A scuola i nostri bambini imparano moltissimo. E a discapito di ciò che si dice sulla scuola italiana sono molti gli insegnanti che portano i nostri figli in un viaggio fatto non solo di studio, compiti e voti ma costellato di validissimi insegnamenti per la vita.

Tuttavia rimane sempre una tendenza a omologare tutto, a puntare sulle regole e a eleggere le prestazioni scolastiche come segnale di successo, quando in realtà le variabili sono moltissime. Ecco perché i nostri bimbi non impareranno solo dalla scuola, ma anche dalla vita. E imparare dalla vita significa seguire l’esempio che noi genitori diamo, ma soprattutto fare delle esperienze un insegnamento, per diventare adulti sereni, di successo (e il successo, come leggerete, non è sempre standardizzato), felici e umani.

Le cose che i nostri figli non impareranno dalla scuola, ma dalla vita: è giusto che i nostri figli imparino dalle esperienze e dal nostro esempio, lasciando che capiscano che non è solo la scuola a insegnare qualcosa

Ci sono molti modi per raggiungere un obiettivo


Spesso a scuola, anche per necessità, si insegnano ai bambini metodi standardizzati, utilizzati per tutta la classe. Sono pochi i casi nei quali vengono insegnati diversi metodi, e lo si fa sempre in caso, ad esempio, di diagnosi di ADHD o dislessia. Ma in realtà ogni bambino è unico e ogni mente è unica. Ecco perché dobbiamo fare capire ai nostri figli che se hanno un metodo diverso che li fa arrivare all’obiettivo prefissato non è perché siano “sbagliati” o “diversi”: tutti abbiamo un nostro percorso mentale, e sarà quello che utilizzeremo nella vita, nel lavoro e nella risoluzione dei problemi!

Le differenze sono preziose

Sempre nel solco dell’insegnamento precedente i nostri bambini nel corso della loro vita, se spronati nel senso giusto e se guidati dal giusto esempio, capiranno che l’essere “diversi” è la norma e che le diversità sono un dono, qualcosa di prezioso da coltivare, perché è così, insieme agli altri e con la nostra unicità, che si costruiscono le cose migliori. Pensateci, anche sul lavoro: ognuno ha le sue competenze, il suo metodo, il suo essere, e in questo modo si raggiungono obiettivi molto più stimolanti e positivi rispetto a quando si ha una squadra uniformata e piatta!

È più importante il “come” del “quanto”

A volte la nostra società ci inculca il mito della quantità che pare sempre più importante della qualità. In realtà crescendo e provando esperienze sulla propria pelle ci si rende conto che il “come” facciamo le cose è più importante del “quanto” raggiungiamo.

Il metodo di studio è personale ed è molto importante (anche sul lavoro)

A scuola, come dicevamo, anche per esigenze di tempo e di spazio gli insegnanti spingono per un certo metodo di studio, che sia nel caso dell’imparare a leggere, scrivere e far di conto che in quello dello studio più puro (dalle medie e superiori). Pian piano però i nostri bambini impareranno un proprio metodo di studio, un proprio modo di raggiungere gli obiettivi, e questo è importantissimo perché darà loro una base solidissima per la vita.

Non è importante il titolo di studio, ma sei importante tu come persona

Non è detto che un laureato sappia tutto e non è assolutamente detto che una persona senza un titolo di studio ne sappia meno. Anzi: spesso la vita porta in strade diverse, ma alla fine il risultato è lo stesso. Perché ciò che conta è l’impegno, l’interesse, la qualità che mettiamo nel nostro fare le cose.

Il successo non ha una sola definizione

“Successo” non deve per forza corrispondere a “successo professionale”. E soprattutto non deve per forza corrispondere al raggiungimento di una posizione definita dalla società “in alto”. Il successo è successo quando una persona è soddisfatta di dove è, di ciò che è, di ciò che fa ogni giorno. E ciò può significare essere un dirigente d’azienda oppure essere casalinga, mamma oppure educatore volontario, impiegata, cassiere oppure manager. Il successo lo si ottiene quando si diviene la persona che vogliamo essere!

