Molti genitori quando decidono di cambiare città, paese o addirittura continente si chiedono che effetto avrà sui loro bambini e come reagiranno. Si sentiranno destabilizzati oppure, al contrario, avranno una marcia in più in futuro?

Spesso nei genitori si sviluppa anche un leggero senso di colpa, dovuto alla sensazione di stare imponendo una propria decisione a qualcun altro.

Non c’è una risposta universale. Dipende in primo luogo dal carattere del singolo bambino (se è più estroverso o introverso). Soprattutto, è fondamentale l’approccio dei genitori, che devono riuscire a trovare il modo giusto per supportarli e guidarli in questo cambiamento.

Esistono ricerche che hanno studiato l’argomento, come quella pubblicata sul Journal of Social and Personality Psychology: secondo i ricercatori, traslochi frequenti avrebbero conseguenze negative nella crescita dei bambini. Ma non per questo dobbiamo scoraggiarci.

Online troviamo parecchi blog e racconti di persone che spiegano come, a loro parere, traslocare ripetutamente durante l’infanzia si sia rivelato per loro una chiave verso il successo.

Tra i molti esempi troviamo quello di Tia Gao, che su Medium ha condiviso la sua esperienza. Ex studentessa di Stanford, ora lavora nel mondo delle startup. Da bambina, si spostò 6 volte prima dei 14 anni, passando dalla Cina a Singapore, fino a San Francisco. Basandosi sulla sua esperienza, la donna porta al pubblico la sua critica nei confronti dell’articolo pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine, secondo cui cambiare casa ripetutamente prima dei 14 anni causerebbe problemi e disagi in età adulta.

A Tia Gao, al contrario, cambiare più volte residenza avrebbe insegnato ad adattarsi e a sopravvivere, oltre che ad accettare tutti gli eventi della vita che sfuggono al nostro controllo.

Non è detto, dunque, che traslocare, significhi per forza destabilizzare i bambini, lasciando in loro incertezze e dubbi.

In un altro articolo, Emma Lord, giornalista, ha elencato i 12 aspetti della sua vita che hanno beneficiato dei molti traslochi durante la sua infanzia, rendendola così un’adulta migliore. Tra questi, lo sviluppo di una maggiore autoconsapevolezza. In particolare, grazie a questa esperienza Emma si dice molto più consapevole del suo carattere e di quegli aspetti della sua personalità che restano sempre costanti e fermi, nonostante il cambiamento di luogo e contesto. Altra abilità acquisita nel corso dei vari spostamenti, è la capacità di rompere il ghiaccio. Non ultimo, secondo la giornalista questa sua vita durante l’infanzia le avrebbe lasciato una positiva predisposizione a viaggiare.

In conclusione, più che concentrarsi su quanto ci sia di universalmente positivo o negativo nel traslocare con i bambini, sarebbe più utile elaborare una sorta di guida personale per aiutare i propri figli ad affrontare questo cambiamento secondo i bisogni della propria famiglia. In caso di incertezza o difficoltà, è sempre utile rivolgersi ad una persona qualificata, come uno psicologo o un educatore, per definire insieme un percorso e capire quali accorgimenti siano più adatti al proprio bambino.

Giulia Mandrino

Parlare con le amiche fa scientificamente bene

Venerdì, 16 Febbraio 2018 10:15

Una buona, buonissima notizia che forse in fondo al nostro cuore e alla nostra mente già sapevamo essere vera: chiacchierare fa bene al corpo. Fa bene alla nostra persona fin nel profondo. Perché quando stiamo bene mentalmente le possibilità di stare bene anche fisicamente accrescono esponenzialmente. E per stare bene mentalmente una delle più efficaci abitudini è chiacchierare. Chiacchierare con le nostre amiche. Parlare di noi con loro. E ascoltare reciprocamente.

Prendiamoci quindi la nostra ora settimanale con la nostra migliore amica come qualcosa di necessario, di insostituibile, e non sentiamoci in colpa, ma, anzi, convinciamoci della verità, e cioè che stiamo facendo del bene a noi, alla nostra famiglia (perché è una delle conseguenze!) e alla nostra amica.

Parlare con le amiche fa scientificamente bene: la ricerca che svela come parlare di noi stesse faccia bene al corpo e che rivela come chiacchierare con le amiche sia benefico e insostituibile

Lo studio al quale ci stiamo riferendo è stato condotto dai dottori Diana Tamir e Jason Mitchell dell’Università della California ed è stato pubblicato sulla rivista “Proceedings of the National Academy Science of the United States of America”.

S’intitola “Disclosing information about the self is intrinsically rewarding”, che tradotto significa letteralmente “Dare informazioni su noi stessi è intimamente gratificante”. In altre parole? “Chiacchierare fa benissimo”.

