Cosa sono la massa magra e la massa grassa? E la percentuale d’acqua? Sembrano concetti difficili e specifici, che dovrebbero interessare solo al nostro medico di base e al nostro dietologo. In realtà, conoscere a fondo il proprio corpo è molto importante per la nostra salute: ci permette di calibrare la nostra alimentazione, ascoltando il nostro organismo e dandoci così una spinta concreta quando ne abbiamo bisogno. Ma come fare?

Massa magra, massa grassa e percentuale d’acqua: perché è importante conoscere i valori

Innanzitutto, la massa grassa è la totalità dei grassi (o lipidi) presenti nell’organismo, ed è espressa in relazione alla massa corporea totale. Per gli uomini la massa grassa non dovrebbe superare il 25%, per le donne il 31% (anche se l’ideale è stare rispettivamente tra il 14% e il 17% - i maschi - e tra il 21% e il 24% - le femmine).

Di conseguenza, la massa magra è tutto ciò che resta quando si sottrae tutto il tessuto adiposo (e che comprende quindi anche tutti quei tessuti come denti, ossa, muscoli, pelle, ecc).

La percentuale di acqua mostra invece quanta acqua è presente nel nostro corpo. Il nostro organismo è composto per la maggior parte da questo liquido: per gli uomini il valore si aggira attorno al 60% del totale del corpo, mentre per le donne intorno al 50%, dal momento che hanno una maggiore riserva di lipidi.

Conoscere i valori significa sapere interpretare se il nostro corpo è in buona salute o meno. La massa grassa non dovrebbe superare i livelli di cui parlavamo, ma nemmeno scendere al di sotto di una soglia (che è il 4% per gli uomini e il 12% per le donne). Mentre la percentuale di acqua è molto importante conoscerla dal momento che ci aiuta a comprendere quanto siamo gonfi: se ci sono ristagni d’acqua in eccesso arriva infatti il momento di eseguire un bel drenaggio linfatico (diminuendo anche, nell’alimentazione, i sali e certi alimenti che favoriscono questo stato).

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Per monitorare al meglio lo stato di forma fisica è necessario avere uno strumento efficace. In commercio esistono alcune bilance pensate apposta per avere il controllo totale dei valori, e tra le più complete troviamo sicuramente Qardiobase di Hinnovation (azienda leader quando si parla di strumenti hi-tech, digitali e smart), una bilancia intelligente che oltre a monitorare il peso (anche via smartphone, con QardioMD, una app dedicata, disponibile sia per Android che per iOS, che dialoga con l’oggetto attraverso la connettività Bluetooth o wifi, sincronizzandosi anche con l’app “Salute” di Apple) permette di impostare obiettivi e di tenere sotto controllo l’andamento della situazione. Il bello è che anche in caso di gravidanza, periodo molto delicato per le donne quando si parla di controllo del peso, con Qardiobase è possibile monitorare i cambiamenti di peso in maniera sicura, tenendoli sott’occhio anche in base alle raccomandazioni del ginecologo.

Anche dopo la gravidanza, tuttavia, ricordiamoci che è molto importante monitorare e controllare il peso, collegandolo ad un’alimentazione sana e ad un’integrazione di tutti gli elementi fondamentali per la salute. L’alimentazione, in questo caso, dovrà essere sana e variegata, con un apporto maggiore di proteine vegetali (legumi e frutta secca) e di vitamine, necessari al mantenimento dei tessuti.

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Non dimentichiamo, però, l’attività fisica, che deve essere sempre associata alla buona alimentazione sia in caso di mantenimento di un buono stato di salute sia in caso di azione mirata, proprio come nel caso del post-gravidanza: anche senza strafare, camminare è la migliore attività, poiché in maniera leggera e costante, se fatta tutti i giorni, aiuta a riprendere il peso forma e a rinforzare nuovamente tutti i muscoli.

L’altra regola, quando la massa grassa sta superando i limiti (sia dopo la gravidanza, quando questa si concentra sull’addome, sia in periodi particolarmente fiacchi), è riprendere l’attività fisica e concentrarsi su un’alimentazione pro-addome, che limiti i carboidrati raffinati ma che prediliga quelli buoni, ricche di fibre come i cereali integrali, limitando anche il glutine; la dieta dovrebbe inoltre essere priva di zuccheri, facendo attenzione agli alimenti che lo contengono, e ricca di proteine, soprattutto vegetali: un consiglio è quello di integrarle con frullati proteici di frulla e latti vegetali di mandorle o soia, e con spuntini di frutta secca. Le noci, per esempio, sono deliziose, ricche di proteine, aiutano a raggiungere prima il senso di sazietà e apportano le giuste quantità di grassi buoni!

Anche optare per una colazione salata è una buona scelta: le uova, lo yogurt greco, quello di soia, una farinata di ceci... Le alternative sono molte e basta abituarsi per non tornare più indietro! Già, perché in questo modo si evitano i picchi glicemici, un altro aspetto da considerare quando si vuole recuperare la forma. Meglio sempre quindi scegliere alimenti a basso indice glicemico.

Solo in questo modo la vostra bilancia Qardiobase tornerà a sorridere! Già, perché non è solo tecnologica, ma anche super carina: sono anche gli smile, infatti, a dirci se siamo sulla giusta strada o se è meglio rimetterci in carreggiata.

Simpatica, di design (non è bellissima, così tonda, diversa dalle solite bilance che troviamo in bagno?) e tecnologica, dunque: sta bene ovunque, permette di monitorare lo stato di salute di tutta la famiglia (essendo multiutente: è bello anche motivarsi a vicenda, a nostro parere!), è di lettura semplicissima grazie a dei grafici intuitivi e ci dà la possibilità di condividere facilmente i dati con il nostro medico. Sarà in promo a 109,99€ (prezzo originale 149,99€) fino al 15 Giugno acquistando su Hinnovation. Da approfittarne, no?

