Leggere e scrivere per un dislessico non è difficile solo nel momento in cui ci si trova davanti libri e quaderni. È molto faticoso anche sul web, sugli smartphone e sui tablet (anche se, c’è da dirlo, esistono strumenti tecnologici che facilitano molto la lettura), e oggigiorno è impossibile non pensare ad una situazione del genere.

E se esistesse una App in grado di facilitare la lettura e renderla accessibile e piacevole a tutti? Grazie a Sinnos, casa editrice impegnata che ci piace moltissimo, ora questa App esiste, insieme ad un sito web che cambierà l’esperienza della lettura a moltissime persone.

“Leggimi”, l’App gratuita che facilita la lettura a chi è dislessico: da Sinnos il font, l’app e il sito web per navigare senza difficoltà a leggere

Innanzitutto, partiamo da coloro che hanno sviluppato questa App: si tratta della casa editrice Sinnos, che oltre a proporre libri per bambini e ragazzi incentrati sull’educazione alla cittadinanza e sull’interculturalità nel 2006 ha messo a punto il font “Leggimi”, un carattere tipografico studiato in collaborazione con insegnanti, neuropsichiatri e logopedisti che permette di leggere con facilità. Un font accessibile, insomma, con il quale vengono stampati i titoli della collana “Leggimi”.

Collana e font si intitolano allo stesso modo, e allo stesso modo si chiama anche la nuova App gratuita per smatrphone che hanno messo a punto.

L’App Leggimi (che è gratuita e che può essere scaricata sugli smartphone IOs - e Android) è nata pensando alle difficoltà di lettura che molte persone incontrano ogni giorno, soprattutto ai giorni nostri, nei quali la comunicazione è molto fitta e leggere su tablet e smartphone è diventato imprescindibile.

Così, grazie ad un progetto finanziato dal bando “Io leggo” della Regione Lazio, la casa editrice (in collaborazione con Pedius) ha potuto sviluppare questa App incredibile. Cosa fa?

Innanzitutto, aprendola e utilizzandola l’utente può applicare il font accessibile Leggimi a tutti i testi che legge sul suo device tecnologico, sia in carattere minuscolo che maiuscolo, a scelta.

Non solo: il lettore può aumentare o diminuire la dimensione del testo in base alla sia necessità, così come aumentare o diminuire la spaziatura tra le righe (che spesso mette in difficoltà).

L’App, infine, fa si che il testo letto venga visualizzato già diviso in comodi paragrafi, un altro stratagemma grafico che facilita di moltissimo la lettura e la rielaborazione mentale del testo che stiamo leggendo.

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(foto tratta da https://www.sinnos.org/leggimi/app/)

Le stesse regole è possibile sfruttarle anche sul web. Come? Semplicemente collegandosi all’indirizzo www.sinnnos.org/leggimiweb. Qui il lettore potrà inserire, nella barra di ricerca, l’indirizzo del sito internet che intende visitare. Grazie a LeggimiWeb la pagina in questione verrà visualizzata non con il font originale, ma proprio con il font più semplice Leggimi!

È talmente semplice da essere geniale, non credete?

Come per la realizzazione della collana letteraria Leggimi, anche l’App e il sito internet per l’accessibilità dei dislessici sono stati sviluppati con un team di esperti neuropsichiatri e logopedisti (oltre che, in questo caso, di programmatori e sviluppatori). Dopodiché sono stati testati da un gruppo di persone, un focus group che ha permesso di migliorare le funzioni.

Giulia Mandrino

La didattica esperienziale

Martedì, 03 Aprile 2018 13:43

Si chiama didattica esperienzale o apprendimento esperienziale. Cos’è? È uno strumento didattico che si basa sulla esperienza, un processo attivo per imparare che parte dall’azione, dalla sperimentazione concreta di situazioni e dall’esperienza diretta dei concetti.

In Italia è poco conosciuto, anche se molti insegnanti, anche senza rendersene conto, utilizzano strumenti che gli si avvicinano. Implementarli significa però dare ai ragazzi strumenti in più non solo per imparare, ma anche per crescere.

Vediamo quindi cos’è l’apprendimento esperienziale e come metterlo concretamente in pratica in classe, per dare un nuovo modo di imparare e di crescere ai nostri ragazzi.

La didattica esperienziale: cos’è l’apprendimento esperienziale, perché è efficace e come poterlo mettere in pratica in classe

Utilizzare la didattica esperienziale significa offrire ai ragazzi degli strumenti che permettono di imparare attraverso l’esperienza cognitiva, emotiva o sensoriale. Ricevendo direttamente e in maniera concreta le nozioni, gli studenti le rielaborano in maniera differente rispetto alla consueta didattica frontale (e cioè quella che fornisce le informazioni in maniera unilaterale, dall’insegnante al ragazzo), affrontando le situazioni, adattando i suoi comportamenti, riorganizzando le teorie (anche sull’esperienza quotidiana) e migliorando così tanto ciò che sa quanto il suo comportamento.

Questo perché ricevendo gli strumenti in maniera esperienziale i ragazzi vivono sulla propria pelle le nozioni, rielaborandole subito e ragionandoci sopra, sfruttando non solo la loro intelligenza, ma anche l’emotività e le capacità considerate meno “scolastiche”.