“Studi hanno dimostrato che le conversazioni umane quotidiane vertono per il 30-40% sul rivelare informazioni personali agli altri”, scrivono i ricercatori. Che dunque si chiedono: “Cosa spinge a questa apertura?”. L’ipotesi che volevano quindi dimostrare era che facendo ciò si attivassero meccanismi neurali e cognitivi associati alla soddisfazione.

Attraverso cinque studi hanno quindi supportato questa ipotesi, giungendo alla conclusione che la self-disclosure, ovvero l’apertura personale agli altri, aumenta l’attivazione delle regioni del cervello che formano il sistema mesolitico dopaminergico, responsabile del “sistema di ricompensa” (un gruppo di strutture neurali che spingono all’incentivo, al gradimento, al piacere e alla positività, che risponde anche agli stimoli dati da sesso, cibo, droga e denaro).

“Insieme, gli studi suggeriscono che la tendenza umana a condividere informazioni riguardanti l’esperienza personale possa sorgere dal valore intrinseco associato con la self-disclosure”, concludono i ricercatori. “Parlare dei nostri pensieri intimi con chi ci è accanto può servire a perpetuare comportamenti intrinsechi alla socialità della nostra specie”.

In sostanza, chiacchierare produce sostanze chimiche che fanno bene al nostro cervello e alla nostra salute. Non rinunciamo quindi ai nostri momenti con le amiche, ma sfruttiamoli al meglio. E non solo quando ci sentiamo giù.

L’altro aspetto che emerge analizzando lo studio e traendo le giuste conclusioni è che non dobbiamo quindi per forza sentirci in colpa o considerarci egoiste se “parliamo solo di noi”. Certo, un rapporto è fatto di ascolto reciproco, altrimenti è insalubre (oltre che sbagliato. A quel punto basterebbe uno psicologo - una figura che ci aiuta anche grazie a questo meccanismo, se ci pensiamo). Ma non tiriamoci indietro, consapevoli che parlare di noi stesse faccia davvero molto bene.

Concediamoci dunque la chiacchierata settimanale con la nostra migliore amica, spronandola a parlare e lasciando poi che ci ascolti lei, mettendo in pratica questo meccanismo che sta alla base della nostra salute mentale e fisica e lasciando che il nostro piacere corra, sviluppando effetti davvero super benefici.

Il tutto, come sempre, davanti ad una bevanda calda confortante o ad un delizioso bicchiere di vino (ogni tanto ci sta!).

Giulia Mandrino

Regali per mamme Waldorf

Giovedì, 15 Febbraio 2018 15:59

Le mamme Waldorf? Sono quelle pazze dell’educazione steineriana, che oltre a portare i bimbi negli asili e nelle scuole che seguono il metodo di Rudolf Steiner ne seguono la filosofia cogliendone il potenziale (perché è qualcosa di utile non solo ai bambini, ma anche agli adulti!).

Se quindi siete mamme Waldorf, oppure avete amiche che come voi amano la cultura steineriana, non avrete problemi a trovare il regalo giusto per il compleanno, o per quell’occasione speciale.

Ecco una lista di pensieri e regali da indirizzare alle mamme patite della didattica steineriana, per farle felici e colpirle al cuore!

Regali per mamme Waldorf: i suggerimenti su cosa regalare alle vostre amiche che amano la pedagogia steineriana

Un diario

Un diario non è solo un esercizio di scrittura, e non è nemmeno solo qualcosa che ci riporta alla nostra adolescenza (ma perché dovremmo abbandonarlo dopo una certa età?). Un diario è infatti un’opportunità pazzesca per esplorare il nostro io, il nostro essere. Mettendo nero su bianco i nostri pensieri attraverso un flusso di coscienza libero e leggero possiamo infatti scoprire moltissimo su di noi, sulla nostra creatività, sulle nostre debolezze, convinzioni e forze. E spesso è fonte di aiuto, poiché ci aiuta ad auto-spingerci verso una versione migliore di noi stesse.

Candele

Le candele fanno atmosfera, profumano, e sappiano che hanno un significato molto profondo per le scuole Waldorf, che prevedono sempre dei laboratori per crearle (sono uno dei laboratori manuali più amati dai bambini). E poi diventano perfette per creare il giusto mood prima della meditazione, durante il bagno rilassante o per la serata tranquilla in famiglia!

Una giornata in montagna insieme

L’ambiente esterno è per Rudolf Steiner, come per Maria Montessori, fondamentale per la crescita. Le scuole Waldorf prevedono il più spesso possibile le uscite nella natura, e siamo noi le prime a spingere sempre i nostri bambini ad esplorare il mondo esterno. Ma siamo sicure di predicare bene e di razzolare coerentemente? A volte dimentichiamo che anche a noi adulti il verde e l’aria aperta fanno benissimo. Regaliamo e regaliamoci quindi una passeggiata in montagna, in collina, sul fiume o in spiaggia per riagganciare i rapporti e per assaporare ogni respiro di aria fresca.

