Sì, è vero, il titolo ricorda “Fate la nanna” di Eduard Estivill Sancho e Sylvia de Béjar. Ma non ha niente a che vedere con questo libro, che come abbiamo più volte spiegato propone un metodo educativo deleterio e sbagliato. E lo si vede già dal verbo: dal "fate" imperativo passiamo al "facciamo", che include il concetto di condivisione e di "insieme".

No, Grazia Honegger Fresco non propone metodi brutali, ma varie soluzioni dolci e rispettose per rendere il sonno del bambino, soprattutto quando inquieto, più tranquillo. Insomma, l’autrice ci guida alla scoperta dei cicli di sonno dei bambini, per comprenderli meglio e sapere trattare la situazione con delicatezza e senza ricorrere a metodi drastici e rigidi che possono avere conseguenze molto negative sui nostri figli.

“Facciamo la nanna”, il libro giusto sul sonno dei bambini: Grazia Honegger Fresco ci spiega come conoscere la nanna dei bambini e come fare per renderla il più serena possibile

Premessa: l’autrice è un’allieva di Maria Montessori, e questo fatto si respira benissimo nel suo libro dedicato alla nanna dei bambini, "Facciamo la nanna". Perché è una lettura che parla del sonno dei bambini e dei metodi che possiamo utilizzare per renderlo più sereno in maniera dolce, rispettando i loro ritmi, e il rispetto del bambino è proprio ciò che caratterizza sempre la didattica di Maria Montessori (qui potete trovare tutti i nostri articoli a lei dedicati).

I bambini fanno fatica a dormire, capita. Hanno un ritmo sonno veglia differente dal nostro. Ma questo non significa che dobbiamo abituarli sin da subito alle nostre nottate lunghe, e soprattutto non significa che dobbiamo negargli un bisogno naturale che hanno, che è quello di essere consolati e coccolati. Non è un vizio, non è un capriccio, nella maniera più assoluta: è un bisogno umano primario, e la violenza dei metodi che consigliano di imporre l’autonomia anche quando il bambino palesemente ne soffre sono davvero tristi e dannosi.

Ciò da cui dobbiamo partire è un concetto semplice: il sonno sta alla base delle ore di veglia. O meglio: un buon sonno ha effetto positivo sulla giornata, e una giornata serena è diretta conseguenza di una buona nottata.

Per questo motivo i genitori dovrebbero iniziare a guardare al sonno dei loro figli da una nuova prospettiva, che non è quella dell’indipendenza a tutti e costi, e subito, ma quella del benessere psicofisico che deriva dal sonno di qualità. Non serve (anzi, è proprio sconsigliato) ricorrere ai metodi veloci, immediati e autoritari che cercano di imporre un determinato al sonno al bambino, spesso con conseguenze negative e comunque con pochi risultati. Serve invece trovare approcci rispettosi e amorevoli, che rispettino l’individualità e le tendenze del bambino, che è diverso da tutti gli altri.

Come una mamma sa riconoscere il linguaggio del suo neonato quando ha fame, ha sonno, è inquieto o sta male, così saprà riconoscere, attraverso un po’ d’attenzione, qual è il sonno migliore per il suo bimbo, cercando di donargli di volta in volta e con dolcezza la calma. Sarà questa calma la chiave delle notti serene.

Tra i consigli che si trovano nel libro ce ne sono alcuni davvero preziosi.

Innanzitutto, cerchiamo di abituare i bambini al ritmo sonno veglia in maniera graduale, sin dai primi giorni, che sono quelli fondamentali poiché questo ritmo è dettato dall’ora del giorno o della notte in cui il bambino nasce. Cerchiamo quindi di arrivare al ritmo sonno-veglia biologico (quello che segue il giorno e la notte) gradualmente, senza forzare ma sfasando piano piano le dormite.

Anche i rituali della nanna sono importanti, e più sono abituali meglio è. Una ninna nanna costante, una lettura ogni sera, una particolare coccola: scegliete qualcosa di piacevole e ripetetelo ogni sera.

Cercate anche di non iperstimolare i bambini durante il giorno. Non vale infatti la regola “se si stanca poi avrà sonno”, perché l’eccessiva stimolazione stressa il bambino.

Il co-sleeping, almeno fino all’anno di età, è altamente raccomandato. Nel lettone o comunque nella stessa stanza, il bambino acquisirà benefici poiché il suo ritmo si sincronizzerà con quello di mamma e papà.

E, soprattutto, non ignorate il vostro bambino. Anche quando dormirà da solo, se avrà bisogno di voi andate da lui. Vicino. Non lasciatelo a piangere come qualcuno suggerisce. I bambini sono cuccioli di esseri umani e il loro istinto li porta a voler stare vicino alla mamma. Non è vizio e non è capriccio, è natura, e il senso di sicurezza che si instaura durante questi momenti è di vitale importanza per lo sviluppo e la crescita.

Anche perché, siamo seri: prima o poi i bambini imparano a dormire da soli, a non venire nel lettone, a non spaventarsi e a dormire sonni tranquilli. Ognuno con i suoi tempi, senza affrettare nulla!