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Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

 

Sembra un topic semplice, per cui non servirebbero spiegazioni. E invece... E invece quello delle ginocchia sbucciate può essere un argomento interessante, dato che ci sono diverse scuole di pensiero e dal momento che molte neomamme alle prese con le prime sbucciature di ginocchia si trovano spiazzate non sapendo che fare...

Ecco quindi una bella spiegazione semplice semplice su come curare un ginocchio nella maniera più naturale possibile, senza ricorrere a medicinali troppo complicati e lasciando che il corpo, macchina perfetta, faccia il suo lavoro.

Come curare un ginocchio sbucciato in maniera naturale: il modo più naturale per prendersi cura di un ginocchio sbucciato

 

Naturalmente stiamo parlando di tutte quelle ferite superficiali per cui non è necessario recarsi dal medico o al pronto soccorso per dei punti. Capita spessissimo, infatti, che i bimbi cadano correndo, giocando, in bicicletta, sui pattini... E non sempre indossano le loro ginocchiere. Quindi via di pianti disperati e di ginocchia e gomiti arrossati, sbucciati, doloranti e sanguinanti. Non facciamoci prendere dal panico!

  • Innanzitutto, puliamo subito la ferita con dell’acqua. Se c’è una fontanella nei paraggi approfittatene, altrimenti una bottiglietta di acqua andrà benissimo. Fate scorrere il liquido sulla ferita, abbondantemente, dopo esservi lavati molto bene le mani.
  • Se ce ce fosse bisogno (se il ginocchio fosse sporchissimo), imbevete poi una garza con della soluzione fisiologica, e, soprattutto se la ferita è davvero sporca (terra, sassi, sabbia...), aiutatevi anche con del sapone neutro e naturale per pulirla in profondità igienizzando anche la parte attorno. Tutto deve essere naturalmente molto pulito, altrimenti lo sporco entra nella ferita, se già non è sporca, e il rischio di infezione aumenta. Se fosse poi il caso di utilizzare pinzette per pulire da schegge o residui vari, abbiate cura di lavare molto bene anche quelle.
  • Lasciate quindi asciugare la ferita, dopodiché evitate di coprirla con qualunque cosa per un po’. Se infatti il bambino non deve andare a letto (si sporcherebbe di sangue) è sempre meglio lasciare per il maggior tempo possibile il ginocchio sbucciato libero di respirare, senza essere coperto con garze, cerotti o quant’altro. Non preoccupatevi della contaminazione, anzi: attorno e dentro al ginocchio ci sono già infatti abbastanza batteri fisiologici che permettono che non si infetti ancora di più.
  • Le altre regole laterali da seguire sono altrettanto semplici: non utilizzare mai, mai, mai il cotone idrofilo. Sappiamo che sembra comodo, ma fa più danno che altro: lascia un sacco di pelucchi in giro e a quel punto il rischio di infezione aumenta. Lo strumento migliore è una garza, ma potete utilizzare anche un fazzoletto pulito in cotone, o un fazzoletto di carta avendo cura di non sfaldarlo.
  • Evitate anche l’alcool, i disinfettanti a base d’alcool, amuchina, polveri o pomate (sempre a base d’alcool). Utilizzateli per sterilizzare gli strumenti con cui toccate la ferita o il ginocchio sbucciato, ma evitateli sulla zona: bruciano i tessuti e ritardano così la cicatrizzazione.

Acqua e aria, quindi, andranno benissimo: più naturale di così...

 

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Le farine che fanno bene e dove acquistarle

Giovedì, 18 Maggio 2017 08:26

 

Quando pensiamo al pane, lo pensiamo immutabile, cibo che ci sfama dai secoli dei secoli. Eppure non è sempre stato così come lo intendiamo noi oggi. O meglio: non era così il grano che lo componeva, poiché proprio l’ingrediente principale del pane è mutato moltissimo, essendo soggetto alle scoperte e alle tecnologie dell’uomo.

Cercare di tornare alle vecchie tecnologie dei mulini significa quindi recuperare la bontà del grano, non più sfruttato per aumentare a dismisura la produzione ma lavorato per darne sempre e comunque i nutrienti più buoni.

Le farine che fanno bene e dove acquistarle: perché recuperare la vecchia tradizione della lavorazione del pane significa stare meglio

Il grano, come dicevamo, non è sempre stato uguale a come lo vediamo oggi. Questo cereale è importantissimo per la nostra alimentazione, poiché cresce al sole e attraverso la fotosintesi clorofilliana si sintetizza in amido. Tuttavia i nutrienti del grano non sono più come quelli di una volta: il grano d’oggi è molto più ricco di glutine, e questo va a discapito di altre sue proprietà, come gli oligoelementi e le fibre.

Questo cambiamento è dovuto al mutare delle tecnologie nel corso dei secoli, in particolare quelle del Novecento, dal momento che molti agronomi si impegnarono per rendere la produzione del grano più ampia e produttiva (in quanto c’era bisogno di sfamare moltissima gente e chiaramente di fare gran business diminuendo i costi). Questo ha portato alla selezione di certe varietà di grano a discapito di altre, ma soprattutto all’uso di fertilizzanti industriali.

Le ibridazioni che sono state perpetuate nei decenni (bersagliando anche le coltivazioni con raggi gamma che hanno reso i fusti più bassi e le piante più resistenti agli agenti atmosferici) hanno quindi portato sì alla produzione su più ampia scala (che era molto importante nel secolo scorso), ma ha anche portato alla carenza di certi nutrienti nelle piante, e alla mutazione della natura stessa del nostro grano. 

Se infatti nei tempi antichi il grano superava il metro d’altezza, oggi arriva a poche decine di centimetri: in questo modo non è soggetto all’allettamento, è più produttivo e quindi migliorano anche i profitti.

