Conoscete le Alpi del Mare? Si trovano nel tratto di arco alpino compreso tra il Colle di Tenda e il Colle di Nava, in provincia di Cuneo. Proprio qui, accoccolato tra i monti, si trova l’Hotel Miramonti, dal nome tradizionale e dal sapore alpino, che ci piace moltissimo perché permette di passare una vacanza in famiglia assolutamente unica, rilassante, didattica e curiosissima!


Una fattoria didattica, un orto biologico e una vacanza da sogno per la famiglia: l’Hotel Miramonti sulle Alpi del Mare per un weekend con i bambini assolutamente unico

L’Hotel Miramonti si trova a Frabosa Soprana (CN), in via Roma 84. Si tratta di un albergo super adatto alle famiglie (family-friendly, per essere trendy!): ha tantissimi servizi e i bimbi qui si potranno dimenticare iPad e videogiochi, immergendosi nella natura e scoprendo dal vivo, con le proprie mani, la bellezza della terra e degli animali.

In questo albergo di montagna, infatti, non ci sono solo camere bellissime con tutto il necessario per le famiglie (dai lettini da campeggio in camera alle spondine anticaduta, dalle vaschette per il bagno dei neonati ai riduttori per il wc, fino ai fasciatoi e agli scalda biberon, ai passeggini e agli zaini porta bebè a noleggio per le passeggiate - tutte cose che ci permettono quindi di partire più leggeri e senza stress), ma anche tantissime attività per i bambini.

Tutto il giorno è infatti attivo il servizio di animazione e intrattenimento con animatrici esperte e attente, insieme alla stanza giochi sempre accessibile (perfetta nelle giornate di pioggia perché piena di libri, matite colorate, film e cartoni animati) e ad un’area all’aperto recintata (il parco è grande 10.000 metri quadrati!), con scivoli, tunnel e casette, sabbia, carrucole e palafitte, per lasciare che i bimbi si divertano in libertà in tutta sicurezza. Ci sono anche laboratori creativi e tematici ed escursioni su misura per tutti! E per gli amanti dello sci, a 150 metri dall’albergo è presente una scuola sci con più di 30 maestri.

Tuttavia ciò che ci fa impazzire è la fattoria dei bambini: una baby farm che apre di primissima mattina e che i bambini possono visitare, per coccolare le caprette nane, accarezzare i porcellini d’india, nutrire i coniglietti e raccogliere le uova fresche delle galline.

E sempre in tema di “cibo di fattoria a km zero”, l’albergo Miramonti nel suo parco ha allestito una capretta-fantoccio munita di finte mammelle: se i bambini lo vogliono, quindi, possono imparare l’arte antica della mungitura.

È presente anche un orto biologico, dove si svolgono varie attività didattiche: i bambini possono concimare la terra, piantare la frutta e la verdura e coglierla una volta matura. Il tutto osservando le fasi lunari, per capire quando piantare o mettere a dimora pomodori, cetrioli, melanzane e zucchine.

Dall’hotel Miramonti, luogo perfetto come base per passeggiate ed escursioni, si possono poi organizzare le passeggiate in malga: qui si osserverà da vicino la produzione del tipico formaggio Raschera.

Se vogliamo organizzare una vacanza all’Hotel Miramonti di Frabosa Soprana basta visitare il loro sito, completo di tutte le informazioni. I prezzi vanno dai 79 euro a persona per la mezza pensione gourmet (che comprende anche baby menù su misura per i bambini e il libero accesso alla SPA dell’albergo!). I bambini sotto i 3 anni non pagano, dai 3 ai 6 hanno uno sconto del 50% sul prezzo pieno e dai 6 ai 12 anni del 30%.

Giulia Mandrino

Il focusing

Giovedì, 19 Aprile 2018 11:57

Focus: l’attenzione, la concentrazione, il mettere a fuoco, l’obiettivo. Focus significa molte cose, ma essenzialmente vuol dire mettere a fuoco qualcosa, concentrarsi su un ben preciso aspetto di qualcosa. Anche in psicoterapia è così.

Il focusing (detto anche “metodo esperienziale”) è infatti una “terapia” (anche se più che terapia potremmo definire mezzo per raggiungere altro) che prevede l’introspezione e la messa a fuoco di certi aspetti della propria persona magari latenti, lasciati sopiti o volutamente ignorati. Soprattutto, ci spinge a concentrarci sul nostro corpo, lavorando sulle sensazioni fisiche.

Ma vediamo meglio insieme di cosa si tratta, per provare ad applicare il focusing anche alla nostra vita quotidiana ottenendo benefici e sicurezze.

Il focusing: la pratica che vuole farci concentrare su noi stessi per scoprire conscio e inconscio attraverso il corpo

La parola “focusing” è strettamente collegata a “consapevolezza”. Perché? Perché spesso, spessissimo non abbiamo consapevolezza di noi stessi. Non fino in fondo.