Giulia Mandrino

Come utilizzare il bonus bebè 2018

Lunedì, 11 Giugno 2018 07:23

Non tutti ne sono a conoscenza, ma la legge di stabilità 2018 (che è stata approvata lo scorso 23 dicembre al Senato) ha confermato la possibilità di sfruttare il bonus per i nuovi nati (e adottati) nel 2018. Un assegno di natalità complessivo di 960 euro, 80 euro al mese per un anno.

Ma come richiederlo e come utilizzarlo? Ecco una nostra semplice e velocissima guida per orientarsi nel mondo del Bonus Bebè!

Come utilizzare il bonus bebè 2018: una guida e qualche consiglio per sfruttare il Bonus Bebè previsto per i nuovi nati nel 2018

Cosa dice questa legge di stabilità riguardo ai nuovi nati? Nello specifico:

L’assegno di cui all’articolo 1, comma 125, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è riconosciuto anche per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2018 e, con riferimento a tali soggetti, è corrisposto esclusivamente fino al compimento del primo anno di età ovvero del primo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito all’adozione.

In altre parole, per ogni bambini nato o adottato nel periodo 1 gennaio/31 dicembre 2018 i genitori che ne faranno richiesta potranno richiedere il Bonus Bebè di 960 euro, erogati con un assegno mensile di 80 euro.

Unica restrizione: Possono beneficiare del bonus solo i nuclei familiari con un ISEE non superiore a 25.000 euro. E la domanda deve essere presentata entro 90 giorni dalla nascita o dalla data di ingresso del minore affidato o adottato nel nucleo familiare.

Possiamo fare la richiesta in maniera molto semplice, compilando il form online presente sul sito dell’Inps, attivando un PIN personale, oppure chiamando il numero verde 803.164 (da rete fissa) o il numero 06.164.164 (numero per cellulari); infine, attraverso gli enti di patronato e gli intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Con questi 80 euro mensili possiamo davvero risparmiare e approfittarne per preparare tutto ciò di cui avremo bisogno nei primi anni di vita del nostro bimbo. Perché come sappiamo tutti gli strumenti di cui avremo necessità non sono esattamente economici, e per quanto possiamo essere attenti a ridurre lo spreco e ad attenerci allo stretto necessario, i costi sono certamente molti.

Oltre ad utilizzare il Bonus Bebè nei negozi della nostra città, se vogliamo risparmiare ancora di più possiamo certamente affidarci allo shopping online, che riserva sempre delle belle sorprese in termini di risparmio e di rapporto qualità-prezzo dei prodotti.

Come già calcolato dal comparatore di prezzi internazionale Idealo, si parla di un risparmio medio del 10% comprando attraverso gli e-commerce. Una percentuale che parrebbe esigua ma che diventa importante se pensiamo a tutte le spese che abbiamo! Perché il risparmio è “medio”, ma possiamo arrivare a pagare addirittura il 25% in meno sui biberon, il 20% sui seggiolini, il 30% sui libri, e il 15% sui pannolini (anche lavabili!). L’intimo per bebè arriva addirittura a costare il 40% in meno.

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Affidandoci quindi agli e-commerce di prodotti per bambini e neonati possiamo risparmiare moltissimo, sfruttando così fino in fondo il nostro Bonus Bebè 2018, ottimizzando gli acquisti e concedendoci, con i soldi risparmiati, qualche sfizio o prodotto particolare che sarebbe rimasto in “forse”.

I prodotti su cui puntare? I pannolini lavabili, i biberon, un bel seggiolino per auto, un passeggino solido e tante, tante tutine!

Giulia Mandrino

6 ricette di riso per l’estate

Venerdì, 08 Giugno 2018 13:36

Riso in estate non significa solo insalata di riso freddo con un triste condimento già pronto! Certo, amiamo anche noi il riso freddo con pomodorini, piselli, mais e tonno, ma perché non sbizzarrirsi con ricette altrettanto facili che profumano allo stesso modo di estate?

