto reciproco e collaborazione

“Ho caldo!” è un libro perfetto per i bimbi più piccoli, per quelli che iniziano a interessarsi dell’oggetto-libro: non è mai troppo presto per avvicinare i bambini alla lettura, lo diciamo sempre, e anche se i primi tempi avrete l’impressione che sia inutile leggere ad alta voce o lasciare loro i libri a disposizione, beh, vi sbagliate. La confidenza con il libro la si prende a partire dall’oggetto: i libri cartonati sono quindi perfetti, perché incuriosiscono i bambini, sono solidi e perfetti per le loro manine!

La storiella è semplicissima: narra la vicenda di un piccolo pinguino che soffre il caldo torrido e che trova finalmente ombra. Quest’ombra si rivela però essere quella di una foca, che sta soffrendo proprio come lui. E allora via alla ricerca di un altro posticino ombreggiato. Che però si rivela sempre essere l’ombra proiettata da un altro animale più grande.

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Ma come sempre dietro alle storielle semplici e apparentemente senza senso si trova una morale importante: qui, ad esempio, ci sono i concetti di aiuto reciproco, di empatia (tutti soffrono il caldo!), di collaborazione, di amicizia.

Un libro da leggere ad alta voce con i bambini, senza stancarsi mai: di volta in volta i bambini conoscono i personaggi, li riconoscono, fanno domande, imparano a memoria le parole, trovano dettagli nuovi e nuove curiosità da soddisfare. E poi ridono: perché le situazioni sono davvero buffe, con qualche malinteso qua e là che non guasta per creare la giusta atmosfera giocosa.

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Le illustrazioni, poi, sono davvero belle, colorate e sgargianti ma senza essere pesanti o estreme: lineari, proprio come la trama, portano i bambini a spasso per la storia, dandogli la sensazione di stare camminando proprio insieme ai quattro animali sotto il sole cocente che li farà dannare fino alla meravigliosa vista del mare, fresco, immenso e rilassante!

Sara Polotti

L’intelligenza emotiva

Venerdì, 15 Settembre 2017 07:23

Andare bene a scuola e avere voti alti non è per forza sinonimo di successo nella vita. Non in quella sociale, né in quella lavorativa. E non è un concetto astratto o una teoria: pensate solo ai vecchi compagni di classe. Quello bravissimo magari oggi ha un lavoro perfetto e una vita piena e soddisfacente, ma c’è anche chi più probabilmente pur avendo avuto tutti 10 ha fatto davvero fatica per inserirsi al meglio nel mondo, oppure chi è diventato insopportabile e saccente, o chi non riesce più in quello che fa. Al contrario, quello che magari andava un po’ meno bene ma che era un pochino più sensibile e attento si è rivelato il più sveglio, oppure il più di successo, o il più sinceramente amato.

Daniel Goleman ha piegato il perché: sta tutto nell’intelligenza emotiva. Che non è solo quella che concerne il quoziente intellettivo o l’”andare bene a scuola”.

L’intelligenza emotiva: perché per crescere al meglio ogni persona dovrebbe sviluppare il suo lato più virtuoso e sensibile, oltre a sfruttare il proprio quoziente intellettivo

“L’intelligenza non è tutto”, si legge in quarta di copertina. A scuola come nella vita. Ed è vero: per Daniel Goleman ciò che conta nella vita è l’intelligenza emotiva, e svilupparla significa avere per sempre quel passo in più per avere la vera soddisfazione sociale e professionale. Anche i nostri bambini dovrebbero essere spronati in questo senso. E per farlo basta inseguire le virtù e competenze che l’autore suggerisce nel suo libro.

I bambini che possiedono un’intelligenza emotiva li riconosci, basta fare attenzione a certi piccoli atteggiamenti. Il non arrabbiarsi troppo spesso (almeno non prima di aver analizzato bene le situazioni e i punti di vista altrui). Il prendere le difese di qualcuno in difficoltà o preso di mira. Il sapere di non aver raggiunto gli obiettivi (i famosi voti), seguito dalla consapevolezza di doversi impegnare di più…

Insomma, in altre parole, l’intelligenza emotiva riguarda il cuore, perché coloro che già l’hanno sviluppata sanno mettere in campo oltre che le conoscenze anche le sensazioni.

