Come ogni mese tornano le Domeniche in Famiglia al Centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia, per passare una giornata con i bambini immergendosi nella fantastica atmosfera della didattica del Reggio Approach, tra divertimento ed educazione.

Se non sapete ancora cosa sia il Reggio Approach vi invitiamo a dare un’occhiata alla sezione del nostro sito dedicata alle Scuole di Reggio. Dopodiché tornate qua: vi spieghiamo in dettaglio come si svolgerà la prossima, fantastica Domenica al Centro!

Domenica al Centro, una giornata in famiglia all’insegna del Reggio Approach: domenica 25 febbraio 2018 tornano i laboratori per famiglie e bambini ospitati dal Centro Internazionale Loris Malaguzzi

Le proposte per i bambini e le famiglie che domenica 25 febbraio 2018 vorranno passare un weekend diverso all’insegna di divertimento, creatività ed educazione sono davvero moltissime. Basta scegliere quella più adatta ad ogni bambino o famiglia! E ricordatevi di lasciarvi coinvolgere, genitori: il vostro ruolo è fondamentale per le Scuole di Reggio!

Il costo dei laboratori per bambini e famiglie è di 8 euro per gli adulti e 5 per i bambini. Tutte le attività si svolgono presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi in Viale Ramazzini 72/A a Reggio Emilia.

Partiamo con l’Atelier Raggio di Luce: si svolgerà in due turni, alle 16 e alle 17.15. Al suo interno gli educatori (gli atelieristi del Centro - http://www.mammapretaporter.it/educazione/scuola-di-reggio/gli-atelier-di-reggio-children) guideranno i bambini alla scoperta della Luce, un elemento fondamentale nella didattica del Reggio Approach (http://www.mammapretaporter.it/educazione/scuola-di-reggio/il-light-panel-lo-strumento-perfetto-per-imparare), attraverso la creatività e la meraviglia. È un laboratorio adatto ai bambini dagli 0 ai 4 anni, insieme ai loro genitori.

Alle 15.30 e alle 17 (di nuovo in due turni) si svolgerà l’Atelier Paesaggi Digitali, per scoprire, esplorare e creare nuovi paesaggi partendo da strumenti analogici e digitali. Sono invitati a partecipare i genitori e i bambini dai 5 ai 14 anni.

Agli stessi orari ecco Punti di Vista, interessantissimo laboratorio fondato sulle animazioni visive: i bambini dai 5 ai 14 anni sperimenteranno gli scatti fotografici, lo stop motion, i cambi di prospettiva e quelli di direzione, le trasformazioni animate…

Bulb è invece un laboratorio nel quale i ragazzi (sempre dai 5 ai 14 anni) impareranno a disegnare e creare con la luce, scoprendo i risvolti dell’apparizione e della scomparsa. I turni qui si dividono anche per età: alle 16 saranno coinvolti i ragazzi dai 5 ai 14 anni mentre alle 17 e alle 17.45 è il turno dei bimbi dai 2 ai 5 anni.

Alle 15.30 sarà per i ragazzi dai 5 ai 14 anni mentre alle 17 sarà dedicato ai più piccoli, dagli 0 ai 4 anni: parliamo dell’atelier “I tanti colori dei Bianchi e dei Neri, variazioni grafiche”, per scoprire le potenzialità di questi due colori poco conosciuti attraverso differenti strumenti grafici che lasciano segni diversi, su supporti di carta variegati.

Alle 17 ecco l’ultimo laboratorio, Stoffe Aromatiche, in un unico turno (per bimbi dai 3 ai 14 anni), a cura dei cuochi di Pause-Atelier dei Sapori e degli atelieristi del Centro, in collaborazione con ReMida e Cooperativa Pasta Rei. Un laboratorio bizzarro e curioso che mette in relazione i tessili con il cibo, in chiave sostenibile, con esposizioni di stoffe, ortaggi e frutta per scoprirli attraverso i sensi.

Non mancheranno gli appuntamenti per gli insegnanti, gli educatori e gli studenti (visite dialogate alle mostre e agli atelier, esperienze interattive nell’Atelier Raggio di Luce…) e gli appuntamenti Off, ad ingresso libero (che potete trovare sulla pagina dedicata alla Domenica al Centro, insieme alle modalità di iscrizione a tutti i corsi).

Tutte le informazioni possono essere recuperate anche allo 0522 513752 (da lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 17.00) - mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Giulia Mandrino

Vi avevamo già parlato del metodo analogico di Camillo Bortolato, uno strumento prezioso per gli insegnanti e per i genitori che svela come tornando alla logica infantile non compromessa dalla didattica tradizionale si possa trovare un metodo logico e matematico (ma applicabile anche ad altre materie) per scoprire la matematica in un’altra maniera, più semplice e definitiva.

Un modo nuovo di insegnare e imparare, dunque, che è spiegato benissimo in un libro che consigliamo a tutti, “La via del metodo analogico” di Camillo Bortolato.