Il metodo della didattica esperienziale ha quattro padri fondatori, che non hanno elaborato un metodo univoco e preciso ma che con le loro teorie pedagogiche hanno messo le basi per poter parlare di questo metodo di apprendimento.

Si tratta di John Dewey, che (un po’ alla maniera di Maria Montessori) proponeva l’esperienza pratica come metodo educativo (metodo più efficace perché, sperimentando direttamente le situazioni, i bambini ragionano più concretamente); Kurt Lewin, il quale ha sottolineato l’importanza del rapporto tra teoria e pratica; Jean Piaget, che con i suoi studi riguardanti il gioco come azione fondamentale nell’apprendimento del bambino ci ha aperto gli occhi sul ruolo fondamentale dell’esperienza diretta; e infine David A. Kolb, che a partire dagli studi dei suoi tre predecessori ha definito in maniera più concreta la didattica esperienziale.

A suo parere, l’apprendimento del bambino deriva proprio dall’osservazione e dalla rielaborazione dell’esperienza, che entra così nel suo quotidiano, nel suo pensiero, nel suo ragionamento. Il tutto in quattro fasi: la fase delle esperienze concrete; la fase dell’osservazione riflessiva; la fase della concettualizzazione astratta; e la fase della sperimentazione attiva.

Tutto questo si traduce in una didattica che si fonda appunto sull’esperienza diretta. E questo significa varie modalità: le uscite nei musei sono l’esempio più lampante, così come i laboratori manuali (ceramica, falegnameria…), i gruppi di lavoro o le uscite. Queste sono infatti esperienze che i ragazzi fanno direttamente, che li coinvolgono, e che stimolano domande, risposte e nozioni nel momento in cui le si sta vivendo.

Tuttavia non esistono solo le esperienze di questo tipo. Gli insegnanti, infatti, possono ideare moltissimi strumenti per rendere l’apprendimento esperienziale.

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Molto utili sono i cartelloni, i disegni, le scritte, le tabelle e gli schemi sparsi qua e là a scuola. Non solo appesi ai muri, ma sistemati in modo che abbiano una valenza didattica e formativa. Ad esempio, per imparare il sistema solare possiamo rendere i bambini pianeti; oppure l’apertura della porta ricorderà sempre i gradi del goniometro; o, ancora, un bel tappetone da usare quando vogliamo ci renderà la matematica un gioco.

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Non dimentichiamo, poi, la dimensione emotiva, che è molto importante nella didattica esperienziale. Anche fare esperienza della propria interiorità è in questo metodo di vitale importanza. Ecco perché gli insegnanti dovrebbero sempre fare attenzione alle dinamiche dei gruppi di lavoro, ai sentimenti, alle emozioni e alle reazioni della classe. I ragazzi attraverso la didattica esperienziale fanno esperienza diretta di qualcosa e lo rielaborano con tutto il loro essere. Questo provoca in loro qualcosa, ed è proprio questo processo a rendere la didattica esperienziale più efficace: i bambini acquisiranno infatti strumenti utili per tutta la vita e diventeranno capaci di risolvere problemi ragionando, di ascoltare gli altri, di farsi domande, di ammettere quando non capiscono…

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Per integrare ancor di più l’emozione e l’apprendimento delle proprie emozioni applicandolo alla didattica esperienziale, ci sono quindi metodi e strumenti molto efficaci: i laboratori di teatro e di improvvisazione, i giochi di ruolo, i cerchi di confronto, le uscite in parchi avventura che stimolano i bambini ad affrontare situazioni per loro difficili…

In questo senso, per rendere più diretti e concreti gli insegnamenti, per far sì che i bambini li facciano propri e li vivano, per seguire lo stesso metodo di cui parlavamo prima è possibile integrare nella scuola, nei luoghi più disparati, cartelloni, scritte e disegni che ricordino ciò che stiamo imparando.

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(Foto tratte da: https://www.facebook.com/WonderfulEngineering/posts/1695821510509855)

Giulia Mandrino

“What real men cry like”, progetto fotografico che può cambiare il mondo

Un progetto fotografico che può cambiare il mondo: “esagerazione”, direte. Ma siamo convinte che ognuno, nel proprio piccolo, possa fare davvero moltissimo per il nostro pianeta, per la pace, e soprattutto per sradicare convinzioni vecchie di secoli che frenano ancora lo sviluppo sociale e continuano a mantenere vivi pregiudizi e discriminanze che non dovrebbero più esistere.

Maud Fernhold è una fotografa giovanissima e olandese che ci piace da matti perché la sua arte si concentra sui diritti umani, sui bambini e sulla documentazione dei cambiamenti del mondo. Tra i suoi progetti, uno ci sta particolarmente a cuore: “What real men cry like”, e cioè “Come piangono i veri uomini”.

“What real men cry like”, progetto fotografico che può cambiare il mondo: Maud Fernhold mostra come gli uomini veri piangano, ed è un passo importantissimo verso la parità dei sessi

Sembrerebbe una contraddizione in termini, questo titolo. “Come piangono i veri uomini”. Ah sì? E perché finora ci è sempre stato detto che gli uomini veri invece non piangono? No, i veri uomini, i machi, i padri di famiglia, i maschi non possono piangere. Non possono mostrare le proprie emozioni. Non possono mostrarsi “deboli”. Questo ci hanno sempre inculcato.

