Donald Winnicott è un pediatra britannico vissuto nel secolo scorso. Fu anche psicoanalista, e questo connubio di specializzazioni lo portò a diventare uno dei pionieri della scuola delle relazioni oggettuali, ma soprattutto, uno dei più conosciuti teorizzatori sul rapporto madre-bambino e sullo sviluppo psicologico ed emotivo dei bimbi.

Di Winnicott sono conosciute varie teorie, a partire da quella sul contenimento delle angosce del bambino da parte della madre fino a quella degli oggetti transizionali, oggetti che attraverso il rapporto tattile con il bambino lo aiutano nel suo sviluppo psicologico (peluche o coperte, ad esempio, che rappresentano il rapporto con la madre e che aiutano anche con il distacco e con il riconoscimento della soggettività e del mondo, del “me” e del “non-me”).

La sua teoria più conosciuta e discussa (perché ha moltissime implicazioni e dà moltissimi spunti di riflessione), tuttavia, è quella della “madre sufficientemente buona” (o dei “genitori sufficientemente buoni”).

I genitori sufficientemente buoni secondo Winnicott: come, secondo Donald Winnicott, la madre può provvedere ai bisogni del bambino grazie al suo istinto

La teoria di Donald Winnicott sulla madre sufficientemente buona ha un merito: quello di aver liberato le spalle delle madri dal peso, grevissimo, della perfezione. Non esiste una madre perfetta, non esiste l’educazione perfetta. I nostri figli subiranno traumi a prescindere dai nostri sforzi, e di conseguenza aspirare alla perfezione potrebbe solo essere controproducente.

Detto questo, ciò non significa abbandonarli a se stessi. Non significa non tentare di dare loro un’educazione positiva e buona. Non significa non fare il nostro meglio. Significa solo evitare di pensare che se sbagliamo siamo sbagliate noi.

Per Winnicott le imperfezioni fanno parte della madre, e non dovremmo tentare di cancellarle. Perché una madre buona ha già dentro di sé le capacità di essere attivamente presente nella vita del suo bambino trasmettendogli amore e protezione nonostante le preoccupazioni, le passioni forti, le ansie, le incertezze o la stanchezza.

In maniera istintiva la madre sufficientemente buona sa accudire il suo bambino. Sa misurare le cose buone e le frustrazioni inevitabili. Perché per sua natura possiede la “preoccupazione materna primaria”, che le permette di dare al bambino tutto ciò di cui ha bisogno, nei tempi in cui il proprio figlio manifesta questi bisogni.

Winnicott non si limita però alla madre buona. Esiste anche quella “non sufficientemente buona”, certo. Ma in questo caso la condizione è data da una patologia, psicologica, depressiva o di questo genere. In questo caso la madre agisce meccanicamente, senza creatività o adattamento. In questo caso il bambino non solo non sarà protetto dalle angosce della madre (che, quando sufficientemente buona, riesce ad arginarle), ma andrà incontro a pericoli per lo sviluppo psicologico ed emotivo. Perché?

Per capirlo dobbiamo riprende un’altra teoria di Winnicott, quella dello spazio transitazionale. In questo spazio, per un periodo di tempo, il bambino vive, secondo il pediatra, in uno stato di “onnipotenza soggettiva” nel quale è convinto di essere la causa di tutto e di creare e distruggere le cose a proprio piacimento. Anche la madre, in questo spazio, viene percepita dal bambino come un’entità costruita con i suoi desideri. Pian piano, poi, il bambino abbandonerà questa visione per capire che la madre vive indipendentemente da lui e dai suoi bisogni.

Con una madre non sufficientemente buona, tuttavia, il bambino rischia di vivere in un mondo semplicemente presentato fatto e finito dalla madre, che non asseconda i suoi bisogni ma che risponde a questi indipendentemente da quando insorgono.

Insomma: in questa situazione non è la madre ad adattarsi al bambino ma il bambino ad adattarsi alla madre. Il problema è che in questo modo la madre distrugge fin da subito l’esperienza dell’onnipotenza soggettiva del bambino, eliminando anche la creatività nascente e distorcendo la visione del legame tra mamma e piccolo.

Come dicevamo, tuttavia, la madre non sufficientemente buona non è la regola, ma l’eccezione, un’eccezione data dalla psicopatologia. Ciò significa che, quando non in presenza di una situazione di questo genere, le madri possono essere considerate generalmente sufficientemente buone. E come si traduce sulla quotidianità e sull’educazione odierna questa teoria di Donald Winnicot?

Per troppo tempo le madri (e, aggiungeremmo, i padri, in un’epoca nella quale fortunatamente la figura paterna sta prendendo il posto che gli spetta) hanno ceduto ai sensi di colpa di fronte ai propri errori: gli errori, proprio come insegniamo ai nostri bambini, servono per crescere, aiutano a formare la propria coscienza.

Perché quindi fustigarsi quando a sbagliare siamo noi genitori? Meglio rendere questi errori costruttivi. I nostri figli attingeranno da questa nostra tendenza, sapranno vedere che l’errore è solo un errore.