 Giulia Mandrino 

Variare la dieta è una delle regole benefiche per far sì che il nostro organismo stia sempre al meglio. Anche la colazione rientra in questa filosofia: mantenere le stesse abitudini è confortevole, certo, ma ogni tanto cambiare il menù mattutino può essere un’occasione per sperimentare nuovi sapori e, soprattutto, ottenere diversi nutrienti.

Da qualche tempo abbiamo scoperto una marmellata tutta nuova, che marmellata in realtà non è, dal momento che è una gelatina a base di frutta e infuso di foglie di olivo. Sì, esatto, foglie di olivo, un ingrediente particolare dalle molteplici proprietà benefiche.

Una nuova colazione a base di infuso di foglie di olivo: con OJELLY e OLIVUM® il benessere passa dalla frutta e dagli alberi

Spalmata sul pane integrale tostato, sulle fette biscottate, oppure a piccole cucchiaiate in accompagnamento ai nostri biscotti fatti in casa… L’abbiamo provata con tutto, di vari gusti, ed è davvero, davvero buona! Parliamo di Ojelly, la gelatina a base di frutta e OLIVUM® di Evergreen Life Products, un’innovativa confettura diversa da tutte le altre. Non tanto nel sapore, buono tanto quanto (se non di più!) le marmellate di frutta, quanto nella composizione, ricca e benefica.

Ojelly, infatti, contiene il 60% di OLIVUM®, un infuso di foglie di olivo innovativo, al cui interno troviamo oleuropeina, acido elenolico, rutina, tirosolo e idrossitiroloso, oltre che antiossidanti importantissimi per la salute di tutta la famiglia.

Questo infuso di foglie di olivo, Olivum®, è innovativo e unico ed è grazie al fondatore di Evergreen Life, Livio Pesle, se ora ne possiamo beneficiare: anni fa, infatti, conobbe a Cipro un medico che gli spiegò come il nonno curasse moltissima gente attraverso infusi di foglie di olivo (una pratica diffusa in tutte le culture del Mediterraneo Orientale), e dopo un’attenta ricerca su questo alimento decise di renderlo disponibile al maggior numero di persone, dedicandosi alla produzione alimentare presso la sua azienda agricola sulle colline vicine all’Abbazia di Rosazzo, in Friuli.

Dalla produzione sono nati così i primi esperimenti per ottenere degli infusi piacevoli, inalterati al palato e nei principi attivi e soprattutto sani, ed è così che è nata la ricetta di Olivum®, testato anche attraverso analisi fisiche e chimiche da esperti presso l’Università degli studi di Trieste.

Dai decotti e dagli infusi si è passati così ai prodotti più elaborati, come queste gelatine di frutta che, oltre al prezioso Olivum®, contengono 400 mg di pectina di mele, la fibra preziosa per l’organismo che associata alle proprietà dell’ulivo si trasforma in un perfetto concentrato di benessere per la famiglia.

Buona, ma soprattutto energica e povera in grassi: è questo che rende Ojelly una colazione deliziosa e perfetta, per noi ma soprattutto per i nostri bambini che ameranno il sapore di lampone, arancio e mela verde (i gusti che possiamo ora trovare online sul sito dell’azienda).

Naturalmente, non serve dirlo, questa confettura gelatinosa è completamente priva di conservanti e coloranti!

Giulia Mandrino  

Lo diciamo spesso: prendersi del tempo per sé è fondamentale. E sappiate che non è solo benefico per noi stessi, ma lo è anche e soprattutto per il benessere della nostra famiglia e dei nostri figli, perché le due cose sono strettamente correlate.

Prendersi cura di sé fa bene anche alla genitorialità: perché a volte è bene mettere al primo posto se stessi al posto dei figli, per assicurargli benessere e felicità

Pensiamo solo ad una situazione immaginaria (ma molto reale): quando scegliamo una baby sitter per i nostri bambini, siamo più propensi ad affidarli ad una persona che pare stanca e stressata o a qualcuno di rilassato e sereno? E non evitiamo anche di mandarli dai nonni quando nonna sembra esausta o affaticata, o semplicemente particolarmente giù di morale?

In cuor nostro sappiamo che i bambini crescono meglio in un ambiente sereno, e questo ambiente sereno si costruisce semplicemente attraverso le persone serene che ci vivono dentro. Ma come possiamo essere sereni se non ci prendiamo più cura di noi stessi?

Spesso quando si ha un figlio si lascia da parte tutto ciò che prima ci faceva stare bene. E stiamo parlando soprattutto delle piccole cose, degli strappi alle regole, dei minimi gesti di benessere che ci concedevamo, come una giornata di shopping, un lungo bagno e una maschera facciale, una passeggiata in solitaria, la colazione con gli amici al bar, la piega dal parrucchiere… Tutti momenti all’apparenza banali e futili che in realtà sono fondamentali per la nostra felicità personale.