“La via del metodo analogico”, il libro di Camillo Bortolato: il volume di Erickson per capire a fondo e in maniera semplice il metodo analogico per l’apprendimento della matematica

La via del metodo analogico” è un libro scritto da Camillo Bortolato ed edito dalla casa editrice Erickson. L’autore insegna da più di quarant’anni nella scuola primaria e il suo metodo si basa dunque non solo su concetti, ma sulla concretezza.

“Teoria dell’apprendimento intuitivo della matematica”: così si legge nel sottotitolo, e basta questo per capire a grandi linee di cosa tratti il libro. Gli insegnanti e i genitori che vogliono saperne qualcosa di più possono quindi affidarsi a questa lettura per capire come slegandosi per un attimo dai granitici insegnamenti della matematica tradizionali si possa sperimentare un metodo semplice, intuitivo e davvero efficace per introdurre i ragazzi allo studio di questa materia.

Ciò che colpisce è che in realtà questo metodo non utilizza nulla di nuovo, ma semplicemente rispolvera qualcosa che già avevamo dentro, che già utilizzavamo, e che avevamo semplicemente spostato di lato per far posto ai concetti imparati durante la scuola. Per riscoprire questo metodo che tutti abbiamo innato dentro l’autore utilizza una metafora molto comprensibile, quella della montagna in salita, che è diversa per un insegnante e per un bambino ma che è la strada che dovremmo percorrere.

Questa montagna è fatta di tre livelli: il mondo delle cose, alla base; il mondo delle parole, al centro; e il mondo dei simboli, su in cima. Nel metodo analogico i simboli si mettono per un attimo da parte, perché per Bortolato l’apprendimento e il calcolo mentale si svolgono essenzialmente ai primi due livelli, nel mondo delle cose e in quello delle parole, che possono essere anche intesi come mondo delle immagini e mondo dei nomi.

Le immagini saranno quindi “palline”, palline che i bambini visualizzano per capire le quantità, e le parole saranno i termini associati alle quantità, e cioè i numeri. E perché si chiama “Analogico”, questo metodo? Perché si fonda proprio sulle palline, che sono l’unica cosa che non è linguaggio. Che è, insomma, qualcosa di concreto.

Da qui prende avvio tutto il metodo, che inquadra l’importanza del posizionamento di queste palline (perché non sono le palline in sé ad essere importanti ma il loro posto!), del posto, dell’ordine e dello spazio. Si utilizzano quindi immagini e analogie per spiegare il metodo, come il contenitore delle uova con i suoi spazi o la linea dei numeri di Bortolato, uno strumento utilissimo. Il tutto poi si estende alle mani e ai regoli. Perché le mani? Perché c’è chi dice che contare con le dita sia uno strumento utile, e chi invece le condanna. Ma Bortolato spiega benissimo il ruolo delle dita nel suo metodo, e vediamo come effettivamente le mani siano uno strumento davvero prezioso per approcciarci alla matematica.

Nel metodo esistono quindi varie vie, che possono essere utilizzate con ogni bambino. La via della semiretta numerica, quella dei numeri come spazio, le dita intese come confine dei numeri… Tutto per arrivare al “tempio” in cima alla montagna, la scrittura dei numeri e il calcolo mentale.

Alla fine del libro ci accorgiamo sostanzialmente di una cosa: che questo metodo è così valido proprio perché parte dal basso, dalla base della montagna, per arrivare in cima senza perdere nessun passaggio o mescolare concetti, in modo che i bambini possano rafforzare la loro logica istintiva per arrivare a padroneggiare fino in fondo la matematica.

Un argomento delicato, quello dell’alcool associato all’infanzia. Ma riteniamo sia giusto affrontarlo perché sono molti i genitori che si chiedono quanto male faccia quel goccio di champagne offerto al bambino durante la sua festicciola di compleanno, o quanto sia pericoloso cucinare con l’alcool (e in questo caso vi invitiamo a leggere anche questo articolo dedicato all’argomento).

Un fatto è certo: la frase “Ma sì, ma è solo per scherzo, lascia che lo assaggi!” è molto pericolosa. E l’invito è quello a non offrire mai, mai alcool ai bambini.

Un goccio di vino: quanto fa male ai bambini assaggiare l’alcool?

Innanzitutto, partiamo da un concetto ovvio ma che ci teniamo a sottolineare: l’esempio dei genitori è sempre al primo posto nella classifica dei metodi educativi più efficaci. I bambini ci osservano e fanno loro ciò che facciamo noi, quindi è logico che anche nel campo del consumo di alcool questa regola è da seguire.