Questo “nuovo” grano ha preso il nome di Creso, e sul mercato ancora oggi il frumento da cui si ricava il pane che mangiamo discende proprio da lui. E le coltivazioni massive sono praticamente dominate da lui, anche perché le normative limitano l’autoproduzione e lo scambio di semi tra i lavoratori della terra.

Tuttavia in natura esistono ancora certi alcuni tipi di grano chiamati antichi non modificati, che continuano a nascere spontaneamente e che si sono adattati al territorio, non necessitando così di irrigazione o di utilizzo di fertilizzanti artificiali e pesticidi (al contrario del grano Creso, che ne ha bisogno di molto).  La loro coltivazione si può quindi tranquillamente definire biologica, e il prodotto è un tipo di grano autoctono che contiene in molti casi naturalmente meno glutine ed è quindi più digeribile.

Un’esperta indiscutibile di queste tematiche e soprattutto di grandi antichi è la blogger Veronica Bagnacani di verobiologico.it: ha realizzato infatti una vera e propria mamma italiana di mulini dove è possibile acquistare farine di qualità.. 

Come spiegato all’interno del tuo verobiologico.it le tipologie sono varie, ed ognuna ha un nome, e fortunatamente in Italia ci sono ancora certe aziende che ne perpetuano la produzione. In Toscana troviamo il grano Verna, quello Inalettabile, il Sieve e il Gentil Rosso, il Farro e il Monococco; in Cilento troviamo il Saragolla, il Solina, il Gentil Rosso (di nuovo, essendo autoctono della zona appenninica) e il Risciola. Ci sono poi il Timilia, lo Strazzavisazza, il Monococco e il Russello, il Germanella, il Grazella Ra, il Khorasan (o Kamut), il Perciasacchi e il Frassineto.

Questi grani vengono macinati solitamente in mulini non industriali, locali, che macinano i cereali e producono le farine. Se ne conoscete vicini a voi, approfittatene, scegliendo sempre le loro farine: conoscere la provenienza del grano dovrebbe essere un’abitudine da prendere tutti, poiché spesso queste farine sono certificate biologiche, sono sicure e fidate e sono macinate ancora con i vecchi procedimenti, e cioè a pietra. Inoltre vi assicurerete sempre la freschezza della macinazione: un aspetto da non prendere sottogamba!

 

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Lottare, rotolarsi sul tappeto, picchiarsi (ma non troppo!), aggrovigliarsi, spingersi, stringersi: alzi la mano chi non ha mai giocato al gioco della lotta! Nessuno? Ne siamo certe. Perché il gioco della lotta, fatto con i fratelli, i genitori o gli amici, è un must per i bambini. Ma non preoccupatevi: anche se in apparenza può sembrare violento, in realtà questa attività è imprescindibile per i bambini, e soprattutto molto, molto educativa!

 

Il gioco della lotta è un gioco sano che fa molto bene: perché giocare a fare la lotta con i fratelli, gli amici o i genitori è un’attività sana e molto educativa

La lotta, anche se in maniera meno diretta, fa certamente parte di tutto quel filone del gioco libero che è fondamentale per la crescita dei nostri figli. Lasciarli liberi di giocare senza regole è, per assurdo, una regola importantissima, poiché lascia che i nostri figli si confrontino con loro stessi e con gli altri, con la loro fantasia, i loro limiti, le loro voglie e le loro sensazioni.

Come gioco libero, quindi, la lotta è già di per sé molto educativa. Ma lo è ancora di più rispetto ad altre attività, e adesso vediamo in dettaglio perché il gioco della lotta può essere considerato un alleato prezioso per la crescita e lo sviluppo salutare dei nostri bambini.

Innanzitutto, è un gioco molto fisico, che quindi li aiuta in maniera divertente ad allenare i muscoli, a provare l’elasticità degli arti, a testare i limiti della forza e a sfogare l’energia che accumulano durante il giorno (esatto: i nostri figli stanno troppo fermi e al chiuso, e la lotta è un’ottima valvola di sfogo).

In secondo luogo, come si legge nel “Manuale di psicologia dello sviluppo” di Ada Fonzi, “il gioco, a quest’età, permette di esprimere in modo socialmente accettato e divertente l’aggressività”. Quindi, quando guardiamo al gioco della lotta semplicemente vedendoci “violenza”, riflettiamoci un attimo: certo che c’è violenza, ma è giusto che i bambini sperimentino la violenza, in maniera ludica! Se il gioco è fatto per esplorare tutti gli aspetti della vita in vista di affrontare da soli l’età adulta, allora perché precludere certi argomenti?

“Questa funzione”, continua Ada Fonzi nel suo libro, “è estremamente importante non solo per una sorta di “sfogo fisico”, ma soprattutto perché insegna a modulare le azioni in base ai contesti, a precisare le espressioni, a chiarire quali siano le intenzioni, facendo capire come lo stesso movimento possa assumere significati diversi in situazioni diverse. Ma per fare questo è necessario che si crei un accordo tra i due partner, una sorta d’intesa a “fare il gioco della lotta senza farsi male””.

Ecco: la premessa è semplice, e cioè che questa lotta deve essere consenziente e non derivante da un litigio. In quel caso sì che la violenza sarebbe fine a se stessa! E anche se litigare è un’altra attività molto educativa (e infatti noi suggeriamo sempre di non troncare i litigi sul nascere, quando non sono violenti, ma di lasciare che i bambini si confrontino tra loro, sperimentando concretamente il conflitto e trovando di volta in volta una mediazione tra loro!), in questo caso la lotta deve essere solo ludica, mai aggressiva per davvero. Fate quindi attenzione ai dettagli: se si arrabbiano, piangono, colpiscono troppo forte, vuol dire che si stanno arrabbiando e che il gioco sta sfociando in litigio vero; se invece giocano tra loro ridono, si divertono, fanno a turno ad attaccare e ad essere attaccati.