6 ricette di riso per l’estate: dalla paella alla finta tartare, ecco le nostre ricette con il riso da proporre in tavola in estate

Tartare di riso con gamberi e avocado

Noi la chiamiamo tartare, ma in realtà ne ha solo la forma. Ma piace moltissimo ai bambini! Utilizziamo il riso basmati bianco freddo (magari quello che abbiamo utilizzato per il contorno della sera prima). Lo mettiamo in un coppapasta e lo schiacciamo bene, quindi sopra adagiamo, schiacciando anch’essi, due gamberi cotti e dell’avocado tagliato a cubetti. Spolveriamo con dei semi misti (papavero, chia, girasole) e condiamo con un filo d’olio, un pizzico di sale e dell’aceto balsamico (oppure con della semplice salsa di soia).

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Paella di pesce veloce

La nostra ricetta della paella di pesce è tra le più gettonate per le sere d’estate: tante verdure, tanto pesce e tanto gusto contribuiscono a creare un piatto fresco e delizioso. Trovate qui la nostra ricetta super veloce.

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Paella di pollo

Teniamo gli stessi ingredienti della paella di pesce veloce ma sostituiamo il pesce semplicemente con del pollo a tocchetti, da inserire in padella insieme alle verdure.

Riso alle spezie

Sciacquiamo sotto acqua corrente circa 300 grammi di riso basmati, quindi mettiamolo in una padella antiaderente larga coprendolo con acqua (circa il doppio del volume). Aggiungiamo anche della curcuma e del curry di Madras (non molto, a seconda del gusto) e mescoliamo bene, quindi copriamo con un coperchio, lasciamo che arrivi a bollore l’acqua, abbassiamo la fiamma e lasciamo cuocere per circa 15 minuti. Spegniamo il fuoco, lasciamo riposare un paio di minuti e serviamo, condendo nel piatto con un filo d’olio, della frutta secca tritata e dei semi di sesamo neri e bianchi.

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Biscotti farina di riso e mandorle

In una terrina mescoliamo 250 grammi di farina di riso, 90 grammi di mandorle tritate, la scorza grattugiata di un limone e un cucchiaino di lievito per dolci. In un’altra ciotola sbattiamo due uova con 90 grammi di zucchero di canna integrale fino ad ottenere un composto spumoso. Uniamo i due composti, quindi aggiungiamo 80 grammi di olio di semi di arachide e mescoliamo molto bene. Il composto dovrà risultare appiccicoso e non troppo liquido. Con le mani formiamo delle palline, schiacciamole leggermente, schiacciamoci sopra qualche mandorla a lamelle e poniamole su una teglia coperta da carta forno. Cuociamo i nostri biscotti in forno preriscaldato a 180 gradi per circa 12 minuti.

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Riso bianco e nero con ananas e verdure

Mentre facciamo bollire in una pentola 300 grammi di riso nero e bianco (di due tipologie con lo stesso tempo di cottura), prepariamo un mix di verdure tagliate. Carote, zucchine e porro. Dopodiché tagliamo a cubetti quattro fette di ananas. In una padella antiaderente facciamo saltare il porro con un filo d’olio, quindi buttiamo anche le carote, le zucchine e l’ananas. Una volta cotto il riso scoliamolo bene e gettiamolo in padella con le verdure. Aggiungiamo della salsa di soia e saltiamolo bene, lasciando che si insaporisca. Possiamo servire il riso ben caldo oppure assaporarlo freddo.

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Giulia Mandrino

Come parlare del corpo alle nostre bambine

Venerdì, 08 Giugno 2018 09:39

Trasmettere un’idea sana e rispettosa del corpo alle nostre bambine è ormai difficilissimo. Non tanto per ciò che insegniamo loro in casa, ma per ciò che vedono ogni giorno, sui manifesti, in televisione, a scuola, sui giornali, nelle pubblicità, nei video musicali. Siamo bombardate ogni giorno di immagini che falsificano la bellezza naturale e autentica del corpo femminile e anche le nostre bambine sono vittima di questa distorsione.

Ecco perché è importantissimo, fin da quando sono piccole, aprire un dialogo sull’argomento corpo, parlandone ma soprattutto accennando sempre alla bellezza vera e autentica, all’importanza della salute rispetto all’estetica e, soprattutto, all’accettazione di noi stesse per come siamo.