Come ci relazioniamo noi con l’alcool? Abbiamo un rapporto sano, ne beviamo con moderazione e sappiamo dire no? Oppure ne abusiamo troppo spesso, lo teniamo sempre in tavola e mostriamo come l’assenza di alcool ci faccia innervosire? Tutto questo avrà conseguenze sui bambini, che delineeranno il loro rapporto con l’alcool anche basandosi su ciò che hanno vissuto indirettamente durante l’infanzia.

In questo senso, soprattutto negli Stati Uniti e in UK, c’è una tendenza molto interessante: quella a dare in maniera continuativa e regolare un goccio di vino a tavola, diluito con molta acqua, ai bambini. Si ritiene infatti che questo accorgimento possa spingere i bambini a vedere il vino e l’alcool con responsabilità. Tuttavia non è così.

“I genitori non dovrebbero dare ai bambini piccole quantità di alcool per far sì che diventino bevitori responsabili”, si legge sul Telegraph. “Alcune ricerche mostrano come i bambini che sono stati introdotti all’alcool da molto piccoli rischiano maggiormente di diventare adolescenti bevitori e di sviluppare problemi legati all’alcool in età adulta”. I genitori, in questo caso, hanno una convinzione: quella di dare i giusti strumenti per capire l’importanza di non abusare di questa sostanza. Un po’ un controsenso, no?

Fortunatamente da noi questi casi sono pochi. Quando si parla di “goccio di vino al bambino” si intende quello dato sporadicamente in un’occasione particolare, solitamente durante i compleanni. Ma anche qui c’è da sottolineare un concetto: l’alcool fa sempre male ai bambini. E anche se noi riteniamo che una lacrima non faccia male, dobbiamo sempre tenere in considerazione il corpo dei bambini, molto più piccolo del nostro (e quindi basta anche una gradazione molto bassa a causare danni), e soprattutto in crescita. L’alcool si deposita infatti nei tessuti più ricchi di lipidi e anche in piccolissime quantità può causare ebbrezza nei bambini (e no, non c’è da ridere, dato che i danni sono a carico del loro sistema nervoso in via di sviluppo):

Da uno studio condotto dalla Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) in collaborazione con l’Osservatorio Permanente Giovani e Alcol, pubblicato sul Corriere, esce un quadro preciso: i genitori offrono spesso un goccio di alcool ai bambini, soprattutto durante i compleanni o i matrimoni, sin dai primi anni di vita. Sono infatti circa il 30% del campione preso in considerazione i giovani che dichiarano di avere bevuto per la prima volta un poggio di vino tra i 6 e i 10 anni. L’8% dei giovani dichiara inoltre di averlo provato prima dei 6 anni.

Un fatto è di certo chiaro: l’alcool è deleterio per i bambini. Il National Capital Poison Center degli Stati Uniti lo dichiara addirittura un veleno. Questo perché l’alcool compromette il sistema nervoso centrale (uccidendo le cellule neurali, che nei bambini si stanno ancora sviluppando) e causa ipoglicemia. L’ipoglicemia può essere poi causa di crisi e coma, e dunque di morte. Le conseguenze poi si estendono al fegato: l’alcool nei bambini compromette infatti le funzioni epatiche, dal momento che il loro fegato non è ancora del tutto formato.

 Giulia Mandrino

Mamma Pret a Porter non è una testata medica e le informazioni fornite hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, esse non possono sostituire in alcun modo le prescrizioni di un medico o di un pediatra (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione), o, nei casi specifici, di altri operatori sanitari (odontoiatri, infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ecc.) abilitati a norma di legge. Le nozioni sulle posologie, le procedure mediche e le descrizione dei prodotti presenti in questo sito hanno un fine illustrativo e non devono essere considerate come consiglio medico o legale.

I lapbook, strumento interattivo per imparare

Mercoledì, 14 Febbraio 2018 09:52

Cos’è un lapbook? Si tratta, semplificando le parole, di un materiale tridimensionale concettuale, un volume creato con le proprie mani per raccogliere le informazioni che stiamo imparando riguardo ad un determinato argomento che si trasforma in un libro pop-up e interattivo che percorre una sorta di mappa concettuale che tocca svariati argomenti.

In altre parole, se vogliamo, è un metodo concreto per imparare, poiché i bambini, creando con le proprie mani e con i propri ragionamenti il proprio lapbook su un determinato argomento, imparano sin dai primi momenti dell’approccio alla materia. Come? Raccogliendo le informazioni, sistemandole, decidendo come mostrarle, come renderle divertenti e componendo materialmente il lapbook. Molto meglio rispetto al semplice studio sui libri, no?

I lapbook, strumento interattivo per imparare: cosa sono i lapbook, le mappe concettuali in forma di libro che i bambini creano dall’inizio alla fine

Possiamo in qualche modo dire che i lapbook ricalcano le ricerche “alla vecchia”, quelle che noi mamme e papà svolgevamo quando ancora non c’erano i computer, andando in biblioteca a cercare informazioni e stendendo tesine complete e interessanti, con disegni, mappe e schede disegnate da noi.