Ed è per questo che riteniamo che il progetto "What real men cry like" (che potete vedere qui) possa cambiare il mondo: Maud vuole mostrare che i veri uomini possono piangere. Che i veri uomini piangono. Che i veri uomini non hanno paura di mostrare le proprie emozioni e le proprie debolezze, e che è proprio questo che li rende più forti e meno deboli. Maud scoperchia una convinzione vecchia di secoli che potrebbe cambiare la nostra società. Perché spesso le tensioni, le guerre o i diritti civili calpestati scaturiscono semplicemente da uomini (e donne!) che hanno paura a mostrarsi “deboli”, quando non c’è niente di più errato nel farlo.

Il progetto fotografico di Maud Fernhold “What real men cry like” mostra, in una serie di semplicissime, dirette e potenti immagini, uomini che piangono, seguite dai pensieri di ognuno sull'azione del piangere (fun fact: quasi tutti ne parlano come di un punto di forza, perché permette di capirsi meglio e rende più forti). Non donne, non bambini, solo uomini di sesso maschile. Una carrellata di primi piani su sfondo nero nel quale le lacrime, gli occhi arrossati e i nasi che colano colpiscono lo spettatore in maniera potentissima. Perché? Forse perché non siamo abituati a vederli, questi uomini che piangono. E loro sono costretti a nascondersi quando lo fanno.

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Essere sensibili non significa essere deboli. Significa essere umani.

Piangere non significa scoprire il proprio fianco vulnerabile. Significa mostrarsi per quello che siamo.

Mostrare le proprie emozioni non significa dover per forza venire derisi. Significa dimostrare che esternare i propri sentimenti rende più forti, e non più deboli.

Questo progetto ci introduce un argomento per non importante, che è quello dell’insegnamento delle emozioni ai bambini. L’educazione alle emozioni è fondamentale in una società come la nostra, oggigiorno. Spesso a casa non ci si pensa più, e, per quanto una scuola possa essere attenta a questo aspetto dell’insegnamento, questa educazione non può essere delegata solamente agli insegnanti.

Soprattutto, ad essere digiuni di educazione alle emozioni sono i bambini maschi. Non possiamo negare che l’uomo che piange sia ancora stigmatizzato nella nostra società, ma questo dovrebbe assolutamente cambiare. “L’uomo vero non fa trasparire emozioni” è quanto di più deleterio possiamo insegnare ai nostri bambini (soprattutto maschi): il rischio è che crescano in uomini distaccati, autoritari, ma soprattutto poco empatici (nascondere le proprie emozioni produce una sorta di scudo contro tutte le emozioni che stanno intorno), poco ricettivi, poco coinvolti nella vita dell’altro.

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L’intelligenza emotiva, lo sappiamo, è importante tanto quanto quella logica. Non basta quindi insegnare ai nostri bambini a leggere e a far di conto, ma è necessario dare loro gli strumenti per capire i propri sentimenti, per parlare apertamente di ciò che hanno dentro e per non avere timore o vergogna di mostrare le proprie vulnerabilità!

Predichiamo moltissimo riguardo alla parità dei sessi. Avere gli stessi diritti non significa solo lavare i piatti con la stessa frequenza o avere la stessa paga (sacrosanti diritti), ma anche poter piangere allo stesso modo.

 

Tutte le foto sono tratte da www.maudfernhold.com

Giulia Mandrino

Alla Pinacoteca di Brera con i bambini

Venerdì, 30 Marzo 2018 14:36

Chi l’ha detto che i musei sono solo per adulti? Chi l’ha detto che i bambini non sanno apprezzare l’arte perché sono troppo piccoli? Anzi! I bambini spesso comprendono più di noi adulti i sentimenti e la creatività dell’arte più disparata, e portandoli fin dall’infanzia nei luoghi dell’arte è quantomai raccomandato!

Tra i musei e gli spazi d’arte che offrono esperienze per i bambini c’è la Pinacoteca di Brera, luogo milanese tra i più magici. Ci avete mai portato i bimbi?

Alla Pinacoteca di Brera con i bambini: l’offerta culturale dedicata ai bambini della Pinacoteca di Brera

Brera è sinonimo di arte. Da sempre. E portarci i bambini è un’esperienza favolosa. Innanzitutto, possiamo programmare una visita “semplice”, nei giorni di apertura della Pinacoteca (è visitabile dal martedì alla domenica dalle 8.30 alle 19.15), passeggiando tra le sale con la nostra famiglia e scoprendo ad ogni angolo i capolavori che ospita.

In alternativa, possiamo affidarci a tutte le proposte che la Pinacoteca di Brera offre per l’infanzia. L’educazione attraverso l’arte sta molto a cuore alla Pinacoteca, che organizza eventi, lezioni e visite apposta per i bambini!

Per i bambini e le famiglie, ad esempio ci sono le visite e gli approfondimenti gratuiti, intitolati “Brera si racconta”. Le scuole, poi, possono prenotare visite o partecipare a progetti specifici, “Alla scoperta di Brera” oppure “A Brera anch’io”. Ogni settimana, quindi, sono previsti laboratori tematici curati dallo staff dei Servizi Educativi della Soprintendenza.