Un corso di meditazione

La meditazione, molto spesso, è qualcosa di molto sentito dalle mamme Waldorf. Se già non lo fanno da sé, regalare un corso significa dare la possibilità di scoprire le potenzialità della meditazione, della mindfullness e della respirazione consapevole. Oppure, al posto di un corso, basta l’abbonamento ad una App (come ad esempio Calm, di cui vi avevamo parlato qui).

Un buon libro

Regalare un libro è sempre una buona idea. Le mamme Waldorf lo apprezzeranno moltissimo, sia esso un romanzo per immergersi in una storia favolosa (è bellissimo pensare a quale libro regalare sulla base dei gusti degli amici, no?) o un saggio per approfondire i precetti steineriani (come questo).

Gioielli “inspiration”

l’”inspiration jewelery” è ormai un must nei paesi anglosassoni. Si tratta di bellissimi gioielli fatti a mano da artigiani giovani e super cool che realizzano collane, anelli o braccialetti che racchiudono all’interno, su ciondoli o incise frasi d’ispirazione per tutti i giorni. Ad esempio? Noi amiamo questo braccialetto, questa collanina o questi anelli.

regaliwaldorf.jpg

Un corso di disegno


Sappiamo quanto l’arte e la creatività siano centrali nella didattica Waldorf. Per i bambini è qualcosa di fondamentale per la crescita, ma anche per noi adulti il gesto del dipingere ha benefici incredibili. Un corso di disegno (o di scultura, o di acquerello… Un corso d’arte, insomma) farà felicissima una mamma Waldorf, che ne coglierà tutte le potenzialità e godrà ogni minuto in classe!

 

Se vi interessa l'educazione steineriana, qui trovare tutti i nostri articoli dedicati.

Forse lo saprete già: è qualche anno (dal 2011) che gli studi cinematografici di Cinecittà a Roma hanno aperto le loro porte anche al pubblico appassionato di cinema. Il progetto si chiama “Cinecittà Si Mostra” ed è a nostro parere una bellissima iniziativa che diventa in un attimo un’occasione per passare una giornata diversa in famiglia.

All’interno di Cinecittà (in via Tuscolana 1055 a Roma) è stata dunque allestita questa esposizione che mostra agli spettatori i grandi set all’aperto dei cinema più iconici, le scenografie, i costumi, i cimeli e tutti i retroscena di questo mondo affascinante e curioso.

Ma non è finita qui: da ottobre a giugno, infatti, Cinecittà Si Mostra offre la possibilità di passare una giornata in famiglia davvero speciale, con il CineBimbiCittà!

Cinebimbicittà, le domeniche sul set per i bimbi amanti del cinema: i weekend in famiglia a Cinecittà nello spazio laboratorio dedicato ai bambini

CineBimbiCittà si trova proprio all’interno degli Studios di Roma, e già questa sua posizione lo rende super affascinante tanto per i grandi quanto per i bambini. Non solo per gli appassionati di cinema: Cinecittà si sta aprendo infatti a tutti, anche solo ai curiosi!

All’interno degli studi di Cinecittà a Roma, dunque, tutte le domeniche da ottobre a giugno ecco il momento dedicato ai più piccoli, il laboratorio CineBimbiCittà, con proposte diverse ogni settimana per scoprire in maniera divertente ed esperienziale il mondo dei cinema, con i suoi linguaggi, i mestieri coinvolti, la sua storia e i suoi protagonisti.

Tra laboratori, eventi e visite guidate, ma anche letture e visite animate, i bambini possono così sperimentare la propria creatività lavorando sulle scenografie, sui costumi, sui film e sul cinema in generale, scoprendo tutti i segreti che stanno dietro a quest’arte misteriosa e davvero curiosa.

A febbraio 2018, ad esempio, sono previsti i laboratori “I mestieri del cinema” (domenica 18 febbraio, per scoprire come avviene l’invenzione di una storia, la creazione di un personaggio e la scelta dei costumi) e “Vero come la finzione” (domenica 25 febbraio, attività legata alle scenografie e alle decorazioni cinematografiche e teatrali). Domenica 4 marzo, invece, sarà dedicata alla scoperta di Federico Fellini!

Insomma, ogni weekend c’è un nuovo tema, e vi invitiamo quindi a esplorare la pagina dedicata sul sito di Cinecittà Si Mostra, per trovare le date e i laboratori perfetti per voi.