Il problema è che spesso non relazioniamo questa nostra felicità personale con la felicità familiare: in realtà sono strettamente collegate e rinunciare all’una significa purtroppo rischiare seriamente di rinunciare all’altra. Pensiamoci: quando siamo stanche, che voglia abbiamo di cucinare e di giocare con i bambini? Mentre quando siamo rilassate è tutta un’altra vita: ci divertiamo noi e si divertono loro.

A dirlo è anche Aimee Danielson, direttore del Women’s Mental Health Program del MedStar Georgetown University Hospital, che in un’intervista al Washington Post ha rivelato che è assolutamente giusto che i genitori si prendano spesso dei giorni liberi, dei veri giorni liberi, per staccare, da soli o in coppia.

Questo è valido per la vita di tutti i giorni, naturalmente, perché questi momenti in cui si stacca la spina fanno benissimo alla vita familiare. Ma, soprattutto, sono fondamentali quando allo stress quotidiano si aggiungono problemi e pensieri più importanti, come un lutto, la perdita di un lavoro o una separazione (ma non solo). In questo caso, l’energia si abbassa ancora di più, la depressione è dietro l’angolo, e spesso focalizzandosi solo sulla famiglia i genitori non pensano alla situazione da risolvere o da affrontare, o, al contrario, non riescono ad esserci mai con la testa in casa.

In questi delicati casi dobbiamo farci ancora più forza e imporci di trovare tempo per noi stessi, come dice la dottoressa Danielson, poiché le donne (ma anche gli uomini), si ritrovano a rischio di sviluppare malattie mentali (leggere o importanti, ma comunque debilitanti: depressione, ansia, insonnia…) che avranno un impatto sulla famiglia. “Focalizziamoci sul mangiare bene, sul dormire serenamente e sul fare esercizio. Siamo noi il collante della famiglia”, suggerisce quindi.

No, non dobbiamo quindi farci prendere dai sensi di colpa se decidiamo di staccare dalla famiglia per un’ora alla settimana, per un giorno al mese o per il tempo che sentiamo necessario. Pensiamo a questi momenti come periodi di ricarica, per tornare ad avere l’energia fisica e mentale necessaria per essere buoni genitori, e i nostri figli lo sentiranno subito, il cambiamento in positivo.

In sostanza: prendersi cura di sé non è da egoisti. È giusto ed è anche un gesto altruista. E se ancora facciamo fatica a deciderci e a capire che fare quella cosa che ci fa stare bene, da soli, non è importante, non facciamolo tanto per noi, quanto per i nostri figli. Che si accorgono sempre quando mamma e papà sono sereni e quando c’è qualcosa che non va.

 Giulia Mandrino 

Qui trovate un nostro articolo dedicato a 10 modi per prendersi del tempo per sé in dieci minuti: a volte basta davvero poco!

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

 

Il titolo sembra dire qualcosa di scontato che in realtà scontato non lo è. Perché? Perché spesso ciò che diamo per scontato rischia di non essere insegnato, quando ce ne sarebbe un gran bisogno. Non solo da parte dei genitori, ma anche da parte delle scuole e degli insegnanti, che hanno un ruolo fondamentale per la crescita dei nostri bambini.

Uno studio recentemente pubblicato ha mostrato infatti come insegnare l’autocontrollo e altre abilità sociali basilari sin da piccoli possa in effetti prevenire comportamenti aggressivi e criminali negli adulti, soprattutto nei bambini che sin dai primi anni mostrano segni di aggressività.

Ma vediamo in dettaglio perché e capiamo perché le scuole dovrebbero fare tesoro di questa ricerca americana.

Insegnare autocontrollo e abilità sociali fin da piccoli riduce il rischio di aggressività: uno studio rivela come l’insegnamento di certe abilità sociali dovrebbe essere essere praticato sin dai primi anni di vita

Lo studio in questione è stato pubblicato sull’American Journal of Psychiatry ed è stato condotto dal 1990 fino ad oggi dal team capitanato dal dottor Kenneth A. Dodge. Questa ricerca è durata quasi 25 anni (la conclusione è del 2013) e ha messo in luce come l’insegnamento di certi comportamenti sin dai primi anni di scuola abbia “salvato” molti bambini da un futuro aggressivo e criminale.

Il dottor Dodge e i suoi ricercatori hanno infatti selezionato un gruppo di bambini considerati a rischio e li ha divisi in due gruppi. Al primo gruppo sono state impartiti fin da subito gli insegnamenti sulle abilità sociali e sull’autocontrollo (attraverso delle lezioni con insegnanti, gruppi d’ascolto per genitori, tutor scolastici e lezioni specifiche su queste skill), mentre il secondo segmento di bambini non ha ricevuto questo tipo di intervento, lasciando stare le cose come erano.

Il programma è partito dalla prima elementare ed è durato circa dieci anni e alla fine dello studio ha mostrato come questo tipo di intervento ha potuto ridurre la delinquenza e gli arresti dei bambini selezionati, così come la necessità di supporto psicologico o mentale durante l’adolescenza e la giovinezza.