Ciò che cambia rispetto a queste tesine sono la forma e la composizione, che sono parte integrante del processo di apprendimento, che si pone così su un piano più concreto rispetto all’astrazione del semplice studio attraverso la lettura.

Il lapbook va bene per qualsiasi classe o scuola, per qualsiasi materia e per ogni bambino, poiché è una mappa concettuale che si può adattare per argomento, per forma e per composizione in base a ciò che è richiesto al momento. Salendo di classe, quindi, i lapbook diventeranno sempre più complessi, in base al livello degli studenti.

“Lapbook” significa letteralmente “Libro delle pieghe”. Significa quindi che prevede varie stratificazioni, finestrelle, layout curiosi e piegature per formare un libro popup e interattivo divertente da realizzare e bellissimo da studiare. Anzi, più che di “libro” possiamo parlare di cartelletta, perché alla fine il lapbook non avrà la forma del classico libro (anche se non è escluso), ma quella di un cartellone ripiegato che aprendosi svela pagine e finestre.

Si parte dalla scelta dell’argomento, che può essere inerente a qualsiasi materia (lingua, scienze, storia, arte, musica…). Da questo argomento si comincia una ricerca più ampia, per abbracciare sottoargomenti e concetti che stanno a lato di questo dato argomento, per avere alla fine uno studio più ampio e interessante.

Ad esempio? Se il bimbo sta studiando, per arte, Matisse, può decidere di includere nella ricerca anche “I Fauves”, gli artisti a lui contemporanei e la scena storica nella quale si inserisce. Oppure, per geografia, studiando i “Fiumi d’Italia” possiamo allargarci ai laghi in cui si immettono e alle differenti forme delle foci e degli estuari.

Da qui si farà una scaletta per avere un percorso concettuale definito. E si partirà con il vero e proprio lapbook, scegliendo prima di tutto il formato (A4, A3, cartellone, fogli uniti in varie forme…).

Qui, ad esempio, hanno usato delle cartellette per archiviazione, aprendole completamente e sfruttandone la forma.

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(Layers of learning)

Qui, sempre con le cartellette, i bambini hanno ricreato la forma dello scheletro.

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(Schooled in love)

Si possono anche ritagliare i fogli per creare forme divertenti, come questa del terreno che si ripiega poi una volta chiuso il lapbook.

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(Pinterest)

Dopo aver scelto il formato del “contenitore” (grande, piccolo, formato ebook, formato “menù del ristorante”, formato quadernone…), quindi, cerchiamo gli strumenti: schede, disegni, testi, mappe… E decidiamo come sistemarti nel lapbook. Al suo interno potranno esserci varie finestrelle, tasche contenenti schede e curiosità, cassetti, minilibri

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Tagliando, colorando, leggendo, sistemando, ricercando e incollando i bambini realizzeranno così un progetto personale e personalizzato, concreto e vissuto sulla propria pelle. In questo modo l’apprendimento sarà più efficace e sicuro, più definitivo, poiché il processo di apprendimento passa proprio dalla realizzazione. Un processo non statico, ma molto dinamico, non solo per la modalità di creazione ma anche per il fatto di essere una mappa concettuale che abbraccia più argomenti, un metodo molto utile che si rivela uno strumento sfruttabile tutta la vita, scolasticamente e lavorativamente.

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(Love those kinders)

E alla fine ciò che resterà sarà un lapbook da poter utilizzare quando vogliono, da sfogliare, da presentare, da mostrare e da leggere in ogni momento.

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(Spark and all)

In Italia abbiamo certamente uno strumento utilissimo quando parliamo di lapbook. La casa editrice Erickson ha infatti pubblicato vari volumi dedicati ai lapbook, utilissimi a genitori e insegnanti perché raccolgono oltre ad una serie di informazioni utili per capire come realizzarli, vari materiali, esempi, istruzioni e schemi di template da riprodurre. “Il mio primo Lapbook” è un libro davvero ben realizzato, perfetto per chi si approccia per la prima volta a questo strumento educativo interattivo.

Troviamo però anche libri specifici, divisi per materia e per classe. Due esempi su tutti: “Imparo con i Laptop - matematica e scienze” per la quarta elementare, oppure “Imparo con i laptop - Italiano, storia e geografia” per la terza.

Giulia Mandrino

Bastano un frullatore e un essicatore. E poi degli ingredienti bio gustosi e saporiti! Parliamo delle raw cake, ovvero le torte crudiste che non prevedono cottura ma solo l'assemblaggio di ingredienti frullati (fino a diventare deliziose creme!) o essiccati.

Queste sono a base di frutta secca e rapa rossa (che dona il bellissimo colore) con qualche mirtillo e qualche fragola per completare l'opera.