Negli anni Settanta, quindi, Eugene Gendlin, psicoterapeuta e filosofo, ha ideato questa tecnica psicologica. Grazie al suo lavoro con migliaia di pazienti, Gendlin era arrivato alla conclusione che alcuni di loro possedevano una capacità che permetteva loro di cambiare, migliorare e trovare soluzioni ai loro problemi, a differenza degli altri, più limitati. Questa capacità risiedeva nella capacità di ascoltarsi. Erano cioè “focalizzatori naturali” (natural-focuser).

Il focus naturale avveniva molto semplicemente: se gli altri pazienti, infatti, durante le sedute di psicoterapia raccontavano la propria esperienza e la propria storia semplicemente e in maniera lineare, questi focalizzatori naturali attingevano invece anche dai propri sentimenti, dalle proprie emozioni e, soprattutto, dai propri ricordi fisici, arricchendo i racconti con essi.

Queste sensazioni fisiche (il ricordo corporeo di ciò che provavano nel momento raccontato) si chiama per Gendlin “flat-sense”. Questo flat-sense non è però fine a se stesso: porta infatti ad un nuovo cambiamento corporeo (body-shift) che a sua volta conduce ad un nuovo flat-sense come in un circolo virtuoso.

Questi pazienti “natural-focuser”, tuttavia, erano pochi, e non rappresentavano la totalità dei suoi pazienti. Eugene Gendlin si chiese così se fosse possibile insegnare anche agli altri questo ragionamento, questa tendenza, portando beneficio anche a loro.

Arrivò quindi a ideare il processo del “Focusing”: un metodo di ascolto del proprio corpo e delle proprie sensazioni che può essere sfruttato non solo in psicoterapia, ma in generale nella vita per rilassarti, sbloccare le situazioni, risolvere i problemi, stimolare la creatività e spingersi verso un cambiamento positivo.

Attraverso il focusing, dunque, si può entrare in profondo contatto con se stessi, con la propria fisicità e con la propria mente (di conseguenza), concentrandosi su aspetti che quotidianamente non ascoltiamo, su sensazioni che diamo per scontate e viviamo passivamente. È molto legato al concetto di somatizzazione, come si può capire, ed è per questo che il focusing è estremamente benefico.

Il Focusing ideato da Gendlin prevede sei passi. Ci si può guidare da soli o, come dovrebbe essere, stimolati da uno psicoanalista attraverso parole o immagini. In ogni caso possiamo prendere questi sei passi come spunto per ascoltarci fino in fondo.

CREARE LO SPAZIO

Prima di tutto, è necessario creare uno spazio silenzioso e tranquillo. Meglio essere soli e chiudere gli occhi per qualche minuto senza stimolazioni uditive per entrare in uno stato di rilassamento. Passato qualche minuto, iniziamo ad ascoltare il nostro corpo, interamente e per singola zona: si parte dai piedi e si sale verso le gambe, il sedere, la schiena, le spalle, il collo, la nuca, la testa, gli occhi, il naso… Arrivati al naso è il momento di ascoltare l’aria che respiriamo. Entrando l’aria, entriamo anche noi nel nostro corpo, ascoltando l’interno: i polmoni, il torace che si alza e si abbassa, il petto, lo stomaco…

Ascoltando il nostro corpo riceveremo alcune sensazioni, positive o negative. A questo punto possiamo decidere se tenerle o se spostarle fuori dal luogo in cui avvengono, riponendole da qualche parte più “neutra” (come ad esempio i fianchi).

È in questo momento che possiamo iniziare a farci domande e a ricevere risposte dal corpo: “come sto?”. “Come va la mia vita?”. Il corpo risponderà con alcune sensazioni che starà a noi analizzare, liberandoci e creando lo spazio necessario all’ascolto.

SENSAZIONE SENTITA

Dal nostro corpo, mentre ci focalizziamo, riceveremo varie sensazioni. È ora di selezionarne una e analizzarla, puntando il focus sulla zona del corpo che ci sta parlando, quella che sentiamo maggiormente. Non analizziamo quindi la sensazione, ma solo il punto del corpo specifico che ci arriva più definito. Si definisce la zona del corpo e si lascia indefinita la percezione del problema.

SIMBOLIZZARE

Lasciandoci andare, ascoltiamo ora la nostra mente e catturiamo qualche frase, immagine, gesto o suono che ci suggerisce. Pensiamo a come descriveremmo il problema e ascoltiamo il simbolo che la mente ci dona. Ne sentiremo vari, ma alla fine capiremo quello che combacia con la sensazione, proprio come quando dimentichiamo qualcosa e ripercorriamo le ipotesi, o quando vediamo un volto riconosciuto e non riusciamo per un attimo ad associare un nome. Ciò che si prova troverà una definizione in maniera spontanea.

RISUONARE

Focalizziamoci ora su questa parola, frase, immagine o suono che associamo al problema e verifichiamo se coincide, se combacia. Dobbiamo lasciare, appunto, che risuoni, che venga confermata da un piccolo segnale fisico. Solitamente è una sensazione di rilassamento. Perché proprio come quando ricordiamo ciò che abbiamo dimenticato, il corpo ci comunica sollievo.