Nello studio erano coinvolti circa 900 ragazzi e i ricercatori hanno rivelato che la diminuzione di problemi di aggressività in età adulta è correlata proprio con gli insegnamenti ricevuti (dal momento che le percentuali hanno mostrato che nel gruppo assistito i comportamenti sociali criminali sono decisamente calati). Questi insegnamenti andavano dal fare capire le conseguenze delle azioni in maniera concreta durante le lezioni, ad esempio, di educazione fisica fino ai gruppi di lavoro tra studenti - che aumentano le skill comunicative, il problem solving e la cooperazione.

Le conseguenze positive sono state l’aumento dell’autocontrollo dei ragazzi e lo sviluppo di un’intelligenza emotiva, così come un sentimento empatico utilissimo per la vita. Imparare l’autocontrollo, così come le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni, è dunque essenziale per la vita futura.

La conclusione del dottor Dodge è semplice: lo studio non è semplicemente teorico, ma dovrebbe diventare un campanello d’allarme per fare capire alle scuole che i programmi non sono completi se non comprendono questo tipo di insegnamenti. Solo in questo modo si potrà ridurre l’aggressività e la delinquenza giovanile, così come solo così si potranno garantire ai bambini una crescita sana e completa e una vita serena.

“Early intervention”, lo chiama. “Intervento precoce”. Ed è proprio questa precocità che a volte manca, perché la nostra cultura e i nostri sistemi scolastici tendono sempre a mettere pezze sui problemi quando nascono, e non a prevenire.

 Giulia Mandrino 

 

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

 

 

La zia Ignazia lo dice sempre: “Guarda che se continui a coccolarlo così lo vizi”. “Se lo abbracci così spesso poi non si staccherà più”. “Tenerlo in braccio è deleterio”. “Fatti gli affari tuoi”, tu pensi. E hai ragione. Perché tenere in braccio il tuo bambino è una tua scelta. Ma sappi che addirittura questa scelta è la migliore che tu possa fare, affettivamente e scientificamente parlando.

Abbracci e tieni in braccio il tuo bambino? Niente di più benefico: gli studi che confermano che il contatto prolungato con i bambini fa benissimo, anche per l’intelligenza e la crescita

No, non è un vizio. No, non fa male. No, non lo porterà a non essere indipendente e ad essere “mammone”. Tenere in braccio i propri figli è benefico, punto e basta. E non è un vizio, è un bisogno primario che i bambini sentono, e che, esattamente come la fame e la sete, andrebbe bene soddisfare.

Il contatto (soprattutto quello pelle a pelle) è quanto di più benefico possiamo offrire ai nostri figli, e non solo a breve termine, ma anche a lungo termine, poiché questo gesto apparentemente semplice (e per alcuni, ahinoi, negativo) avrà impatti sulla loro salute e sul loro sviluppo cognitivo.

Uno studio uscito qualche tempo fa sulla rivista scientifica online Pediatrics dimostra infatti come il contatto pelle a pelle con i bambini (il contatto “canguro”) ha un impatto diretto sul loro sviluppo neurologico: aumenterebbe infatti il quoziente intellettivo e abbasserebbe la tendenza a comportamenti aggressivi in età più adulta.

Anche la dottoressa Natalie Maitre del Nationwide Children’s Hospital di Columbus, in Ohio, in un’intervista su Reuters ha confermato questo studio, portandone uno riportato sulla rivista Current Biology: più i bambini vengono esposti a questo tipo di tocco (quello amorevole, delle coccole, e non solo quello del “cambio pannolino”), più il loro cervello ne beneficia, poiché il tatto è uno dei primi sensi ad essere coinvolti nella comunicazione tra adulto e bambino e il bambino in questo modo impara prima le connessioni sociali ed emotive.

Altra conferma arriva dalla stessa dottoressa Maitre in un’altra intervista con la rivista Babble: secondo il medico il contatto intenzionale e amorevole con i bambini è essenziale per il loro sviluppo cognitivo poiché è la prima forma di comunicazione che imparano. Uno studio da lei condotto si concentrava su questo contatto tra genitori e bambini nati prematuri, ma è stato poi esteso a tutti i neonati e in effetti i benefici erano per tutti.

Ogni tocco, per lei, è importante, quindi non preoccupiamoci né del troppo tempo che i nostri bimbi passano in braccio né del fatto che non abbiamo tempo di farlo: prendiamo ogni occasione buona, anche solo cinque minuti al giorno, ma facciamolo. E consideriamo positivi tutti quegli strumenti, come il baby wearing, che ci permettono di stringere e sentire il nostro bambino, allo stesso modo in cui permettono a lui di sentire noi. Mamma e papà, nonni, tutti.

E non ascoltiamo quindi chi ci dice “Lo vizi”. No, non lo stiamo viziando. Lo stiamo crescendo bene, intelligente, empatico e comunicativo.