Anche perché Winnicott va oltre, e dice ad alta voce qualcosa che ogni genitore nella vita prima o poi pensa: si hanno molte ragioni per detestare il proprio figlio. Ma questo non significa non fornirgli ciò di cui ha bisogno, non occuparsene con amore o rispondere sempre adeguatamente alle sue richieste. Non significa non amarlo e non significa non essere buoni genitori.

Perché si è comunque buoni genitori, pur non essendo perfetti. Non dobbiamo cercare la perfezione nel crescere i nostri figli, ma dobbiamo sempre cercare di fare il nostro meglio. Essere consapevoli dei propri difetti, dei propri errori e delle proprie mancanze è positivo. Basta non lasciarsi buttare giù da tutto questo o farci sopraffare dai sensi di colpa.

Accettare i propri limiti cercando di migliorarci dove possibile è ciò a cui dobbiamo aspirare. Non alla perfezione, perché non esiste, e perché nella ricerca di essa è troppo forte il rischio di farci male, facendo male ai nostri figli.

E poi, se ci pensiamo, nostro figlio non ha bisogno della nostra perfezione. Ha bisogno di crescere da solo, supportato dalla nostra guida. Non ha bisogno della nostra presenza perfetta per tutta la vita, ma ha bisogno della nostra cura adeguata e del nostro esempio.

Anche guardando ai nostri errori e alle nostre mancanze nostro figlio crescerà. Inizialmente avrà costantemente bisogno di noi, ma pian piano svilupperà un naturale bisogno all’indipendenza, e noi, da genitori buoni e umani, saremo lì a sostenerlo, a supportarlo, a dargli affetto, ma anche a lasciare che faccia esperienza della frustrazione, del dolore, degli errori. Esattamente come facciamo noi.

Giulia Mandrino

Sottile ma morbido, delizioso e soprattutto perfetto per accompagnare ogni nostro piatto e da riempire per pranzi o cene alternative: il pane arabo ci piace moltissimo, e realizzarlo ci dà molta soddisfazione. Ecco la nostra ricetta!

Pane arabo fatto in casa: la ricetta per preparare il classico pane sottile turco con le nostre mani

 

Variare: lo possiamo fare in tanti modi. Come ad esempio sostituire il pane in tavola con uno snack altrettanto delizioso e sfizioso! I grissini fatti in casa sono buonissimi e sono più semplici da realizzare di quanto si creda. Ecco la nostra ricetta dei grissini fatti in casa con farina integrale e olive verdi!

Grissini alle olive fatti in casa: la ricetta per cucinare in casa i grissini con farina integrale e olive

 

I migliori passeggini gemellari

Mercoledì, 18 Aprile 2018 13:08

Un passeggino gemellare deve essere innanzitutto comodo. Deve essere sicuro, maneggevole e compatto. Perché un passeggino gemellare dovrebbe facilitare la vita ai genitori, non complicarla! Quando arrivano due gemellini o due fratellini a distanza di pochi anni, questo strumento (oltre a tutti gli accessori necessari alla vita di un bambino!) è indispensabile. Sappiamo però che nel mare di proposte è difficile scegliere il passeggino gemellare perfetto. 

Ecco perché abbiamo deciso di aiutarvi fornendovi i consigli più utili nella scelta dei passeggini gemellari e proponendovi una selezione dei migliori.

I migliori passeggini gemellari: come scegliere i passeggini gemellari e dove comprarli

Come scegliere un passeggino gemellare? Innanzitutto, deve essere sicuro e rispettare quindi gli standard di sicurezza, soprattutto per quanto riguarda gli agganci per la seduta.

Se avete un’automobile, il passeggino gemellare dovrebbe poi piegarsi in modo da starci in macchina, nel baule. Le ruote dovrebbero quindi essere dotate di un sistema di bloccaggio sicuro e forte e la struttura dovrebbe essere leggera ma robusta.

Da non dimenticare poi gli optional, che sono sempre molto comodi: gli ombrellini laterali, il paravento o il telo antipioggia.

Detto questo, si possono scegliere più tipologie di passeggini gemellari: esistono quelli affiancati, nei quali le due sedute sono posizionate fianco a fianco. In questo caso, è molto utile per i bimbi che amano guardare il mondo mentre passeggiamo, ma è scomodo in alcuni casi, dato che fatica a passare dai corridoi o sui marciapiedi troppo stretti. Tuttavia molti genitori lo ritengono il più comodo e la scelta spesso ricade su questi (che sono anche i più comuni in commercio).

Per tutti i giorni è molto comodo il passeggino gemellare tandem, con le sedute posizionate l’una dietro l’altra. I bimbi, in questo modo, non stanno vicini, ma divisi, ed è quindi meno “personale”, ma è davvero comodo perché stretto e quindi più semplice da spostare sui marciapiedi o in casa (ci passa benissimo dalla porta). Se non amiamo l’idea che i bambini stiano uno dietro l’altro, soprattutto perché il bimbo dietro ha la visuale spezzata, sarà utile scambiarli di posto di tanto in tanto.

