Predichiamo tanto la parità dei sessi e poi ci fossilizziamo (senza nemmeno accorgercene) in abitudini che di paritario non hanno assolutamente nulla. Ad esempio? Prima di questa notizia probabilmente in pochi ci avevano pensato: perché il fasciatoio, nei luoghi pubblici, è (il 99% delle volte) nel bagno delle donne? Non ci sono forse papà che devono cambiare i propri bambini quando sono fuori casa?

La notizia è recente e fresca e già sta suscitando commenti (super positivi) e iniziative stupende: è bastato che un papà trovasse il fasciatoio in un bagno degli uomini in un paese nel quale solitamente questo fatto è inusuale per aprire gli occhi sulla parità di genere nella genitorialità.

“IoCambio”, perché il fasciatoio nei bagni degli uomini sia la normalità: dalla scoperta di un fasciatoio in una toilette maschile alla campagna si sensibilizzazione per cambiare la nostra società

In alcune strutture ci sono fasciatoi all’ingresso. In altre la stanza-fasciatoio è separata dai bagni di uomini e donne, oppure è nei bagni per famiglie. Ma guardiamo in faccia la realtà: la maggior parte delle volte la zona per il cambio pannolino è piazzata semplicemente nel bagno delle donne. Ok, sarà un discorso femminista. Ma è anche da questi dettagli che passa il cambiamento della società, il suo miglioramento. E poi, diciamocelo, femministi o meno, è un dato di fatto: ormai i papà che girano da soli con i bimbi sono tantissimi, quindi perché metterli in difficoltà nel momento in cui devono cambiare il pannolino al proprio figlio?

La notizia parte dunque da un locale milanese, Hug Milano. Recentemente, un papà si è trovato piacevolmente meravigliato nel trovare il fasciatoio anche nel suo bagno, quello degli uomini. Questo papà si chiama Roberto e ha condiviso la sua storia su vari siti d’informazione. In particolare, su onalim.it, che racconta una “Milano al contrario”.

Da papà di famiglia abituato a girare con moglie e figli, e giustamente abituato a dividere i compiti, è stato per lui strano (piacevolmente strano!) trovare in questo locale il fasciatoio nel bagno degli uomini. E la particolarità è che Hug Milano ha scelto di mettere il fasciatoio solo lì, per invertire i ruoli: se prima erano i papà a sentirsi a disagio nel bagno delle donne, ora sono nel loro habitat e le mamme possono finalmente riposarsi e scegliere per una buona volta di rinunciare a quel compito affidato sempre e solo a loro (non da parte dei papà, sia chiaro, ma da regole della società esattamente come questa del fasciatoio nel bagno delle donne).

La notizia s’è diffusa, ed è naturale: praticità e civiltà sono i concetti alla base di questa scelta e di questa scoperta che potrebbe fare da traino e spronare tutti gli ambienti pubblici a dotarsi dei fasciatoi nei bagni degli uomini. Per questo l’associazione Onalim ha lanciato anche una campagna, #iocambio: i papà che passeranno da Hug dovranno fotografarsi mentre cambiano il pannolino ai propri figli diffondendo l’immagine online e sensibilizzando così sull’argomento.

In particolare, per tutti i papà che vogliono partecipare all’iniziativa Hug Milano ha pensato ad un evento (nel quale ci saranno birre gratis per chi cambierà pannolini!): si terrà mercoledì 25 luglio e qui trovate tutte le informazioni.

Ma proviamo a spostare per un attimo lo sguardo. Siamo sicuri che nel mondo non siano già un po’ più avanti rispetto a noi? In effetti in USA è (o dovrebbe essere) così. È infatti del 2016 la legge (il Babies Act) firmata da Barack Obama che impone di installare i fasciatoi in tutti i bagni degli uomini e delle donne all’interno degli edifici federali pubblici (votata praticamente all’unanimità tranne che da 34 congressmen repubblicani).

E vogliamo parlare di Ashton Kutcher? Nel 2015, dopo essere diventato papà, lanciò una petizione per dotare tutti i luoghi pubblici di fasciatoi nei bagni degli uomini. In più di 100.000 hanno firmato a sostegno di questa proposta, corredata da un bellissimo discorso che qui di seguito riportiamo:

“Da neo papà, ho recentemente notato che esiste una sfortunata realtà attorno al cambio pannolino nei luoghi pubblici. Quasi tutti i fasciatoi pubblici sono infatti nei bagni delle donne e questo rende praticamente impossibile trovarne uno che sia accessibile ai papà. Per quanto suoni assurdo, molti negozi non danno ai papà la possibilità di cambiare i propri figli.

Siamo nel 2015, le famiglie sono diverse ed è un'ingiustizia pensare che cambiare pannolini sia solo un lavoro da donne. Questa supposizione è uno stereotipo di genere e le aziende dovrebbero invece supportare tutti i genitori mentre fanno shopping nei loro negozi, equamente, al di là del genere.

I fasciatoi nei bagni degli uomini saranno solo un piccolo passo nel lungo processo di eliminazione della discriminazione di genere, ma è un passo che dobbiamo compiere. I padri, come me, vogliono partecipare equamente alla cura dei propri bambini e la nostra società dovrebbe supportarli”.

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Giulia Mandrino

La didattica per competenze

Martedì, 17 Luglio 2018 09:12

È già qualche anno, ormai, che si parla di Didattica per competenze. Questo grazie al fatto che l’Unione Europea ha sollecitato i suoi stati membri a cambiare rotta per passare dalla classica didattica per conoscenze a quella per competenze, per un’educazione dei ragazzi più completa e concreta che possa accompagnarli nel loro ingresso nel mondo adulto (in particolare lavorativo, ma, a nostro avviso, a tutto tondo, dal momento che le competenze acquisite sono poi utili in tutti gli aspetti della vita).