Sappiamo che è difficile, ma a volte basta scegliere le parole giuste per crescere bambine che, una volta adulte, abbiano un rapporto sano e rispettoso con il proprio corpo!

Come parlare del corpo alle nostre bambine: in una società che distorce l’immagine del corpo femminile, le parole da utilizzare per crescere donne rispettose e autentiche

Sembra scontato, ma spesso una relazione difficoltosa con il proprio corpo arriva dalle parole che sentiamo arrivarci. Le prime sono spesso quelle che sentiamo dai nostri genitori. Ecco perché è importante focalizzarci non sull’estetica, ma sull’anatomia. Cosa significa? Significa evitare di dire: “Sei cicciottella”. “Sei in forma ultimamente!”. “Se mangi scoppi”. “Sei dimagrita”. Significa invece parlare di come funziona l’organismo, della funzione di ogni sua parte, dell’importanza dell’alimentazione. Ma non in relazione all’aspetto esteriore. Mangiare bene vuol dire stare bene, non essere belle. Sproniamo, quindi, è giusto, ma non puntando sull’aspetto esteriore. Puntiamo sui benefici di una vita sana: stare bene con il corpo fa stare meglio, fa essere raggianti, ci fa sentire forti e mai stanchi, ci fa sentire vivi e felici.

Non dimentichiamo poi che i bambini sono spugne e che il nostro esempio è il primo che accolgono facendolo loro. Ecco perché dovremmo evitare di lamentarci del nostro corpo. Di stigmatizzare certi cibi. Di mostrare che siamo sempre a dieta non tanto perché ci fa bene, ma perché vogliamo a tutti i costi dimagrire. Proporre un’alimentazione sana in casa non deve nascere da un motivo estetico, ma prima di tutto benefico, salutare.

Evitiamo quindi di giudicare un corpo. Non solo il nostro, ma quello di chiunque. E non solo per strada, o nei confronti di qualcuno che conosciamo (per fortuna sappiamo che non accade spesso!), ma anche, talvolta involontariamente, quello delle conduttrici in tv, delle attrici, delle cantanti, delle modelle sulle riviste, siano magre o un po’ più tonde, belle o brutte. Perché faremmo passare solamente l’idea che in fin dei conti il mondo ha ragione: l’estetica è importante. Quando sappiamo che in realtà non è tutto.

Insegniamo quindi loro ad essere gentili, che è il primo passo verso il diventare persone non giudicanti, e che che è anche la prima caratteristica di chi si ama: amare il prossimo, amare noi stesse. Tutto contribuisce al nostro benessere.

E poi insegniamo loro che lo sport fa bene, ma non solo per “stare in forma”. Perché correre rende felici, danzare fa sfogare, giocare a calcio è entusiasmante, camminare in montagna è rilassante e bellissimo.

Insegniamo loro ad amare il proprio corpo per ciò che è, per ciò che ci dona. Amare il proprio corpo significa mangiare ricette sane cucinate in casa con amore, camminare e correre perché è bellissimo, provare sempre a costruire con le nostre mani e a testare la nostra forza (mica sono solo gli uomini a spostare i mobili). Amare il proprio corpo è bellissimo, perché ci consente di sfruttarlo fino in fondo.

Le nostre gambe non saranno tornite come quelle sulle riviste e il nostro seno non così prorompente, ma sono gambe, sono seni, sono parti di un corpo comunque stupendo che ci permette di vivere una vita piena e bellissima!

Giulia Mandrino

La settimana scorsa, ospiti di Orogel, abbiamo conosciuto non solo un’azienda rispettosa e molto valida, ma anche un’altra piccola realtà che ci ha colpito il cuore. Federica era infatti lì, nel prato, con il suo food truck, Green Pepper, a proporci una cucina di strada gustosa eppure leggera, verde e deliziosa. 