Tra gli altri benefici che il gioco della lotta ha sullo sviluppo del bambino, inoltre, vi sono l’insegnamento di certi comportamenti fisici, sociali ed emotivi che escono solo in questi momenti di “vivacità estremizzata”; e infine l’apprendimento diretto dell’autocontrollo. Non solo per quanto riguarda la forza, ma anche per quanto riguarda i “momenti”. Se infatti lasciate che i bambini si dedichino al gioco della lotta regolarmente, piano piano capiranno quali sono i momenti adatti a farlo, e qual è l’attimo giusto per fermarsi (quando lo dite voi o quando non lo ritengono più necessario).

 

Creare storie con i sassi

Martedì, 16 Maggio 2017 14:26

Quando si comincia ad uscire per giocare in primavera in casa cominciano a spuntare tutti i tesori che i bimbi trovano e che si portano in cameretta. Non so voi, ma noi ci ritroviamo sempre con un sacco di pigne, sassi, foglie, rami...

Prendiamo quindi i sassi, il materiale naturale più semplice da trovare e che si può trasformare in uno strumento educativo, divertente e bellissimo!

Creare storie con i sassi: come dai sassi si possono inventare storie partendo da un lavoretto semplice semplice

L’attività che vi proponiamo prende spunto da un semplice esercizio caro agli amanti della scrittura creativa. Il concetto è quello di prendere disegni o parole sparsi, mescolarli, pescarne qualcuno e da quelli estratti partire a inventare una storia fatta di tali elementi.

Con i bambini potete così prendere i sassi collezionati (meglio se piatti e lisci, i “ciottoli”) e trasformarli in un set perfetto per l’invenzione di storie infinite. Come?

Basta rendere i sassi carte raffiguranti animali, cose e persone, disegnandoci sopra con dei pennarelli indelebili a punta molto fine (in modo che i disegni siano molto definiti e non sbrodolati) oppure ingegnandosi un po’ per renderli davvero perfetti.

(Photo credits)

Noi abbiamo provato in due modi, ed entrambi ci sono parsi davvero carinissimi! Il primo prevede degli stickers, o adesivi. Basta incollare su ogni sasso un differente adesivo. Noi abbiamo utilizzato quelli con gli animali, perché ci sembrava davvero carino iniziare con storie animalose. Abbiamo così comprato un libro con più di mille adesivi con gli animali (questo qui) e ci siamo sbizzarriti. I bambini hanno così potuto inventare amicizie tra gli elefanti e i leoni, i conigli e le coccinelle e chi più ne ha più ne metta!

Il secondo metodo è ancora più divertente. Già, perché abbiamo utilizzato i tatuaggi temporanei per bambini! Esatto, proprio i tatuaggi-trasferelli che tutti abbiamo usato nella nostra infanzia. Ai bambini piacciono moltissimo, li affascinano sempre, e vi assicuriamo che anche in questo caso, utilizzandoli secondo questa stramba modalità, si sono appassionati moltissimo alla cosa!

Prendete quindi un bel set di tatuaggi misti (come questi o questi - perfetti perché hanno tantissimi soggetti, dagli animali alle principesse, dalle stelle alle paperelle di gomma, i gelati, le lettere, i simboli più disparati... In questo modo le storie diventano davvero assurde e succulente!) e invece di applicarli sulle braccia dei vostri bimbi (che così non diventeranno scaricatori di porto come piace a loro, per una volta) trasferiteli sulla parte più piatta dei sassi. Il risultato è bellissimo!

Ora che i vostri sassi sono pronti, basterà infilarli in un sacchetto di tela e agitare il sacchetto. Proprio come quando estraete i numeri durante la tombola, fate quindi estrarre ai bambini cinque sassi (o di più, se volete allungare le storie). In base ai soggetti di questi sassi inventate quindi, uno alla volta o insieme, una storia che li contempli tutti.

Il gioco è semplice e divertente ma molto educativo, poiché stimola tanto la creatività e la fantasia quanto la capacità di seguire una determinata regola. Non solo: quando fatto insieme, è un ottimo esercizio sociale ed empatico, poiché prevede un lavoro comune e collaborativo nel quale le idee di tutti sono importantissime.

 

Spesso alle neomamme viene ripetuto dalla zia Ignazia di turno: “fanne subito un altro, così fai meno fatica, crescono vicini e non devi ripetere i passaggi stressanti dopo molto tempo ricominciando tutto daccapo!”. Sarà, ma una mamma fresca fresca di parto spesso non pensa a questo, ma a godersi il suo pargolo e a spostare il più in là possibile i dolori del parto, no?

Scherzi a parte, sembra che fare un figlio subito dopo il primo non sia poi così auspicabile, ma non tanto per la fatica che questo implica o per il ripetersi del dolore del parto. No. A sconsigliarlo è uno studio scientifico che a quanto pare ha trovato una correlazione tra due gravidanze vicine e il parto prematuro durante la seconda.

Gravidanze vicine? Il rischio è il parto prematuro: meglio aspettare dopo il primo figlio per evitare il pericolo di un parto prematuro

Lo studio al quale ci riferiamo si intitola più genericamente “l’influenza dell’intervallo intra-gestazionale sui tempi del parto” ed è stato pubblicato su Bjog, International Journal of Obstetrics and Gynaecology, nel 2014, dopo essere stato presentato all’annuale meeting della Central Association of Obstetricians and Gynecologists del 2013 a Napa, in California.

Tra i risultati si legge esattamente che due gravidanze troppo vicine possono aumentare il rischio di parto prematuro. Ma cosa si intende per “vicine”? Quanto tempo deve passare perché possano essere definite tali?