DOMANDARE

È a questo punto che possiamo chiedere al nostro corpo più nello specifico cosa ci sia nella sensazione provata. Paura? Disagio? Sgradevolezza? Qualcosa di irrisolto? Inadeguatezza? Possono essere molte le risposte, e quando il corpo la troverà accadrà proprio ciò di cui parlavamo: body shift e flat sense. Il corpo infatti cambierà per un attimo, di nuovo, e porterà ad una nuova sensazione di sollievo nel momento in cui riconosceremo la sensazione. Il corpo, insomma, continua a modificarsi e aggiustarsi dandoci le risposte che cerchiamo.

ACCOGLIERE

L’accoglienza finale è l’obiettivo del focusing: accogliere il cambiamento, accogliere le sensazioni, accogliere il rilassamento. Il tutto, in questo modo, si ridimensiona, il quadro ci appare più chiaro e da questo punto possiamo fare partire il cambiamento positivo.

Se vi interessa approfondire il concetto di Focusing, molto utili sono i libri scritti proprio da Eugene Gendlin: “Focusing, interrogare il corpo per cambiare la psiche” e “Il focusing in psicoterapia - introduzione al metodo esperienziale”.

Giulia Mandrino

Donald Winnicott è un pediatra britannico vissuto nel secolo scorso. Fu anche psicoanalista, e questo connubio di specializzazioni lo portò a diventare uno dei pionieri della scuola delle relazioni oggettuali, ma soprattutto, uno dei più conosciuti teorizzatori sul rapporto madre-bambino e sullo sviluppo psicologico ed emotivo dei bimbi.

Di Winnicott sono conosciute varie teorie, a partire da quella sul contenimento delle angosce del bambino da parte della madre fino a quella degli oggetti transizionali, oggetti che attraverso il rapporto tattile con il bambino lo aiutano nel suo sviluppo psicologico (peluche o coperte, ad esempio, che rappresentano il rapporto con la madre e che aiutano anche con il distacco e con il riconoscimento della soggettività e del mondo, del “me” e del “non-me”).

La sua teoria più conosciuta e discussa (perché ha moltissime implicazioni e dà moltissimi spunti di riflessione), tuttavia, è quella della “madre sufficientemente buona” (o dei “genitori sufficientemente buoni”).

I genitori sufficientemente buoni secondo Winnicott: come, secondo Donald Winnicott, la madre può provvedere ai bisogni del bambino grazie al suo istinto

La teoria di Donald Winnicott sulla madre sufficientemente buona ha un merito: quello di aver liberato le spalle delle madri dal peso, grevissimo, della perfezione. Non esiste una madre perfetta, non esiste l’educazione perfetta. I nostri figli subiranno traumi a prescindere dai nostri sforzi, e di conseguenza aspirare alla perfezione potrebbe solo essere controproducente.

Detto questo, ciò non significa abbandonarli a se stessi. Non significa non tentare di dare loro un’educazione positiva e buona. Non significa non fare il nostro meglio. Significa solo evitare di pensare che se sbagliamo siamo sbagliate noi.

Per Winnicott le imperfezioni fanno parte della madre, e non dovremmo tentare di cancellarle. Perché una madre buona ha già dentro di sé le capacità di essere attivamente presente nella vita del suo bambino trasmettendogli amore e protezione nonostante le preoccupazioni, le passioni forti, le ansie, le incertezze o la stanchezza.

In maniera istintiva la madre sufficientemente buona sa accudire il suo bambino. Sa misurare le cose buone e le frustrazioni inevitabili. Perché per sua natura possiede la “preoccupazione materna primaria”, che le permette di dare al bambino tutto ciò di cui ha bisogno, nei tempi in cui il proprio figlio manifesta questi bisogni.

Winnicott non si limita però alla madre buona. Esiste anche quella “non sufficientemente buona”, certo. Ma in questo caso la condizione è data da una patologia, psicologica, depressiva o di questo genere. In questo caso la madre agisce meccanicamente, senza creatività o adattamento. In questo caso il bambino non solo non sarà protetto dalle angosce della madre (che, quando sufficientemente buona, riesce ad arginarle), ma andrà incontro a pericoli per lo sviluppo psicologico ed emotivo. Perché?

Per capirlo dobbiamo riprende un’altra teoria di Winnicott, quella dello spazio transitazionale. In questo spazio, per un periodo di tempo, il bambino vive, secondo il pediatra, in uno stato di “onnipotenza soggettiva” nel quale è convinto di essere la causa di tutto e di creare e distruggere le cose a proprio piacimento. Anche la madre, in questo spazio, viene percepita dal bambino come un’entità costruita con i suoi desideri. Pian piano, poi, il bambino abbandonerà questa visione per capire che la madre vive indipendentemente da lui e dai suoi bisogni.