Esiste poi il passeggino gemellare divisibile, che può essere diviso nel caso in cui siano due le persone a portarlo.

Infine, ecco i passeggini gemellari duo o trio, fatti apposta per accompagnare i bambini fin dalla nascita: passano infatti dalla culla, all’ovetto fino al passeggino.

Tra i nostri preferiti sta certamente il McLaren Gemellare Twin Techno, omologato dagli 0 ai 36 mesi. È un passeggino gemellare affiancato leggerissimo, che si chiude in un attimo (ed è tranquillamente riponibile nel baule) ed è quindi perfetto per le uscite in famiglia! Anche in città, per la sua leggerezza, è imbattibile. Meno adatto alla neve, alla terra o alla sabbia.

Ottimo è anche il Bebè Confort Dana 2, pensato per i bimbi dagli 0 mesi. È molto maneggevole e lo schienale è regolabile a tre posizioni. Perfetto per la città e per lo shopping!

Molto leggero (chiuso pesa circa 13 chili) è il passeggino gemellare Echo Twin di Chicco: Lo schienale può essere regolato anche in posizione sdraiata (utilissimo per i pisolini!), le ruote sono anche piroettanti (e quindi è super maneggevole) e anche questo è utilizzabile fin dalla nascita.

Dai 6 mesi comodo è il Baby Jogger City Mini Double, a quattro ruote e ancor più leggero (10 chili).

Ha tre ruote, invece, l’Out’n’About Nipper Double: è utilizzabile dagli 0 mesi e la caratteristica principale, quella delle 3 ruote, lo rende manovrabile in maniera davvero, davvero comoda. Utile sia in città sia per le passeggiate.

Anche il BOB Ironman Duallie ha tre ruote, ma è ancor più specifico perché è ideale per i genitori che amano lo jogging: è utilizzabile dai 6 mesi dei bambini, ha lo schienale regolabile e ha il freno a mano. Le ruote non sono piroettanti, ma è fatto proprio per la camminata e la corsa sportiva in famiglia ed è quindi fatto apposta!

Per quanto riguarda i passeggini gemellari tandem, ecco l’ABC design zoom, pensato apposta per la città: per bimbi dai 6 mesi, ha lo schienale regolabile in ben 4 posizioni, l’impugnatura regolabile e una chiusura a libro molto comoda per il trasporto in automobile o per riporlo in corridoio.

Anche il CAM Twin Pulsar è un passeggino gemellare tandem: questo è adatto fin dalla nascita, si chiude a libro stando in piedi da solo, è adattissimo alla città e comprende una borsa fasciatoio, la capottina, i coprigambe, il parapioggia e una cesta portaoggetti.

Parlando invece di passeggini gemellari trio, qui trovate una buona selezione!

Giulia Mandrino

Le fatiche di un dislessico diventano arte

Mercoledì, 18 Aprile 2018 09:30

(Photo credit: Samuele Gamba)

Fatica: probabilmente è questa la parola che associamo più spesso alla dislessia. Perché la dislessia porta questo, porta la fatica. Che non è solo la fatica a leggere o a studiare, ma anche a sopravvivere in una società che ancora (purtroppo) non ha gli strumenti necessari per andare incontro alle esigenze dei dislessici. Soprattutto, è faticoso vivere in una società nella quale la dislessia è ancora vista come una malattia o una mancanza. Un luogo comune da sfatare, assolutamente. Perché la dislessia è semplicemente un modo diverso di vedere le cose, di ragionare. E basterebbe davvero poco per rendere a tutti la vita meno faticosa!

L’arte: ecco una delle vie attraverso cui portare messaggi e smuovere le coscienze. E in merito alla dislessia c’è un artista che ci piace moltissimo, e non solo perché porta la sua condizione sulla tela, ma perché le sue opere sono davvero bellissime. Si tratta di Samuele Gamba e ora vi spieghiamo il suo lavoro.

Le fatiche di un dislessico: l’artista Samuele Gamba e il suo impegno artistico nei confronti della dislessia

Samuele Gamba è dislessico. Ma soprattutto, Samuele Gamba è un artista. La commistione tra questi due suoi lati porta ad una meraviglia: la dislessia raccontata in maniera artistica.

Ha poco più di vent’anni, Samuele, ed è mantovano. E ha fatto della sua arte uno strumento per parlare di qualcosa di cui si parla molto ma di cui si sa poco, generalmente: la dislessia. Con la sua espressività, Samuele riesce a parlare a colpi di pennello della sua fatica, ma anche del suo potenziale, della sua emotività e della sua empatia, che sono propri di tutti coloro che sono affetti da dislessia, ognuno a proprio modo.

Le sue tele contengono colore e segni, ma anche lettere e parole. E come potrebbero mancare? E poi i numeri. Perché la dislessia colpisce anche il calcolo.

