Ci sono bambini indipendenti, che non vogliono mai l’aiuto di nessuno. Ci sono bambini tranquilli, che stanno sulle loro. Ci sono bambini che vogliono le coccole solo quando hanno necessità di essere confortati. Ci sono bambini timorosi. Bambini coraggiosi, bambini determinati, bambini emozionali, bambini sensibili, bambini scatenati. Ci sono bambini di tutti i tipi, e nessuno è sbagliato. Nemmeno quei bambini un po’ più bisognosi di attenzione, che cercano di catturare i genitori attraverso il pianto, lo sconforto, i “capricci” e mille altri atteggiamenti che esprimono chiaramente il loro bisogno di essere ascoltati, coccolati, compresi.
Questi bambini cercano attenzione. E tutte le zie Ignazie del mondo ci diranno: “Non prenderlo in braccio; vuole solo attenzione”; “Non coccolarlo quando piange così, vuole solo attenzione”; “Non aiutarlo, sa farlo da solo ma vuole solo attenzione”. E allora? L’attenzione è qualcosa di negativo? L’attenzione è pericolosa? Non ci pare proprio.
L’attenzione è un’esigenza naturale dell’essere umano. Quindi è meglio trovare un valido e alternativo metodo al dilagante “non dargli attenzione”!
Come comportarsi con i bambini bisognosi di attenzione: perché questo bisogno di attenzione è assolutamente naturale e come agire nel rispetto del bambino
Nel corso degli anni, l’educazione si è sempre basata su una credenza: dare attenzione ai figli è segno di debolezza, mentre esercitare autorità negando questa attenzione crea un rapporto sano di obbedienza e timore da parte del figlio, nel giusto rispetto della gerarchia genitori-figli. In realtà questo metodo è abbastanza brutale, e fortunatamente i rapporti stanno cambiando, con una tendenza a ritenere i figli non più una nostra proprietà da plasmare, ma persone con una loro individualità che noi dobbiamo guidare nel rispetto della loro natura.
In questo senso, allora, il negare l’attenzione per costruire un rapporto basato sulla paura non ha più senso. Il bisogno di attenzione dei bambini risiede nella loro stessa natura di esseri umani: non solo da piccoli, quando i figli dipendono fisicamente ed emotivamente dai genitori, ma anche da adulti. Ogni persona sente in sé il bisogno di essere ascoltato, compreso, visto e considerato dagli altri per potersi ritenere vivo in maniera equilibrata e sana. Perché quindi negare queste attenzioni ai bambini, che più di tutti stanno formando la loro persona?
Per capire la non-salubrità di un rapporto basato sulla negazione dell’attenzione, basta proiettare ciò che ipoteticamente facciamo con i nostri figli sui rapporti adulti: come ci sentiremo se nostro marito ci negasse l’affetto quando ne abbiamo bisogno solo perché in quel momento abbiamo bisogno di “capire qualcosa da soli”? Cosa proveremmo se nostra madre ci negasse un aiuto quando le chiediamo un consiglio, solo perché teoricamente “lo sappiamo fare da soli, stiamo solo cercando un po’ d’attenzione”? Come ci sentiremmo se i nostri affetti ci dessero il loro amore solo nel momento in cui abbiamo ottenuto qualcosa e non durante il percorso?
Il mondo ci dice di ignorare il pianto dei bambini. Ma mettiamoci nei loro panni: stanno solo cercando di capire come va il mondo, su cosa si basano i rapporti, su chi possono contare e come si possono relazionare. Vogliono capire cosa fare quando sentono di non riuscire da soli, o quando semplicemente, anche se in grado di fare qualcosa, non gli va di farlo da soli.
Ciò che dobbiamo fare è semplice: innanzitutto, considerare i bambini come esseri umani, prima che come figli. In secondo luogo, capire che il “bisogno di attenzione” è una forma di comunicazione attraverso la quale i nostri bambini ci stanno facendo capire che qualcosa non va. Ma cos’è questo “qualcosa”? Questo è compito del genitore capirlo. Ciò che non dovremmo invece fare è “lasciare correre”, lasciare che i bambini piangano, lasciarli da soli quando chiaramente ci stanno chiedendo aiuto. Proprio come facciamo per un amico adulto in difficoltà. Forse che non lo ascoltiamo? Forse che lo lasciamo piangere in un angolo?
Come in ogni sano rapporto che si rispetti il dialogo è la prima regola da seguire. Impariamo insieme a comunicare, adulti e bambini: a volte basta chiedere. I bambini, pian piano, impareranno a esprimere a parole ciò che provano, esternandolo, e diventerà un’abitudine virtuosa che smorzerà i comportamenti da “bisogno di attenzione” in favore del dialogo. Il bisogno di essere visti e ascoltati, aiutati e confortati ci sarà sempre, ma in un modo diverso, più costruttivo per tutti.
Perché non dobbiamo ascoltare chi ci dice che con questi comportamenti i nostri figli “ci stanno manipolando”. Stanno semplicemente cercando di capire come funzionano i nostri rapporti, tastano i nostri limiti (in maniera sana e naturale: stanno crescendo e imparando a stare al mondo). E se non conoscono un altro modo per farlo, utilizzano ciò che hanno a disposizione. Solo il dialogo e la comprensione sapranno cambiare la rotta, dando ai nostri bambini uno strumento in più per farci capire di cosa davvero hanno bisogno in quel momento.
Altra regola, che sembra scontata, è passare più tempo possibile con i figli. Perché spesso i comportamenti di cui abbiamo parlato sono dettati semplicemente dalla voglia di stare con noi, sfruttando il tempo di qualità e non solo quello quotidiano che spesso diamo per scontato. Perché la maggior parte delle volte stiamo insieme, ma non ce ne rendiamo conto e il tempo speso è inutile, perché non è sentito, e i bambini lo sanno. Siamo distratti, è normale. Ma almeno rendiamocene conto e viviamoceli davvero, i nostri figli, dandogli l’attenzione che meritano come ogni altro essere umano, ascoltandoli, capendoli e aiutandoli a capire di cosa hanno bisogno, fornendoglielo e fornendogli gli strumenti più adatti per manifestare le loro necessità.
Giulia Mandrino