Riconoscere e comprendere le emozioni (proprie e degli altri), oltre che saperle gestire e utilizzare, è proprio ciò che caratterizza infatti l’intelligenza emotiva. Ed essere persone intelligenti emotivamente significa essere qualcuno in grado di relazionarsi al meglio con gli altri, di analizzare le situazioni per capire come sfruttarle al meglio e di sviluppare una capacità di problem solving molto importante. Tutte skill estremamente preziose che nella vita si rivelano molto più utili della semplice intelligenza da alto quoziente intellettivo. Insomma: serve a poco sapere a menadito le nozioni se poi nella vita non siamo in grado di comportarci al meglio.

Tra le abilità che secondo Goleman dobbiamo sviluppare, aiutando anche i nostri bambini a farlo, ci sono l’autocontrollo, l’empatia, l’attenzione agli altri e la pervicacia.

L’autocontrollo è alla base di tutto, perché permette di sfruttare il momento dello stallo (quello in cui resisti alla tempesta improvvisa dell’emozione) per leggere dentro di sé, capire cosa accade e decidere come agire. Con l’autocontrollo si attenuano le tensioni, si evitano conflitti, si impara a ragionare sotto stress e, alla fine, si apprezza di più la vita con le sue difficoltà, perché essere in grado di darsi un freno significa avere più possibilità di reagire positivamente. Una dote che è strettamente connessa con il problem solving, dal momento che senza autocontrollo è davvero difficile prendere in mano le situazioni.

L’empatia, una virtù che oggi nel mondo sembra mancare, è un altro dei pilastri dell’intelligenza emotiva. Significa essere in grado di capire e interpretare le emozioni degli altri, mettendosi nei loro panni, in modo da gestire le situazioni non solo dal proprio punto di vista, ma integrando anche quello altrui. L’empatia può essere emotiva (il capire, appunto, l’emozione), oppure cognitiva (ovvero la capacità di capire, durante una discussione o un confronto, il punto di vista dell’altro, prendendo sempre in considerazione il suo pensiero), e in ogni caso è uno strumento (oltre che molto umano) molto utile per diventare una persona credibile, affidabile, buona e influente in maniera positiva.

Ecco quindi la pervicacia, o in altre parole la motivazione. Essere motivati significa essere in grado di raggiungere i propri obiettivi anche durante le difficoltà, ponendosi obiettivi e spingendosi positivamente. Sul lavoro è importante a livello personale, ma lo è anche in senso sociale, poiché una persona emotivamente intelligente sa motivare gli altri, spingendoli e ispirandoli, diventando pilastro e aiutando il gruppo. Essere molto motivati, poi, significa imparare l’importanza della concentrazione, e sapere sfruttare la bellezza dell’immergersi completamente in un compito per cogliere tutte le positività.

Infine, l’attenzione verso gli altri, strettamente legata all’empatia e fondamentale per l’intelligenza emotiva, che implica in se stessa l’apertura all’altro. Essere attenti a chi ci sta di fronte significa ascoltare, interagire in maniera positiva, comprendere e sfruttare ciò che sappiamo per creare un rapporto solido, proficuo e di fiducia. Insomma, un rapporto di qualità. Questa qualità è importantissima non solo perché ci permette di realizzarci (socialmente e lavorativamente), ma anche perché permette di tirare fuori il meglio di se stesso e degli altri. Ecco perché le persone emotivamente intelligenti sviluppano naturalmente negli anni una capacità di ascolto sopra la media, una comunicazione non verbale preziosa che gli permette di entrare in connessione con l’interlocutore e una conseguente capacità di persuasione davvero utile nella vita.