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Abbiamo chiacchierato con lei e abbiamo scoperto che il suo Green Pepper è molto di più di un furgoncino che porta in giro cibo e bevande. È una scelta etica di ristorazione, un nuovo modo di portare al pubblico il buon cibo naturale. Perché ormai il cibo di strada non è più solo junk food, ma si trovano delle realtà, come quelle di Federica Zammarchi, assolutamente di qualità, sane e buonissime!

Green Pepper, il food truck che cambia l’idea di catering: il furgoncino che porta al pubblico del cibo di strada delizioso, di qualità e naturale

Federica Zammarchi ha lavorato nella ristorazione per qualche anno. Ma non le bastava. Sentiva che poteva fare molto di più. Ha così preso in mano la sua vita e ha deciso di mettersi in proprio, creando una realtà che potesse rappresentarla fino in fondo, seguendo i suoi ideali, la sua filosofia e le sue aspirazioni più vere.

Federica voleva essere un “camaleonte capace di spostarsi in varie situazioni”, in varie realtà, realtà diverse tra loro ma mantenendo sempre un filo conduttore comune, quello dei prodotti di qualità, stagionali e della zona in cui lavora, quella di Cesena, anche se per natura non sta mai ferma!

Già, perché c’è un’altra caratteristica: Federica non si voleva fermare, fossilizzandosi in un luogo che non la rappresentava appieno.

È nato così Green Pepper, food truck che si muove sulla strada, che non si ferma mai e che porta il buon cibo a tutti mantenendo sempre la sua bellissima identità.

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Potrà quindi capitarvi di imbattervi nel furgoncino Citroen un po’ retrò color turchese di Federica, la cucina itinerante delle meraviglie. Qui troverete di volta in volta piatti differenti, a seconda della zona e della stagione. Gazpacho deliziosi, pancake al grano saraceno, verdurine saltate, pranzetti veloci, pranzetti leggeri, pranzetti gustosi, piatti un po’ etnici, humus, panini… Di tutto di più, quindi, con la costante del gusto, del rispetto per le materie e della naturalezza.

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Green Pepper fa quindi catering a domicilio, eventi aziendali, mercatini, concerti e varie realtà, sempre con l’idea di smontare la vecchia idea del catering pesante, lungo e costoso. E attraverso il suo buon cibo trasmette non solo la bontà delle ricette semplici, ma anche la preziosità della biodiversità del territorio nel quale lavora.

Il futuro di Federica? Mantenere questo messaggio spargendolo sempre più nel mondo, affiancando a Green Pepper “Green Bean”, la roulotte azzurra e bianca, per creare uno spazio nel quale tante piccole realtà locali possano prendere parola. Perché portare il buon cibo alla gente non significa solo nutrire il corpo, ma anche le menti e lo spirito, raccontando ciò che sta dietro ad ogni realtà.

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Giulia Mandrino

Energetica e saporita, la smoothie bowl a forma di orsetto è una delle merende preferite dai miei bambini, in particolar modo in estate, perché è davvero fresca e deliziosa! Per renderla ancora più divertente e appetitosa io la trasformo in un animaletto sfruttanto tanti super alimenti come i semi e la frutta fresca.

La smoothie bowl a forma di orsetto: una merenda divertente e gustosa perfetta per l'estate

 

Bruschetta finta, fake bruschetta, bruschetta dolce... I miei figli la chiamano in tanti modi ma la sostanza non cambia: per divertirci il pomeriggio prepariamo le bruschette, ma le facciamo in versione dolce, con la frutta di stagione per darci la forza più nutriente!

Ecco quindi la nostra semplicissima bruschetta dolce con frutta, per merenda, colazione o per un semplice spuntino spezza fame!

Bruschetta finta: la ricetta della bruschetta dolce per merenda, a base di ricotta dolce e frutta di stagione

 

Ci sono bimbi che non stanno mai fermi, che urlano, che corrono, che spingono gli altri bambini al parco, che con le gambe sotto al banco non ci vogliono proprio stare. Sono i bambini iperattivi, quelli con diagnosi di ADHD, che attirano gli sguardi della gente. Quella gente che sa solo giudicare. Giudicare i bambini dei bulletti, dei maleducati. E giudicare mamma e papà dei cattivi genitori. Ma quand’è che riusciremo a capire che l’iperattività va conosciuta, che bisogna sensibilizzare su questo tema?