Possiamo dividere le “gravidanze vicine” in due gruppi: il primo è quello delle donne che rimangono incinte meno di 12 mesi dopo alla prima gravidanza; il secondo quello delle mamme che aspettano tra i 12 e i 18 mesi successivi. Attendere dopo i 18 mesi dovrebbe essere l’ideale, perché è passato un buon intervallo di tempo.

I numeri, infatti, parlano chiaro. Lo studio statunitense ha preso in considerazione 454.716 nascite avvenute da donne che hanno avuto almeno due figli nel periodo di sei anni. Le mamme rimaste incinte meno di 12 mesi dopo la prima nascita hanno sofferto, nel 53% dei casi, di parto prematuro prima delle 39 settimane di gestazione, e cioè prima del termine, e avevano il doppio del rischio di partorire addirittura prima di 37 settimane (il 20%, rispetto al 7% delle mamme che sono rimaste incinte dopo 18 mesi). Per le mamme che invece avevano aspettato i 18 mesi questa percentuale scende al 37 percento.

Lo studio ha sottolineato anche come l’etnia possa essere un fattore determinante quando si parla di tempi di gestazione in relazione all’intervallo tra le gravidanze, poiché le donne nere che hanno concepito il loro secondogenito dopo meno di 12 mesi dal primo si sono rivelate molto più a rischio delle donne di altre etnie. Anche nel caso di un intervallo ottimale, e cioè di 18 mesi: l’11% ha partorito prematuramente, a differenza del 6% delle donne non nere.

Questo studio è molto importante perché diventa uno strumento da non sottovalutare quando si parla di prevenzione e di consulto. I medici, infatti, considerando i fattori di rischio di ogni madre potranno così valutare ancora meglio le circostanze, consigliando al meglio le donne in base alla loro storia e alla loro anamnesi, tenendo conto del fatto che anche l’intervallo tra le gravidanze (che, come dicevamo, adesso sappiamo essere ottimale quando uguale o superiore a 18 mesi) potrebbe o non potrebbe essere un fattore di rischio.

 

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Avevamo già parlato dell’hygge, e cioè la filosofia danese che fa sì che i genitori danesi crescano figli felici affidandosi alla confortevolezza, allo stare bene, alla soddisfazione e al sentirsi sicuri in famiglia.

Al Nord, tuttavia, ogni paese ha la sua parola magica che ci viene in aiuto nella ricerca della felicità. In Svezia, ad esempio, di parla di lagom, che si legge esattamente come si scrive e che racchiude un mondo bellissimo!

Dopo l’hygge il lagom, un nuovo concetto svedese per la felicità: il concetto scandi di moderazione ed equilibrio per il raggiungimento della serenità familiare

Se l’Hygge prevedeva la ricerca della comodità nelle piccole cose, il Lagom svedese è un po’ diverso, ed è più una filosofia di vita in generale, piuttosto che un qualcosa da ricercare giorno per giorno, volta per volta. Insomma: quando inizi a praticare il Lagom, questo entra naturalmente nella tua vita e lì ci rimane.

Il Lagom, in parole spicce, è la ricerca della moderazione e nell’equilibrio in tutto quello che facciamo. Significa letteralmente “la giusta quantità” e racchiude l’idea che è possibile raggiungere tranquillamente un equilibrio salutare con il mondo senza dover stravolgere la nostra vita ma solo moderandoci (senza tuttavia negarci nulla). Quando nella nostra vita ci sono equilibrio e bilanciamento, moderazione e non esagerazione, in effetti, poi si sta meglio, no?

Rispetto all’Hygge, quindi, il Lagom coinvolge anche il mondo esterno e la natura, e non solo noi stessi e la nostra famiglia, poiché la moderazione deve essere raggiunta nelle situazioni e nelle emozioni ma anche nel concreto, e cioè senza esagerare sul cibo e mantenendo uno stile di vita regolare.

Come fare, allora, per raggiungere il Lagom? Ecco qualche piccola regola che dovremmo prendere come abitudine per trovare in noi stessi e nella nostra famiglia l’equilibrio scandi e il concetto di “la giusta quantità”.

- Partendo da qualcosa di “astratto” ma che coinvolge direttamente la vita concreta, se vogliamo fare spazio al Lagom nella nostra vita dobbiamo iniziare a pensare se le nostre attività sono bilanciate. E cioè: quanto tempo passiamo al lavoro? Quando a casa? Quanto con i nostri figli? Quanto da soli? Tutto dovrebbe avere la giusta quantità di tempo da dedicargli, senza sforarla ma nemmeno senza sacrificarla.

- La moderazione la si raggiunge prima di tutto sul cibo e sull’alimentazione. Non bisognerebbe mai esagerare, e nemmeno mangiare troppo poco, variando sempre in modo che ogni alimento abbia il suo giusto spazio. Non esagerare, tuttavia, non significa nemmeno privarsi per forza di qualcosa. Se amate così tanto quella torta ipercalorica al cioccolato e fragole, quindi, non eliminatela per sempre dalla vostra tavola, ma tenete un angolino di spazio alla domenica per gustarvela e sentirvi così soddisfatti!

- Comprate meno, fate meno shopping inutile, scegliete bene: il Lagom passa anche dal portafoglio, che saprà anche ringraziarvi una volta raggiunto l’equilibrio! Piuttosto di comprare indiscriminatamente tutto solo perché sentite di doverlo assolutamente avere, pensate, prima di strisciare la carta, a se davvero quella cosa vi serve. E concentratevi sempre sulla qualità piuttosto che sulla quantità: il fast fashion ormai ci ha abituati ad avere gli armadi straripanti di abiti di fattura non bellissima; torniamo un po’ alle origini, e scegliamo abiti belli, che davvero ci piacciono e che dureranno di più nel guardaroba!