Giulia Mandrino

Il metodo pedagogico ideato da Maria Montessori è ormai conosciuto, apprezzato e utilizzato da molte scuole, ma soprattutto da molti genitori, che anche a casa applicano le semplice direttive del metodo montessoriano.


Questo metodo su tutto vuole spingere i bambini a raggiungere l’indipendenza, spronandoli con semplici strumenti a provare a fare da soli. Tra le attività? Apparecchiare, lavare i piatti, cucire, cucinare, stendere, vestirsi, allacciarsi le scarpe…

Quella che vi proponiamo oggi rientra quindi nel solco delle faccende di casa insegnate fin da piccoli (proprio per acquisire indipendenza e manualità), ma che ricalca anche un’altra attività, con un risvolto altrettanto importante: l’uso delle forbici, che implica la conoscenza del senso del pericolo, senso che svilupperanno a fatica se tendiamo a proteggerli troppo. Meglio insegnare presto ad utilizzare strumenti affilati, pesanti o in qualche modo un po’ pericolosi! Proprio come il ferro da stiro!

Imparare a usare il ferro da stiro, un’attività montessoriana: come insegnare ai bambini a stirare, per lasciare che acquisiscano indipendenza, manualità e un sano senso del pericolo

Innanzitutto, prendiamo uno di quei ferri da stiro da viaggio, più piccoli di quelli che utilizziamo normalmente e soprattutto senza caldaia (perché in quel caso dovremmo fare davvero molta, moltissima attenzione, con il vapore che scotta e le temperature altissime: a quello ci si può arrivare pian piano).

Teniamo quindi la temperatura ad un livello medio. Metterlo al minimo non servirà, perché, come potete immaginare, le pieghe non spariscono, e quindi è inutilmente faticoso.

Sistemiamoci quindi su un tavolo ad un’altezza tale che il bambino ci starà tranquillamente comodo, raggiungendo, in piedi, la superficie. Proprio ad un’altezza simile a quella che ci troviamo noi quando stiriamo. Possiamo utilizzare una tavola per stirare di quelle senza gambe, da appoggiare, appunto, al tavolo. Se non ne abbiamo una, basterà sistemare sulla superficie un tessuto morbido e spesso e sopra questo una pezza abbastanza ampia in cotone, che farà da base. Altra soluzione è semplicemente abbassare l’asse da stiro al livello più basso (ma non tutte si abbassano così in profondità).

Sistemato tutto, prendiamo qualche bella pezza quadrata o rettangolare, che sia ben stropicciata, in modo da rendere il tutto più divertente, ma soprattutto reale!

Pian piano insegniamo ai bimbi come si tiene in mano il ferro da stiro, come lo si fa scorrere sui tessuti, dove tenere le mani per non scottarsi, come girare i tessuti, come piegare i panni e tutti i passaggi necessari per stirare al meglio. Passiamo poi anche alla spruzzatura del vapore, una volta acquisita la manualità base. Prima con un semplice spruzzino per l’acqua (che diverte molto i bambini!) e poi con la valvola integrata nel ferro.

Dopo aver provato con le pezze, possiamo passare ai panni. Inizialmente la cosa più semplice saranno le magliette. Bene anche i tovaglioli, i fazzoletti e tutto ciò che non richiede particolare precisione. A quella ci si arriverà pian piano, e i bimbi diventeranno dei professionisti della piega!

Giulia Mandrino 

La falegnameria didattica di Gino Chadod

Mercoledì, 13 Settembre 2017 13:26

I lavori manuali per bambini sono importantissimi. Non solo perché li aiutano a sviluppare la loro manualità, ma anche per il divertimento, per il gioco e per il fascino che hanno su di loro. Imparare fin da piccoli, con la giusta guida, a fare tutti quei lavori “adulti” come stirare, tagliare, cucire (e chi più ne ha più ne metta) è un elemento importante per la loro crescita.