Tortine raw (senza cottura) vegan e buonissime: la ricetta delle raw cake crudiste a strati, belle da vedere e buone da mangiare

 

Sfumiamo con del vino bianco o rosso”: una frase che leggiamo spesso scritta nelle ricette, soprattutto in quelle tradizionali o con cottura lunga (ma non solo). E le mamme e i papà, soprattutto alle prime armi, si chiedono se questo possa fare male ai bambini.

È una domanda lecita, perché è giusto preoccuparsi della quantità di alcool che involontariamente diamo ai nostri figli. Ma non preoccupatevi: basta qualche accorgimento per ridurre quasi del tutto la concentrazione alcolica.

Cucinare con l’alcool, come comportarsi con i bambini: quali sono le cotture più indicate e quali i consigli per diminuire l’alcool nelle ricette quando a tavola ci sono bimbi piccoli

Il vino bianco e il vino rosso si utilizzano in molte ricette, per sfumare i soffritti o per insaporire. Ma anche per marinare (e qui si aggiunge la birra, qualche volta). Ma la domanda, quando a tavola ci sono bambini, continua a frullarci in testa: ma l’alcool contenuto in queste bevande evaporerà proprio del tutto?

In aiuto ci vengono uno studio pubblicato molti anni fa sul Journal of the American Dietetic Association e un articolo di Dario Bressanini pubblicato sul suo blog ospitato su L’Espresso.

Il primo studio, condotto da ricercatori americani nel 1992, mostra come sei diverse cotture con alcool si comportino nei confronti di quest’ultimo, ovvero quanto alcool rimanga a fine cottura dopo aver usato bevande alcoliche con diversi tipi di cottura.

Si parla, qui, di cotture che chiaramente non ci interessano, perché prevedono non la cottura lunga, ma l’aggiunta di alcol verso la fine oppure la tecnica del flambé (come la Torta Alexander, le ostriche impanate o le ciliegie jubilee). In questi casi l’alcool rimane, e anche in gradazione alta: di parla di 40-85% di gradazione. Ed è abbastanza scontato (sono ricette che solitamente si evitano con i bambini piccoli).

Tuttavia il brasato, che prevede l’utilizzo di alcool a inizio cottura e che ha bisogno di tempo per cuocere bene, alla fine risulta alcolico per il 4-6%. Una buona notizia, perché il brasato è da prendere proprio come esempio dell’utilizzo dell’alcool nei nostri piatti che prevedono lo sfumare il soffritto e la cottura lunga (ad esempio i risotti, che proponiamo spesso ai bimbi).

La cottura molto lunga a fuoco basso (e quindi a temperatura costante) risulta quindi la più efficace per rendere più innocuo l’alcool. Ma vediamo più in dettaglio, come spiega Bressanini.

“L’alcol etilico puro bolle a 78 °C”, spiega sul blog, “una temperatura notevolmente inferiore a quella dell’acqua. A molti viene quindi spontaneo pensare che cuocendo a temperature superiori alla fine l’alcol se ne sia andato completamente. Preparando un cibo che contenga una miscela di acqua e alcol etilico i vapori che si sviluppano saranno più ricchi di alcol, rispetto al liquido di partenza, perché più volatile dell’acqua. La produzione di distillati si basa proprio su questo principio. E poiché l’alcol evapora più velocemente, la sua concentrazione nel liquido diminuisce. Tuttavia anche se all’assaggio l’alcol sembra scomparso in realtà potrebbe essere ancora presente”.

Ciò significa che in effetti l’alcool non scompare del tutto. Tuttavia possiamo stabilire che aggiungere l’alcool all’inizio e non alla fine e utilizzare una cottura lunga può essere la soluzione migliore. Anche se naturalmente dobbiamo prendere altri accorgimenti.

Bressanini spiega infatti come altri fattori (la dimensione della padella, la presenza di ingredienti come il pane che assorbono gli altri elementi, la temperatura…) influiscano sulla quantità di alcool che rimarrà nel piatto. Ha quindi portato un altro esempio di ricerca, stavolta danese, che mostra come si comportino alcune cotture con la birra rispetto all’alcool. Ciò che hanno scoperto gli studiosi danesi è che utilizzando un coperchio rimarrà nel piatto meno alcool.

Per riassumere: prediligiamo le cotture lente e uniformi (quindi con pentole basse e larghe, piuttosto che alte e strette), sfruttiamo il coperchio e utilizziamo il vino o la birra subito, a inizio cottura, per lasciare più tempo all’alcool di evaporare il più possibile (cercando di non aggiungere subito altri liquidi, ma attendendo che il vino sia effettivamente evaporato).

Giulia Mandrino

Attività Montessori ispirate a San Valentino

Venerdì, 09 Febbraio 2018 14:44

(Photo Credit: Nicole Danielson)

Si sta avvicinando San Valentino! E al di là di regali, regalini, cioccolatini e smancerie, abbiamo voglia di dedicare qualche attività montessoriana alla festa degli innamorati, sfruttando il romanticismo della più classica forma: quella del cuore.