Sono opere piene di significato e di espressività, quelle di Samuele. Sì, potremmo dirle espressioniste: perché è attraverso esse che l’artista esprime il suo sentimento nei confronti della dislessia, facendolo esplodere sulla tela, portandolo fuori da se stesso per donarlo al mondo. Ma non è un sentimento propriamente diretto alla dislessia in sé. Piuttosto, sono emozioni riguardanti il sistema scolastico, che ancora troppo spesso non riesce a lavorare con gli alunni dislessici, trattandoli in maniera sbagliata, o accondiscendente o irrispettosa.

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(Photo credit: Samuele Gamba)

Sulla sua pagina Facebook sono pubblicate le sue opere, con bellissime spiegazioni: alcune parlano del dito per seguire le lettere sul libro consigliato da piccolo, altre della fatica a comprendere e ricostruire un testo (si fatica a leggere, e questo fa perdere il filo); ci sono poi il tentativo di trovare una propria strategia, l’importanza della diagnosi (presa un po’ sottogamba dalle scuole)… E infine la decisione di trovare il proprio percorso artistico al di là della scuola, dopo il diploma.

Tutto questo non è un caso: la dislessia è semplicemente un disturbo che colpisce lettura, scrittura e calcolo e che lascia invece intatte le altre funzioni intellettive. I dislessici, quindi, faticano quando intenti in queste attività ma sono assolutamente intelligenti quanto gli altri, se non di più. E dal momento che per imparare ed esprimersi si trovano a dover inventare strategie e a ricorrere ad altri mezzi, spesso l’arte diviene strumento preziosissimo. E se aggiungiamo che nei dislessici sono frequenti empatia, emotività, coordinazione e spirito artistico al di sopra della media, capiamo che è naturale che nelle accademie d’arte e nel settore artistico in generale la percentuale di dislessici sia superiore alla media!

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(Photo credit: Samuele Gamba)

Samuele è solo un esempio, ma ci piace pensare che possa essere non solo utile a chi vuole conoscere meglio la dislessia, ma un esempio per chi è affetto da questo disturbo: non bisogna desistere ma semplicemente trovare la propria strada, la propria espressività.

Giulia Mandrino

1+1= 3 e a casa come ci sistemiamo?

Martedì, 17 Aprile 2018 08:18

Quando stai per diventare genitore sono tante le domande a cui voler trovare risposta e le cose di cui occuparsi. Un tema molto sentito è la progettazione e creazione di uno spazio pensato per quella bambina o quel bambino che sta per arrivare: la sua cameretta.

Il primo aspetto da considerare è che quando lei o lui arriverà, non sarà un ospite di passaggio: cominciare a pensare alla sua cameretta dovrà essere uno dei nostri primi pensieri (anche se sceglieremo di accoglierlo nella nostra camera per il primo periodo o i primi anni).

Qual è quindi la tempistica per l'allestimento della cameretta?

Io consiglio di progettare e allestire la cameretta negli ultimi mesi della gravidanza e prima della nascita della bambina o del bambino, o, in caso di affido o adozione, prima del suo arrivo.
Se ti stai chiedendo perché, considera che prima dell’arrivo non potrai sapere come scorreranno le giornate e successivamente le tue energie saranno concentrate su altro: la priorità sarà conoscervi, coccolarvi, ritrovarvi in un abbraccio. Potreste non avere né tempo né voglia di decidere dove posizionare la sedia a dondolo su cui allattare o il tappeto su cui posizionare il bambino o la bambina a guardarsi intorno le prime volte. Se tutto sarà pronto, sarà più facile.

Soprattutto, consiglio di ascoltare il proprio cuore e le proprie emozioni. È questo il momento in cui dentro di te si sta creando uno spazio mentale e fisico di accoglienza. Non a caso nelle donne in gravidanza, col passare dei mesi, aumenta il senso di attesa e questa attesa diventa parte del quotidiano, in maniera dolce e naturale.

Prova a sederti nella nuova stanza che accoglierà il tuo bambino: guardare con i tuoi occhi ciò che lui vedrà potrà essere utile.

Tieni inoltre vicino a te coloro che stanno condividendo con te questo percorso: osservate insieme la vostra casa e la nuova cameretta da questo nuovo punto di vista. Cosa vedete sedendovi per terra? Cosa apprezzate osservando ad "altezza bambino"? Cosa vedete stendendovi a terra (provando a immaginare il primo punto di vista del neonato nei primi giorni di vita)? Che sensazione vi danno il tappeto caldo in terra e la giostrina appesa sul soffitto? Che luce entra dalle finestre ? Com'è il colore del muro ? Abbastanza neutro e accogliente?

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Queste domande sono tra le prime da porsi nel momento in cui ci si comincia a pensare ai nuovi spazi in casa per l’arrivo di un bambino, e sono le stesse che mi pongo io quando vengo contattata per la progettazione di una nuova cameretta.
L’approccio che seguo è di ispirazione montessoriana e parto dall’idea di bambino competente fin dalla nascita. Il neonato è estremamente ricettivo, ed è perciò necessario fare attenzione a non iper stimolarlo. Non conosce il mondo così come lo conosciamo noi, bensì ha avuto delle percezioni dalla pancia della mamma. Allo stesso tempo, è necessario presentargli con accuratezza le persone e le cose, in modo che possa farne conoscenza gradualmente.