E qual è il lavoro manuale per eccellenza? Esatto, la falegnameria. Quella che vi presentiamo oggi è quindi un gioiellino delle attività per bambini. Grazie a Gino Chadod, infatti, è nata la falegnameria didattica, laboratorio per avvicinare concretamente i bambini, in maniera seria ma divertente, a questo lavoro artigianale ormai di nicchia ma sempre pilastro della nostra vita.

La falegnameria didattica di Gino Chadod: il bello della lavorazione del legno è finalmente anche per bambini

Di laboratori per bimbi ce ne sono moltissimi. Dal cucito al giardinaggio, dalla cucina a disegno. E poi ci sono le fattorie didattiche, per avvicinarsi al lavoro in mezzo alla natura. E il legno dove lo lasciamo? Lavorare il legno è un’arte bellissima, precisa, che dà soddisfazioni immense a chi la pratica: pensate quindi alla gioia di un bambino nel prendere in mano scalpelli, trapani, seghetti, morse, pinze, martelli e tutto ciò che occorre per trasformare un pezzo grezzo di legno in un oggetto, un marchingegno, un mobile o un suppellettile. Dal nulla si crea qualcosa: un concetto strano, per i bambini, affascinante e coinvolgente.

Come dicevamo, di laboratori di falegnameria ce ne sono davvero pochi, e nelle scuole questa materia così diffusa nel secolo scorso ormai è scomparsa. Fanno eccezione, naturalmente, le scuole Waldorf che seguono la didattica steineriana, nelle quali la falegnameria è inserita nei programmi.

Gino Chadod, falegname da sempre, porta dalla Valle d’Aosta questa arte ai bambini. Lo trovate alla fattoria didattica "I Campi"  (via Campi,1 Vernasca, PC - cell. 340 25 19 246), e basta una prenotazione via mail (a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) per partecipare ai suoi laboratori, che durano circa 3 ore (per singoli o per gruppi). Lo trovate anche in varie fiere, agli eventi, in varie fattorie didattiche o luoghi selezionati (come in luglio e agosto, quando tiene un laboratorio per turisti a Prè St. Didier -AO), nelle scuole e, soprattutto, lo trovate a Milano per progetti temporanei, che potete scoprire sul suo sito internet.

Il bello di questo laboratorio didattico di falegnameria è che nel corso degli anni Gino ha raccolto una strumentazione pazzesca creando un ambiente unico, artigianale e genuino, nel quale i bambini si possono sbizzarrire e nel quale restano meravigliosamente affascinati.

Gino li guida alla scoperta del legno, insegnando con maestria (e con strumenti e progetti pensati proprio per i bambini, in tutta sicurezza e con un metodo didattico su misura) a intagliare, tagliare, costruire, segare, limare, piallare e via dicendo.

Attraverso i suoi insegnamenti i bambini possono concretamente costruire (singolarmente o in gruppo, a seconda del laboratorio) un oggetto in legno, imparando tutte le fasi di lavorazione, acquisendo manualità, scoprendo il bello del costruire e acquisendo anche fiducia nelle proprie capacità.

La progettazione, la creatività e la manualità si fondono così in questa attività, che oltre ad essere interessante e divertente inizia i bambini a concetti quali l’importanza dell’artigianato, della territorialità, degli elementi offerti dalla natura, della sostenibilità e del rispetto delle materie prime e delle abilità dell’uomo.

Giulia Mandrino

Esiste anche la versione "grande distribuzione": parliamo di quei panini soffici, ma pieni di conservanti, farciti con gocce di cioccolato. Se anche voi e i vostri bambini li amate, perché non provate la versione sana fatta in casa? Non servono doti da pasticciere e il risultato è incredibile. Basta poi tenerlo in un sacchetto di carta per farlo durare un paio di giorni.

Pane dolce con gocce di cioccolato: la ricetta per il pane perfetto a colazione con il tè, il succo o il caffè 

 

Perfetti per la colazione (ma anche per lo spuntino pomeridiano!), i waffle sono sempre una buona idea. Soprattutto se provate nuove versioni, come questa al cacao, che piace ancora di più a tutta la famiglia.