Possiamo infatti organizzare in questi giorni che precedono San Valentino qualche attività montessoriana per i nostri bambini, per passare con loro qualche momento di gioco educativo in maniera dolcissima e romantica, stimolando la manualità, il conteggio, le parole, la coordinazione occhio-mano e l’indipendenza, proprio come piace a Maria Montessori.

Ecco dunque qualche attività di vita pratica Montessori declinata in chiave “San Valentino”!

Attività Montessori ispirate a San Valentino: i giochi educativi montessoriani da proporre ai bambini in questi giorni della festa degli innamorati

Partiamo con i classici vassoi montessoriani per sperimentare travasi e attività manuali che stimolino la coordinazione.

Prendiamo quindi i nostri cestini e vassoi e sistemiamo alcune perline rosse e bianche e degli scovolini sottili (quelli in fil di ferro che si piegano molto bene). I bimbi dovranno semplicemente infilare le perline nello scovolino (un ottimo esercizio di precisione) e dargli poi la forma a cuoricino (da regalare a chi vogliono il 14 febbraio!).

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(Photo credit: Montessori from the heart)

Il secondo gioco richiama quello del serpente di bottoni (che vi avevamo spiegato qui), un animaletto da creare con stoffa, nastri e bottoni. Per renderlo sanvalentiniano basta ritagliare la stoffa (meglio se rossa o rosa) a forma di cuore!

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(Photo credit: School time snippets)

Anche il classico gioco dei travasi solidi montessoriani può essere declinato in maniera amorosa semplicemente cercando oggetti che ricordino gli innamorati: le teglie per muffin a forma di cuore sono perfette come contenitore, e come oggettini da travasare possiamo utilizzare dei cuori in plastica oppure dei confetti.

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(Photo credit: Trillium Montessori)

Utilizzare le forbici è decisamente montessoriano, perché aiuta con la manualità, con l’indipendenza, con la precisione e con lo sviluppo del senso di pericolo (importantissimo per i bambini). Su alcune strisce di carta disegniamo dei cuori, quindi delle linee abbastanza regolari. I bambini dovranno seguirle ritagliando i cuori con la forbice.

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(Photo credit: Montessori from the heart)

Nella vita pratica di Maria Montessori indicatissimo è il cucinare con i genitori: prepariamo quindi insieme una torta o dei biscotti a forma di cuore!

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Infine, altra attività montessoriana di vita pratica pensata stavolta in relazione alla festa degli innamorati è il ricamo. Quello semplice, che diventa anche una bellissima decorazione. Come questo: basta disegnare un cuore a matita, bucare con un ago il contorno (a buchini) e passare il filo di lana da un punto all’altro con l’aiuto di ago e ditale.

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(Photo credit: Hative)

Giulia Mandrino

Autoritratti corporei per bambini

Venerdì, 09 Febbraio 2018 09:26

Proprio ieri vi abbiamo parlato di un libro favoloso che introduce i bambini al concetto di autoritratto, non solo spiegandolo ma coinvolgendoli in attività creative decisamente educative, interessanti e curiose.

Oggi vi presentiamo quindi un’altra attività dedicata all’autoritratto per bambini. L’autoritratto per bambini è infatti un esercizio davvero molto utile, oltre che divertente, perché permette ai bambini non solo di esprimere la propria creatività ma di aumentare la propriocezione, ovvero la consapevolezza della propria fisicità e della propria persona (anche a livello interiore).

Ecco dunque gli autoritratti corporei per bambini: un esercizio creativo super divertente e coinvolgente per stimolare creatività e autoconsapevolezza

Non il solito autoritratto per bambini: pensando all’autoritratto, infatti, pensiamo subito al primo piano del volto disegnato su un foglio o su una tela A4 o poco più grande. È normale, perché si tratta della consuetudine. Quello che vi proponiamo ora è tuttavia qualcosa di diverso: un autoritratto per bambini a figura intera, a grandezza naturale. Non in scala, insomma!

Per prima cosa, prendiamo dei grandissimi fogli di carta. Va benissimo di riciclo, oppure basta chiedere in cartoleria quella da pacchi oppure quella per le tovaglie usa e getta (molto comoda perché arrotolata: ce ne resterà per moltissimi altri progetti d’arte!).

Dopodiché iniziamo: la prima volta, i bambini si sdraieranno sul foglio, mentre noi (o qualche amichetto/fratello) ne tracceremo il contorno. Alzandosi, sarà rimasta la loro silhouette sul foglio.

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(Photo credit: My Poppet)

Ora è tempo di colorare, disegnare e riempire la silhouette, lasciando decidere al bambino se il colore e i tratti saranno veritieri e ispirati al reale oppure astratti, magari ispirati alle emozioni di quel momento. Oppure, ancora, se vorrà disegnare “ciò che vuole essere”, “ciò che sente di essere”, “come sarà da grande”, “come lo vedono gli altri”… Ogni scelta è un esercizio molto utile e interessante.