- Eliminate il superfluo dalle vostre vite, sia in senso materiale sia affettivo. Una casa minimal significa una casa con più spazio per ciò che è importante. Un po' come insegnano Marie Kondo e il suo "Il magico potere del riordino": c'è un perché se questo libro è diventato un bestseller e un cult, e come potremmo quindi non consigliarlo quando si parla di Lagom? E per quanto riguarda le relazioni personali, lasciate perdere le amicizie fatte di “per forza” e di consigli non richiesti: concentratevi su chi davvero amate!

- Siate grati di ciò che già avete, godetevelo e vivetelo prima di decidere di passare ad altro così, su due piedi, perché in quel momento vi va! Appena imparerete a farlo vi riuscirà perfettamente in tutti i campi della vita e lo spreco, in questo modo, sarà sostituito dall’equilibrio!

 

 

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Spesso quando un bambino non arriva la prima a preoccuparsi è la donna. Forse è normale, dal momento che sarà lei a portare questo bimbo per nove mesi nella sua pancia, e fisicamente la sensazione è quindi più forte. Ma il problema non è detto che sia automaticamente femminile, anzi. Anche da parte dell’uomo può esserci qualche difficoltà. Ma purtroppo spesso il tema fertilità maschile è un tabù e recarsi dal medico è l’ultima spiaggia.

Non dovrebbe essere così, tuttavia. E per rendere le cose più tranquille, intime, casalinghe e meno spaventose c’è un modo: il test di fertilità maschile da fare in casa.

Il test di fertilità da fare in casa. Per uomini! Quando per scoprire se qualcosa non va basta una piccola verifica semplice e veloce

Ne abbiamo parlato con chi questo tema lo tratta quotidianamente. Swimcount è infatti un’azienda che produce test di fertilità da utilizzare a casa per uomini, uno strumento che permette di valutare la qualità degli spermatozoi del maschio, in modo da farsi un’idea della loro motilità. Ci siamo così fatte le domande più comuni e le abbiamo girate a loro, in modo da capire meglio cosa si può fare.

Quali sono le principali cause dell’infertilità maschile? E come lo stile di vita impatta sulla motilità degli spermatozoi?

I motivi sono molti, tuttavia i più comuni sono il varicocele e l’aumento della temperatura scrotale, i disturbi endocrini, anomalie genetiche, congenite o acquisite, tumori oppure infezioni e fattori immunologici. L’età, l’obesità, le esposizioni ad agenti chimici e fisici, l’inquinamento, il fumo, l’alcool e le droghe aumentano poi questo rischio di infertilità.

Gli spermatozoi e la loro motilità vengono quindi influenzati anche dallo stile di vita, sì. L’obesità provoca una ridotta secrezione sierica del testosterone (responsabile della spermiogenesi); il fumo compromette la motilità e la morfologia spermatica; l’alcool deteriora i parametri dello sperma e porta a patologie testicolari; troppi grassi inficiano la qualità dello sperma.

In Italia quanti sono gli uomini che hanno difficoltà di concepimento?

Purtroppo, in Italia come nel mondo, la fertilità è spesso associata al concetto di virilità, anche se non è affatto così. Di conseguenza gli uomini non ne parlano, o hanno paura a chiedere informazioni e a farsi visitare. Tuttavia la SIAMS (Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità) mostra un quadro non troppo rassicurante: i ragazzi italiani tra gli 0 e 18 anni soffrono per il 27% di problemi della sfera sessuale (come varicocele, criptorchidismo e altri), e gli uomini dai 18 ai 50 anni sono affetti per il 40% da patologie andrologiche.  Secondo l’OMS l’infertilità è una problematica che colpisce il 15%-20% delle coppie, ciò significa che su scala mondiale sono infertili 50-80 milioni di soggetti.

In Italia, secondo alcune rilevazioni ISTAT, ci sono circa 15 milioni di coppie (dati riferiti al 2008-2009). Incrociando il dato dei 15 milioni di coppie italiane con il dato del WHO che ci dice che il 40% dei problemi di infertilità di coppia in Italia è dovuta esclusivamente al fattore maschile e il 20% a fattori sia maschili che femminili, si conclude che in Italia ci sono almeno circa 1.200.000 coppie infertili dovute a problematiche del partner maschile.

Cos’è allora SwimCount e come si usa?

SwimCount nasce dalla ricerca danese, è prodotto in Danimarca e si basa sul principio tecnologico dello Swim-up, nota e consolidata tecnica impiegata nei laboratori di fecondazione di tutto il mondo svolta per la rilevazione degli spermatozoi motili e loro purificazione dagli altri tipi di spermatozoi presenti nello sperma.

È un test usa e getta utile per dare un primo, semplice, rapido e affidabile risultato sulla qualità del liquido seminale. In questo modo la coppia può prendere coscienza velocemente di un eventuale problema di infertilità maschile e intraprendere il prima possibile un percorso specialistico (il test infatti non sostituisce lo spermiogramma e le analisi di approfondimento, ma aiuta subito a capire se ce n’è bisogno).

L’utilizzo è davvero semplice. Basta raccogliere un campione di fluido nel bicchierino e lasciarlo fluidificare per 30 minuti. Dopodiché con l’apposita siringa presente nel kit lo si preleva e lo si dispensa sul pozzetto di lettura. Dopo 30 minuti ecco il risultato, di tipo colorimetrico: in base all’intensità del colore possiamo leggere se la fertilità è bassa (spermatozoi motili inferiori a 5 milioni per millilitro), normale (compresi tra 5 e 20 milioni) o alta (sopra i 20 milioni).

E per quanto riguarda l’affidabilità?

SwimCount è stato rigorosamente testato e comparato con sistemi di analisi standard e di analisi computerizzati. I risultati hanno confermato che SwimCount ha una accuratezza del 95%, una specificità del 91% e una sensibilità del 96%. Non solo: se gli altri test casalinghi danno un risultato semplicemente quantitativo, SwimCount lo dà qualitativo, poiché, dal momento che nello sperma sono presenti diversi tipi di spermatozoi (normali, morti, poco motili...), il nostro test non li conta indistintamente, ma considera solo quelli effettivamente motili.