In particolare, sul sito possiamo sempre trovare, aggiornate, le attività proposte per i bambini e le famiglie. Basta visitare questa pagina. Nei prossimi giorni, ad esempio, è possibile partecipare a due laboratori super interessanti, divertenti per i bambini e finalizzate a scoprire la Pinacoteca e a mettere in gioco la propria creatività.

L’8 aprile 2018, dalle 10 alle 17.30, sarà dedicato a “Disegniamo l’arte. Una sfida al Museo”: entrando al museo (al costo del biglietto di ingresso - intero euro 5,00; ridotto euro 2,50, tra i 18 e i 25 anni; gratuito per i cittadini dell'Unione Europea fino ai 18 anni e oltre i 65) sarà possibile ritirare fogli e matite sulle quali disegnare i soggetti più bizzarri. Dopodiché si entrerà nel museo per scoprire come gli artisti più importanti hanno interpretato gli stessi soggetti nelle loro opere! Non c’è bisogno di prenotazione.

È bene prenotare invece l’evento del 14 aprile 2018: “Colora i colori” sarà dedicato a scoprire le interazioni tra i colori e tra le tonalità, imparando a conoscerli tutti e scoprendoli dal vivo anche attraverso le opere esposte, carpendone tutti i significati. Il laboratorio si terrà a partire dalle 15.30.

Il 21 aprile, invece, è tempo di “Volume e prospettiva” (sempre dalle 15.30), laboratorio per scoprire le tecniche utilizzate dai pittori per rappresentare la lontananza e gli oggetti lontani e vicini. Il tutto osservando le opere della pinacoteca, ma anche sfruttando la console Nintendo affinché i bambini creino da loro la loro prospettiva spaziale.

Giulia Mandrino

Come rendere piacevole l’ora della nanna

Venerdì, 30 Marzo 2018 12:41

Faticano a separarsi, piangono, non riescono a dormire, fanno incubi: sono moltissimi i bambini che passano, prima o poi, la fase del dramma dell’andare a dormire. Non ce la fanno proprio a viverla serenamente, e nella maggior parte dei casi il co-sleeping fa miracoli. Tuttavia il co-sleeping potrebbe non bastare, perché anche quando sono nel lettone i bimbi sembrano soffrire il momento. Perché addormentarsi è comunque sentito come una qualche forma di separazione (dal mondo, da mamma e papà) e per questo l’inquietudine non passa.

Co-sleeping o cameretta da soli, insomma, dobbiamo cercare certi gesti che rendano più piacevole, normale e rassicurante il momento dell’andare a dormire, l’ora della nanna.

Come rendere piacevole l’ora della nanna: i gesti da compiere per trasformare l’incubo dell’andare a dormire in qualcosa di naturale, delicato, rassicurante e più semplice

Innanzitutto, sappiamo che le routine e i gesti abitudinari sono fondamentali per i bambini. Ecco perché cercare una routine familiare da ripetere ogni sera è il primo passo per rendere più semplice l’andare a letto. Lavarsi i denti, mettere il pigiama, leggere una storia insieme, fare le coccole, giocare con i pupazzi nel letto… Ognuno ha le sue abitudini; l’importante è mantenere l’ordine dei gesti e ripeterlo sempre. Avere dei punti fissi rassicura molto i bambini, che piano piano si rendono conto che anche se si addormenteranno poi si risveglieranno in casa, vicini (più o meno, a seconda della modalità con la quale dormiamo) ai genitori. Un consiglio: non creiamo solo noi genitori questa routine, ma scegliamola insieme ai bambini, lasciando che esprimano le loro preferenze, in modo che si sentano coinvolti.

Ciò che è importante, inoltre, è l’arrivare a questa routine rilassati, ogni sera. Cosa intendiamo? Intendiamo dire che sarebbe meglio cominciare questa routine almeno 30-45 minuti prima dell’effettiva entrata nel letto. La routine serve infatti anche a calmare i nervi, a rilassarsi e a rallentare in modo da non arrivare nel letto ancora agitati dalla giornata. Se concentriamo la routine in 5-10 minuti non avrà nessun senso, ma sarà, anzi, controproducente, perché il bambino, ormai nel letto, sentirà di avere ancora energia da scaricare e faticherà molto di più a prendere sonno.

Se proprio si sentono esagitati come non mai (capitano quei giorni!) non comportiamoci cercando di seguire la routine alla lettera, ma seguiamo comunque il loro bisogno e lasciamo che si sfoghino. E facciamolo insieme a loro! Una battaglia con i cuscini, una canzoncina, saltare sul letto… Magari, quella particolare sera, hanno proprio bisogno di quello per tranquillizzarsi, e non farlo significa farli sentire incatenati e quindi più nervosi!

Lasciare scegliere è un altro consiglio: all’interno della routine (che già abbiamo costruito insieme, genitori e bambini) possiamo lasciare che i bambini scelgano il pigiama da indossare, la coperta con la quale coprirsi, il libro da leggere, il peluche da stringere… Il concetto è lo stesso: li farà sentire più coinvolti e più responsabili delle proprie scelte, e questo piccolo dettaglio aumenterà l’autostima e l’indipendenza, elementi fondamentali dal punto di vista psicologico di un bambino.