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(Photo credit: My Poppet)

Le volte successive possiamo variare il tema. Al posto di lasciare tracciare la silhouette a qualcun altro, lasciamo che i bimbi la disegnino a mano libera, esercitandosi così nella percezione e nelle misure.

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(Photo credit: Artfulparent)

Possiamo anche decidere di fare autoritratti a mezzo-busto, bellissimi anche da appendere (rispetto a quelli a figura intera che, diciamolo, sono stupendi ma un po’ ingombranti!).

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(Photo credit: Meri Cherry)

Altra variazione è il medium: gli autoritratti a figura intera sono bellissimi se disegnati e colorati con pastelli e tempere, ma anche con i pastelli a cera, oppure con il collage, con il dripping, con gli acquerelli, con le foglie...

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(Photo credit: Childhood 101)

Giulia Mandrino

Miele, proprietà e degustazione

Venerdì, 09 Febbraio 2018 08:54

Nel nostro portale abbiamo parlato più volte di miele, e sapete già quando questo alimento sia prezioso per la salute. 

Giovedì scorso ho però avuto modo di scoprire tantissime nuove informazioni sul miele, sia dal punto di vista della salute che da quello del gusto: sono andata infatti a visitare Mielizia, azienda  che da più di 35 anni è il marchio degli apicoltori di Conapi, cooperativa di apicoltori che raccolgono le migliori produzioni italiane di miele, polline, pappa reale e propoli.

L’azienda ha sede a Monterenzio, sulle colline bolognesi. In questa sede i mieli subiscono i processi di analisi, lavorazione e confezionamento: tutti questi passaggi avvengono secondo un processo meticoloso al fine di selezionare i migliori mieli e preservare le proprietà organolettiche e nutrizionali per non alterarli. La filiera è fondamentale per Mielizia: il rispetto non solo del prodotto ma anche dell’animale e degli apicoltori è qualcosa che emerge appena arrivati in azienda. È interessante, inoltre, sapere che il 62% degli apicoltori Conapi sono giovani e oltre il 20% delle aziende apistiche che compongono la cooperativa sono gestite da donne!

Ecco quindi il perché di questo articolo: con le nuove informazioni forniteci da Mielizia sappiamo ora indicarvi tutte le proprietà dei mieli e il loro ottimale utilizzo.

Miele, proprietà e degustazione: grazie a Mielizia, ecco tutte le indicazioni necessarie per conoscere i vari tipi di miele e utilizzarli al meglio

Miele di bosco

Di colore tendenzialmente ambrato, tendente allo scuro, ha un odore fruttato e dolce, un po' speziato, con note pepate e profumo di chiodi di garofano. Il sapore non è troppo dolce, e ricorda il rabarbaro e la liquirizia. Ottimo con i formaggi freschi, questo miele è ideale per addolcire il tè nero e per completare ricette con spezie scure e verdure. 

È un miele ricco di antiossidanti, ed è l’unico che non deriva dai fiori ma dalla melata, una secrezione zuccherina emessa dagli insetti che succhiano la linfa degli alberi.

Miele di castagno

Anche questo miele è scuro e ambrato con note amarognole che ricordano tabacco e cioccolato. Molto liquido, viene raccolto nei castagneti delle Alpi e degli Appennini a fine estate. Utilizziamolo per accompagnare le carni e i formaggi stagionati (soprattutto ovini), o comunque con alimenti dai sapori forti o affumicati. Buonissimo anche con il tè nero, tè dal sapore deciso e amaro.

Miele di acacia

È forse il più conosciuto. Liquido, chiaro e cristallino, il miele di acacia ha un sapore più dolce e delicato, setoso, che ricorda la mandorla. Anche il profumo ricorda la mandorla, ma anche i fiori e la vaniglia. Essendo così zuccherino, delicato e dolce, il miele di acacia è il più indicato per addolcire le bevande, anche grazie alla sua consistenza liquida che si scioglie facilmente. Lo si può utilizzare anche negli impasti al posto dello zucchero oppure nelle macedonie. Ottimo con la ricotta ovina stagionata. Lo si raccoglie in tutta Italia, a primavera.

Miele di arancio

Più denso e cristallizzato degli altri, il miele di arancio ricorda i fiori di zagara da cui proviene e ha un forte odore di buccia d’agrume. Il sapore è acidulo e fruttato e quindi si presta molto bene all’accompagnamento di dessert, alla preparazione di dolci da forno e per vinaigrettes estrose. Sta molto bene con il pesce crudo, ma anche con i formaggi a pasta filata, come la mozzarella, la scamorza, il caciocavallo o la provola. Viene prodotto soprattutto nel Sud Italia, zona ricca di alberi d’agrume.