 

Quindi, è molto importante fare questo test casalingo...

Esatto, perché può aiutare a prendere coscienza di un eventuale problema di infertilità e guadagnare così tempo prezioso per diventare finalmente genitori. SwimCount può aiutare a fare chiarezza a quale dei due partner sia da imputare l’infertilità di coppia andando ad escludere o confermare che sia il partner maschile e indirizzare il prima possibile ad intraprendere la visita specialistica.

Soprattutto, il test a casa permette di superare la prima ritrosia che gli uomini potrebbero avere, proprio per l’associazione (sbagliata) tra infertilità e virilità. L’intimità delle mura casalinghe aiuta a convincersi di fare il primo passo, quello che poi potrà portare alle importanti visite specialistiche se ce ne fosse bisogno.

Quando il test risulta positivo (quando cioè mostra una bassa concentrazione di sperma) qual è la prassi da seguire?

Si possono tranquillamente effettuare una seconda e terza prova con nuovi campioni: le condizioni del campione di liquido seminale variano infatti molto in base agli stili di vita precedenti il giorno di raccolta, e quindi avere la conferma o meno del risultato della prima misurazione. Se si conferma il dato di infertilità, è consigliato rivolgersi il prima possibile ad uno specialista che valuterà con precisione la vostra situazione e saprà indicarvi la strada migliore da seguire.

E, infine, quanto incide lo stress sul risultato del test?

Può capitare che il test risulti positivo senza che ci sia una reale infertilità, per motivi non collegati a SwimCount, tra cui lo stress. Studi scientifici dimostrano infatti che lo stress e la depressione condizionano negativamente la qualità spermatica anche se non sono ben compresi i meccanismi.

Le linee guida internazionali della WHO (organo scientifico) ci informano che il liquido seminale di una stessa persona può subire drastici cambiamenti a seconda dell’attività delle ghiandole accessorie che secernono le secrezioni in cui vengono diluiti gli spermatozoi, il periodo di astinenza sessuale, le dimensioni testicolari. Per questi e altri fattori, uno stesso individuo nel tempo può produrre liquido seminale di differente qualità, a volte buona a volte meno, e che per ottenere dei parametri seminali accurati di un individuo, può non essere sufficiente analizzare un solo campione bensì sarebbe meglio analizzarne due o tre.

Ecco perché per essere veramente certi di un eventuale risultato di infertilità, può essere molto utile ripetere il test SwimCount qualche volta in più, anche in momenti diversi.

Per approfondimenti più tecnici, consulta anche questo articolo sul sito di Swimcount.

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Sì, siamo nel 2017. Sì, la famiglia tradizionale non esiste più. Sì, la parità dei sessi è (quasi) raggiunta. Ma tutto questo sembra accada solo sulla carta, e non nel concreto. Prendiamo le faccende domestiche: a vedere la modernità dei nostri tempi si direbbe che ormai in una casa dove entrambi i coniugi lavorano le faccende domestiche siano equamente divise. Ma a smentirlo ci ha pensato l’OECD, l’Organisation for Economic Co-operation and Development, che ha mostrato come in Italia siano ancora l’80% delle donne a sbrigare le faccende domestiche. Non che in Europa la situazione sia migliore: in Russia il 64,5, in Gran Bretagna il 66%, in Francia il 73%. Ma siamo comunque tra i peggiori.

E se una campagna ci facesse riflettere su questo dato per cambiare rotta? Ecco l’hashtag lanciato da Indesit, leader nel settore elettrodomestici: #DoItTogether!

Dividersi le faccende domestiche, è arrivato il momento: una campagna di Indesit ci fa riflettere sulla divisione delle faccende domestiche in casa nel 2017

Indesit, il brand di Whirpool Italia, ha così lanciato la sua campagna #DoItTogether, diffusa in primis attraverso un video, carinissimo ma provocatorio, che mira a smuovere le coscienze.

Nel video si vede una “normale famiglia capovolta”. Ovvero: due bimbe, una mamma e un papà. Ma ad occuparsi della famiglia non è la mamma, come verrebbe spontaneo pensare, ma il papà. Un papà che tuttavia non è un casalingo, ma è un lavoratore al pari della mamma. Solo che, come quasi tutte le mamme d’Italia (nella realtà), è lui ad alzarsi prima degli altri per preparare la colazione, a svegliare il resto della ciurma, a preparare le schiscette per il pranzo, a portare l’ombrello in macchina dopo aver guardato le previsioni, a tornare prima dal lavoro per andare a prendere le bimbe a scuola, a fare la torta… Mentre la mamma gode dei benefici del “non fare niente”, perché tornata a casa dal lavoro è troppo stanca. Un eroe, quindi, questo papà lavoratore e casalingo allo stesso tempo.

Fa sorridere e fa tenerezza. Ma il messaggio alla fine è chiaro: la vostra reazione sarebbe stata la stessa se al posto del papà casalingo ci fosse stata la mamma casalinga? Probabilmente no, perché siamo troppo abituati a pensare alle mamme come a coloro che fanno tutto in casa.

Fortunatamente i ruoli si stanno mischiando, e i mariti che aiutano (così come i bambini che si impegnano nelle faccende domestiche) sono sempre di più. Ma la maggior parte delle mogli deve ammettere che il proprio uomo non sa fare la lavatrice, stirare o caricare una lavastoviglie.