Ma cosa è questa didattica per competenze? Ve lo spieghiamo subito cercando di capire quali siano gli aspetti positivi di questo nuovo di educare i nostri ragazzi.

La didattica per competenze: cos’è la didattica per competenze e quali sono gli aspetti positivi di questa educazione concreta e completa

Nella nostra società (ma un po’ in tutte, se riflettiamo; semplicemente non eravamo abituati a pensarlo) è necessario non fermarsi solo alle conoscenze. Il mondo è in costante cambiamento, sia a livello culturale sia a livello scientifico, e di conseguenza le conoscenze acquisite non saranno mai abbastanza. Ma con un bagaglio di competenze più ampio e applicabile in differenti modalità le nostre abilità saranno declinabili in ogni situazione. La scuola, di conseguenza, non può più limitarsi a fornire conoscenze tecniche e teoriche ai nostri ragazzi ma deve promuovere un nuovo tipo di apprendimento, più elastico e rivolto alla persona, non solo ai concetti.

Se la didattica per conoscenze (che è quella alla quale siamo abituati) pone il suo focus sulle informazioni date agli studenti attraverso un rapporto insegnante/alunno di semplice insegnamento/apprendimento, quella per competenze vuole integrare anche le abilità e le attitudini. Le abilità sono le capacità di applicare alle situazioni reali le conoscenze apprese e le attitudini sono gli atteggiamenti che una persona ha nei confronti dell’altro e a livello personale profondo.

Sfruttando la didattica per competenze, quindi, la scuola darà ai nostri ragazzi un nuovo bagaglio, molto più utile, che unisce alle (imprescindibili, sia chiaro) conoscenze le abilità e gli atteggiamenti che saranno per loro necessari per sapersela cavare in ogni contesto. Acquisendo le competenze, oltre alle conoscenze, i ragazzi saranno quindi in grado di aggiornarsi costantemente non fossilizzandosi sulle conoscenze impartite semplicemente in quel momento, sapranno muoversi nei diversi contesti in cui la vita li porterà e saranno in grado di risolvere i problemi nel momento in cui se li ritrovano di fronte, seguendo la propria strada consapevolmente e con gli strumenti di cui hanno bisogno.

In concreto, gli insegnanti non possono più semplicemente impartire agli alunni nozioni, date, formule e definizioni a memoria. Devono certamente insegnare tutto questo, ma a patto che lateralmente ci siano altri insegnamenti, più sfruttabili e declinabili. Ad esempio, il metodo di studio, l’immedesimazione nell’altro, il problem-solving, i metodi di ricerca, l’attitudine a fare delle ipotesi, la progettazione insieme

Le competenze alle quali la didattica per competenze si riferisce sono infatti capacità trasversali, definite nella Raccomandazione del Parlamento Europeo del 2006, tra le quai troviamo la capacità di comunicare nella propria lingua, di comunicare nelle lingue straniere, l’abilità digitale, le competenze matematiche e scientifiche di base, le competente interpersonali e interculturali, le competenze civiche, la capacità di imparare, l’espressione culturale e l’imprenditorialità.

Per fare tutto questo la scuola ha bisogno di dotarsi di insegnanti in grado non solo di snocciolare conoscenze ma capaci di coinvolgere gli alunni in attività che abbiano lo scopo di portarli a sviluppare le proprie competenze. Le ricerche in gruppo, le collaborazioni con altri, le riflessioni sull’operato, le riflessioni sull’apprendimento, l’applicazione dei concetti a situazioni reali, la risoluzione di problemi verosimili e la valutazione delle proprie azioni sono tra queste attività.

Ci sono poi delle regole e caratteristiche da cui le scuole che scelgono la didattica per competenze non possono prescindere. Parliamo della centralità dello studente nella didattica, che deve essere protagonista e costruttore del proprio apprendimento; dell’importanza della spiegazione del valore di ciò che si sta andando ad insegnare, per fare entrare sempre più dentro la materia gli studenti (che nel momento in cui capiscono appieno di cosa si sta parlando sono molto più coinvolti; spiegare qual è l’importanza di un determinato argomento per il loro futuro è davvero utile); dell’assegnazione di compiti concreti che rendano l’apprendimento delle conoscenze una vera esperienza; spronare al confronto, incitando i ragazzi ad esprimere sempre la propria opinione, stimolando così le discussioni fruttuose e positive; focalizzarsi su ogni ragazzo e indirizzarlo, aiutarlo e sostenerlo nel suo processo di apprendimento, che non è mai uguale per tutta la classe ma ad hoc per ognuno (con particolare attenzione ai ragazzi affetti da disturbi dell’apprendimento).

Tra i metodi che gli insegnanti possono utilizzare ci sono l’organizzazione di mostre tematiche in classe (aperte a tutti); l’assegnazione di ricerche sui nuovi argomenti (ogni studente o gruppo di studenti porterà un nuovo tema ancora non affrontato in classe e lo esporrà ai compagni); l’idea di fare impersonare all’alunno interrogato un personaggio oggetto di studio in storia, in modo che si cali nel contesto storico e nella cultura, oppure un abitante del luogo che si sta approfondendo (in geografia); il compito di organizzare insieme alla classe la prossima gita; l’organizzazione della raccolta differenziata in classe; la simulazione del consiglio di amministrazione di un’azienda nella quale si sta decidendo quale energia alternativa utilizzare per ottimizzare la produzione e impattare il meno possibile l’ambiente (in scienze)… E così via. In questo modo i ragazzi si caleranno nelle situazioni, interessandosi di più e capendo meglio l’utilità delle conoscenze acquisite.

Quali sono le scuole che possono sperimentare questo approccio della didattica per competenze? Praticamente tutte, dalle scuole elementari agli istituti di istruzione superiore, adattando queste semplici regole ai vari livelli di studio e in base agli alunni che ci si trova di fronte.