Giulia Mandrino  

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

 

L’action panting fu una tecnica inventata dagli espressionisti americani che prevedeva il dipingere in movimento. Per capire meglio, basta pensare ai quadri di Jackson Pollock, realizzati dall’artista in piedi sulla tela attraverso lo sgocciolamento dei pennelli, di qua e di là.

Ai bambini affascina moltissimo questo concetto. Abbiamo quindi pensato di proporvi 6 attività artistiche “action”, ovvero delle tecniche creative in movimento, strane, pazze, bizzarre, che prevedono l’utilizzo di strumenti cinetici oppure del proprio corpo.

Unica nota: se non volete sporcare tutto, utilizzare un bel tavolone adibito ai progetti artistici, oppure uscite in giardino!

L’action art per bambini, ovvero Jackson Pollock completamente rivisitato: 6 attività artistiche movimentate, divertenti e davvero creative

- Partiamo da un’action painting come si deve, fatta esattamente con il proprio corpo. Prendiamo dei fogli giganti e appiccichiamoli al muro con dello scotch, quindi infiliamo tra le dita dei piedi delle matite colorate o dei pennarelli. I bambini semplicemente dovranno cercare di dipingere con i propri piedi, prima cose astratte e poi (se vogliono) soggetti precisi, provando una sensazione nuova e una prospettiva completamente ribaltata!

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(Art Bar Blog)

- Super carina è la pittura con il trapano. No, non è pericoloso, poiché al posto delle punte ci saranno dei pennelli. Basta infilarli nel foro adibito e stringere bene, poi intingerli nelle tempere o negli acquerelli e azionarli!

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(Artful Parent)

- Con uno di quei taglieri girevoli che teniamo in tavola durante la cena per fare roteare le vivande possiamo creare dei disegni astratti bellissimi. Basta appoggiare il foglio al centro (fissandolo con del nastro adesivo di carta), rovesciare le tempere e colorare facendo girare forte il tagliere. Possiamo usare diversi mezzi: i pennelli, i cotton fioc, gli stuzzicadenti…

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(Hello Wonderful)

- Le vecchie macchinine tornano utili! Non preoccupatevi, poi si lavano con acqua tranquillamente. Immergiamo le ruote nella tempera e lasciamo che i bambini disegno guidandole sul foglio.

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(Artful parent)

- Dischetti di cotone e martello: questi gli strumenti per un’action art divertente e incredibile. Utilizziamo uno di quei martelli in gomma meno pericolosi di quelli pesantissimi in metallo (insegnando prima di tutto a maneggiarlo e a sentire il pericolo, come facciamo con le forbici). Dopodiché sistemiamo un foglio su un piano di lavoro, riempiamo il centro di un dischetto di cotone con del colore (le tempere vanno benissimo) e capovolgiamolo sul foglio. I bimbi dovranno spiaccicare i dischetti con il martello, facendo così esplodere le macchie di colore.

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(Crafty Morning)

- Infine, l’arte con la scopa! Perché quando si tratta di creatività tutto può diventare uno strumento di lavoro, anche una vecchia scopa. La utilizzeremo proprio come fosse un mega pennellone, mescolando i colori in maniera astratta.

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(Kids Steam Lab)

 Giulia Mandrino 

60 attività Montessori per il mio bebè

Lunedì, 06 Novembre 2017 10:33

Se state pensando di affidarvi alla didattica montessoriana per crescere il vostro bambino, saprete che gli strumenti sono davvero moltissimi, e questo non può che fare piacere. Non serve infatti preparare grandi cose o utilizzare una filosofia astrusa, poiché il metodo pedagogico ideato nel secolo scorso da Maria Montessori ha pochi ma validissimi principi, e basta seguirli per rendere l’educazione del nostro bambino montessoriana.

Più questo metodo educativo (prima un po’ bistrattato, come altre teorie didattiche italiane che dovrebbero essere più presenti nelle scuole) si afferma, più troviamo materiali didattici, libri e spiegazioni accessibili nella nostra lingua. Una bella notizia!

Tra i libri disponibili uno che certamente vi consigliamo è “60 attività Montessori per il mio bebè”, scritto da Marie-Hélène Place, che dagli anni Novanta si occupa di filosofia montessoriana con libri tradotti in tutto il mondo.

60 attività Montessori per il mio bebè: un libro utile per sfruttare in ogni momento la didattica di Maria Montessori in casa

Il metodo Montessori non è semplicemente una teoria didattica utilizzata nelle scuole: possiamo rendere montessoriano ogni giorno, portando la pedagogia di Maria Montessori a casa, per sfruttare al meglio tutti i principi che porteranno il nostro bambino alla famosa indipendenza che era l’obiettivo primario della pedagogista italiana.

Per farlo, questo libro uscito lo scorso anno per edizioni L’Ippocampo è davvero prezioso, e sarà utile a tutte le mamme e a tutti i papà, non solo a chi il metodo montessoriano già lo conosce, ma anche a chi è sconosciuto e vorrebbe iniziare a capirlo o semplicemente a trovare attività stimolanti per i propri bambini.