Recentemente è uscito “La felicità non sta mai ferma” di Chiara Garbarino. Perché ci piace? Perché non è il solito libro scientifico o psicologico sui disturbi dell’attenzione, uno di quei tomi che annoiano solo a guardarli. Ma è la storia vera di Leo e della sua mamma. Per capire cosa significa davvero “disturbo dell’attenzione e di iperattività”.

“La felicità non sta mai ferma”, un libro sull’iperattività: la storia di Leo e di mamma Chiara che sensibilizza sul tema dell’ADHD

Chiara Garbarino è la mamma di Leonardo. Leonardo è un bambino con ADHD, ovvero disturbo dell’attenzione e di iperattività. Leo non sta mai fermo, già da quando era nella pancia della sua mamma. Da piccolo non dormiva, piangeva continuamente, e crescendo è diventato un bambino frenetico, incapace di stare fermo, sempre intento a montare e smontare oggetti, a correre, a spingere gli altri bambini, a sbattere di qua e di là.

La vita con Leonardo è di certo difficile, anche per una mamma amorevole, paziente e disposta a tutto per il suo bambino. La difficoltà vera è però avere a che fare con gli altri. Soprattutto con gli altri adulti, sempre pronti a puntare il dito e a giudicare, definendo “teppista” Leonardo e “cattiva madre” Chiara. Ecco perché mamma Chiara nel 2017 ha deciso di aprire un blog su Leo, “Leo il teppista”. Con ironia ha iniziato a raccontare la loro storia, per fare capire a tutti, ma davvero a tutti, cosa significhi vivere con l’ADHD. Ed ora questa bella storia è diventato un libro edito da UTET, "La felicità non sta mai ferma".

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Le loro storie sono come quelle di tutti i genitori e di tutti i bambini, con le loro risate, i loro momenti divertenti ma anche i loro disastri. Con più disastri del solito, naturalmente, perché la natura frenetica di Leo porta inevitabilmente a questo. E Leo non è l’unico bambino iperattivo sulla faccia della Terra, no? Anzi: l’iperattività è diffusissima e quasi tutti noi abbiamo a che fare con essa nella nostra quotidianità. C’è chi ha un figlio che ne è affetto, ma anche chi ha un nipote, un compagno del figlio, il figlio di amici iperattivo. Perché quindi non ci si sofferma un po’ di più per capire di cosa di tratta (e come comportarsi) invece di sbuffare e giudicare?

Chiara ha provato in tutti modi a calmare Leo. Ha provato a fidarsi delle parole di pediatri, nonni e maestre che le dicevano “prima o poi si tranquillizzerà”. Si è chiesta perché mai non riuscisse a farlo comportare “a modo”. Ma non si è lasciata sconfortare dalle parole degli altri, perché sa che Leo non è solo il “teppista”, ma è anche un bambino intelligentissimo, dolce, attento e affettuoso. E la diagnosi di “disturbo dell’attenzione” ha solo confermato la sua sensazione, cioè quella che Leo non è un cattivo bambino, ma semplicemente un bambino iperattivo, affetto da una sindrome ancora poco conosciuta.

Ma è proprio il fatto di essere “poco conosciuta” a rendere questa sindrome pericolosa. E non a causa del bambino, ma a causa di chi gli sta intorno. Leggendo quindi le storie quotidiane di questa famiglia ci si potrà informare, si potranno aprire gli occhi e si potrà provare ad entrare empaticamente in contatto con loro, con tutti i bambini e con tutte le famiglie con un bimbo iperattivo. Solo così si uscirà dal circolo vizioso che ci spinge a giudicare una mamma per i comportamenti del proprio bambino e un bambino solo in base ai suoi comportamenti e non al suo essere.

Giulia Mandrino

Sembra qualcosa che tocca poche donne, poche famiglie. Qualcosa che si vive nel proprio profondo e basta, quasi come se parlarne sia irrispettoso, inelegante o da evitare. Ma l’aborto spontaneo colpisce una gravidanza su quattro e spesso il silenzio è davvero deleterio.