Con una madre non sufficientemente buona, tuttavia, il bambino rischia di vivere in un mondo semplicemente presentato fatto e finito dalla madre, che non asseconda i suoi bisogni ma che risponde a questi indipendentemente da quando insorgono.

Insomma: in questa situazione non è la madre ad adattarsi al bambino ma il bambino ad adattarsi alla madre. Il problema è che in questo modo la madre distrugge fin da subito l’esperienza dell’onnipotenza soggettiva del bambino, eliminando anche la creatività nascente e distorcendo la visione del legame tra mamma e piccolo.

Come dicevamo, tuttavia, la madre non sufficientemente buona non è la regola, ma l’eccezione, un’eccezione data dalla psicopatologia. Ciò significa che, quando non in presenza di una situazione di questo genere, le madri possono essere considerate generalmente sufficientemente buone. E come si traduce sulla quotidianità e sull’educazione odierna questa teoria di Donald Winnicot?

Per troppo tempo le madri (e, aggiungeremmo, i padri, in un’epoca nella quale fortunatamente la figura paterna sta prendendo il posto che gli spetta) hanno ceduto ai sensi di colpa di fronte ai propri errori: gli errori, proprio come insegniamo ai nostri bambini, servono per crescere, aiutano a formare la propria coscienza.

Perché quindi fustigarsi quando a sbagliare siamo noi genitori? Meglio rendere questi errori costruttivi. I nostri figli attingeranno da questa nostra tendenza, sapranno vedere che l’errore è solo un errore.

Anche perché Winnicott va oltre, e dice ad alta voce qualcosa che ogni genitore nella vita prima o poi pensa: si hanno molte ragioni per detestare il proprio figlio. Ma questo non significa non fornirgli ciò di cui ha bisogno, non occuparsene con amore o rispondere sempre adeguatamente alle sue richieste. Non significa non amarlo e non significa non essere buoni genitori.

Perché si è comunque buoni genitori, pur non essendo perfetti. Non dobbiamo cercare la perfezione nel crescere i nostri figli, ma dobbiamo sempre cercare di fare il nostro meglio. Essere consapevoli dei propri difetti, dei propri errori e delle proprie mancanze è positivo. Basta non lasciarsi buttare giù da tutto questo o farci sopraffare dai sensi di colpa.

Accettare i propri limiti cercando di migliorarci dove possibile è ciò a cui dobbiamo aspirare. Non alla perfezione, perché non esiste, e perché nella ricerca di essa è troppo forte il rischio di farci male, facendo male ai nostri figli.

E poi, se ci pensiamo, nostro figlio non ha bisogno della nostra perfezione. Ha bisogno di crescere da solo, supportato dalla nostra guida. Non ha bisogno della nostra presenza perfetta per tutta la vita, ma ha bisogno della nostra cura adeguata e del nostro esempio.

Anche guardando ai nostri errori e alle nostre mancanze nostro figlio crescerà. Inizialmente avrà costantemente bisogno di noi, ma pian piano svilupperà un naturale bisogno all’indipendenza, e noi, da genitori buoni e umani, saremo lì a sostenerlo, a supportarlo, a dargli affetto, ma anche a lasciare che faccia esperienza della frustrazione, del dolore, degli errori. Esattamente come facciamo noi.

Giulia Mandrino

Sottile ma morbido, delizioso e soprattutto perfetto per accompagnare ogni nostro piatto e da riempire per pranzi o cene alternative: il pane arabo ci piace moltissimo, e realizzarlo ci dà molta soddisfazione. Ecco la nostra ricetta!

Pane arabo fatto in casa: la ricetta per preparare il classico pane sottile turco con le nostre mani

 

Variare: lo possiamo fare in tanti modi. Come ad esempio sostituire il pane in tavola con uno snack altrettanto delizioso e sfizioso! I grissini fatti in casa sono buonissimi e sono più semplici da realizzare di quanto si creda. Ecco la nostra ricetta dei grissini fatti in casa con farina integrale e olive verdi!

Grissini alle olive fatti in casa: la ricetta per cucinare in casa i grissini con farina integrale e olive

 

I migliori passeggini gemellari

Mercoledì, 18 Aprile 2018 13:08

Un passeggino gemellare deve essere innanzitutto comodo. Deve essere sicuro, maneggevole e compatto. Perché un passeggino gemellare dovrebbe facilitare la vita ai genitori, non complicarla! Quando arrivano due gemellini o due fratellini a distanza di pochi anni, questo strumento (oltre a tutti gli accessori necessari alla vita di un bambino!) è indispensabile. Sappiamo però che nel mare di proposte è difficile scegliere il passeggino gemellare perfetto. 

Ecco perché abbiamo deciso di aiutarvi fornendovi i consigli più utili nella scelta dei passeggini gemellari e proponendovi una selezione dei migliori.

I migliori passeggini gemellari: come scegliere i passeggini gemellari e dove comprarli

Come scegliere un passeggino gemellare? Innanzitutto, deve essere sicuro e rispettare quindi gli standard di sicurezza, soprattutto per quanto riguarda gli agganci per la seduta.