La cameretta sarà uno spazio in evoluzione continua: crescerà con la bambina e il bambino, si trasformerà. Questo aspetto è molto importante e va tenuto in considerazione soprattutto nella fase di scelta dell’arredo; spesso ci vengono proposte soluzioni da fiaba, certamente bellissime, ma che fanno sorgere qualche domanda: per chi sono pensate? Per gli adulti o per i bambini? Quanto hanno bisogno un bambino o una bambina di una cameretta da fiaba? Non è meglio chiedersi cosa realmente sia utile per loro? Spesso basta davvero poco per rendere uno spazio funzionale e gradevole allo stesso tempo.

Per questo motivo, un altro consiglio è quello di continuare ad osservare il bambino in cameretta nel corso degli anni, quando crescerà: qui giocherà, qui passerà il suo tempo, e solo guardando come tuo figlio o tua figlia si muove, impara e gioca nella sua cameretta capirai come sistemare lo spazio, cosa tenere, cosa eliminare e come rendere il tutto piacevole e funzionale.

Se ti interessa approfondire l’argomento, ti aspetto il mese prossimo con la pubblicazione di un nuovo articolo in cui tratterò il tema dei criteri di organizzazione della cameretta e di scelta dei materiali in stile montessoriano.

Passione a Mano Libera di Chiara Palmieri

 

Bibliografia
Tracy Hogg “ Il linguaggio segreto dei neonati “ 2013, Mondadori
Azzarà Maya, “Case anche per bambini – Educare i bambini attraverso lo spazio domestico”, 2014,
La Merdiana
Honegger Fresco G., “Una casa a misura di bambino ” , 2000, red!

 

Chiara Palmieri, pedagogista, curatrice del sito Passione a mano libera

 Via Borgo di San Pietro, 134 | 40126 Bologna| tel.3294559295 | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il curry di Madras (una miscela molto diffusa che comprende le spezie “base” - curcuma, coriandolo, paprica, pepe, senape, fieno greco, zenzero, semi di finocchio, cardamomo, aglio e peperoncino) è perfetto per i bambini: non troppo piccante, permette di insaporire i piatti lesinando sul sale. Queste mazzancolle con salsa di mango al curry parrebbero un piatto tipicamente "adulto", ma, appunto per l'utilizzo del curry di Madras, sono deliziose e piacciono moltissimo anche ai bambini, che ne vanno davvero matti!

Mazzancolle con salsa di mango al curry: la ricetta dei gamberi con mango e curry che piace a tutta la famiglia

 

L’allattamento è una scelta materna tra le più delicate: siamo dell’idea che ogni mamma sappia quale sia l’opzione migliore per sé e per il proprio bambino e chi sceglie l’allattamento artificiale non è assolutamente da condannare. Quando però si tratta di informazioni riguardanti l’allattamento, siamo convinte che gli ospedali debbano stare più vicini alle neo-madri, fornendo tutte le informazioni di cui hanno bisogno.

Questo perché sono molte le neo-mamme che rinunciano all’allattamento al seno per mancanza di informazioni e di supporto. E in questo senso, negli ultimi giorni, in un’operazione congiunta, OMS e Unicef hanno stilato una serie di consigli a supporto di una politica scritta sull’allattamento al seno, per spronare tanto le mamme quanto gli ospedali a incentivare questa pratica che salverebbe la vita di moltissimi bambini e che sarebbe vitale per la loro salute, oltre che per la buona sanità. Vediamo insieme come e perché.

Allattamento al seno: la guida OMS-Unicef che salva la vita ai bambini

Secondo gli ultimi dati diffusi da OMS e Unicef, allattare al seno fino ai 2 anni salverebbe la vita di circa 820.000 bambini in tutto il mondo. Questo perché l’allattamento al seno (soprattutto entro la prima ora di nascita - e in questo senso il breast crawling è una pratica davvero utile) ridurrebbe il rischio di infezioni nei neonati, abbassando anche il pericolo di diarrea (spesso fatale nei neonati), situazioni frequenti quando i bimbi vengono allattati al seno solo parzialmente o quando vengono nutriti esclusivamente con latte artificiale.

Oltre a questo, l’allattamento al seno migliorerebbe il quoziente intellettivo del bambino, beneficio che ricadrebbe su tutta la vita adulta. E, per quanto riguarda le madri, sono molti studi a ritenere che allattare al seno ridurrebbe il rischio di sviluppare negli anni il cancro al seno.

Ricordiamo poi che il latte materno è la principale fonte di energia per un neonato, anche durante la malattia e la convalescenza. Infine, vari studi dimostrano che i bimbi e gli adolescenti allattati al seno durante i primi anni di vita hanno meno probabilità di crescere sovrappeso o obesi.