Giulia Mandrino

Ti sei mai chiesto perché la Croazia è così gettonata per le vacanze estive? Forse la prima risposta che ti viene in mente è: “per i suoi prezzi bassi”. Sicuramente questo è un vantaggio da tenere in considerazione, ma, a ben vedere, mete a prezzi vantaggiosi in giro per il mondo ce ne sono numerose. I vantaggi più eclatanti sono altri, in primis i paesaggi e il mare della Croazia, decisamente piacevoli e a una distanza relativa vicina.

In molti decidono di raggiungerla in auto. Spesso però ci si ritrova tutti insieme sull’autostrada e le code, soprattutto nei periodi più caldi delle partenze, non risparmiano nessuno. Giacché il mare e la bellezza delle coste sono un’attrattiva interessante, a questo punto la soluzione potrebbe essere di vivere la vacanza in modo differente. 
Ti stai domandando come? Con il noleggio barche in Croazia.

Spalato e le sue isole, un’area da scoprire via mare: organizzare una vacanza in Croazia in famiglia in barca è semplice e bellissimo

Il tutto è molto semplice e fattibile online: direttamente su internet è infatti possibile scegliere con cura l’imbarcazione di cui si ha bisogno in base alle proprie esigenze (che sia una vacanza con la famiglia, in coppia, con amici oppure anche in solitaria) affittando la propria barca, che attenderà nel luogo dal quale si salperà. Per visitare la parte settentrionale della Croazia l’ideale è scegliere un porto italiano più a nord, mentre Ancona è la città perfetta dalla quale salpare se la meta sono la zona di Spalato o le numerose isole attorno ad essa.

La tua meta potrebbe essere proprio Spalato, che ha un dedalo di vie in cui passeggiare, dalle quali ammirare questa cittadina facilmente visitabile a piedi. Perché no? Puoi farti una bella mangiata in riva al mare: i ristoranti hanno prezzi abbordabili e la scelta molto varia riesce a soddisfare un po’ tutti.

Tutti a bordo che è ora di salpare in direzione di Solta, l’isola del relax, con il suo piccolo villaggio (con l’essenziale per rifornirsi), la spiaggia di Stomorska e l’acqua stupenda per un bagno.

Il viaggio continua alla volta di Hvar, così famosa che è un peccato non visitarla. La cittadina ricorda il dominio veneziano, che ebbe una forte influenza. Se hai voglia di paesaggi immersi nella natura, ti basterà spostarti di poco con la barca e raggiungere una delle undici isole Paklen, la cui caratteristica principale sono le sue macchie boscose nel mare circondate da acque cristalline. In questi luoghi regna una pace assoluta, ed essendo queste isole così vicine ad Hvar un’idea meravigliosa è quella di cercare, verso il tramonto, una baia dell’isola per godere del sole che cala e spostarsi poi in città per la movida serale.

La libertà del poter scegliere di fare una vacanza organizzata da te, secondo i tuoi ritmi e noleggiando una barca, ha dei vantaggi notevoli e ti farà sentire così libero e indipendente che forse diventerà un tuo stile di vacanza!

Giulia Mandrino

Se “maternità e lavoro” è un argomento scottante, lo è ancora di più se preso dal punto di vista “maternità e libera professione”. Ma perché scoraggiarsi? Perché fermarsi solo alla percezione che abbiamo da fuori rinunciando al proprio sogno? Essere mamma e avere una partita IVA è possibile, e Valentina Simeoni ce lo mostra attraverso un libro davvero meritevole, scorrevole e delizioso: “Mamme con la partita IVA” è uscito da pochissimo ma sta già aprendo gli occhi a moltissime madri che non vogliono rinunciare ad una carriera professionale soddisfacente.

“Mamme con la partita Iva”, per vivere serenamente maternità e lavoro autonomo: il libro di Valentina Simeoni che dà speranza a tutte le mamme libere professioniste scoraggiate dal mondo del lavoro

Non ci nasconderemo dietro un dito: essere mamma e lavoratrice è difficile e può esserlo ancora di più per una libera professionista. Perché districarsi tra contributi di maternità, paternità, permessi, mobbing e quant’altro è una realtà e lo è anche nel caso delle mamme con partita IVA, che senza un “capo” devono fare i conti con la burocrazia in prima persona.

E poi c’è naturalmente il fattore denaro: se non lavoro durante la maternità come posso mantenere la mia famiglia? E se invece continuo a lavoricchiare anche nei primi mesi, mio figlio ne risentirà?

Ciò che continuamente salta fuori è la visione inconciliabile di maternità e libera professione. Pare quasi che la maternità sia un impiccio o, dall’altra parte, una dimensione che non può convivere con la carriera. Che sia un limite. Perché diventare mamma stopperebbe il percorso professionale e perché continuare la strada lavorativa impedirebbe la creazione di una famiglia.

I dubbi, insomma, sono tantissimi e ciò che ci vuole è una buona lettura. Ma non una lettura qualsiasi di un saggista qualsiasi che parla di una maternità qualsiasi. Una testimonianza diretta è quel che ci vuole, ed è proprio di questo che stiamo parlando: Valentina Simeoni è davvero una mamma con partita IVA (e l’ha piazzata anche in quarta di copertina, per essere certa che le crediamo!), una mamma che ha deciso di continuare la carriera dopo la nascita del primo figlio, una mamma che ha aperto la partita IVA nel 2013 e che è diventata madre nel 2016. "Mamme con la partita IVA" è il titolo del suo libro, edito da Sonzogno.

“Mi chiamo Valentina e sono una di voi”: la frase di apertura del libro dice tutto. Dice “solidarietà”, dice “comprensione”, ma dice anche che l’autrice ne sa, perché c’è dentro, che sa di cosa parliamo ma anche ciò di cui c’è bisogno, a livello concreto e pratico. Per farlo porta la sua esperienza, ma anche quella di tante altre donne che non hanno deciso di soccombere davanti alle minacce della società.

