Il gioco della lotta è un gioco sano che fa molto bene!

Lottare, rotolarsi sul tappeto, picchiarsi (ma non troppo!), aggrovigliarsi, spingersi, stringersi: alzi la mano chi non ha mai giocato al gioco della lotta! Nessuno? Ne siamo certe. Perché il gioco della lotta, fatto con i fratelli, i genitori o gli amici, è un must per i bambini. Ma non preoccupatevi: anche se in apparenza può sembrare violento, in realtà questa attività è imprescindibile per i bambini, e soprattutto molto, molto educativa!

 

Il gioco della lotta è un gioco sano che fa molto bene: perché giocare a fare la lotta con i fratelli, gli amici o i genitori è un’attività sana e molto educativa

La lotta, anche se in maniera meno diretta, fa certamente parte di tutto quel filone del gioco libero che è fondamentale per la crescita dei nostri figli. Lasciarli liberi di giocare senza regole è, per assurdo, una regola importantissima, poiché lascia che i nostri figli si confrontino con loro stessi e con gli altri, con la loro fantasia, i loro limiti, le loro voglie e le loro sensazioni.

Come gioco libero, quindi, la lotta è già di per sé molto educativa. Ma lo è ancora di più rispetto ad altre attività, e adesso vediamo in dettaglio perché il gioco della lotta può essere considerato un alleato prezioso per la crescita e lo sviluppo salutare dei nostri bambini.

Innanzitutto, è un gioco molto fisico, che quindi li aiuta in maniera divertente ad allenare i muscoli, a provare l’elasticità degli arti, a testare i limiti della forza e a sfogare l’energia che accumulano durante il giorno (esatto: i nostri figli stanno troppo fermi e al chiuso, e la lotta è un’ottima valvola di sfogo).

In secondo luogo, come si legge nel “Manuale di psicologia dello sviluppo” di Ada Fonzi, “il gioco, a quest’età, permette di esprimere in modo socialmente accettato e divertente l’aggressività”. Quindi, quando guardiamo al gioco della lotta semplicemente vedendoci “violenza”, riflettiamoci un attimo: certo che c’è violenza, ma è giusto che i bambini sperimentino la violenza, in maniera ludica! Se il gioco è fatto per esplorare tutti gli aspetti della vita in vista di affrontare da soli l’età adulta, allora perché precludere certi argomenti?

“Questa funzione”, continua Ada Fonzi nel suo libro, “è estremamente importante non solo per una sorta di “sfogo fisico”, ma soprattutto perché insegna a modulare le azioni in base ai contesti, a precisare le espressioni, a chiarire quali siano le intenzioni, facendo capire come lo stesso movimento possa assumere significati diversi in situazioni diverse. Ma per fare questo è necessario che si crei un accordo tra i due partner, una sorta d’intesa a “fare il gioco della lotta senza farsi male””.

Ecco: la premessa è semplice, e cioè che questa lotta deve essere consenziente e non derivante da un litigio. In quel caso sì che la violenza sarebbe fine a se stessa! E anche se litigare è un’altra attività molto educativa (e infatti noi suggeriamo sempre di non troncare i litigi sul nascere, quando non sono violenti, ma di lasciare che i bambini si confrontino tra loro, sperimentando concretamente il conflitto e trovando di volta in volta una mediazione tra loro!), in questo caso la lotta deve essere solo ludica, mai aggressiva per davvero. Fate quindi attenzione ai dettagli: se si arrabbiano, piangono, colpiscono troppo forte, vuol dire che si stanno arrabbiando e che il gioco sta sfociando in litigio vero; se invece giocano tra loro ridono, si divertono, fanno a turno ad attaccare e ad essere attaccati.

Tra gli altri benefici che il gioco della lotta ha sullo sviluppo del bambino, inoltre, vi sono l’insegnamento di certi comportamenti fisici, sociali ed emotivi che escono solo in questi momenti di “vivacità estremizzata”; e infine l’apprendimento diretto dell’autocontrollo. Non solo per quanto riguarda la forza, ma anche per quanto riguarda i “momenti”. Se infatti lasciate che i bambini si dedichino al gioco della lotta regolarmente, piano piano capiranno quali sono i momenti adatti a farlo, e qual è l’attimo giusto per fermarsi (quando lo dite voi o quando non lo ritengono più necessario).

 

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