Ricordiamo poi che avere orari è importante, ma è ancora più importante il buonsenso. Ecco perché è bene avere un orario di riferimento per andare a letto, ma questo orario non è granitico o irremovibile: se i bambini stanno svolgendo qualcosa, se sono concentrati o se stanno per finire un’attività, non interrompiamoli ma attendiamo un attimo. Lasciare le cose a metà potrebbe infatti avere un effetto negativo, rendendo il bambino nervoso e facendogli provare una sensazione di non finito che interferisce con il sonno e la tranquillità.

A volte, poi, basta pochissimo. Bastano quei gesti che più associamo con l’amore, la serenità e la tranquillità. Ad esempio? La meditazione, da provare insieme (respirando ad occhi chiusi allo stesso ritmo o sperimentando le posizioni più dolci dello yoga).

Ma soprattutto bastano le coccole: coccolare il proprio bambino gli fa sentire la vicinanza, lo rassicura, lo fa sentire parte di noi, e gli fa sentire che ci siamo. Non neghiamo, quindi, quando sentiamo che ne hanno bisogno, le coccole e il contatto: è un loro bisogno primario, non un “capriccio” o qualcosa che diventerà “un vizio”!

Giulia Mandrino

Aiutare un figlio dislessico, i primi passi

Venerdì, 30 Marzo 2018 08:12

Rifiutare la realtà, accettare di buon grado, non capire fino in fondo cosa significhi, cercare informazioni a destra e a manca, non capacitarsi: ogni genitore e ogni famiglia reagiscono in modo differente alla diagnosi di dislessia del proprio figlio. Ma indipendentemente dal sentimento provato (che è sempre lecito e legittimo), la cosa da fare è una sola: attivarsi per aiutare il proprio figlio, che ha bisogno di sostegno in questo suo percorso.

Perché la dislessia non è una malattia, ma una condizione, un diverso modo di vedere le cose. La dislessia significa avere una mente che funziona in una maniera particolare, e trovare modi per facilitare i processi mentali è indispensabile.

Una diagnosi di dislessia è una fortuna, è una liberazione: pensate a quanti bambini (e adulti) non sanno di essere dislessici e per questo semplice motivo non trovano una loro dimensione, un loro modo di leggere, un loro modo di imparare, pensando solo di essere in qualche modo fallaci o sbagliati. No, non si è sbagliati, anzi!

Insomma: trovare questo modo personale, questa strategia è fondamentale, e noi genitori possiamo stare passo passo accanto ai nostri figli rendendo il processo molto meno pesante.

Aiutare un figlio dislessico, i primi passi: quali sono le strategie che possiamo attuare per stare accanto e sostenere i figli con diagnosi di dislessia

Innanzitutto, è bene parlarne, perché volenti o nolenti (non possiamo nasconderci dietro un dito) un bambino con dislessia prova sentimenti molto forti nei confronti di questa sua condizione. È bene, quindi, esprimere e lasciare che si esprima, in modo da acquisire consapevolezza, accettare la situazione e trasformarla in qualcosa di positivo e propositivo, per trovare insieme soluzioni e acquisire pian piano autonomia.

Parlarne significa coinvolgerlo, che è fondamentale per l’autostima. Ed essendo i bambini molto curiosi, avranno un milione di domande. Cerchiamo sempre di soddisfare ogni loro curiosità, rispondendo con sincerità e competenza (non trattandoli da bambini che non capiscono nulla ma come persone competenti, come lo è ogni essere umano): si sentiranno più partecipi, anche della vita familiare, e questo avrà effetti super positivi sulla sua psicologia.

Possiamo poi trovare insieme a loro una strategia di studio, ad hoc e personale. Come tutte le persone (mica solo quelle con dislessia!) ognuno di noi ha una sua modalità di studio che ritiene più semplice ed efficace. È consigliato quindi provare con certi metodi che certamente aiutano a imparare più efficacemente rispetto ad altri in caso di dislessia, come attraverso mappe concettuali (a partire dalle immagini per arrivare ai concetti scritti), oppure con disegni e immagini (anche divertenti e che li appassionino, come i personaggi dei libri o dei film preferiti declinati matematicamente, o grammaticamente…), o ancora utilizzando il computer per scrivere, un modo che semplifica davvero a moltissimi la vita.

Aiutarli, però, non significa fare sempre i compiti con loro (o per loro, addirittura!): lasciamo che sbaglino, che provino, e che ci considerino punto di riferimento al quale chiedere, ma senza invadere il loro spazio.

Anche la lettura, fin da subito, è fondamentale, nel senso che è giusto coinvolgere i bambini in questa attività. Non solo a livello scolastico, ma anche quando leggiamo insieme a casa per piacere e svago: coinvolgiamoli, non leggiamo solo noi, ma facciamolo insieme!

Un altro consiglio è quello di sbizzarrirsi con i giochi da tavolo: le carte, il monopoly, il memory e tutti i giochi in scatola sono molto visuali e procedono per immagini, struttura che permette al bambino di sviluppare logica e altre competenze fondamentali per lo studio, in maniera ludica e divertente.

Cerchiamo poi insieme a loro i punti di forza e le capacità personali: impegnarsi in attività in cui eccellono e che li rendono orgogliosi è davvero benefico!