Ecco perché le due organizzazioni hanno deciso di stilare una guida in dieci passi per aiutare le strutture sanitarie a mettere a punto un iter che faciliti l’allattamento e che fornisca tutte le informazioni sul caso alle madri che le necessitano. In questo modo è possibile sostenere l’allattamento al seno, che è vitale tanto per la salute del bambino quanto per la buona sanità. Questa pratica, infatti, riduce nettamente i costi, ricadendo positivamente sulle famiglie e sui Paesi.

Questo supporto alle strutture è necessario perché per quanto l’allattamento richieda aiuto e guida, sono ancora troppi gli ospedali e le cliniche (private o pubbliche) che non hanno le capacità o gli strumenti per stare accanto alle madri come dovrebbero. Pensiamo soprattutto ai paesi più poveri, dove le informazioni sono difficilmente recuperabili. Dare una guida semplice e comprensibile agli operatori (e alle madri) significa quindi, per proprietà transitiva, dare un aiuto ai bambini, migliorando la loro vita sin dalle prime ore, attraverso una pratica naturale, economica, ecologica e (quando supportata come si deve) semplice.

Le infografiche che OMS e Unicef hanno sviluppato sono in questo senso preziose:

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Fonte mmagine: Organizzazione Mondiale della Sanità

La guida per immagini descrive molto bene le pratiche che le strutture (e i Paesi in generale) dovrebbero seguire quando si tratta di accompagnare le madri nell’allattamento al seno, aiutandole fin dalla prima ora dopo il parto, preparando a dovere gli operatori e mettendo a punto le cure migliori.

1. Politiche ospedaliere: gli ospedali dovrebbero supportare le madri non promuovendo il latte artificiale, rendendo le pratiche di allattamento una pratica standard e tenendo traccia dei supporti necessari

2. Competenza dello staff: gli ospedali dovrebbero preparare gli operatori riguardo al supporto alle madri e offrire al personale conoscenze e abilità

3. Cura prenatale: gli ospedali dovrebbero supportare le madri discutendo con loro l’importanza dell’allattamento al seno per mamme e bambini e preparandole alla pratica

4. Cure immediate dopo il parto: Incoraggiare il contatto pelle a pelle con il neonato subito dopo il parto e aiutare le madri a sistemare il piccolo nella maniera corretta per l’allattamento

5. Supportare le madri nell’allattamento: controllando la posizione, l’attaccamento e il succhio del bambino, dando consigli pratici e aiutando le madri a risolvere i più comuni problemi dell’allattamento

6. Integrare: Quando necessario, gli ospedali dovrebbero incoraggiare ad allattare al seno fin quando non esistono ragioni mediche che lo vietano, e anche in quel caso, sarebbe opportuno dare priorità al latte materno donato.

7. La stanza: Gli ospedali dovrebbero permettere alle madri di dormire fin da subito con i bambini nella stessa stanza, anche in caso di bimbi malati

8. Allattamento responsabile: Aiutare le madri a capire quando il bimbo è affamato, senza limitare la frequenza dell’allattamento

9. Biberon, tettarelle e ciucci: gli ospedali dovrebbero consigliare le madri sull’uso e sui rischi di usare biberon, ciucci e tettarelle in maniera non consona

10. Dimissioni: Gli ospedali dovrebbero consigliare alle madri gruppi di supporto e risorse riguardanti l’allattamento, e lavorare con questi gruppi e comunità per implementare i servizi riguardanti l’allattamento al seno.

Giulia Mandrino

Le attività Montessori in giardino

Venerdì, 13 Aprile 2018 14:06

Il giardino nella pedagogia montessoriana è un luogo tra i prediletti. Questo perché il giardino racchiude in sé una miriade di caratteristiche in linea con i precetti di Maria Montessori: il contatto con la natura, la possibilità di toccare ed esplorare la sensorialità (le consistenze, i profumi e i colori all’aperto sono infiniti!), l’attività manuale e quindi la manualità, la manipolazione, l’esplorazione, l’imitazione della vita adulta…

Sono quindi moltissime le attività montessoriane che possiamo svolgere in giardino con il nostro bambino! Vediamo insieme quali.

Le attività Montessori in giardino: cosa portare in giardino e cosa fare per rendere la giornata all’aperto montessoriana

L’orto

Innanzitutto, l’orto: fare l’orto insieme ai bambini (in giardino o sul balcone di casa se non abbiamo spazio) è un’attività preziosa e ricca. Ci permette innanzitutto di avvicinare il bambino all’amore per la natura, aiuta il bambino a vedere come crescono gli alimenti e stimola moltissimo tanto i sensi quanto la coordinazione occhio-mano (annaffiare, travasare, rinvasare, tagliare, potare…). Basta usare strumenti a misura di bambino e lasciare che i bimbi provino e facciano da sé, imitando noi (che li guidiamo).