Se avete un’automobile, il passeggino gemellare dovrebbe poi piegarsi in modo da starci in macchina, nel baule. Le ruote dovrebbero quindi essere dotate di un sistema di bloccaggio sicuro e forte e la struttura dovrebbe essere leggera ma robusta.

Da non dimenticare poi gli optional, che sono sempre molto comodi: gli ombrellini laterali, il paravento o il telo antipioggia.

Detto questo, si possono scegliere più tipologie di passeggini gemellari: esistono quelli affiancati, nei quali le due sedute sono posizionate fianco a fianco. In questo caso, è molto utile per i bimbi che amano guardare il mondo mentre passeggiamo, ma è scomodo in alcuni casi, dato che fatica a passare dai corridoi o sui marciapiedi troppo stretti. Tuttavia molti genitori lo ritengono il più comodo e la scelta spesso ricade su questi (che sono anche i più comuni in commercio).

Per tutti i giorni è molto comodo il passeggino gemellare tandem, con le sedute posizionate l’una dietro l’altra. I bimbi, in questo modo, non stanno vicini, ma divisi, ed è quindi meno “personale”, ma è davvero comodo perché stretto e quindi più semplice da spostare sui marciapiedi o in casa (ci passa benissimo dalla porta). Se non amiamo l’idea che i bambini stiano uno dietro l’altro, soprattutto perché il bimbo dietro ha la visuale spezzata, sarà utile scambiarli di posto di tanto in tanto.

Esiste poi il passeggino gemellare divisibile, che può essere diviso nel caso in cui siano due le persone a portarlo.

Infine, ecco i passeggini gemellari duo o trio, fatti apposta per accompagnare i bambini fin dalla nascita: passano infatti dalla culla, all’ovetto fino al passeggino.

Tra i nostri preferiti sta certamente il McLaren Gemellare Twin Techno, omologato dagli 0 ai 36 mesi. È un passeggino gemellare affiancato leggerissimo, che si chiude in un attimo (ed è tranquillamente riponibile nel baule) ed è quindi perfetto per le uscite in famiglia! Anche in città, per la sua leggerezza, è imbattibile. Meno adatto alla neve, alla terra o alla sabbia.

Ottimo è anche il Bebè Confort Dana 2, pensato per i bimbi dagli 0 mesi. È molto maneggevole e lo schienale è regolabile a tre posizioni. Perfetto per la città e per lo shopping!

Molto leggero (chiuso pesa circa 13 chili) è il passeggino gemellare Echo Twin di Chicco: Lo schienale può essere regolato anche in posizione sdraiata (utilissimo per i pisolini!), le ruote sono anche piroettanti (e quindi è super maneggevole) e anche questo è utilizzabile fin dalla nascita.

Dai 6 mesi comodo è il Baby Jogger City Mini Double, a quattro ruote e ancor più leggero (10 chili).

Ha tre ruote, invece, l’Out’n’About Nipper Double: è utilizzabile dagli 0 mesi e la caratteristica principale, quella delle 3 ruote, lo rende manovrabile in maniera davvero, davvero comoda. Utile sia in città sia per le passeggiate.

Anche il BOB Ironman Duallie ha tre ruote, ma è ancor più specifico perché è ideale per i genitori che amano lo jogging: è utilizzabile dai 6 mesi dei bambini, ha lo schienale regolabile e ha il freno a mano. Le ruote non sono piroettanti, ma è fatto proprio per la camminata e la corsa sportiva in famiglia ed è quindi fatto apposta!

Per quanto riguarda i passeggini gemellari tandem, ecco l’ABC design zoom, pensato apposta per la città: per bimbi dai 6 mesi, ha lo schienale regolabile in ben 4 posizioni, l’impugnatura regolabile e una chiusura a libro molto comoda per il trasporto in automobile o per riporlo in corridoio.

Anche il CAM Twin Pulsar è un passeggino gemellare tandem: questo è adatto fin dalla nascita, si chiude a libro stando in piedi da solo, è adattissimo alla città e comprende una borsa fasciatoio, la capottina, i coprigambe, il parapioggia e una cesta portaoggetti.

Parlando invece di passeggini gemellari trio, qui trovate una buona selezione!

Giulia Mandrino

Le fatiche di un dislessico diventano arte

Mercoledì, 18 Aprile 2018 09:30

(Photo credit: Samuele Gamba)

Fatica: probabilmente è questa la parola che associamo più spesso alla dislessia. Perché la dislessia porta questo, porta la fatica. Che non è solo la fatica a leggere o a studiare, ma anche a sopravvivere in una società che ancora (purtroppo) non ha gli strumenti necessari per andare incontro alle esigenze dei dislessici. Soprattutto, è faticoso vivere in una società nella quale la dislessia è ancora vista come una malattia o una mancanza. Un luogo comune da sfatare, assolutamente. Perché la dislessia è semplicemente un modo diverso di vedere le cose, di ragionare. E basterebbe davvero poco per rendere a tutti la vita meno faticosa!