Infine, qualche trucchetto prettamente scolastico e di studio: è utile utilizzare copertine uguali per i libri e i quaderni della stessa materia. È provato, poi, che le ricerche da esporre siano molto efficaci: i maestri possono assegnare ai bambini con DSA un argomento non ancora trattato in classe, da esporre poi con un cartellone (in questo modo i bambini possono imparare e raccontare ai compagni senza timore di essere giudicati, perché gli altri ancora non conoscono l’argomento!). Indispensabile, poi, è lasciare che i ragazzi scarabocchino, anche durante la spiegazione: i segni grafici aiutano moltissimo la concentrazione e l’immagazzinamento delle nozioni. Infine, meglio non sottolineare gli errori con la penna rossa, ma indicarli ai ragazzi e lasciare che loro li correggano: in questo modo non rimarrà loro in mente la parola (o il numero, o la nozione…) errata, ma quella corretta.

Giulia Mandrino

Viviamo in un’epoca che volenti o nolenti è totalmente differente da quella in cui siamo cresciuti noi. La tecnologia, la velocità, le novità… Tutto, alla fine, tocca i nostri figli, che non sono protetti da una bolla incantata ma che in questo mondo (pieno di pericoli ma anche di potenzialità) ci vivono appieno.

Spesso noi genitori non sappiamo come muoverci. O se anche abbiamo le idee molto chiare, dobbiamo fare i conti con una realtà ben precisa: gli strumenti che pensavamo di avere non bastano più per i nuovi problemi.

Per questo abbiamo deciso di partecipare ad un evento che si terrà il 5 e 6 maggio prossimi a Riccione: “Genitori in azione”. E ora vi spieghiamo perché ci sentiamo di consigliarlo vivamente a tutti.

Genitori in azione, un evento imperdibile per i genitori: a Riccione un weekend dedicato alla genitorialità, per acquisire nuovi strumenti indispensabili per l’educazione dei nostri figli

Genitori in azione - crescere figli consapevoli delle proprie potenzialità” è un evento lungo un weekend che si terrà a Riccione, all’Hotel Corallo in via Gramsci 13, il 5 e 6 maggio 2018, organizzato da Younite. Abbiamo scelto con entusiasmo di diventare loro media partner perché riteniamo che questo evento sia assolutamente in linea con la nostra idea di genitorialità consapevole.

Durante il sabato e la domenica saranno moltissimi gli esperti educatori che si susseguiranno sul palco dell’evento. Tutti gli interventi verteranno su un tema a noi caro: quello dell’essere genitori oggi, in un’epoca nella quale gli strumenti che utilizzavano i nostri genitori con noi non sono più abbastanza, per quanto validissimi. Perché? Perché tutto è più veloce, i problemi e le situazioni borderline sono differenti rispetto ad una volta, e in questo senso è importante, da genitori, essere preparati concretamente con risorse valide ed efficaci, tenendo sempre presente il benessere dei nostri figli.

Ciò che dovremo prima di tutto fare è lavorare su noi stessi come genitori, prima di voler agire direttamente sui figli. Questo perché analizzarci a fondo e capire il tipo di genitore che vogliamo essere diventa la prima risorsa che potremo applicare sul nostro metodo educativo, aiutando così i nostri figli ad essere consapevoli delle proprie potenzialità. Una frase, quest’ultima, che non a caso ricorre nel sottotitolo dell’evento: noi di mammapretapoter ripetiamo sempre l’importanza della consapevolezza, nostra e dei nostri bambini!

Attraverso diversi panel, quindi, “Genitori in azione” ci darà i consigli di cui abbiamo bisogno in questa epoca strana ma assolutamente reale.

A parlare saranno otto tra i massimi esperti di relazione tra genitori e figli. Tutto il programma è presente a questa pagina, ma se volete un assaggio potete già segnarvi questi nomi: Nan Cooseman, che porterà un discorso sul linguaggio degli adolescenti quale strumento per comunicare meglio; Matteo Salvo, che illustrerà i migliori metodi per studiare e per sfruttare al meglio le proprie capacità a scuola; Stefano Denna, con il suo panel dedicato alla comunicazione tra genitori e figli (con consigli concreti sul come fare); Sabina Bonardo, vocal coach che ci parlerà di come sfruttare la nostra voce per accompagnare i figli nella vita; Simone Ravalli, per parlare dell’importanza del movimento; Debora Conti, che applicherà la sua Positive Discipline alla crescita dei figli; Kerwin Bradsahw, che parlerà ai padri su come canalizzare al meglio e positivamente la propria leadership; e infine Carina Fusciaro, con un discorso dedicato alle madri e all’importanza di accudire prima se stesse.

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L’evento è dedicato a tutti i genitori di figli di età compresa tra gli 1 e i 18 anni (che possono venire con mamma e papà: ci saranno coach ed educatrici del team Younite che li seguiranno durante le conferenze).

I biglietti sono in vendita fin da ora sulla pagina del sito o qui, con speciali sconti per chi acquista prima della data (prima ci si registra migliori sono gli sconti).

Per i lettori di mammapretaporter c’è inoltre un’altra convenzione: inserendo il codice “mpretaporter” in sede di iscrizione e inviando la prova d’acquisto all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., riceverete in omaggio un pdf scaricabile con 5 ricette di snack sani e divertenti per i vostri figli!