Waffle al cioccolato: la ricetta per waffle diversi dal solito a partire dal cacao

 

Mare profumo di mare

Martedì, 12 Settembre 2017 13:09

 

31 Agosto 2017. Le mie ferie sono ufficialmente quasi finite. Ci godiamo l'ultimo sole della Sardegna, le ultime giornate che scorrono lente e pigre.

Quest'anno abbiamo fatto davvero tantissimo mare, e sapete perchè? Perchè finalmente anche il mio nanetto riesce a stare in spiaggia senza rischiare la morte ogni tre minuti. Non si butta in acqua lasciandosi affogare. Non mangia i granelli di sabbia come se fossero m&m's. Non scappa ovunque con addosso un cartello con scritto “rapitemi” e soprattutto gioca. Oh si! Finalmente gioca...o guarda un giornaletto. E io dopo anni e anni dalla prima gravidanza, ce l'ho fatta a rilassarmi, prendere il sole e finire la settimana enigmistica. E vi posso garantire che riuscire, con due figli, a leggere in spiaggia e a fare il Bartezzaghi...son soddisfazioni! Ci sono stati addirittura dei momenti, udite udite, in cui in spiaggia mi sono annoiata. La commozione lo so...asciugate le lacrime...mi state invidiando e odiando, ma me ne farò una ragione ;-)

E nei miei meravigliosi momenti di noia, indovinate che ho fatto? Dormito sul lettino? No, troppo banale. Ciondolato sullo sgabello del bar sorseggiando un mojito? No, mi spiace, sono astemia. Mi sono dedicata per una volta ad uno sport nazionale spesso praticato da molti, ma abbastanza discusso...lo so, non andrebbe fatto, ma che posso farci è stato più forte di me. Io nei momenti di noia...mi sono vergognosamente e palesemente fatta i cavoli di tutti i miei vicini di ombrellone. Ecco l'ho detto. Occhiale da sole strategico, sguardo vago, giornale sotto mano per non destare sospetti e via, ne ho viste che ne ho viste. Coppiette pomicione (che invidia), ragazze con appresso solo asciugamano e crema solare (doppia invidia), famiglie di 978 componenti più chiassose dei centri commerciali di sabato, e soprattutto...mamme! Si! Ad attirare la mia attenzione erano soprattutto le altre mamme...forse perchè essendo mamma anch'io, non potevo fare a meno di notare e osservare i loro comportamenti. E mi perdevo talmente tanto a curiosare che ogni tanto mio marito mi chiedeva se avessi pagato almeno il canone...simpatico lui! E di mamme in spiaggia, ce ne sono davvero tante. 

C'è la mamma chic...oh si, lei arriva tutta in tiro, con la borsa abbinata al copricostume. Al seguito ha sempre bambini biondi e con gli occhi azzurri, una piccola borsa frigo Gucci, zero ombrellone perchè la tintarella delle maldive oramai li ha resi super resistenti ai proletari raggi uv del sole sardo e un'abbronzatura perfetta e dorata. La mamma chic si muove sulla sabbia come sospesa...io quando cammino sulla sabbia ho la stessa goffaggine e lentezza di un bradipo con una scopa nel didietro. Per ogni passo avanti, due li faccio indietro cercando di non cadere e di non attirare l'attenzione. Se devo risalire dalla riva con Samuele in braccio poi...vi lascio immaginare la scena. Sembra mi abbiano sparato nel sedere una di quelle freccette per addormentare gli elefanti. Mi trascino fino all'ombrellone con un'andatura barcollante, come se il mojito di cui sopra lo avessi bevuto per davvero e quando arrivo lancio mio figlio, e mi accascio sull'asciugamano inerme. Una scena pietosa. Ma la mamma chic, lei no. Lei esce dall'acqua come una sirena, bikini taglia 40, raccoglie i capelli sulla nuca (mentre io li raccolgo solo dal lavandino) e torna al suo ombrellone sculettando. I figli ovviamente sono già seduti composti e reclamano per merenda frutta fresca e latte di cocco. I miei invece urlano “ a ma, datte un po 'na mossa e dacce la pizza bianca!”. E io sorrido, cercando di scacciare dalla mia mente che si, sono sarda e ho due bambini che mi parlano in romano...che mi dicono ahò! E che quando cresceranno e saranno adolescenti mi urleranno i morti, anzi li mejo morti, ogni due minuti. 