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(https://www.educatednannies.com/gardening-with-your-kids-is-more-than-just-playing-in-the-dirt/)

Giocare con l’acqua

Anche dei semplici giochi d’acqua in giardino sono molto montessoriani. Basta un piccolo annaffiatoio, ad esempio, per divertire anche i più piccoli, che possono giocare a travasare, a dare da bere alle piante (ma non solo! Loro darebbero da bere a tutto!), a spruzzare, a portare l’acqua di qua e di là…

Il travaso

Il travaso è sempre un gioco d’acqua, ma molto più specifico e assolutamente montessoriano. Bastano una bacinella, un imbuto e dei bicchieri o contenitori di diversa misura. Il bello è che questo gioco, che faremmo anche in casa, qui diventa più divertente, perché essendo all’aperto i bambini non hanno limiti (non rischiano di allagare casa!). Dalla bacinella, con l’imbuto o con un bicchiere, travasano l’acqua di qua e di là, sviluppando la coordinazione occhio mano, preziosissima per la crescita e per la scrittura.

Il travaso di terra

Dopo il travaso dei liquidi, ecco il travaso dei solidi. In giardino possiamo sfruttare i sassolini e la terra. Anche qui, mettiamoli in un recipiente come una bacinella e lasciamo che i bimbi decidano come travasarli e come trasportarli, lasciando correre la loro curiosità e la loro immaginazione. Saranno molto stimolati ed esploreranno così con le loro mani la terra.

Giocare con i fiori

A volte bastano pochi elementi per fare un gioco strepitoso: in questo caso, dei fiori e uno scolapasta. Possiamo così creare un vaso creativo (o un copricapo floreale!), lasciando che i bambini si divertano e stimolando la manualità fine.

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(https://teachingmama.org/playing-with-dandelions/)

La classificazione dei fiori e dei sassi

Un vassoio, delle pinze e tante piccole bacinelle: con questi strumenti i bambini potranno esplorare il giardino e scegliere i fiori e i sassolini che più li colpiscono. Una volta raccolti, potranno dividerli a seconda del colore, della consistenza, della specie o della dimensione nelle varie bacinelle. E sappiamo quanto è importante per lo sviluppo il gioco della classificazione.

Lavare e stendere

In una bella giornata di sole, possiamo approfittarne per esercitarci alla vita pratica! Lavare i panni a mano è di certo scomodo oggigiorno, ma insegnarlo ai bambini è divertentissimo. Laviamo insieme e poi stendiamo: sarà un esercizio prezioso per la vita pratica e i bambini impareranno moltissime cose (anche fisicamente! Sono ottimi esercizi per la coordinazione occhio mano).

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(https://it.pinterest.com/pin/389842911480905787/)

Giulia Mandrino

Lo sviluppo cognitivo è il processo di evoluzione delle capacità intellettive dell’essere umano, capacità che acquisisce in maniera differente in base al momento della sua vita. Lo sviluppo cognitivo permette di immagazzinare le informazioni prese dall’ambente circostante e di riutilizzarle nella vita quotidiana. Ma come accade questo nel bambino?

Lo ha spiegato bene con i suoi studi Jean Piaget, uno dei massimi studiosi dello sviluppo cognitivo, in particolare di quello del bambino. Ma vediamo insieme di cosa trattano le sue teorie e perché è importantissimo per la pedagogia contemporanea.

Jean Piaget e lo sviluppo cognitivo del bambino: gli studi di Jean Piaget sull’infanzia e sulla mente dei bambini

Jean Piaget è vissuto nel secolo scorso (nacque nel 1896 e morì nel 1980) ma le sue teorie sono validissime ancora oggi. I suoi studi sono partiti sempre dall’osservazione del bambino, attraverso la quale è riuscito a stilare una serie di tappe tipiche dell’infanzia, tappe che descrivono bene lo sviluppo della cognizione e dell’intelletto del bambino nei primi anni di vita.

Attraverso questa osservazione Jean Piaget è riuscito a giungere ad una teoria, l’epistemologia genetica. Di cosa si tratta? In altre parole, l’epistemologia genetica spiega come lo sviluppo dell’intelligenza dell’essere umano, e in particolare dell’infante, passi dall’evoluzione del pensiero alla luce dell’esigenza del corpo di adattarsi all’ambiente circostante. L’intelligenza, quindi, è per lui strettamente legata alla capacità di adattamento all’ambiente esterno, sociale e fisico, di una persona.

L’intelligenza di un essere umano, dunque, è una funzione cognitiva che permette di adattarsi all’ambiente esterno, garantendo l’equilibrio tra le strutture cognitive. E in effetti ciò che spinge la persona a formare strutture mentali organizzate e complesse si può chiamare anche il “fattore d’equilibrio”.

In altre parole più semplici, parafrasando gli studi di Jean Piaget possiamo dire che l’intelligenza e lo sviluppo cognitivo abbiano un’origine individuale, ma l’ambiente esterno e i fattori sociali (le interazioni) possono influenzare questo sviluppo (al contrario di altre teorie che dicono esattamente il contrario, e cioè che i fattori esterni siano addirittura la causa dell’intelligenza).