Oltre al video, quindi, Indesit ha lanciato una piattaforma online che raggruppa test, video e curiosità attorno all’hashtag #DoItTogether, “Facciamolo insieme”. Il test, ad esempio, permette di capire se siamo già una “Switched family”, una “famiglia capovolta” e quindi più attenta alla divisione dei ruoli, oppure se siamo ancora impostati sulla tradizionalità. Ci sarà poi “Come ti cambio la famiglia”, una divertentissima web serie che seguirà le vicende di famiglie che hanno deciso di scambiarsi i ruoli interni, vivendo per una settimana la “vita” dell’altro.

“Quando si lavora insieme dividendosi le responsabilità, le attività quotidiane diventano più facili e i risultati si vedono!”: questa frase riassume benissimo la mission della campagna marketing di Indesit, che vuole porre il focus su un argomento che diamo ormai per scontato, a cui non pensiamo perché siamo abituati ad una visione ancora un po’ antica della famiglia. Ma questa visione non può che cambiare: la donna non sta più solo a casa ad occuparsi degli ambienti e dei figli, ma ha un lavoro proprio come il papà. Allora perché deve fare solo lei le faccende?

Dividere è semplice. Dividere è economico. Dividere è defaticante. Dividere è soddisfacente, anche per la parte che deve impegnarsi un po’ di più perché magari non è abituata. Basta poco per prendere una nuova routine, rendendosi tutti utili, aiutandosi vicendevolmente, in un circolo virtuoso che a fatica si potrà spezzare.

 

 

Kathy scorreva la sua home di Facebook e vedeva solo fotografie di mamme felici con bimbi piccolissimi, vite perfette di giochi insieme e giornate passate all’aperto, sorrisi enormi e gioia che sprizzava da tutti i pori. Ed è vero: è così, molto probabilmente su tutte le bacheche Facebook.

Kathy è diventata mamma per la seconda volta, e a lei tutti questi sorrisi sembrano lontanissimi. Perché Kathy soffre di depressione post-partum. Certo, anche lei si sentiva in dovere di mostrarsi felicissima sui social. Finché ha capito che invece è meglio aprirsi, parlare della depressione post-partum e mostrare al mondo cosa significa sentirsi male, malissimo nel periodo più bello della vita di una donna.

Una foto per parlare della depressione post-partum: il progetto fotografico di Kathy DiVincenzo per mostrare cosa significa davvero convivere con la depressione post parto

Nella prima immagine Kathy appare stanca, disordinata, stravolta. Un bambino qui, sdraiato sul suo tappetino, e la primogenita là, che gioca con le bambole. E lei al centro, con lo sguardo perso, esausto.

Nella seconda foto è tutt’altro. Sembra una mamma felice, normale, curata, riposata e appagata dai suoi figli che le giocano accanto.

Cosa accomuna queste fotografie (della fotografa Danielle Fantis)? Solo il soggetto, Kathy DiVincenzo, che purtroppo si sente davvero così. Un giorno perfetta, energica e felice. L’altro (la maggior parte delle volte) stanca, debilitata, triste, sporca.

Il 15% delle neomamme soffre di Depressione PostPartum. Maggio è stato dichiarato il Mese Mondiale per la sensibilizzazione sulla depressione postpartum, e Kathy si è sentita finalmente così coraggiosa da strappare il velo che troppo spesso è calato davanti a questo tema, nascosto da tutte le donne che ne soffrono perché impaurite che il mondo le giudichi cattive madri. Potrà essere così, potranno giudicarvi, forse (ma siamo sicuri che ci interessi, il giudizio degli sconosciuti?); ma sappiate che non lo siete. Non siete cattive madri. Nessuna di noi lo è. Siamo semplicemente madri, e la depressione è una malattia molto più comune di quanto si creda. Soprattutto in un periodo delicato come quello del post-gravidanza, con gli ormoni in subbuglio e la vita che ti travolge.

“Probabilmente ti sentirai parecchio a disagio in questo momento (esattamente come me). Ma voglio sfidarvi a spingere via questo disagio che la società ha piazzato sopra alla depressione postpartum facendomi ascoltare”.

(foto: Facebook)

“(...) È tempo di mostrare com’è davvero, la depressione, e non solo le immagini che sono “degne di Facebook”. Queste immagini rappresentano entrambe la mia vita, a seconda della giornata. Tuttavia solitamente condividerei solo una di queste foto, e questo è il problema. Poiché l’unica cosa più stressante di soffrire di questa malattia è fingere quotidianamente di non averla. Faccio il doppio della fatica per cercare di nascondere questa realtà da voi perché ho paura di mettervi a disagio. Ho paura che pensiate che sono debole, pazza, una madre terribile, e una delle altre milioni di cose che la mia mente mi convince che io sia. E so di non essere l’unica che prova queste cose.

Dobbiamo smettere di pensare che il periodo che segue alla nascita sia solo euforico, perché una volta su sette non lo è. Dobbiamo iniziare a chiedere ai neogenitori come riescono a farcela, ma in maniera più profonda, non solo ascoltando la risposta al nostro “allora, come state?” (“Benissimo!”), ma anche leggendo i segnali, i sintomi, gli indicatori di rischio.

Dobbiamo rompere il silenzio condividendo le nostre storie e lasciando che le altre sappiano che non sono da sole”.

Chiede quindi di condividere la propria storia, Kathy, in modo che le donne sappiano che è giusto chiedere aiuto, senza fingere felicità dove non c’è. E, ad ora, sono già più di 13000 i commenti che questo post ha provocato, mettendo finalmente luce sull’argomento. Perché ormai abbiamo capito che non possiamo fidarci solo delle foto sorridenti, e nemmeno delle risposte positive.

 

Mamme, non preoccupatevi: se sentite di stare male, quando vi chiedono “Allora, come stai?”, non serve rispondere “Benissimo!”. Va bene anche chiedere aiuto, informarvi (magari con un libro semplice ma davvero utile, come “Il pianto della mamma”) e condividere le vostre paure con gli altri: non potreste farvi regalo migliore!

 

Sara

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Cecilia

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