L’aborto spontaneo, perché se ne parla ancora troppo poco

Sembra qualcosa che tocca poche donne, poche famiglie. Qualcosa che si vive nel proprio profondo e basta, quasi come se parlarne sia irrispettoso, inelegante o da evitare. Ma l’aborto spontaneo colpisce una gravidanza su quattro e spesso il silenzio è davvero deleterio.

Quando una gravidanza si interrompe spontaneamente le sensazioni che si provano sono moltissime. Ma sembra quasi che dobbiamo viverle nel nostro privato e nel nostro cuore, senza esternarle, facendo finta di nulla, perché, beh, “capita”. Sì, è vero, capita. Ma ciò non significa che non possiamo soffrire, superare, restare sempre ancorate ad una brutta esperienza o cercare di sentirci finalmente comprese. È ora di dare voce a tutte le donne che si sono sentite dire “Non c’è battito, mi dispiace” e che attorno a loro hanno trovato ancora troppa poca voglia di ascoltare.

L’aborto spontaneo, perché se ne parla ancora troppo poco: una gravidanza su quattro si interrompe spontaneamente, ma dire “capita” non è la soluzione per affrontarla al meglio

Come ogni situazione della vita, una donna vive un aborto spontaneo come si sente. C’è chi non accetta la cosa, chi piange, chi si dispera, chi per mesi (o anni) si porta dentro una sensazione di vuoto (nonostante altre gravidanze, magari), chi non ne parla, chi lo dice senza problemi. C’è chi non supera questa emozione orrenda e chi invece riesce a staccarsene, a viverla tranquillamente come qualcosa di naturale. Perché sì, è qualcosa di naturale, ma è anche qualcosa che ci fa dire “Dio, Natura, siete proprio terribili”.

Il problema non è come una donna vive l’aborto spontaneo, ma come lo affronta il mondo. Perché la società, soprattutto la nostra occidentale, tende a minimizzare la cosa, a trattarla come qualcosa di superficiale, o, al contrario, da ignorare. Perché è qualcosa “da vivere solo nel privato”, quando in realtà parlarne farebbe benissimo a moltissime donne.

Chi ha sofferto di un aborto spontaneo (e sono in molte: i numeri parlano chiaro, quasi il 25% delle gravidanze si interrompe spontaneamente nel primo trimestre) sa di cosa parliamo. Parliamo delle frasi di circostanza. Su tutte il “capita”, seguito da “Ma sì, ci saranno altre occasioni”, “Hai già dei bambini, stai tranquilla”, “Eh, anche mia cugina” e da mille altre parole che, ok, sono dette con l’intenzione più nobile (quella di consolare), ma che nascondono non solo la pietà ma soprattutto la banalizzazione della situazione. No, non è che non si soffra perché “di bambini ne ho già altri” o perché “sono rimasta incinta comunque dopo poco tempo”. Si soffre e basta, e non ci sono rimedi o ripieghi.

È vero che il “capita” a volte fa bene, in base alla donna che se lo sente dire. Perché significa che “succede”, che non siamo da sole, che (purtroppo) è normale. Ma non è mai bello ascoltare quel “capita”. Perché irrazionalmente certe donne continuano a sentire il peso della responsabilità, non capendo che non è colpa loro, o del loro corpo. E altre volte ancora senza avendone coscienza la mamma non vuole superare la cosa, temendo di dimenticarsi di questo bambino perduto. Quando è impossibile, o quasi, dimenticare.

Il problema è che non ci sarebbe bisogno di tutte le frasi di cui parlavamo, ma di pura e semplice empatia. Mostrare di sapere che la donna che ci sta di fronte sta soffrendo (o, anche se l’ha superata, ha sofferto in passato) è il minimo che possiamo fare. Soprattutto, c’è bisogno di ascolto.

C’è bisogno di fare sapere che ci siamo per ascoltare, per parlarne, per esternare, per confrontarci. Per non nascondere le emozioni. Perché il dialogo fa sempre benissimo. Parlare di ciò che ci fa soffrire fa molto, molto bene. E una donna che non ha sentito il battito del proprio bambino nell’ecografo ne ha bisogno più di tutti, perché è ancora un argomento di cui non si parla, che si nasconde, che si bisbiglia.

Smettiamo di bisbigliare, urliamo. Lasciamo che il nostro corpo soffra, che la nostra mente viva il lutto e il dolore. Lasciamo che se ne parli, senza nasconderci dietro all’”è stato solo un intoppo, vedrai che passerà”. Perché magari non passerà, ma non importa. L’importante, come in ogni lutto, è viverlo, e non appiattire le nostre emozioni.

Giulia Mandrino

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Cecilia

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