C’è chi apre la partita IVA e poi diventa mamma, come Valentina. C’è chi la apre dopo essere diventata madre. Chi la apre e poi la chiude ma se ne pente. Chi lavora da casa e sa quanto è difficile dividere le cose, rischiando sempre di trascurare una delle due cose (cosa che sul lavoro dipendente non viene percepita così nettamente, dato che casa e lavoro sono distinti e lontani).

Valentina parla quindi di come organizzarsi, di come trovare i propri spazi, di come concentrarsi (dato che la testa cambia moltissimo dopo la maternità), di come prendere esempio dalle mamme che, consapevoli delle interferenze e dei problemi dati dal lavorare da casa, hanno saputo prendere queste interferenze e trasformarle in opportunità per migliorarsi lavorativamente (ragazze, pensiamoci: già siamo multitasking di nostro, se riusciamo a lavorare con un bimbo piccolo a casa le nostre abilità organizzative si ampliano esponenzialmente!), della preziosità dei nonni e di come fare quando tra noi e loro ci sono migliaia di chilometri di distanza…

La scrittrice non lascia da parte nemmeno i temibili contributi: con poche parole e un pratico elenco fa capire alle madri che non tutto è perduto, ma soprattutto dà consigli reali per districarsi tra le migliaia di regole che normano l’apertura di una partita IVA e la richiesta dei contributi di maternità.

E poi dà dei consigli concreti e utili, stilando un elenco conciso e intuitivo per tutte le mamme che stanno pensando di fare questo passo, ma anche per quelle che già sono lavoratrici autonome. Tra questi consigli? La preparazione, il non aver paura a chiedere aiuto, il delegare, l’osare e il rilassarsi. Tutte azioni che alla fine della lettura ci sembreranno semplicissime e assolutamente indispensabili e che ci faranno sentire meno impaurite.

In ogni caso ciò che ne esce è semplice e diretto: certo che le difficoltà ci sono, sono moltissime. Ma a ben vedere quale professione e quale vita sono prive di difficoltà? Quindi che tu sia giornalista, illustratrice, cuoca a domicilio, orafa, comunicatrice o blogger, perché rinunciare al tuo lavoro solo perché le parole “regime, contributo di maternità, previdenza, tasse…” ti spaventano a tal punto da farti rinunciare ai sogni? Queste parole dovrebbero essere un aiuto, non qualcosa che ci dissuade.

Giulia Mandrino

Vi avevamo già parlato di tutti gli sport estivi che i nostri bimbi possono provare e che non sono il solito nuoto (comunque importantissimo!). Ci sono la vela, la canoa, il windsurf, il kyte-surf… L’occasione delle vacanze estive è sempre ghiotta per trovare qualche scuola che proponga questi sport estivi per bambini e se passate dalla Costa Ligure non potete lasciarvi sfuggire la Scuola di Mare Santa Teresa, attivissima nelle attività sportive marittime per ragazzi dai 7 ai 13 anni.

La Scuola di Mare Santa Teresa, per tutti gli sport estivi: dalla vela al kayak in mare, gli sport estivi in costa ligure per bambini

La Scuola di Mare Santa Teresa si trova in località Pozzuoli, a Lerici, in una zona stupenda delle nostre coste. Presenta anche una struttura nella quale alloggiare (davvero deliziosa) e durante le giornate (non solo estive! Anche nel fuori stagione sono attivi con weekend finalizzati ai corsi, alle escursioni e alle esperienze per tutta la famiglia) offrono corsi dedicati alle attività sportive.

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Da loro possiamo non solo approcciarci alla vela, dal momento che la loro scuola è specializzata su questo sport marino: attraverso lezioni ad hoc i maestri porteranno i bambini e i ragazzi ad approcciarsi a questa disciplina con corsi di varie durate in relazione alle esigenze.


In particolare per i ragazzi dai 7 ai 13 anni è pensato il Junior Camp, per vivere appieno l’esperienza della vela ma sperimentando tutte le discipline acquatiche, dal noto alla canoa, dal kayak alla vela, insieme agli altri bambini e ragazzi che parteciperanno.

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Ogni settimana d’estate, quindi, la Scuola di Mare Santa Teresa propone il Junior Camp. Si può scegliere di partecipare solo la mattina, solo il pomeriggio oppure tutto il giorno, dal lunedì al venerdì (con prezzi che variano da 170 euro a 130 euro a settimana, con la possibilità - ad un prezzo aggiuntivo - di avere anche il pranzo incluso, il vitto e l’alloggio e le domeniche incluse). Durante la giornata tipo i ragazzi vengono accompagnati da istruttori preparati nelle varie discipline (anche in base alle condizioni meteorologiche) e in totale sicurezza. I bambini potranno così nuotare, pagaiare, navigare o provare il wind surf.

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In alternativa si possono anche scegliere i pacchetti per la famiglia al completo o per i gruppi, per condividere l’esperienza di questi sport acquatici. Tutti possono partecipare, perché le attività vengono organizzate in base alle esigenze, ai gusti e al livello di preparazione, ma il bello è che in ogni caso ci si divertirà facendo l’esperienza dell’equipaggio, condividendo tutti gli aspetti della giornata in mare.

Bellissima è la proposta per famiglie VelaVelo, per imparare i primi rudimenti della barca a vela, a contatto con il mare e con la natura. Gli istruttori in una giornata guideranno i partecipanti passo passo in questo sport, insegnando le basi della navigazione in vela (sempre sotto il loro controllo, ma lasciando condurre la barca ai partecipanti).

Ciò che ci piace della Scuola di Mare Santa Teresa non sono solo le proposte per tutti (sempre in sicurezza e con maestri preparati, attenti alle esigenze di tutti), ma anche il loro amore spassionato per l’elemento acqua e il mare, che trasmettono a tutti i loro allievi e che si manifesta anche nel fatto che la Scuola non è aperta solo in estate. La Scuola di Mare Santa Teresa, infatti, ci tiene moltissimo a promuovere il mare anche nei mesi invernali (e anche noi lo amiamo moltissimo!). Non solo: ha stretto collaborazioni con vari enti per la salvaguardia dell’ambiente marino, tra i quali One Ocean, Sea Sheperd, WWF Travel, Verdeacqua e ARPAL.