L’arte: ecco una delle vie attraverso cui portare messaggi e smuovere le coscienze. E in merito alla dislessia c’è un artista che ci piace moltissimo, e non solo perché porta la sua condizione sulla tela, ma perché le sue opere sono davvero bellissime. Si tratta di Samuele Gamba e ora vi spieghiamo il suo lavoro.

Le fatiche di un dislessico: l’artista Samuele Gamba e il suo impegno artistico nei confronti della dislessia

Samuele Gamba è dislessico. Ma soprattutto, Samuele Gamba è un artista. La commistione tra questi due suoi lati porta ad una meraviglia: la dislessia raccontata in maniera artistica.

Ha poco più di vent’anni, Samuele, ed è mantovano. E ha fatto della sua arte uno strumento per parlare di qualcosa di cui si parla molto ma di cui si sa poco, generalmente: la dislessia. Con la sua espressività, Samuele riesce a parlare a colpi di pennello della sua fatica, ma anche del suo potenziale, della sua emotività e della sua empatia, che sono propri di tutti coloro che sono affetti da dislessia, ognuno a proprio modo.

Le sue tele contengono colore e segni, ma anche lettere e parole. E come potrebbero mancare? E poi i numeri. Perché la dislessia colpisce anche il calcolo.

Sono opere piene di significato e di espressività, quelle di Samuele. Sì, potremmo dirle espressioniste: perché è attraverso esse che l’artista esprime il suo sentimento nei confronti della dislessia, facendolo esplodere sulla tela, portandolo fuori da se stesso per donarlo al mondo. Ma non è un sentimento propriamente diretto alla dislessia in sé. Piuttosto, sono emozioni riguardanti il sistema scolastico, che ancora troppo spesso non riesce a lavorare con gli alunni dislessici, trattandoli in maniera sbagliata, o accondiscendente o irrispettosa.

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(Photo credit: Samuele Gamba)

Sulla sua pagina Facebook sono pubblicate le sue opere, con bellissime spiegazioni: alcune parlano del dito per seguire le lettere sul libro consigliato da piccolo, altre della fatica a comprendere e ricostruire un testo (si fatica a leggere, e questo fa perdere il filo); ci sono poi il tentativo di trovare una propria strategia, l’importanza della diagnosi (presa un po’ sottogamba dalle scuole)… E infine la decisione di trovare il proprio percorso artistico al di là della scuola, dopo il diploma.

Tutto questo non è un caso: la dislessia è semplicemente un disturbo che colpisce lettura, scrittura e calcolo e che lascia invece intatte le altre funzioni intellettive. I dislessici, quindi, faticano quando intenti in queste attività ma sono assolutamente intelligenti quanto gli altri, se non di più. E dal momento che per imparare ed esprimersi si trovano a dover inventare strategie e a ricorrere ad altri mezzi, spesso l’arte diviene strumento preziosissimo. E se aggiungiamo che nei dislessici sono frequenti empatia, emotività, coordinazione e spirito artistico al di sopra della media, capiamo che è naturale che nelle accademie d’arte e nel settore artistico in generale la percentuale di dislessici sia superiore alla media!

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(Photo credit: Samuele Gamba)

Samuele è solo un esempio, ma ci piace pensare che possa essere non solo utile a chi vuole conoscere meglio la dislessia, ma un esempio per chi è affetto da questo disturbo: non bisogna desistere ma semplicemente trovare la propria strada, la propria espressività.

Giulia Mandrino

1+1= 3 e a casa come ci sistemiamo?

Martedì, 17 Aprile 2018 08:18

Quando stai per diventare genitore sono tante le domande a cui voler trovare risposta e le cose di cui occuparsi. Un tema molto sentito è la progettazione e creazione di uno spazio pensato per quella bambina o quel bambino che sta per arrivare: la sua cameretta.

Il primo aspetto da considerare è che quando lei o lui arriverà, non sarà un ospite di passaggio: cominciare a pensare alla sua cameretta dovrà essere uno dei nostri primi pensieri (anche se sceglieremo di accoglierlo nella nostra camera per il primo periodo o i primi anni).

Qual è quindi la tempistica per l'allestimento della cameretta?

Io consiglio di progettare e allestire la cameretta negli ultimi mesi della gravidanza e prima della nascita della bambina o del bambino, o, in caso di affido o adozione, prima del suo arrivo.
Se ti stai chiedendo perché, considera che prima dell’arrivo non potrai sapere come scorreranno le giornate e successivamente le tue energie saranno concentrate su altro: la priorità sarà conoscervi, coccolarvi, ritrovarvi in un abbraccio. Potreste non avere né tempo né voglia di decidere dove posizionare la sedia a dondolo su cui allattare o il tappeto su cui posizionare il bambino o la bambina a guardarsi intorno le prime volte. Se tutto sarà pronto, sarà più facile.