Giulia Mandrino

Il laboratorio per piccoli designer

Mercoledì, 28 Marzo 2018 12:35

(Photo credit: https://www.facebook.com/pg/FondazioneFrancoAlbini)

Il design non è solo per adulti (e lo sappiamo bene, da quando l'anno scorso abbiamo visitato la mostra "Giro giro tondo"!). Soprattutto, non sono solo gli adulti a poter essere designer: i bambini, con la loro creatività prima delle limitazioni che la crescita ci impone (ricordate il nostro articolo "Siamo tutti creativi ma la scuola ci cambia"?), sono naturalmente dei creativi, dei designer, degli architetti e degli artisti.

Il prossimo sabato 14 aprile ci sarà una giornata dedicata proprio ai piccoli designer, per provare concretamente, giocando, cosa significa lavorare con la propria creatività (ma anche con un po' di logica!): la Fondazione Franco Albini propone infatti FFA Kids Lab, un viaggio per bambini alla scoperta dell'architetto italiano che amava definirsi "artigiano".

Il laboratorio per piccoli designer: alla Fondazione Franco Albini la giornata per bambini dedicata alla scoperta del design

La giornata dedicata al design per bambini si intitolerà FFA Kids Lab. Si terrà nel pomeriggio di sabato 14 aprile nella storica sede di via Telesio 13 a Milano (a partire dalle ore 15) e avrà un costo di 10 euro a bambino (solo su prenotazione! Se vi interessa, quindi, inviate una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).

I laboratori che si susseguiranno avranno un focus comune, che è il metodo di lavoro ideato proprio dall'architetto Franco Albini, tra i più importanti creativi del Novecento, che si muove attorno a quattro capisaldi:

- la ricerca dell'essenza

- la scomposizione e la ricomposizione

- la verifica continua di una prima idea

- il senso del collettivo.

Tutti punti, questi, utilissimi quando si svolgono mestieri creativi ed artigianali, e per questo interessantissimi per i bambini che amano la creatività e che vorrebbero non solo sperimentare e realizzare, ma anche capire cosa sta dietro ad un'idea, dietro ad un prodotto creativo finito.

Si partirà con un laboratorio speciale, quello dedicato alla ricerca dell'essenza (che è il primo punto del metodo): per indagarlo a fondo sarà presa in considerazione la bellissima Radio di Cristallo di Franco Albini, tra i suoi oggetti più iconici (che affascina moltissimo i bambini): una semplicissima radio (di quelle di grandi dimensioni di una volta!) assolutamente funzionante i cui componenti sono messi in bella vista grazie alla scatola di vetro che li contiene. Dove sta la ricerca dell'essenza? Proprio nella valorizzazione del contenuto a discapito del contenitore, che addirittura qui quasi scompare. 

Gli altri laboratori mostreranno quindi ai bambini come si traducono concretamente i concetti di scomposizione e ricomposizione, verifica continua e senso del collettivo.

Tutte le informazioni sulla Fondazione Franco Albini e le attività che propone le potete trovare su www.fondazionefrancoalbini.com.

Giulia Mandrino

I 12 sensi nella pedagogia steineriana

Mercoledì, 28 Marzo 2018 09:24

Nella pedagogia steineriana, o pedagogia Waldorf, c’è un concetto davvero molto interessante: secondo Rudolf Steiner i cinque sensi ai quali siamo abituati a riferirci parlando dell’essere umano non sarebbero sufficienti. Esisterebbe infatti una più vasta gamma di sensi: Steiner ne individua addirittura dodici.

I dodici sensi di Steiner partono da un presupposto: ne esistono molti di più rispetto ai cinque associati ai nostri organi sensoriali. Questi cinque sensi, infatti, vengono presi uno per uno, senza interazione. Ma mettendoli in relazione scopriremmo che la sensorialità è molto più complessa e ciò che noi percepiamo può essere suddiviso in più categorie rispetto ai soliti vista, udito, tatto, gusto e olfatto.

Ma vediamo meglio di cosa si tratta quando parliamo dei 12 sensi di Steiner. Conoscendoli, potremo essere più sensibili e consapevoli della percezione dei bambini, indirizzando gli insegnamenti in una direzione più consona e coinvolgendoli in maniera più profonda.

I 12 sensi nella pedagogia steineriana: perché secondo Rudolf Steiner vista, udito, tatto, olfatto e gusto non bastano per inquadrare la sensorialità dell’essere umano

I 12 sensi inquadrati da Rudolf Steiner sono i seguenti:

Tatto: È la risposta mentale ad un contatto con il mondo esterno ed è anche detto “senso della cute”, ad indicare l’importanza del tocco.

Gusto: Simile al tatto, è la risposta al contatto con un sapore, che è ascoltato e saggiato direttamente.

Vista: Attraverso gli occhi, si trasferiscono le immagini provenienti dal mondo esterno all’interno del nostro corpo.

Udito: Non è solo il trasferimento dei suoni provenienti dal mondo esterno (come la vista, ma attraverso le orecchie), ma è il senso attraverso il quale, insieme alla vista, capiamo gli oggetti esterni, poiché a seconda del suono che producono e riflettono possiamo capirne la forma, il materiale e molte altre caratteristiche.