Poi in spiaggia, c'è la mamma ansiosa. Si, quella che arriva col tir perchè nonsisamaiconibimbi. Quella che appena si sistema, mette in fila i figli e inizia a riempirli di crema solare protezione 2mila, che sembra mastice, non crema, e che quando hai finito di spalmarla hai perso la sensibilità alle mani. E sti ragazzini li vedi, bianchi come mozzarelle, con addosso pure la maglietta anti raggi uv di decathlon, che io giuro solo a guardarli me sento male, me viene la rosolia! E lei, mamma ansia, li raduna tutti all'ombra, non sia mai dovessero assorbire un pochetto de vitamina D, e inizia già a sudare al pensiero che tra breve dovranno entrare in acqua! Gonfia ciambelle, braccioli, giubbini. Attrezza la scialuppa di salvataggio, da la mancia al bagnino affinchè abbia un occhio di riguardo e cautamente, lentamente, li fa entrare...prima i mignoli, poi le caviglie, e verso sera, piano piano un bagnetto di 33 secondi. E nel mentre, i miei di figli, sono dentro l'acqua da talmente tanto tempo che hanno le mani aggrinzite e le labbra viola come i cadaveri. Madre degenere...

E infine, in spiaggia, c'è lei. Quella che io ho definito la madre “sticazzi”. Quella che arriva in spiaggia a mezzogiorno e mezzo, quando la maggior parte delle persone sane di mente va via. Quella che ha al suo seguito un numero indefinito di bambini e nipoti, e che passando raccatta pure quelli degli altri ombrelloni, che je frega. Se li porta appresso in fila indiana, e cammina per chilometri fino quando non trova il posto che dice lei. Piazza l'ombrellone, lo stuolo di ragazzini si spoglia e tira tutto per aria e lei inizia a urlare “ma nemmeno la crema ve siete messi...vabbè sti cazzi!”. Il primo sticazzi. Si mette seduta, raccatta la roba alla bene meglio, borbotta e fruga nella borsa “uh me so scordata l'acqua...mo che je do...vabbè sticazzi! Berranno a cena...” E così tutta la giornata, un susseguirsi di sticazzi che le consentono di stare attaccata allo smartphone per tutto il tempo, nonostante i 28 ragazzini che orbitano attorno al suo ombrellone. Lei si che campa serena.

E poi in spiaggia ci sono io, che fino allo scorso anno ero peggio della mamma ansia, molto peggio. Ma che quest'anno ho tenuto un profilo basso ed essenziale. Minimalista oserei aggiungere. Crema solare solo per evitare il reparto grandi ustionati, in acqua fino che non iniziavano a battere i denti (ho scoperto che a un certo punto i bambini escono dall'acqua da soli, senza doverli chiamare. Basta solo aspettare che abbiano fame o che inizino a perdere la sensibilità agli arti), merende variabili da “mangia la banana che sennò non cresci “ a “sticazzi magnate sta merendina, fa come te pare, se poi resti nano non dare la colpa al DNA sardo” e all'ombra se davano segni di evidente cedimento, o iniziavano a non riconoscere i familiari. La madre dell'anno direte voi! Forse no, anzi quasi certamente. Ma sicuramente ci siamo goduti le vacanze senza troppe paranoie (mio marito avrà da ridire, ma stacce, per adesso va bene così e fattelo bastare) e ci siamo goduti i bimbi. Io in modo particolare me li sono goduti come non accadeva da troppo tempo. Immersi nell'acqua meravigliosa della mia terra, con le loro braccia attorno al collo e il sole che scaldava le nostre teste.

L'essenziale.

Cinzia Derosas

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Sara

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Cecilia

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