Miele di sulla

Anch’esso cristallizzato e quindi un po’ più denso del solito, viene raccolto a primavera nelle zone centrali e meridionali della nostra penisola. Il colore è molto chiaro, quasi bianco ghiaccio, e il profumo floreale e delicato. Il suo sapore è fresco e dolce, però mai stucchevole. Lo troviamo soprattutto nei torroni duri ma anche nei dolci da forno. Come quello di acacia, anche se meno liquido, sta bene per dolcificare le bevande calde.

Miele di eucalipto

Ambrato, quasi color mattone, il miele di eucalipto ha un sapore particolare, dolce ma con una punta salata e balsamica, quindi fresca, ed è dunque consigliato per accompagnare i piatti da tavola, salati, come le insalate, le carni, i formaggi come il pecorino oppure con le verdure saltate in padella. Da provare anche nelle vellutate, nelle minestre e nei piatti a base di legumi. Viene raccolto nel centro e sud Italia.

Miele di coriandolo

Deriva dalla stessa spezia che conosciamo, ma il profumo, come il sapore, è decisamente differente, più rinfrescante e dolce. Ricorda un po’ la noce di cocco, sulla lingua, ed è ideale per un accostamento con il pollo e con i formaggi stagionati. Come il miele di sulla, anche quello di coriandolo lo troviamo spesso nella produzione di torroni duri, e in casa può essere utilizzato come dolcificante nelle bevande calde.

Giulia Mandrino

Cosa intendiamo con "sperimentare l'arte su se stessi"? Semplicemente provare a tirare fuori la creatività sfruttando la nostra identità. L'autoritratto, infatti, è un esercizio davvero utile, educativo e prezioso: permette di esprimere la propria creatività ma al contempo aiuta i bambini a riflettere sulla loro identità, su loro stessi, sul loro essere e sul loro corpo.

Ecco perché questo libro della bravissima Patrizia Geis (autrice, tra gli altri, di "Guarda che artista: Matisse") ci piace da impazzire: non è solo fatto benissimo, ma è anche uno strumento utilissimo per la crescità intellettuale, manuale e creativa dei nostri figli.

"Autoritratti", un libro carinissimo per sperimentare la creatività su se stessi: dalla serie "Quaderni d'artista" l'eserciziario curato da Patrizia Geis per sperimentare la pittura di se stessi

"Autoritratti" è edito da Franco Cosimo Panini Editore, ed è, come tutte le loro collane dedicate all'arte per bambini, una lettura preziosa. Perché non è solo una lettura: il libro di Patrizia Geis propone infatti una selezione di grandi artisti presentati attraverso le parole e le immagini. E coinvolge direttamente i bambini.

Aprendo il grande quaderno si nota l'impostazione chiara e coinvolgente: i 18 artisti presenti nel libro (e tra poco parleremo anche della selezione di questi artisti, notevole) sono presentati ai bambini in maniera omogenea e costante. Sulla pagina di sinistra ecco uno degli autoritratti che hanno eseguito in vita, corredato da una spiegazione sulla vita e sull'arte dell'artista. La pagina di destra è invece vuota (anche solo ad un primo sguardo: per quasi tutti i maestri c'è qualcosa che caratterizza il foglio, dalla grana spessa da "dipinto a olio" a qualche numero qua e là, dal cappello di Van Gogh sotto il quale disegnarsi alla pagina completamente nera da colorare con il bianco...). Starà al bambino riempirla, disegnando se stesso, quindi attraverso un autoritratto, lasciandosi ispirare dalla vita o dallo stile dell'artista.

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Gli artisti proposti, dicevamo, sono fantastici, perché non semplicemente "conosciuti", ma qualitativamente sempre altissimi. Accanto ai più conosciuti Van Gogh, Picasso, Magritte e Frida troviamo dunque Malevic, Melito, Dubuffet, McNeill Whistler, Muniz... Insomma, una buona occasione per conoscere davvero l'arte, non solo quella mainstream.

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E come propone l'autoritratto ai bambini l'autrice? Paragonandolo ad un selfie. Perché effettivamente di selfie si tratta, ma con un po' di creatività e romanticismo in più. Soprattutto, Patrizia Geis spiega ai bambini che non serve per forza immortalarsi "come si è", ma è fondamentale disegnare e realizzare ciò che si vuole. Un autoritratto può infatti essere molte cose, non solo la rappresentazione di chi siamo in realtà: può essere il disegno idealizzato di come ci vediamo, di come vorremmo essere, di come ci sentiamo, di come pensiamo gli altri ci vedano, di come siamo dentro, di come siamo fuori, di come eravamo, di come saremo...

Un quaderno favoloso, a nostro avviso, che permette di esercitare la bellezza, la creatività, l'autoconsapevolezza, il sentimento e le emozioni, approcciandosi in maniera qualitativamente altissima alla storia dell'arte dei grandi maestri, per cominciare ad amarla fin da piccoli.

Sara Polotti

Sara

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Cecilia

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