Il CineBimbiCittà, che è aperto ogni domenica dalle 10 alle 18 con laboratori a ciclo continuo (come accennato da ottobre a giugno), è un servizio offerto nel biglietto d’ingresso al museo “Cinecittà si mostra” (gratuito per i bimbi fino ai 5 anni, 5 euro per i bambini fino ai 12 anni e 15 euro per gli adulti - con una visita guidata compresa nel prezzo) e possono usufruirne tutte le famiglie, che in questo modo possono visitare l’esposizione con la sicurezza che i bimbi non solo si stanno divertendo nelle mani di educatori capaci e coinvolgenti, ma stanno anche imparando qualcosa di prezioso in maniera ludica e appassionante.

Giulia Mandrino

Come ogni mese tornano le Domeniche in Famiglia al Centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia, per passare una giornata con i bambini immergendosi nella fantastica atmosfera della didattica del Reggio Approach, tra divertimento ed educazione.

Se non sapete ancora cosa sia il Reggio Approach vi invitiamo a dare un’occhiata alla sezione del nostro sito dedicata alle Scuole di Reggio. Dopodiché tornate qua: vi spieghiamo in dettaglio come si svolgerà la prossima, fantastica Domenica al Centro!

Domenica al Centro, una giornata in famiglia all’insegna del Reggio Approach: domenica 25 febbraio 2018 tornano i laboratori per famiglie e bambini ospitati dal Centro Internazionale Loris Malaguzzi

Le proposte per i bambini e le famiglie che domenica 25 febbraio 2018 vorranno passare un weekend diverso all’insegna di divertimento, creatività ed educazione sono davvero moltissime. Basta scegliere quella più adatta ad ogni bambino o famiglia! E ricordatevi di lasciarvi coinvolgere, genitori: il vostro ruolo è fondamentale per le Scuole di Reggio!

Il costo dei laboratori per bambini e famiglie è di 8 euro per gli adulti e 5 per i bambini. Tutte le attività si svolgono presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi in Viale Ramazzini 72/A a Reggio Emilia.

Partiamo con l’Atelier Raggio di Luce: si svolgerà in due turni, alle 16 e alle 17.15. Al suo interno gli educatori (gli atelieristi del Centro - http://www.mammapretaporter.it/educazione/scuola-di-reggio/gli-atelier-di-reggio-children) guideranno i bambini alla scoperta della Luce, un elemento fondamentale nella didattica del Reggio Approach (http://www.mammapretaporter.it/educazione/scuola-di-reggio/il-light-panel-lo-strumento-perfetto-per-imparare), attraverso la creatività e la meraviglia. È un laboratorio adatto ai bambini dagli 0 ai 4 anni, insieme ai loro genitori.

Alle 15.30 e alle 17 (di nuovo in due turni) si svolgerà l’Atelier Paesaggi Digitali, per scoprire, esplorare e creare nuovi paesaggi partendo da strumenti analogici e digitali. Sono invitati a partecipare i genitori e i bambini dai 5 ai 14 anni.

Agli stessi orari ecco Punti di Vista, interessantissimo laboratorio fondato sulle animazioni visive: i bambini dai 5 ai 14 anni sperimenteranno gli scatti fotografici, lo stop motion, i cambi di prospettiva e quelli di direzione, le trasformazioni animate…

Bulb è invece un laboratorio nel quale i ragazzi (sempre dai 5 ai 14 anni) impareranno a disegnare e creare con la luce, scoprendo i risvolti dell’apparizione e della scomparsa. I turni qui si dividono anche per età: alle 16 saranno coinvolti i ragazzi dai 5 ai 14 anni mentre alle 17 e alle 17.45 è il turno dei bimbi dai 2 ai 5 anni.

Alle 15.30 sarà per i ragazzi dai 5 ai 14 anni mentre alle 17 sarà dedicato ai più piccoli, dagli 0 ai 4 anni: parliamo dell’atelier “I tanti colori dei Bianchi e dei Neri, variazioni grafiche”, per scoprire le potenzialità di questi due colori poco conosciuti attraverso differenti strumenti grafici che lasciano segni diversi, su supporti di carta variegati.

Alle 17 ecco l’ultimo laboratorio, Stoffe Aromatiche, in un unico turno (per bimbi dai 3 ai 14 anni), a cura dei cuochi di Pause-Atelier dei Sapori e degli atelieristi del Centro, in collaborazione con ReMida e Cooperativa Pasta Rei. Un laboratorio bizzarro e curioso che mette in relazione i tessili con il cibo, in chiave sostenibile, con esposizioni di stoffe, ortaggi e frutta per scoprirli attraverso i sensi.

Non mancheranno gli appuntamenti per gli insegnanti, gli educatori e gli studenti (visite dialogate alle mostre e agli atelier, esperienze interattive nell’Atelier Raggio di Luce…) e gli appuntamenti Off, ad ingresso libero (che potete trovare sulla pagina dedicata alla Domenica al Centro, insieme alle modalità di iscrizione a tutti i corsi).