L’equilibrio tra le strutture cognitive di cui parlavamo consente al bambino di rafforzare le sue conoscenze e di sviluppare il suo intelletto. Il tutto attraverso l’interazione tra ciò che già possiede e ciò che riceve dall’ambiente esterno. Un esempio chiarisce meglio questo processo: quando il bambino ha già assimilato dentro di sé un comportamento “base” che possiede per natura (come ad esempio il lanciare gli oggetti) scopre che un altro comportamento produce qualcosa di più piacevole (come ad esempio un suono quando muove questo oggetto senza gettarlo), e da quel momento impara qualcosa di nuovo.

Il bambino, insomma, organizza le funzioni intellettive innate, che ha dentro di sé, con quelle che apprende dal mondo esterno, e la combinazione dei diversi schemi mentali andrà a costituire proprio lo sviluppo cognitivo della persona. Si crea dunque un equilibrio, come dicevamo, e questo equilibrio porta, attraverso la logica e il pensiero, al controllo dell’ambiente circostante.

Nel momento in cui un nuovo elemento (una nuova informazione) entra nel quadro che si è creato, il bambino percepisce una sorta di disequilibrio. A questo punto cercherà un nuovo equilibrio, modificando gli schemi cognitivi costruiti precedentemente, ampliando le conoscenze.


In tutto questo, Piaget ha anche individuato diverse fasi che durante l’infanzia caratterizzano lo sviluppo cognitivo. Anche se, dunque, ogni essere umano, ogni bambino ha le sue capacità, i suoi tempi e i suoi schemi, c’è una sorta di pattern che potremmo prendere come modello di riferimento. Questo pattern è composto da cinque fasi dello sviluppo cognitivo:

0-2 anni: è la fase senso-motoria, durante la quale il bambino passa dall’utilizzo dei riflessi innati, della ripetizione e dell’istinto a l’uso di comportamenti che gli permettono di capire le conseguenze sul corpo e sull’esterno. Tutto ciò che viene prodotto sull’ambiente esterno dai suoi comportamenti sono nuove informazioni. Prima queste informazioni sono quasi riflessive, ma dai 18 mesi il bambino sviluppa già un ragionamento simbolico che gli permette di capire concretamente e testare le conseguenze delle sue azioni sull’ambiente.

2-4 anni: si chiama fase pre-concettuale. In questi anni il bambino sviluppa un pensiero ego-centrico, e crede che tutti capiscano ciò che pensa, ciò che desidera. È durante questi due anni che acquisisce un linguaggio più utile a spiegare le cose che pensa e le cose che si trova attorno, ma non ha ancora sviluppato la capacità di passare dal ragionamento generale a quello particolare.

4-7 anni: sono gli anni del pensiero intuitivo, durante i quali il bambino acquisisce un sacco di informazioni (anche grazie all’interazione con gli altri bambini alla scuola materna), ma non ha ancora immagazzinato la capacità di metallizzare l’azione come causa di conseguenze, o come mezzo per raggiungere un fine.

7-11 anni: Pian piano, durante la “fase delle operazioni concrete”, il bambino rafforza la coordinazione tra le azioni che compie e il pensiero induttivo. Comincia anche a passare dal particolare al generale e dal generale al particolare. Tuttavia, ancora per un po’, il bambino continua a legare il pensiero e i processi cognitivi alle azioni.

11-14 anni: L’azione e il pensiero deduttivo si incastrano sempre di più in questa fase delle operazioni formali e il preadolescente riesce ora a immaginare scenari e a mettere in atto azioni legate a questi scenari. Assimilazione (l’inserimento delle informazioni di base nella struttura cognitiva dell’individuo) e accomodamento (la modifica delle strutture cognitive attraverso l’interazione con l’ambiente circostante, fisico e sociale) sono quindi sempre più in equilibrio ed è grazie a questo equilibrio che il ragazzo può ora sviluppare la capacità di giudizio, la misura, la comprensione dei simboli e la relatività dei differenti punti di vista.

Leggendo le teorie di Jean Piaget, si capisce bene l’importanza del suo pensiero sulla pedagogia. Perché se è vero che l’intelligenza del bambino è innata, è anche più che vero che ciò che riceve dall’esterno è altrettanto importante e fondamentale per il suo sviluppo. Insomma: un bambino può essere estremamente intelligente, ma se la sua intelligenza non viene stimolata con agenti esterni che gli permettono di allenare le sue capacità di adattamento, equilibrio, assimilazione dei concetti e pratica di ciò che riceve, la sua intelligenza non si svilupperà mai.

Questo significa che gli stimoli che proponiamo ai nostri bambini sono importantissimi. Che il gioco libero (durante il quale, attraverso i ruoli, i bambini sperimentano la vita adulta) è fondamentale. Che è necessario lasciare che sperimentino il pericolo. Che niente è “inutile”, né gli stimoli sensoriali montessoriani, né il gioco, né la lettura, né l’ascolto delle parole di noi adulti, né l’imitazione di ciò che facciamo, né lo sport, né le chiacchierate.

Giulia Mandrino

Sara

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Cecilia

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