Quando una gravidanza si interrompe spontaneamente le sensazioni che si provano sono moltissime. Ma sembra quasi che dobbiamo viverle nel nostro privato e nel nostro cuore, senza esternarle, facendo finta di nulla, perché, beh, “capita”. Sì, è vero, capita. Ma ciò non significa che non possiamo soffrire, superare, restare sempre ancorate ad una brutta esperienza o cercare di sentirci finalmente comprese. È ora di dare voce a tutte le donne che si sono sentite dire “Non c’è battito, mi dispiace” e che attorno a loro hanno trovato ancora troppa poca voglia di ascoltare.

L’aborto spontaneo, perché se ne parla ancora troppo poco: una gravidanza su quattro si interrompe spontaneamente, ma dire “capita” non è la soluzione per affrontarla al meglio

Come ogni situazione della vita, una donna vive un aborto spontaneo come si sente. C’è chi non accetta la cosa, chi piange, chi si dispera, chi per mesi (o anni) si porta dentro una sensazione di vuoto (nonostante altre gravidanze, magari), chi non ne parla, chi lo dice senza problemi. C’è chi non supera questa emozione orrenda e chi invece riesce a staccarsene, a viverla tranquillamente come qualcosa di naturale. Perché sì, è qualcosa di naturale, ma è anche qualcosa che ci fa dire “Dio, Natura, siete proprio terribili”.

Il problema non è come una donna vive l’aborto spontaneo, ma come lo affronta il mondo. Perché la società, soprattutto la nostra occidentale, tende a minimizzare la cosa, a trattarla come qualcosa di superficiale, o, al contrario, da ignorare. Perché è qualcosa “da vivere solo nel privato”, quando in realtà parlarne farebbe benissimo a moltissime donne.

Chi ha sofferto di un aborto spontaneo (e sono in molte: i numeri parlano chiaro, quasi il 25% delle gravidanze si interrompe spontaneamente nel primo trimestre) sa di cosa parliamo. Parliamo delle frasi di circostanza. Su tutte il “capita”, seguito da “Ma sì, ci saranno altre occasioni”, “Hai già dei bambini, stai tranquilla”, “Eh, anche mia cugina” e da mille altre parole che, ok, sono dette con l’intenzione più nobile (quella di consolare), ma che nascondono non solo la pietà ma soprattutto la banalizzazione della situazione. No, non è che non si soffra perché “di bambini ne ho già altri” o perché “sono rimasta incinta comunque dopo poco tempo”. Si soffre e basta, e non ci sono rimedi o ripieghi.

È vero che il “capita” a volte fa bene, in base alla donna che se lo sente dire. Perché significa che “succede”, che non siamo da sole, che (purtroppo) è normale. Ma non è mai bello ascoltare quel “capita”. Perché irrazionalmente certe donne continuano a sentire il peso della responsabilità, non capendo che non è colpa loro, o del loro corpo. E altre volte ancora senza avendone coscienza la mamma non vuole superare la cosa, temendo di dimenticarsi di questo bambino perduto. Quando è impossibile, o quasi, dimenticare.

Il problema è che non ci sarebbe bisogno di tutte le frasi di cui parlavamo, ma di pura e semplice empatia. Mostrare di sapere che la donna che ci sta di fronte sta soffrendo (o, anche se l’ha superata, ha sofferto in passato) è il minimo che possiamo fare. Soprattutto, c’è bisogno di ascolto.

C’è bisogno di fare sapere che ci siamo per ascoltare, per parlarne, per esternare, per confrontarci. Per non nascondere le emozioni. Perché il dialogo fa sempre benissimo. Parlare di ciò che ci fa soffrire fa molto, molto bene. E una donna che non ha sentito il battito del proprio bambino nell’ecografo ne ha bisogno più di tutti, perché è ancora un argomento di cui non si parla, che si nasconde, che si bisbiglia.