Tutte le informazioni possono essere recuperate anche allo 0522 513752 (da lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 17.00) - mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Giulia Mandrino

Vi avevamo già parlato del metodo analogico di Camillo Bortolato, uno strumento prezioso per gli insegnanti e per i genitori che svela come tornando alla logica infantile non compromessa dalla didattica tradizionale si possa trovare un metodo logico e matematico (ma applicabile anche ad altre materie) per scoprire la matematica in un’altra maniera, più semplice e definitiva.

Un modo nuovo di insegnare e imparare, dunque, che è spiegato benissimo in un libro che consigliamo a tutti, “La via del metodo analogico” di Camillo Bortolato.

“La via del metodo analogico”, il libro di Camillo Bortolato: il volume di Erickson per capire a fondo e in maniera semplice il metodo analogico per l’apprendimento della matematica

La via del metodo analogico” è un libro scritto da Camillo Bortolato ed edito dalla casa editrice Erickson. L’autore insegna da più di quarant’anni nella scuola primaria e il suo metodo si basa dunque non solo su concetti, ma sulla concretezza.

“Teoria dell’apprendimento intuitivo della matematica”: così si legge nel sottotitolo, e basta questo per capire a grandi linee di cosa tratti il libro. Gli insegnanti e i genitori che vogliono saperne qualcosa di più possono quindi affidarsi a questa lettura per capire come slegandosi per un attimo dai granitici insegnamenti della matematica tradizionali si possa sperimentare un metodo semplice, intuitivo e davvero efficace per introdurre i ragazzi allo studio di questa materia.

Ciò che colpisce è che in realtà questo metodo non utilizza nulla di nuovo, ma semplicemente rispolvera qualcosa che già avevamo dentro, che già utilizzavamo, e che avevamo semplicemente spostato di lato per far posto ai concetti imparati durante la scuola. Per riscoprire questo metodo che tutti abbiamo innato dentro l’autore utilizza una metafora molto comprensibile, quella della montagna in salita, che è diversa per un insegnante e per un bambino ma che è la strada che dovremmo percorrere.

Questa montagna è fatta di tre livelli: il mondo delle cose, alla base; il mondo delle parole, al centro; e il mondo dei simboli, su in cima. Nel metodo analogico i simboli si mettono per un attimo da parte, perché per Bortolato l’apprendimento e il calcolo mentale si svolgono essenzialmente ai primi due livelli, nel mondo delle cose e in quello delle parole, che possono essere anche intesi come mondo delle immagini e mondo dei nomi.

Le immagini saranno quindi “palline”, palline che i bambini visualizzano per capire le quantità, e le parole saranno i termini associati alle quantità, e cioè i numeri. E perché si chiama “Analogico”, questo metodo? Perché si fonda proprio sulle palline, che sono l’unica cosa che non è linguaggio. Che è, insomma, qualcosa di concreto.

Da qui prende avvio tutto il metodo, che inquadra l’importanza del posizionamento di queste palline (perché non sono le palline in sé ad essere importanti ma il loro posto!), del posto, dell’ordine e dello spazio. Si utilizzano quindi immagini e analogie per spiegare il metodo, come il contenitore delle uova con i suoi spazi o la linea dei numeri di Bortolato, uno strumento utilissimo. Il tutto poi si estende alle mani e ai regoli. Perché le mani? Perché c’è chi dice che contare con le dita sia uno strumento utile, e chi invece le condanna. Ma Bortolato spiega benissimo il ruolo delle dita nel suo metodo, e vediamo come effettivamente le mani siano uno strumento davvero prezioso per approcciarci alla matematica.

Nel metodo esistono quindi varie vie, che possono essere utilizzate con ogni bambino. La via della semiretta numerica, quella dei numeri come spazio, le dita intese come confine dei numeri… Tutto per arrivare al “tempio” in cima alla montagna, la scrittura dei numeri e il calcolo mentale.

Alla fine del libro ci accorgiamo sostanzialmente di una cosa: che questo metodo è così valido proprio perché parte dal basso, dalla base della montagna, per arrivare in cima senza perdere nessun passaggio o mescolare concetti, in modo che i bambini possano rafforzare la loro logica istintiva per arrivare a padroneggiare fino in fondo la matematica.

Un argomento delicato, quello dell’alcool associato all’infanzia. Ma riteniamo sia giusto affrontarlo perché sono molti i genitori che si chiedono quanto male faccia quel goccio di champagne offerto al bambino durante la sua festicciola di compleanno, o quanto sia pericoloso cucinare con l’alcool (e in questo caso vi invitiamo a leggere anche questo articolo dedicato all’argomento).

Un fatto è certo: la frase “Ma sì, ma è solo per scherzo, lascia che lo assaggi!” è molto pericolosa. E l’invito è quello a non offrire mai, mai alcool ai bambini.

Un goccio di vino: quanto fa male ai bambini assaggiare l’alcool?