Attraverso varie attività, il libro spiega in dettaglio come rendere la casa il più montessoriana possibile, allestendo i materiali sensoriali adatti alle tappe della crescita dei bambini, allo stimolo della sua indipendenza e rendendo il tutto sereno e piacevole, stimolante e positivo.

Questo volume, in particolare, è dedicato al periodo che va dalla nascita ai 15 mesi, un lasso di tempo importantissimo per la formazione del bambino, che va stimolato moltissimo per aiutarlo a scoprire se stesso e il mondo. Marie-Hélène Place propone così 5 macrosezioni per iniziare con le nostre attività montessoriane:

Preparare l’universo del neonato
Creare e allestire il materiale sensoriale adatto ad ogni tappa della sua crescita
Accompagnarlo nello sviluppo delle sue competenze
Incoraggiare la sua autonomia e aiutarlo a fare da solo
Favorire a casa un’atmosfera serena e positiva

Per ogni sezione ecco quindi le attività spiegate in dettaglio, dall’allestimento della cameretta allo spazio per mangiare, dagli specchi (importantissimi) ai mobiles (le giostrine sospese), dal vestirsi da soli fin da subito ai giochi con le mani, dalla musica alle attività di classificazione, dalle faccende quotidiane da fare insieme fino ai giochi sensoriali in giardino.

Ma non è solo questo libro ad essere fantastico: Ippocampo ha infatti pensato di pubblicare un’intera collana dedicata esattamente al principio montessori, con libri pensati per i genitori genitori e cofanetti di attività per i bambini. Date un’occhiata!

Per questo dopo il primo libro potremo passare a quello dedicato alle 100 attività Montessori a partire dai 18 mesi, a quello per scoprire il mondo dai tre anni e a quello per prepararsi ad imparare a leggere e scrivere.

Se vi interessa il metodo Montessori e volete approfondirlo, qui trovate la nostra sezione dedicata, con articoli e attività per tutti!

 Giulia Mandrino 

Conoscete lo zentangle? È conosciuto anche come doodling, o “arte dello scarabocchiare” o “arte dei ghirigori”, e da qualche tempo va molto di moda, perché in effetti è davvero bello e rilassante. Scarabocchiando (ci sono libri per trovare l’ispirazione oppure libri che spiegano in dettaglio come questa tecnica sia davvero benefica per la mente) si stacca la spina e si lasciano vagare i pensieri e le mani, creando anche magnifici disegni astratti.

Insomma, è il solito, buon vecchio scarabocchio sul post it fatto quando siamo distratti portato ad un livello successivo e reso terapeutico e bellissimo.

Perché non provarlo con i bambini coniugando anche il rilassamento che porta l’osservazione della natura?

Lo zentangle sulle foglie, per creare, rilassarsi e ammirare la bellezza della natura: l’arte dello scarabocchio coniugata con la bellezza della natura per sprigionare rilassamento e creatività

Il periodo perfetto per sperimentare lo zentangle sulle foglie è proprio questo, l’autunno, perché diventa anche l’occasione giusta per uscire a fare una passeggiata nel bosco (o nel parco) per raccogliere le foglie secche di mille colori che troviamo per terra.

Scegliamone di grandi, di piccole, di marroni, di rosse, di gialle, di robuste o di fragili: non c’è una regola e, anzi, più variegate saranno e più speciale diventerà l’attività, che ci permetterà così di creare altri oggetti a partire dalle foglie (ma ci arriviamo un attimo più avanti).

Torniamo quindi a casa con le nostre foglie e scaldiamoci con una tisana. Mettiamoci comodi sul tavolo in salotto e iniziamo a fare vagare la nostro creatività, preparando sul tavolo (coperto da una tovaglia per proteggerlo!) semplicemente le foglie e dei pennarelli a punta fine, di colore bianco o argentato (o comunque un colore che spicchi chiaramente rispetto al colore delle foglie; sul giallo, ad esempio, andrà benissimo il nero).

Il procedimento è quanto di più semplice possa esistere, perché l’unica regola è: scarabocchiare!

Cerchi, linee, triangoli, curve, puntini, pallini, greche, spirali… Tutto è concesso, nello spirito dello zentangle. Guardate qualche esempio di zentangle su carta:

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Replichiamo quindi sulle nostre foglie questi pattern, senza regole, semplicemente lasciando correre la nostra mano.

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(Artful Parent)

Diverse saranno le foglie e i colori e diversi saranno i risultati, così come la difficoltà manuale, dato che i bambini dovranno disegnare anche su foglie fragili o molto sottili, come ad esempio in questo caso:

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(Banar Design)

 

Anche lasciandole attaccate ai loro rametti (se le troviamo già così in terra! Evitiamo sempre di deturpare la natura solo per la nostra creatività!) diventano bellissime.

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(Banar Design)

Con queste foglie potremo poi creare bellissimi oggetti e regali per la casa. Ad esempio? Dei segnalibri, semplicemente regalandole così come sono; dei quadri, incollandole tutte insieme su cartoncini pesanti; delle ghirlande, attaccandole ad un filo; degli scacciapensieri (sempre su un filo, ma in verticale)… Insomma, anche qui possiamo sbizzarrirci, utilizzandole come base perfetta da cui scatenare la creatività manuale.