Smettiamo di bisbigliare, urliamo. Lasciamo che il nostro corpo soffra, che la nostra mente viva il lutto e il dolore. Lasciamo che se ne parli, senza nasconderci dietro all’”è stato solo un intoppo, vedrai che passerà”. Perché magari non passerà, ma non importa. L’importante, come in ogni lutto, è viverlo, e non appiattire le nostre emozioni.

Giulia Mandrino

È arrivato il momento di organizzare la cameretta? Hai alcune idee e necessità di orientarti nella scelta? Se hai letto il mio articolo precedente “1+1=3 e a casa come ci sistemiamo?” sai che progetto camerette di ispirazione montessoriana, ascoltando i desideri dei genitori e sedendomi ad altezza bambino, per meglio comprendere le sue esigenze.

Il bambino è competente fin dalla nascita ed estremamente ricettivo, per questo è necessario creare un ambiente stimolante che lo incuriosisca senza iperstimolarlo. Riflettere e domandarsi con consapevolezza “cosa voglio comunicare?” può aiutarti nel prendere le decisioni giuste; questo perché secondo Maria Montessori lo spazio è un insegnante silenzioso. Per esempio: un libro accanto ad una poltrona, a cosa ti fa pensare? A me fa venire voglia di sedermi e leggerlo. Allo stesso modo considera che ogni arredo e materiale che posizionerai nella cameretta invierà un messaggio al bambino.

Lo spazio deve favorire la libertà e l’indipendenza; allo stesso tempo deve essere ospitale, funzionale e sicuro.

Quali sono i criteri da tenere in considerazione per creare una cameretta secondo questi principi?

- scegliere un ambiente spazioso, poiché sarà il luogo di giochi e scoperte, oltre che del riposo;
- delimitare le aree - è utile utilizzare dei tappeti - il bambino deve comprendere facilmente quale attività può svolgere in quell’area;
- progettare una cameretta flessibile e trasformabile poiché dovrà crescere con il bambino per continuare a rispondere ai suoi bisogni;
- collocare arredi a misura di bambino che siano accessibili, per favorire la sua indipendenza nel vedere - da neonato - e prendere - appena ne sarà capace - i materiali in autonomia.
- utilizzare colori neutri e accoglienti per decorarla e arredarla, perché il bambino passerà qui molto tempo e i giusti colori aiutano a rilassare la vista, a stimolare la concentrazione e a non innervosirsi;

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Una volta organizzato lo spazio, i criteri per scegliere i materiali in stile montessoriano sono i seguenti:
- devono essere integri e completi, cioè non rotti e offerti insieme se composti da più parti, per non essere pericolosi e confondere il bambino. Per esempio: che senso ha proporgli un incastro se mancano parti da incastrare? Pensaci!
- chiari, e quindi non confusivi, senza troppi stimoli;
- naturali
- reali, e cioè della vita di tutti i giorni;
- poveri, in modo che stimolino la fantasia e consentano l’esplorazione senza un percorso guidato.

Come proporre i materiali?

- Ponendoli ad altezza bambino, ovvero su un piano che possa raggiungere in autonomia. Ricorda: “ciò che vede può essere suo, ciò che non vede scegli tu quando e come proporlo”
- Disponendoli con ordine in modo che siano presentati con chiarezza e facili da riordinare;
- Proponendone pochi per evitare la iperstimolazione e caoticità;
- Scegliendoli riconoscibili in modo che possa conoscerli gradualmente e farne esperienza progressivamente.

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Continua ad osservarlo chiedendoti di tanto in tanto: che bisogni ha in questo momento e come vive l’ambiente circostante? In base alle risposte che ti darai, ritira alcuni materiali e proponigliene altri. Ruota, insomma, i giocattoli e i materiali.

Se ti interessa approfondire l’argomento, ti aspetto il mese prossimo con la pubblicazione di un nuovo articolo in cui tratterò il tema dell’organizzazione delle aree della cameretta in stile montessoriano.

Passione a Mano Libera di Chiara Palmieri

 

Chiara Palmieri, pedagogista, curatrice del sito "Passione a mano libera"

Via Borgo di San Pietro, 134 | 40126 Bologna| tel.3294559295 | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Sara

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Cecilia

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