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Giulia Mandrino

8 mamme natural che ammiriamo

Venerdì, 13 Luglio 2018 07:26

Le mamme dello show business non sono solo botox e mondanità. Per ognuna di queste ce ne sono molte altre che possono essere per noi un esempio di come carriera e maternità possano convivere e di come le priorità familiari possano essere sempre al centro della nostra vita. Sono mamme che fanno del natural il proprio cuore, che trasmettono ai figli l’amore per la natura, ma anche quello verso se stessi, che sanno prendersi tempo per sé senza mai rinunciare al tempo di qualità in famiglia. Certo, per loro è un po’ più facile, ma perché non fermarci un attimo ad apprezzare delle personalità che portano una ventata di aria fresca tra le pagine dei rotocalchi?

8 mamme natural che ammiriamo: le mamme più ammirevoli del mondo del cinema e della tv, da Gwyneth Paltrow a Zooey Deschanel

Gwyneth Paltrow

Che ci piaccia o meno come attrice, Gwyneth è un po’ l’emblema della mamma moderna. Lo testimonia il suo seguitissimo blog, Goop, nel quale parla di beauty, alimentazione sana, viaggi, benessere e lavoro. Ma il suo essere moderna ce lo mostra anche nel rapporto con il suo ex marito, Chris Martin: i due si sono lasciati, ma sono riusciti ad allargare la famiglia e ad essere sempre presenti per i figli.

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Jessica Alba

È recente la notizia di una sua iniziativa che ci è piaciuta moltissimo: lo scorso maggio Jessica Alba, in occasione della Festa della Mamma, ha donato un milione e mezzo di pannolini alle mamme in difficoltà. Un gesto bellissimo e concreto che mostra l’umanità dell’attrice e il suo essere vicina alle mamme di tutto il mondo. Jessica ha tre figli (Honor, di nove anni, Haven, sei, e Hayes, 1), e non esita a postare loro fotografie sui social mostrando come il suo obiettivo principale sia la vita in famiglia. Lo aveva detto in un’intervista a Vanity Fair: per bilanciare lavoro e famiglia bisogna quasi essere MacGyver, ma l’importante è provarci e riconoscere i propri errori quando si sbaglia.

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Zooey Deschanel

Al di là del fatto di essere uno dei volti più acqua e sapone e una delle personalità più semplici del mondo dello show business, e oltre ad aver chiamato i propri figli con dei nomi meravigliosi (la prima bimba si chiama Elsie Otter, ovvero Elsa Lontra, mentre il secondo Charlie Wolf, Carlo Lupo), ciò che amiamo di Zooey Deschanel è il suo amore per la natura, che non mostra solo attraverso la buffa scelta dei nomi dei figli ma attraverso le tantissime iniziative a favore degli oceani alle quali partecipa e che diffonde sempre attraverso la sua pagina Instagram.

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Johanna Maggy

La compagna islandese di Fabio Volo è tra le nostre mamme preferite: due figli, un compagno super impegnato e impegnata a sua volta con il suo stupendo blog Mother’s Spell, Johanna ama lo yoga e l’alimentazione naturale. E poi ama stare all’aria aperta, come spiega sulla pagina “About me” del blog: Mi chiamo Johanna Maggy Hauksdottir, sono nata e cresciuta in Islanda ed amo definirmi una persona molto curiosa. “Fin da bambina, a dispetto di qualsiasi condizione climatica, io stavo all’aperto. Immersa nella natura, giocando con tutti gli elementi che la mia terra poteva offrire. La mamma sapeva esattamente dove trovarmi ed ogni giorno faceva una gran fatica per farmi rientrare anche solo per mangiare o dormire: io volevo trascorrere più tempo possibile fuori, non importava se stessi giocando da sola, con i miei fratelli o con gli amici. Stare all’aria aperta è stato, è e sarà sempre la condizione in cui mi sento più felice”. Una condizione che trasmette ai suoi figli e che vuole trasmettere a tutti dopo la sua esperienza di maternità: “Mai avrei immaginato la quantità di potere che abbiamo, noi donne. È incredibile come si riescano ad attraversare, in modo così naturale, momenti di dolore e di immensa bellezza che giorno dopo giorno definiscono questo percorso. Dall’inizio alla fine. Ho quindi iniziato a studiare in profondità qualsiasi elemento riguardante la salute e la nutrizione di donne, madri e bambini”.

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Olivia Wilde

Spesso le mamme VIP approfittano della loro posizione per spingere concetti decisivi sulla maternità ancora bistrattati. È il caso di Olivia Wilde, che tempo fa postò sulla sua pagina Instagram un bellissimo Brelfie per parlare di allattamento, marcando la realtà diversa dalle solite pubblicità di mamme sorridenti con il tiralatte, per fare capire quanto l’allattamento sia naturale e quanto sia normale che il corpo di una donna cambi. Non serve perfezione in questo mondo, solo realtà!

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Gisele Bündchen

Il suo profilo Instagram è zeppo di yoga, acque detox e meditazione, oltre che di incredibile bellezza. Gisele è una delle modelle più straordinarie al mondo non solo per il suo fisico ma anche per il suo essere così naturale e alla mano, caratteristiche che applica anche al suo essere mamma. E per lei essere mamma è anche trasmettere ai figli i valori più importanti della vita. Non a caso nella giornata internazionale della donna postò una foto con sua figlia riportante queste parole: “Più amore, più compassione, più rispetto, più uguaglianza, più supporto. Il mio augurio è che possiamo darci l’un l’altra e dare agli altri ciò che noi stesse vorremmo vedere maggiormente nel mondo. Buona Festa della Donna a tutte le donne!”.