Olfatto: Un senso che ci relazione con il mondo esterno ascoltando gli odori trasportati dall’aria attorno a noi.

Vita: Il senso della vita è semplicemente la sensazione di vita, di essere vivi, del proprio benessere.

Movimento: Un senso che si relaziona profondamente con la propriocezione, e cioè l’autoconsapevolezza corporea, poiché è attraverso esso che ci rendiamo conto internamente di come le nostre parti si muovono nel mondo e di come sono in relazione le une con le altre.

Equilibrio: Direttamente collegato al senso di movimento, il senso di equilibrio è fondamentale per l’orientamento nel mondo, attraverso le direzioni principali (alto, basso, destra e sinistra).

Calore: Collegato al tatto e alla cute, ci permette di capire il calore proveniente dal mondo esterno e quello degli altri corpi o oggetti.

Linguaggio: Il senso del linguaggio è anche detto capacità di parlare, ma non significa propriamente capacità di parola, perché riguarda più la capacità di comunicare e percepire, leggere, udire e parlare.

Pensare: Senso (detto anche senso dei concetti) attraverso il quale non siamo consapevoli solo dei nostri pensieri, ma anche di quelli delle altre persone (un po’ a livello empatico).

Ego: È il senso di se stessi, dell’io, quello attraverso il quale non solo sentiamo noi stessi (quello è più il senso del movimento, anche interno), ma soprattutto sentiamo l’io dell’altro, individuandolo e scorgendone l’individualità. È essere consapevole dell’altro oltre che di se stessi.

Giulia Mandrino

Emisfero destro, nei bambini si sviluppa prima

Mercoledì, 28 Marzo 2018 07:50

Emisfero destro, emisfero sinistro: i due lati anteriori del nostro cervello sono responsabili delle diverse funzioni della nostra mente. Quello destro è quello più istintivo, mentre il sinistro è più logico. Nella vita, a seconda della nostra persona e della nostra attività, gli emisferi si sviluppano in maniera diversa e ne avremo uno più sviluppato dell’altro.

Chi lavora creativamente, dunque, avrà un emisfero destro più sviluppato, mentre quello destro sarà predominante in chi compie operazioni più sequenziali e rigide.

E i bambini? La domanda è lecita, perché il loro cervello nei primi anni è come una spugna. E si è scoperto un fatto non così scontato come si penserebbe: l’emisfero cerebrale destro è quello che si sviluppa prima durante l’infanzia.

Emisfero destro, nei bambini si sviluppa prima: come i bambini nei loro primi anni di vita utilizzano molto di più la creatività rispetto alla logica

“The right brain hemisphere is dominant in human infants”: questo il titolo dell’articolo scientifico a cui ci riferiamo, pubblicato sul "Journal of Neurology". “L’emisfero cerebrale destro è dominante negli infanti umani”, la traduzione. E il suo sviluppo parla proprio di come negli esseri umani durante i primi anni di vita l’emisfero destro sia quello più utilizzato.

Se l’emisero sinistro è quello responsabile del linguaggio, della matematica, della letteratura, dell’analisi e del tempo (quindi di tutto ciò che in qualche modo richiede logica), a quello destro possiamo imputare lo sviluppo dell’intuizione, dell’empatia, della creatività e dell’immaginazione. Potremmo quindi pensare che nei bambini questi due emisferi si pareggino: i bambini sono molto creativi, ma allo stesso tempo stanno imparando e immagazzinando moltissimo, utilizzando molta logica. No? È così, ma a quanto pare tutto passa comunque dall’emisero destro.

Lo studio ha preso in considerazione un fatto scientifico e molto semplice: gli studiosi hanno misurato l’afflusso di sangue ai due diversi emisferi cerebrali nei primi anni di vita (in bambini dall’1 ai 3 anni), scoprendo che il flusso mostra un’innegabile predominanza nell’emisfero destro. Solo dopo i 3 anni l’asimmetria cambia, spostando il flusso (e quindi lo sviluppo dell’emisfero) a sinistra.

“Queste scoperte”, dicono i ricercatori, “vanno a supporto della tesi secondo la quale nell’uomo l’emisfero destro sviluppi le sue funzioni prima di quello sinistro”.

Questo studio è molto curioso: ci permette di capire meglio la natura dell’essere umano, che non è un solo emisfero, ma è entrambi, e lo è a prescindere dalle sue inclinazioni (che si sviluppano più avanti). Inizialmente tutti usiamo l’emisero destro, e successivamente sviluppiamo il sinistro.

La curiosità sta poi nelle peculiarità dell’emisfero destro che sviluppiamo come prima cosa nella nostra vita: dà un’idea dell’essere umano. Perché? Perché l’emisfero destro è quello adibito anche allo sviluppo del nostro essere. “Essere” nel senso di individualità. Di conseguenza, possiamo affermare che l’essere umano prima è, e poi fa (il “fare” è infatti prerogativa dell’emisfero sinistro).

Tutto questo va poi a supporto di altre teorie, come quelle dell’importanza della creatività e del gioco libero. Giocare liberamente, inventando, è quando mai importante per lo sviluppo del cervello e della persona, e lo stesso vale per il disegno, l’invenzione delle storie, la lettura e tutte le attività più creative e ricreative.

Giulia Mandrino

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Sara

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Cecilia

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