Innanzitutto, partiamo da un concetto ovvio ma che ci teniamo a sottolineare: l’esempio dei genitori è sempre al primo posto nella classifica dei metodi educativi più efficaci. I bambini ci osservano e fanno loro ciò che facciamo noi, quindi è logico che anche nel campo del consumo di alcool questa regola è da seguire.

Come ci relazioniamo noi con l’alcool? Abbiamo un rapporto sano, ne beviamo con moderazione e sappiamo dire no? Oppure ne abusiamo troppo spesso, lo teniamo sempre in tavola e mostriamo come l’assenza di alcool ci faccia innervosire? Tutto questo avrà conseguenze sui bambini, che delineeranno il loro rapporto con l’alcool anche basandosi su ciò che hanno vissuto indirettamente durante l’infanzia.

In questo senso, soprattutto negli Stati Uniti e in UK, c’è una tendenza molto interessante: quella a dare in maniera continuativa e regolare un goccio di vino a tavola, diluito con molta acqua, ai bambini. Si ritiene infatti che questo accorgimento possa spingere i bambini a vedere il vino e l’alcool con responsabilità. Tuttavia non è così.

“I genitori non dovrebbero dare ai bambini piccole quantità di alcool per far sì che diventino bevitori responsabili”, si legge sul Telegraph. “Alcune ricerche mostrano come i bambini che sono stati introdotti all’alcool da molto piccoli rischiano maggiormente di diventare adolescenti bevitori e di sviluppare problemi legati all’alcool in età adulta”. I genitori, in questo caso, hanno una convinzione: quella di dare i giusti strumenti per capire l’importanza di non abusare di questa sostanza. Un po’ un controsenso, no?

Fortunatamente da noi questi casi sono pochi. Quando si parla di “goccio di vino al bambino” si intende quello dato sporadicamente in un’occasione particolare, solitamente durante i compleanni. Ma anche qui c’è da sottolineare un concetto: l’alcool fa sempre male ai bambini. E anche se noi riteniamo che una lacrima non faccia male, dobbiamo sempre tenere in considerazione il corpo dei bambini, molto più piccolo del nostro (e quindi basta anche una gradazione molto bassa a causare danni), e soprattutto in crescita. L’alcool si deposita infatti nei tessuti più ricchi di lipidi e anche in piccolissime quantità può causare ebbrezza nei bambini (e no, non c’è da ridere, dato che i danni sono a carico del loro sistema nervoso in via di sviluppo):

Da uno studio condotto dalla Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) in collaborazione con l’Osservatorio Permanente Giovani e Alcol, pubblicato sul Corriere, esce un quadro preciso: i genitori offrono spesso un goccio di alcool ai bambini, soprattutto durante i compleanni o i matrimoni, sin dai primi anni di vita. Sono infatti circa il 30% del campione preso in considerazione i giovani che dichiarano di avere bevuto per la prima volta un poggio di vino tra i 6 e i 10 anni. L’8% dei giovani dichiara inoltre di averlo provato prima dei 6 anni.

Un fatto è di certo chiaro: l’alcool è deleterio per i bambini. Il National Capital Poison Center degli Stati Uniti lo dichiara addirittura un veleno. Questo perché l’alcool compromette il sistema nervoso centrale (uccidendo le cellule neurali, che nei bambini si stanno ancora sviluppando) e causa ipoglicemia. L’ipoglicemia può essere poi causa di crisi e coma, e dunque di morte. Le conseguenze poi si estendono al fegato: l’alcool nei bambini compromette infatti le funzioni epatiche, dal momento che il loro fegato non è ancora del tutto formato.

 Giulia Mandrino

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

I lapbook, strumento interattivo per imparare

Mercoledì, 14 Febbraio 2018 09:52

Cos’è un lapbook? Si tratta, semplificando le parole, di un materiale tridimensionale concettuale, un volume creato con le proprie mani per raccogliere le informazioni che stiamo imparando riguardo ad un determinato argomento che si trasforma in un libro pop-up e interattivo che percorre una sorta di mappa concettuale che tocca svariati argomenti.

In altre parole, se vogliamo, è un metodo concreto per imparare, poiché i bambini, creando con le proprie mani e con i propri ragionamenti il proprio lapbook su un determinato argomento, imparano sin dai primi momenti dell’approccio alla materia. Come? Raccogliendo le informazioni, sistemandole, decidendo come mostrarle, come renderle divertenti e componendo materialmente il lapbook. Molto meglio rispetto al semplice studio sui libri, no?

I lapbook, strumento interattivo per imparare: cosa sono i lapbook, le mappe concettuali in forma di libro che i bambini creano dall’inizio alla fine

Possiamo in qualche modo dire che i lapbook ricalcano le ricerche “alla vecchia”, quelle che noi mamme e papà svolgevamo quando ancora non c’erano i computer, andando in biblioteca a cercare informazioni e stendendo tesine complete e interessanti, con disegni, mappe e schede disegnate da noi.