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Bianca Balti

Anche lei, come Olivia Wilde, non s’è mai tirata indietro quando si trattava di postare Brelfie o di allattare in luoghi pubblici (come la spiaggia), rivendicando il suo diritto a nutrire i suoi figli come madre natura ci ha dotate. “Allatto la mattina, allatto la sera, allatto in privato ed allatto in pubblico. Mia mangia anche la pappa, ma con l’allattamento ci facciamo le coccole. Con Matilde avevamo smesso ai 10 mesi, preferiva ciucciotto e biberon. Mia preferisce così. Bisogna accettare le mamme che non provano neppure ad allattare per 2 giorni, ma quelle che allattano bambini coi denti non vanno bene. Va bene dare ai bambini il latte delle mucche che natura ha creato per i vitellini, ma il latte della mamma dopo una certa no!”. E poi non ha mai nascosto le difficoltà della gravidanza e dei chili in più che questa porta, rendendoli, anzi, naturali e unici: “#tbt to when I was 50pounds heavier and my heart was exploding with joy!” è una delle sue più belle frasi: “#tbt a quando pesavo 20 chili in più e il mio cuore esplodeva di gioia!”.

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Pink

Non servono altre parole se non quelle che lei stessa ha pronunciato in occasione deigli MTV Video Music Awards 2017, per insegnare alla figlia ad accettare sempre la propria natura e il proprio essere. Qui trovate l'articolo.

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Giulia Mandrino

Guardiamo i nostri bambini e ci sentiamo immensamente grate. Siamo fortunate ad averli nelle nostre vite, abbiamo un’immensa fortuna, che è quella di conoscere queste personcine favolose. Siamo fortunate anche quando le difficoltà della vita ci provano, e lo sappiamo sempre. Ma è anche normale dimenticarsene, a volte. Perché siamo esseri umani e persone, prima che genitori.

La nostra fortuna esiste in ogni momento, è lì con le sue guance paffute che ci guarda.

È normale dimenticarsi delle nostre fortune, ma loro sono sempre lì: i figli sono una benedizione che ci renderà fortunate per tutta la vita e sono le piccole e le grandi cose a ricordarcelo

Siamo fortunate, dicevamo. Siamo fortunatissime, perché per quanto difficoltose siano le nostre vite i nostri bambini sanno sempre come riempirle, come distrarci, come metterci alla prova (in negativo e in positivo) e come completarci.

Ma capita di dimenticarsene. Capita che scordiamo la nostra fortuna, e quando accade è sempre nei momenti più strani. Più insignificanti. Succede nei momenti quotidiani di stanchezza, di noia, d’abitudine.

Capita quando la domenica mattina una voce ci sveglia alle 6 in punto, quando avremmo potuto finalmente riposare fino alle 10.

Capita a colazione, mentre i bambini ridono e tuffano i biscotti appena preparati nel loro tè ma noi siamo già con la mente alla giornata che abbiamo davanti, con gli impegni da incastrare e i passaggi in macchina da organizzare e la spesa da fare e le telefonate di lavoro da pigiare tra un impegno e l’altro.

Capita quando i bimbi ci raccontano un sogno, o una fantasia, nella quale mostri e dinosauri si susseguono e noi perdiamo il filo. O quando alla sera urlano “scenetta!” e noi dobbiamo stare a guardarli con interesse mentre la nostra mente purtroppo pensa ad altro (finché vedendo i sorrisi e la felicità non capitoliamo e lasciamo che ci si sciolga il cuore di orgoglio!).

Capita nelle giornate estive, mentre i nostri figli giocano nel prato e noi beviamo un tè freddo organizzando le bollette e le scadenze (finché i bimbi cominciano a coinvolgerci: “Io ero una cuoca e tu la cameriera, va bene mamma? Giochiamo al ristorante?”, e in quel momento non possiamo fare altro che scivolare felicemente nella loro stupenda fantasia).

Ma non è una colpa, dimenticarsi di essere fortunate; è la mente umana. Ciò che dobbiamo fare è ricordare tutte quelle cose che sappiamo renderci fortunate. Riportare alla mente i momenti più belli della nostra vita, quelli che coinvolgono la nostra famiglia. E essere sempre certe che i nostri bambini sappiano che ci sentiamo fortunate, perché nonostante tutto sono anche loro a dipingere la bellezza della nostra vita.

Ricordiamo lo sguardo del nostro partner il giorno delle nozze, o il colpo di fulmine il giorno in cui l’abbiamo conosciuto, o, ancora, il bellissimo processo che ci ha portato ad innamorarci del padre dei nostri bambini.

La prima volta che abbiamo posato gli occhi sui nostri bambini il giorno in cui sono nati, tutti sporchi e in lacrime ma meravigliosi in tutto il loro splendore. O il giorno in cui li abbiamo incontrati per la prima volta, perché è stata una gravidanza di cuore anche se non di pancia.

Le loro guance piene, profumate e stupende, anche quando pasticciate di cibo.

Il loro saltare nel lettone dopo un brutto sogno (che anche se siamo esauste e irritabili in quel momento passa tutto, perché un nostro abbraccio è la cura).

Il loro esserci sempre, anche quando sono terribili, anche quando dobbiamo fare i salti mortali, anche quando la stanchezza ha il sopravvento. Perché un loro sorriso guarirà praticamente tutto e dentro di noi lo sappiamo benissimo.

Giulia Mandrino

Il nostro cervello influenza moltissimo il rapporto madre-figlio (ricordate l’articolo che parlava del perché le mamme solitamente portano i bambini sul fianco sinistro?). Non solo a livello emotivo, ma anche fisico. Ovvero: le connessioni neurali, gli ormoni e mille altri fattori influiscono notevolmente sulla nostra vita e sul nostro sentire. Anche nel caso dell’accudimento dei nostri bambini: siamo geneticamente predisposte per farlo e a confermarlo è uno studio che mette in luce come il pianto del proprio neonato susciti nel cervello di una mamma una reazione unica.