Soprattutto, consiglio di ascoltare il proprio cuore e le proprie emozioni. È questo il momento in cui dentro di te si sta creando uno spazio mentale e fisico di accoglienza. Non a caso nelle donne in gravidanza, col passare dei mesi, aumenta il senso di attesa e questa attesa diventa parte del quotidiano, in maniera dolce e naturale.

Prova a sederti nella nuova stanza che accoglierà il tuo bambino: guardare con i tuoi occhi ciò che lui vedrà potrà essere utile.

Tieni inoltre vicino a te coloro che stanno condividendo con te questo percorso: osservate insieme la vostra casa e la nuova cameretta da questo nuovo punto di vista. Cosa vedete sedendovi per terra? Cosa apprezzate osservando ad "altezza bambino"? Cosa vedete stendendovi a terra (provando a immaginare il primo punto di vista del neonato nei primi giorni di vita)? Che sensazione vi danno il tappeto caldo in terra e la giostrina appesa sul soffitto? Che luce entra dalle finestre ? Com'è il colore del muro ? Abbastanza neutro e accogliente?

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Queste domande sono tra le prime da porsi nel momento in cui ci si comincia a pensare ai nuovi spazi in casa per l’arrivo di un bambino, e sono le stesse che mi pongo io quando vengo contattata per la progettazione di una nuova cameretta.
L’approccio che seguo è di ispirazione montessoriana e parto dall’idea di bambino competente fin dalla nascita. Il neonato è estremamente ricettivo, ed è perciò necessario fare attenzione a non iper stimolarlo. Non conosce il mondo così come lo conosciamo noi, bensì ha avuto delle percezioni dalla pancia della mamma. Allo stesso tempo, è necessario presentargli con accuratezza le persone e le cose, in modo che possa farne conoscenza gradualmente.

La cameretta sarà uno spazio in evoluzione continua: crescerà con la bambina e il bambino, si trasformerà. Questo aspetto è molto importante e va tenuto in considerazione soprattutto nella fase di scelta dell’arredo; spesso ci vengono proposte soluzioni da fiaba, certamente bellissime, ma che fanno sorgere qualche domanda: per chi sono pensate? Per gli adulti o per i bambini? Quanto hanno bisogno un bambino o una bambina di una cameretta da fiaba? Non è meglio chiedersi cosa realmente sia utile per loro? Spesso basta davvero poco per rendere uno spazio funzionale e gradevole allo stesso tempo.

Per questo motivo, un altro consiglio è quello di continuare ad osservare il bambino in cameretta nel corso degli anni, quando crescerà: qui giocherà, qui passerà il suo tempo, e solo guardando come tuo figlio o tua figlia si muove, impara e gioca nella sua cameretta capirai come sistemare lo spazio, cosa tenere, cosa eliminare e come rendere il tutto piacevole e funzionale.

Se ti interessa approfondire l’argomento, ti aspetto il mese prossimo con la pubblicazione di un nuovo articolo in cui tratterò il tema dei criteri di organizzazione della cameretta e di scelta dei materiali in stile montessoriano.

Passione a Mano Libera di Chiara Palmieri

 

Bibliografia
Tracy Hogg “ Il linguaggio segreto dei neonati “ 2013, Mondadori
Azzarà Maya, “Case anche per bambini – Educare i bambini attraverso lo spazio domestico”, 2014,
La Merdiana
Honegger Fresco G., “Una casa a misura di bambino ” , 2000, red!

 

Chiara Palmieri, pedagogista, curatrice del sito Passione a mano libera

 Via Borgo di San Pietro, 134 | 40126 Bologna| tel.3294559295 | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il curry di Madras (una miscela molto diffusa che comprende le spezie “base” - curcuma, coriandolo, paprica, pepe, senape, fieno greco, zenzero, semi di finocchio, cardamomo, aglio e peperoncino) è perfetto per i bambini: non troppo piccante, permette di insaporire i piatti lesinando sul sale. Queste mazzancolle con salsa di mango al curry parrebbero un piatto tipicamente "adulto", ma, appunto per l'utilizzo del curry di Madras, sono deliziose e piacciono moltissimo anche ai bambini, che ne vanno davvero matti!

Mazzancolle con salsa di mango al curry: la ricetta dei gamberi con mango e curry che piace a tutta la famiglia

 

L’allattamento è una scelta materna tra le più delicate: siamo dell’idea che ogni mamma sappia quale sia l’opzione migliore per sé e per il proprio bambino e chi sceglie l’allattamento artificiale non è assolutamente da condannare. Quando però si tratta di informazioni riguardanti l’allattamento, siamo convinte che gli ospedali debbano stare più vicini alle neo-madri, fornendo tutte le informazioni di cui hanno bisogno.

Questo perché sono molte le neo-mamme che rinunciano all’allattamento al seno per mancanza di informazioni e di supporto. E in questo senso, negli ultimi giorni, in un’operazione congiunta, OMS e Unicef hanno stilato una serie di consigli a supporto di una politica scritta sull’allattamento al seno, per spronare tanto le mamme quanto gli ospedali a incentivare questa pratica che salverebbe la vita di moltissimi bambini e che sarebbe vitale per la loro salute, oltre che per la buona sanità. Vediamo insieme come e perché.