Ciò che cambia rispetto a queste tesine sono la forma e la composizione, che sono parte integrante del processo di apprendimento, che si pone così su un piano più concreto rispetto all’astrazione del semplice studio attraverso la lettura.

Il lapbook va bene per qualsiasi classe o scuola, per qualsiasi materia e per ogni bambino, poiché è una mappa concettuale che si può adattare per argomento, per forma e per composizione in base a ciò che è richiesto al momento. Salendo di classe, quindi, i lapbook diventeranno sempre più complessi, in base al livello degli studenti.

“Lapbook” significa letteralmente “Libro delle pieghe”. Significa quindi che prevede varie stratificazioni, finestrelle, layout curiosi e piegature per formare un libro popup e interattivo divertente da realizzare e bellissimo da studiare. Anzi, più che di “libro” possiamo parlare di cartelletta, perché alla fine il lapbook non avrà la forma del classico libro (anche se non è escluso), ma quella di un cartellone ripiegato che aprendosi svela pagine e finestre.

Si parte dalla scelta dell’argomento, che può essere inerente a qualsiasi materia (lingua, scienze, storia, arte, musica…). Da questo argomento si comincia una ricerca più ampia, per abbracciare sottoargomenti e concetti che stanno a lato di questo dato argomento, per avere alla fine uno studio più ampio e interessante.

Ad esempio? Se il bimbo sta studiando, per arte, Matisse, può decidere di includere nella ricerca anche “I Fauves”, gli artisti a lui contemporanei e la scena storica nella quale si inserisce. Oppure, per geografia, studiando i “Fiumi d’Italia” possiamo allargarci ai laghi in cui si immettono e alle differenti forme delle foci e degli estuari.

Da qui si farà una scaletta per avere un percorso concettuale definito. E si partirà con il vero e proprio lapbook, scegliendo prima di tutto il formato (A4, A3, cartellone, fogli uniti in varie forme…).

Qui, ad esempio, hanno usato delle cartellette per archiviazione, aprendole completamente e sfruttandone la forma.

lapbook1.jpg

(Layers of learning)

Qui, sempre con le cartellette, i bambini hanno ricreato la forma dello scheletro.

lapbook2.jpg

(Schooled in love)

Si possono anche ritagliare i fogli per creare forme divertenti, come questa del terreno che si ripiega poi una volta chiuso il lapbook.

lapbook3.jpg

(Pinterest)

Dopo aver scelto il formato del “contenitore” (grande, piccolo, formato ebook, formato “menù del ristorante”, formato quadernone…), quindi, cerchiamo gli strumenti: schede, disegni, testi, mappe… E decidiamo come sistemarti nel lapbook. Al suo interno potranno esserci varie finestrelle, tasche contenenti schede e curiosità, cassetti, minilibri

lapbook4.jpg

Tagliando, colorando, leggendo, sistemando, ricercando e incollando i bambini realizzeranno così un progetto personale e personalizzato, concreto e vissuto sulla propria pelle. In questo modo l’apprendimento sarà più efficace e sicuro, più definitivo, poiché il processo di apprendimento passa proprio dalla realizzazione. Un processo non statico, ma molto dinamico, non solo per la modalità di creazione ma anche per il fatto di essere una mappa concettuale che abbraccia più argomenti, un metodo molto utile che si rivela uno strumento sfruttabile tutta la vita, scolasticamente e lavorativamente.

lapbook5.jpg

(Love those kinders)

E alla fine ciò che resterà sarà un lapbook da poter utilizzare quando vogliono, da sfogliare, da presentare, da mostrare e da leggere in ogni momento.

lapbook6.JPG

(Spark and all)

In Italia abbiamo certamente uno strumento utilissimo quando parliamo di lapbook. La casa editrice Erickson ha infatti pubblicato vari volumi dedicati ai lapbook, utilissimi a genitori e insegnanti perché raccolgono oltre ad una serie di informazioni utili per capire come realizzarli, vari materiali, esempi, istruzioni e schemi di template da riprodurre. “Il mio primo Lapbook” è un libro davvero ben realizzato, perfetto per chi si approccia per la prima volta a questo strumento educativo interattivo.

Troviamo però anche libri specifici, divisi per materia e per classe. Due esempi su tutti: “Imparo con i Laptop - matematica e scienze” per la quarta elementare, oppure “Imparo con i laptop - Italiano, storia e geografia” per la terza.

Giulia Mandrino

Bastano un frullatore e un essicatore. E poi degli ingredienti bio gustosi e saporiti! Parliamo delle raw cake, ovvero le torte crudiste che non prevedono cottura ma solo l'assemblaggio di ingredienti frullati (fino a diventare deliziose creme!) o essiccati.