Cosa accade nel cervello di una mamma quando un bambino piange: la reazione cerebrale al pianto di un bambino è diversa nelle donne e negli uomini

Lo studio di cui stiamo parlando è stato pubblicato sulla rivista Nature ed è stato condotto dai ricercatori Bianca J. Marlin, Mariela Mitre, James A. D’amour, Moses V. Chao e Robert C. Froemke. In questo studio il tema è l’ossitocina e come questa attivi un comportamento materno, bilanciando l’inibizione corticale (ovvero, limitando le inibizioni della corteccia celebrale). Cosa significa? In parole un pochino più comprensibili, che l’ossitocina è la responsabile dell’istinto materno, ossia dell’attivazione di certi comportamenti che altrimenti non verrebbero stimolati.

Lo studio è stato così condotto: aggiungendo ossitocina nell’organismo di alcuni topi femmine, si è notato che in loro cambiava il modo con il quale reagivano al suono del pianto di un cucciolo, aiutandole a riconoscerlo e rispondere meglio ad esso. L’ossitocina è un ormone rilasciato dal corpo in dosi massicce durante il travaglio e il parto, che secondo molti (e questo studio lo conferma) è “l’ormone della maternità”, poiché in effetti aumenta la sensibilità verso i bambini e in particolare verso il loro pianto. Quando una madre sente il pianto del suo bambino, quindi, l’istinto naturale è quello di aiutarlo poiché il pianto è per le sue orecchie un segno di pericolo e di bisogno di aiuto.

L’ossitocina aumenta questo istinto, lo amplifica, facendo sentire alla madre insieme al pianto un senso di urgenza, un bisogno di correre in aiuto del proprio bambino. E, con il tempo, sarà sempre l’ossitocina a renderci più consapevoli dei bisogni dei bambini. Ovvero: ogni pianto corrisponde a un bisogno e pian piano la mamma acquisirà la capacità di decifrarlo.

Un’altra ricerca che sembra confermare questa teoria è quella pubblicata su NeuroReport dal titolo “Gender Differences in Directional Brain Responses to Infant Hunger Cries”, condotta da Nicola De Pisapia Marc H. Bornstein, Paola Rigo, Gianluca Esposito, Simona De Falco e Paola Venuti. Il titolo suggerisce già lo scopo dello studio: “Le differenze di genere nelle risposte direzionali del cervello ai pianti di fame di un bambino”. Ciò che i ricercatori volevano capire era se il cervello degli uomini e delle donne rispondesse in maniera diversa al pianto di un bambino. E in effetti è così.

I risultati parlano chiaro: il cervello delle madri ha una sensibilità maggiore al pianto di un neonato rispetto a quello dei padri e a confermarlo sono i cambiamenti neurologici che sono stati osservati in 18 donne e 18 uomini. Nel momento in cui sentivano il pianto di un neonato, nelle donne è stato osservato un cambiamento immediato, un’immediata urgenza, mentre l’attività cerebrale dei padri non variava.

Questo studio può essere confermato da vari genitori. Spesso è la mamma a svegliarsi per prima e a chiamare il papà durante la notte. Tuttavia la maggior parte delle volte sono anche i maschi a svegliarsi. Questo perché indipendentemente dalla risposta cerebrale il pianto di un neonato è biologicamente programmato per essere sentito sia dalle donne che dagli uomini anche durante il sonno. Ecco perché veniamo svegliati entrambi. A cambiare sarà però la risposta.

Insomma, il suono del pianto di un bambino penetra nel nostro cervello a prescindere dal sesso, ci sveglia entrambi, ma l’ossitocina instilla certamente nelle madri un senso di cura più profonda, un’urgenza maggiore e un senso di emergenza più percepibile.

Giulia Mandrino

Giardino a misura di bambini

Martedì, 10 Luglio 2018 14:25

Il giardino è un’area che valorizza la casa, ma, allo stesso tempo, è un luogo in cui i più piccoli possono giocare, passare tempo all'aperto, e apprezzare la natura. Organizzarlo nel modo giusto è importante per assicurare un posto sicuro e pieno di attività da svolgere. Ovviamente, a seconda dell’età dei bambini e dello spazio che hai a disposizione, le opzioni sono diverse.

Giardino a misura di bambini: come organizzare lo spazio esterno per sfruttarlo al meglio in famiglia

Una buona base da cui iniziare è il prato. Adatto ai bambini di tutte le età, permette loro di andare in giro per il giardino a piedi nudi e passare all’aperto le giornate soleggiate.
Anche una piccola sabbiera può essere divertente per i più piccoli. Potranno giocare, costruendo castelli di sabbia, proprio come al mare.

Anche per progettare impianto di irrigazione bisogna tenere in considerazione che tubi in giro e rubinetti possono essere pericolosi. Per fortuna oggi esistono sistemi di automazione, da gestire attraverso touchscreen da casa e con irrigatori pop-up che, quindi, fuoriescono dal terreno solamente quando necessario.     
Quando installi un nuovo impianto, potrai anche avere modo di realizzare un piccolo laghetto per il tuo giardino. Solitamente richiede poco lavoro e piacerà molto ai più piccoli.

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Bisogna fare poi particolare attenzione alle aiuole e ad alcune tipologie di piante, che possono avere spine o produrre frutti pericolosi. È importante, inoltre, prendersi cura delle piante con costanza, in modo da non avere rami secchi o che si spezzano facilmente e mantenere l’area al sicuro.