Giulia Mandrino  

Un libro che all’apparenza può sembrare semplice, innocuo, banale o inutile. Ma che nella sua semplicità racchiude davvero un mondo. Di cosa stiamo parlando? Di “Dimmi da dove nasce”, il libro di Françoise de Guibert e Clémence Pollet per i bambini d’oggi, che, volenti o nolenti, passano molto meno tempo nella natura di quanto dovrebbero.

“Dimmi da dove nasce”, il libro perfetto per i bambini d’oggi: il libro di La Margherita per parlare di natura, frutta e verdura in maniera semplice ma educativa

Fun fact: moltissimi bambini non sanno da dove nascono frutta e verdura. O meglio: pensano che nasca sui banchi del supermercato. Perché? Perché noi genitori diamo per scontate molte cose, tra cui il ciclo della vita naturale. Ed ecco perché fino ai 4 o 5 anni (se non addirittura più in là!) i bambini pensano che le mele, le pere e i cavoli nascano direttamente nel supermercato, dove poi noi li prendiamo. Fa ridere, ma è così, e se ci riflettiamo non è poi così divertente.

Questo libro per bambini de La Margherita edizioni, scritto e illustrato da Françoise de Guibert e Clémence Pollet, è quindi geniale, ed è perfetto per iniziare a parlare ai bambini della frutta, della verdura e della natura, sin da piccolissimi, per affezionarli alla bellezza del mondo naturale. In maniera molto semplice: spiegando come si presentano e da dove nascono tutti gli alimenti vegetali. Sugli alberi, in terra, in guscio, su piante alte, su piante basse…

I frutti e le verdure presenti nel libro sono moltissimi: dalla mela alla ciliegia, dalle prugne alle arachidi, dalle castagne al fico, dalle castagne all’alchechengio peruviano. E poi, per quanto riguarda le verdure, le melanzane, i piselli, la rapa, la patata, le verdure esotiche come la manioca o il gombo (e in questo caso il libro torna utile anche a noi, no?).

Ogni pagina è doppia, e presenta su una facciata la descrizione dell’alimento vegetale, e sull’altra la spiegazione della pianta e dell’habitat in cui nasce.

Prendiamo i cavoli:

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In maniera semplice e coinvolgente, che cattura subito l’interesse dei bambini, i due autori riescono così a entusiasmare i bambini riguardo alla bellezza della natura e soprattutto li rendono consapevoli del prezioso legame tra gli alimenti e la terra, del miracolo della nascita e della crescita.

Questo libro illustrato per bambini può essere quindi un primo passo verso il coinvolgimento dei bambini nella vita naturale, o un’attività che integra e completa quelle all’aperto, ancora più importanti perché coinvolgono in toto la sensorialità e soprattutto perché impegnano i bambini in un’educazione diretta e concreta, dell’”imparare facendo”: dopo aver letto il libro una visita ad un’azienda agricola o ad un orto può diventare immediatamente più interessante, divertente e sentita, e i bambini applicheranno concretamente, toccando con mano, ciò che abbiamo letto insieme!

Una lettura che noi consigliamo già dai tre anni, leggendola insieme, perché non è mai troppo presto per appassionare i bambini alla vita all’aria aperta!

 

La truffa delle scuole di yoga

Venerdì, 03 Novembre 2017 10:19

Come sempre quando si parla di discipline olistiche, purtroppo l’Italia in fatto di regolamentazione non è molto sul pezzo. Tardano sempre ad arrivare leggi che regolino il settore, e a pagarne le conseguenze è anche lo yoga. Perché lo yoga? Perché c’è un vuoto legislativo davvero importante, che, come sempre quando ci si trova in una situazione del genere, crea parecchi disagi, perché (lo sappiamo, è un paradosso) chiunque, allo stato attuale, può decidere di praticare e insegnare lo yoga, diventando in 3 giorni maestro.

Ne abbiamo quindi parlato con Clemi Tedeschi, formatrice e insegnante di yoga.

La truffa delle scuole di yoga: perché dovremmo fare più attenzione quando ci affidiamo ai professionisti del settore yoga e olistico

Gli ultimi anni hanno visto un diffondersi sempre più importante delle scuole di yoga. Le principali associazioni si sono naturalmente impegnate per ottenere un riconoscimento, un riconoscimento che però in Italia tarda ad arrivare, come per tutte le discipline olistiche. Il clima che si è perciò creato si inserisce in un’incertezza giuridica e in una mancanza di controllo che purtroppo non può che destare preoccupazioni.