Queste sono a base di frutta secca e rapa rossa (che dona il bellissimo colore) con qualche mirtillo e qualche fragola per completare l'opera.

Tortine raw (senza cottura) vegan e buonissime: la ricetta delle raw cake crudiste a strati, belle da vedere e buone da mangiare

 

Sfumiamo con del vino bianco o rosso”: una frase che leggiamo spesso scritta nelle ricette, soprattutto in quelle tradizionali o con cottura lunga (ma non solo). E le mamme e i papà, soprattutto alle prime armi, si chiedono se questo possa fare male ai bambini.

È una domanda lecita, perché è giusto preoccuparsi della quantità di alcool che involontariamente diamo ai nostri figli. Ma non preoccupatevi: basta qualche accorgimento per ridurre quasi del tutto la concentrazione alcolica.

Cucinare con l’alcool, come comportarsi con i bambini: quali sono le cotture più indicate e quali i consigli per diminuire l’alcool nelle ricette quando a tavola ci sono bimbi piccoli

Il vino bianco e il vino rosso si utilizzano in molte ricette, per sfumare i soffritti o per insaporire. Ma anche per marinare (e qui si aggiunge la birra, qualche volta). Ma la domanda, quando a tavola ci sono bambini, continua a frullarci in testa: ma l’alcool contenuto in queste bevande evaporerà proprio del tutto?

In aiuto ci vengono uno studio pubblicato molti anni fa sul Journal of the American Dietetic Association e un articolo di Dario Bressanini pubblicato sul suo blog ospitato su L’Espresso.

Il primo studio, condotto da ricercatori americani nel 1992, mostra come sei diverse cotture con alcool si comportino nei confronti di quest’ultimo, ovvero quanto alcool rimanga a fine cottura dopo aver usato bevande alcoliche con diversi tipi di cottura.

Si parla, qui, di cotture che chiaramente non ci interessano, perché prevedono non la cottura lunga, ma l’aggiunta di alcol verso la fine oppure la tecnica del flambé (come la Torta Alexander, le ostriche impanate o le ciliegie jubilee). In questi casi l’alcool rimane, e anche in gradazione alta: di parla di 40-85% di gradazione. Ed è abbastanza scontato (sono ricette che solitamente si evitano con i bambini piccoli).

Tuttavia il brasato, che prevede l’utilizzo di alcool a inizio cottura e che ha bisogno di tempo per cuocere bene, alla fine risulta alcolico per il 4-6%. Una buona notizia, perché il brasato è da prendere proprio come esempio dell’utilizzo dell’alcool nei nostri piatti che prevedono lo sfumare il soffritto e la cottura lunga (ad esempio i risotti, che proponiamo spesso ai bimbi).

La cottura molto lunga a fuoco basso (e quindi a temperatura costante) risulta quindi la più efficace per rendere più innocuo l’alcool. Ma vediamo più in dettaglio, come spiega Bressanini.

“L’alcol etilico puro bolle a 78 °C”, spiega sul blog, “una temperatura notevolmente inferiore a quella dell’acqua. A molti viene quindi spontaneo pensare che cuocendo a temperature superiori alla fine l’alcol se ne sia andato completamente. Preparando un cibo che contenga una miscela di acqua e alcol etilico i vapori che si sviluppano saranno più ricchi di alcol, rispetto al liquido di partenza, perché più volatile dell’acqua. La produzione di distillati si basa proprio su questo principio. E poiché l’alcol evapora più velocemente, la sua concentrazione nel liquido diminuisce. Tuttavia anche se all’assaggio l’alcol sembra scomparso in realtà potrebbe essere ancora presente”.

Ciò significa che in effetti l’alcool non scompare del tutto. Tuttavia possiamo stabilire che aggiungere l’alcool all’inizio e non alla fine e utilizzare una cottura lunga può essere la soluzione migliore. Anche se naturalmente dobbiamo prendere altri accorgimenti.

Bressanini spiega infatti come altri fattori (la dimensione della padella, la presenza di ingredienti come il pane che assorbono gli altri elementi, la temperatura…) influiscano sulla quantità di alcool che rimarrà nel piatto. Ha quindi portato un altro esempio di ricerca, stavolta danese, che mostra come si comportino alcune cotture con la birra rispetto all’alcool. Ciò che hanno scoperto gli studiosi danesi è che utilizzando un coperchio rimarrà nel piatto meno alcool.

Per riassumere: prediligiamo le cotture lente e uniformi (quindi con pentole basse e larghe, piuttosto che alte e strette), sfruttiamo il coperchio e utilizziamo il vino o la birra subito, a inizio cottura, per lasciare più tempo all’alcool di evaporare il più possibile (cercando di non aggiungere subito altri liquidi, ma attendendo che il vino sia effettivamente evaporato).

Giulia Mandrino

Sara

sara.png

Cecilia

Untitled_design-3.jpg