Allattamento al seno: la guida OMS-Unicef che salva la vita ai bambini

Secondo gli ultimi dati diffusi da OMS e Unicef, allattare al seno fino ai 2 anni salverebbe la vita di circa 820.000 bambini in tutto il mondo. Questo perché l’allattamento al seno (soprattutto entro la prima ora di nascita - e in questo senso il breast crawling è una pratica davvero utile) ridurrebbe il rischio di infezioni nei neonati, abbassando anche il pericolo di diarrea (spesso fatale nei neonati), situazioni frequenti quando i bimbi vengono allattati al seno solo parzialmente o quando vengono nutriti esclusivamente con latte artificiale.

Oltre a questo, l’allattamento al seno migliorerebbe il quoziente intellettivo del bambino, beneficio che ricadrebbe su tutta la vita adulta. E, per quanto riguarda le madri, sono molti studi a ritenere che allattare al seno ridurrebbe il rischio di sviluppare negli anni il cancro al seno.

Ricordiamo poi che il latte materno è la principale fonte di energia per un neonato, anche durante la malattia e la convalescenza. Infine, vari studi dimostrano che i bimbi e gli adolescenti allattati al seno durante i primi anni di vita hanno meno probabilità di crescere sovrappeso o obesi.

Ecco perché le due organizzazioni hanno deciso di stilare una guida in dieci passi per aiutare le strutture sanitarie a mettere a punto un iter che faciliti l’allattamento e che fornisca tutte le informazioni sul caso alle madri che le necessitano. In questo modo è possibile sostenere l’allattamento al seno, che è vitale tanto per la salute del bambino quanto per la buona sanità. Questa pratica, infatti, riduce nettamente i costi, ricadendo positivamente sulle famiglie e sui Paesi.

Questo supporto alle strutture è necessario perché per quanto l’allattamento richieda aiuto e guida, sono ancora troppi gli ospedali e le cliniche (private o pubbliche) che non hanno le capacità o gli strumenti per stare accanto alle madri come dovrebbero. Pensiamo soprattutto ai paesi più poveri, dove le informazioni sono difficilmente recuperabili. Dare una guida semplice e comprensibile agli operatori (e alle madri) significa quindi, per proprietà transitiva, dare un aiuto ai bambini, migliorando la loro vita sin dalle prime ore, attraverso una pratica naturale, economica, ecologica e (quando supportata come si deve) semplice.

Le infografiche che OMS e Unicef hanno sviluppato sono in questo senso preziose:

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Fonte mmagine: Organizzazione Mondiale della Sanità

La guida per immagini descrive molto bene le pratiche che le strutture (e i Paesi in generale) dovrebbero seguire quando si tratta di accompagnare le madri nell’allattamento al seno, aiutandole fin dalla prima ora dopo il parto, preparando a dovere gli operatori e mettendo a punto le cure migliori.

1. Politiche ospedaliere: gli ospedali dovrebbero supportare le madri non promuovendo il latte artificiale, rendendo le pratiche di allattamento una pratica standard e tenendo traccia dei supporti necessari

2. Competenza dello staff: gli ospedali dovrebbero preparare gli operatori riguardo al supporto alle madri e offrire al personale conoscenze e abilità

3. Cura prenatale: gli ospedali dovrebbero supportare le madri discutendo con loro l’importanza dell’allattamento al seno per mamme e bambini e preparandole alla pratica

4. Cure immediate dopo il parto: Incoraggiare il contatto pelle a pelle con il neonato subito dopo il parto e aiutare le madri a sistemare il piccolo nella maniera corretta per l’allattamento

5. Supportare le madri nell’allattamento: controllando la posizione, l’attaccamento e il succhio del bambino, dando consigli pratici e aiutando le madri a risolvere i più comuni problemi dell’allattamento

6. Integrare: Quando necessario, gli ospedali dovrebbero incoraggiare ad allattare al seno fin quando non esistono ragioni mediche che lo vietano, e anche in quel caso, sarebbe opportuno dare priorità al latte materno donato.

7. La stanza: Gli ospedali dovrebbero permettere alle madri di dormire fin da subito con i bambini nella stessa stanza, anche in caso di bimbi malati

8. Allattamento responsabile: Aiutare le madri a capire quando il bimbo è affamato, senza limitare la frequenza dell’allattamento

9. Biberon, tettarelle e ciucci: gli ospedali dovrebbero consigliare le madri sull’uso e sui rischi di usare biberon, ciucci e tettarelle in maniera non consona

10. Dimissioni: Gli ospedali dovrebbero consigliare alle madri gruppi di supporto e risorse riguardanti l’allattamento, e lavorare con questi gruppi e comunità per implementare i servizi riguardanti l’allattamento al seno.

Giulia Mandrino

Sara

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Cecilia

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