Per farlo, puoi svolgere i lavori di giardinaggio più semplici da solo, o chiamare un giardiniere della tua zona, magari per i lavori più pesanti come, ad esempio, la potatura.
Chiedi anche aiuto ai bambini per i piccoli interventi, come raccogliere le foglie, togliere le erbacce, realizzare un nido o una casetta per gli uccelli o uno spaventapasseri, e magari piantare alcune piccole piantine nell’orto. Avere un angolo in cui far crescere la verdura e magari le erbe aromatiche, infatti, insegnerà loro ad essere rispettosi della natura e, magari, li aiuterà ad apprezzare le verdure anche a tavola.

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Se hai dei bambini con un'età che si aggira attorno ai 5 anni, una casetta in legno per il giardino può essere un’idea interessante. Potrete costruirla insieme, ovviamente con particolari attenzioni, e personalizzarla. Troverai facilmente tutto il necessario in negozi specializzati oppure online. In questo modo, potrete costruirla anche insieme ai più piccoli e personalizzarla al meglio.

Un altro gioco per il giardino è l’altalena, anche questa facile da installare e disponibile in diversi materiali, legno, plastica o metallo. Anche lo scivolo può essere un’ottima idea. Nei mesi estivi, infine, potrai sempre allestire una piccola piscina gonfiabile, ideale per le giornate più calde.

Giulia Mandrino

Condividere” sembra una parola semplicissima. E in effetti lo è, dal nostro punto di vista di adulti. E tuttavia, nonostante la comprendiamo, spesso è difficile metterla in pratica. Non per egoismo, ma perché in effetti nel senso stesso di condivisione c’è un po’ di compromesso.

Provate quindi a pensare a quanto sia difficile per un bambino, se già è difficile per noi. Ecco perché dobbiamo trovare il giusto equilibrio quando si tratta di condividere i giocattoli, gli strumenti da disegno o gli oggetti che stanno usando in un determinato momento con altri bambini ed ecco perché non dovremmo nemmeno spingere troppo alla condivisione. Ma non per un senso semplicemente filosofico o perché “poverini, sono bambini e non capiscono cosa sia la condivisione”, e nemmeno per evitare pianti e urla. No. Semplicemente perché giocare è il lavoro dei nostri bambini e a volte la condivisione è controproducente.

Condividere, un concetto difficile per i bambini che non va forzato: perché è meglio lasciare che i bambini non condividano i loro giocattoli se non gli va e come questo andrà a loro favore per la crescita

I bimbi stanno giocando tra di loro. Uno dei due sta disegnando, l’altro costruendo con i mattoncini. A un certo punto, anche l’altro vuole disegnare e vuole utilizzare proprio la matita che sta usando il primo. Esatto: spesso scatta la tragedia, perché il litigio è dietro l’angolo. A volte i bambini condividono tranquillamente, e questo non accade. Ma, giustamente, se sono impegnati in qualcosa si seccano nel dover porgere l’oggetto all’altro.

Facciamo un passo indietro e per capire mettiamoci nei loro panni: mentre lavoriamo al computer non capita spesso che qualcuno ci chieda il nostro pc, no? E se capita ci infastidiamo anche, giustamente. E se stessimo stirando, ad esempio, se qualcuno ci chiedesse il ferro da stiro proprio in quel momento, per portarcelo via, ci girerebbero le scatole, no? E pensiamo anche solo alla doccia: se la stiamo facendo noi nessuno (solitamente!) entra, buttandoci fuori, perché non ha pazienza di aspettare il suo turno.

Bene: dobbiamo utilizzare questa prospettiva quando vogliamo insegnare la condivisione ai nostri bambini. Ovvero: ci sono momenti nei quali è giusto educarli a questo aspetto nobile e necessario della vita e altri momenti in cui è corretto lasciare che non condividano. E il gioco è uno di questi momenti, perché il gioco è il lavoro di un bambino.

Il messaggio che deve passare è un altro, proprio come accade in molte scuole montessoriane: tutto è condiviso o condivisibile, ma nel momento in cui si è concentrati o si sta lavorando su qualcosa non è giusto fermarsi e lasciare ciò che si sta facendo. Innanzitutto per un motivo di crescita: i bambini stanno imparando in questi anni a concentrarsi e a impegnarsi e distoglierli da ciò che stanno facendo (per quanto per un motivo nobile come la condivisione) è rischioso. Sarà difficile per loro imparare la costanza, se non gliela facciamo provare.

In secondo luogo, questo atteggiamento è producente anche per chi ha bisogno di quel determinato oggetto. Perché la pazienza è un’abilità importante che si impara proprio da bambini e chiedere di attendere un attimo è lecito e anche benefico per chi si ritrova a dover aspettare. Se quella cosa non è disponibile in quel momento, perché un altro bambino la sta usando, l’altro bambino può decidere di aspettare tranquillo, di trovare un’altra soluzione o di cambiare completamente attività, in base a ciò che ritiene giusto o a seconda di cosa ha voglia di fare in quel momento.

La regola, quindi, non deve essere tanto il “non condividere”, che, anzi, è sbagliato. La condivisione è un valore che possiamo insegnare tutti i giorni in mille altre occasioni (e anche attraverso il nostro esempio). La regola che dobbiamo fissare è invece rivolta all’altro, a chi vorrebbe chiedere l’oggetto: se qualcuno è impegnato in qualcosa non disturbiamo e non chiediamo di prestarcelo o passarcelo. Se quell’oggetto sta venendo usato significa che non è disponibile e quindi o attendiamo o cambiamo obiettivo. Prima o poi tornerà disponibile, e solo allora potremo usarlo.

Piano piano i bambini impareranno a frenare la loro impazienza (anche guidati da noi, che faremo un po’ da arbitri tra i due bambini: basterà chiedere all’altro di fare sapere quando ha finito, così da sapere che l’oggetto è disponibile, o fare un esempio di come anche noi dobbiamo attendere il nostro turno sul lavoro), ma acquisiranno anche altre abilità, come il problem solving (trovando altri strumenti che fanno al caso loro in quel momento).

Giulia Mandrino

Sara

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Cecilia

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