Recentemente (per fortuna) le principali associazioni italiane di yoga hanno quindi deciso di concordare una sorta di protocollo nel quale vengono definiti alcuni standard professionali a cui gli insegnanti di yoga dovrebbero attenersi in termini di conoscenze specifiche e competenze pedagogiche. “Grazie a questo protocollo”, ci ha raccontato Clemi, “chi fosse in possesso di un corso di studi di 700 ore e volesse sottoporsi ad una certificazione presso un ente supervisore (l’UNI) potrebbe farne richiesta. L’unica difficoltà è che per farlo bisogna necessariamente essere in possesso di partita IVA, e anche in questo senso, quindi, sembra che più che alla certificazione della competenza si punti ancora solo all’inquadramento fisico degli insegnanti”.

Detto questo, esistono molti corsi di formazione professionale dedicati allo yoga. Ma anche qui dovremmo accettarci che questi siano seri, e non organizzati alla bell’e meglio per ottenere certificazioni che oggettivamente, poi, non valgono nulla. Per essere certi che siano seri, quindi, dovremmo prendere in considerazione alcune caratteristiche: che abbiano un programma articolato e coerente; che ci sia una buona alternanza di teoria e pratica (poiché l’una non vive senza l’altra, e viceversa); che gli insegnanti abbiano un punto di vista equanime, e non “confessionale”, come specifica Clemi Tedeschi, dal momento che ci sono varie scuole di pensiero; che preveda esercitazioni frequenti per verificare in itinere l’apprendimento degli allievi; e infine che sostenga la promozione di un clima di rispetto e di cooperazione tra docenti e allievi, poiché troppo spesso “ho riscontrato un clima di sudditanza alimentato da alcuni docenti che ritengo poco rispettoso e poco produttivo, in quanto inibisce i rapporti tra allievi e una proficua circolazione di conoscenze”.

“In altre parole nella quasi totalità delle scuole di formazione mancano la competenza pedagogica e didattica. Fatto ancor più grave se si considera che lo Yoga è prassi, è esperienza e l’approccio intellettuale è bandito dalla trasmissione”: Clemi è perentoria, e le sue parole derivano direttamente dalla sua esperienza. “Insisto su quest’ultimo punto perché credo fermamente che in occidente anche in ambito yoga si debba mettere al centro del processo di trasmissione l’allievo e non i contenuti come avviene nelle classi indiane”

Ma allora quali sono le conseguenze per chi si affida a insegnanti non competenti (non sapendo, naturalmente, quali siano le loro competenze)? Premesso che è sempre meglio “fare qualcosa” che “non far niente sul divano” (in altre parole: meglio frequentare una classe qualsiasi di yoga che non farlo del tutto), “quando lo yoga proposto è una ripetizione di sequenze di asana esperite in modo fisico e superficiale tanto varrebbe andare ad un corso di buona ginnastica”. Ciò significa che esistono scuole che, erroneamente, puntano quasi esclusivamente sulla perfezione tecnica delle asana, quando in realtà la pratica dello yoga ha anche un’anima.

Non solo: “l’allievo andrebbe affiancato nella pratica, nella respirazione e nell’auto osservazione con gradualità, nel rispetto dei propri ritmi. Il rispetto di questi ritmi respiratori produce calma e chiarezza mentale, è uno dei principali obiettivi della pratica, e senza questa componente si rischia di alimentare solo frustrazione e competitività. Trovo le classi in cui tutti respirano insieme allo stesso ritmo molto belle da fotografare, ma piuttosto ansiogene da frequentare”.

E non sono solo le classi per adulti ad essere a rischio incompetenza. Anche quando scegliamo di fare praticare lo yoga ai nostri bambini dovremmo assicurarci che i corsi siano qualitativamente e professionalmente alti. Le regole da seguire per capire se un corso di formazione per insegnanti di yoga che vogliano concentrare il loro lavoro sui bambini sono le stesse di cui sopra, a cui dobbiamo aggiungerne certamente di altre pensate proprio nello specifico per la pedagogia dei più giovani.

Meglio quindi evitare le proposte di corsi di formazione concentrati in una sola settimana: “per acquisire e digerire le competenze essenziali servono alcuni requisiti iniziali e tempi di assorbimento, sperimentazione e verifica”. Quando si tratta di bambini e ragazzi, infatti, non si sta insegnando solo uno sport, ma si sta contribuendo alla loro crescita. Ecco perché l’insegnante dovrebbe essere in grado di conoscere a fondo le caratteristiche dell’allievo, del contesto educativo e di quello socio culturale in cui vive.

Allo stesso modo sarebbero da evitare i corsi di formazione gestiti solo da un paio di persone: “Un programma efficace richiede la cooperazione di un team di docenti, non di pochi prescelti”.

In questo senso Clemi suggerisce quindi il corso “Yoga per Crescere”, “di cui andiamo molto fieri: si sviluppa in otto incontri e vanta la presenza di un folto gruppo di insegnanti di altissimo profilo. La teoria si alterna alla pratica e le competenze vengono verificate con un questionario intermedio e una tesi di gruppo finale. Dall’anno prossimo saremo presenti anche in Toscana e in Veneto con una formula più concentrata (8 giorni + 2 week end), mantenendo le caratteristiche di serietà e ricchezza di offerta che ci contraddistinguono”.

 Giulia Mandrino 

Sara

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Cecilia

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