Come creare una classe felice

Proprio ieri vi abbiamo parlato di un recente studio che ha dimostrato come il successo dell’apprendimento sia direttamente collegato con la felicità. Non solo quella casalinga e familiare, ma soprattutto quella a scuola.

Ma come fare allora, da insegnanti ed educatori, ad assicurare questa felicità all’interno delle scuole e delle classi? Nessun problema. Ci viene in aiuto un libro che parla proprio di questo, e che è davvero illuminante.

Come creare una classe felice: il libro di Emma Seppala sulla felicità può aiutarci a capire come creare un ambiente scolastico sereno che stimoli e aiuti i ragazzi

Il libro di cui parliamo si intitola “The Happiness Track” ed è stato scritto dalla dottoressa Emma Seppala, direttrice scientifica del Center for Compassion and Altruism Research and Education della Stanford University. Un centro di ricerca, quindi, concentrato sull’empatia e sulla compassione. Già questo ci piace, dal momento che non sempre questi argomenti vengono trattati con il giusto impegno.

La ricercatrice (che ha spiegato al NY Times la sua teoria, dando qualche consiglio) parte dal presupposto che in effetti è difficile creare un ambiente protetto e sereno nelle nostre classi, soprattutto perché spesso non si considera nemmeno la cosa, mettendola in secondo piano. Ma basta fare un piccolo sforzo per riuscire a dare le giuste opportunità ai nostri ragazzi, che quando sono felici si sentono più stimolati e raggiungono quindi più facilmente i successi accademici. I ragazzi felici imparano più velocemente, sono più creativi, più resilienti e capaci di superare le difficoltà. Ecco perché è importante curare questo aspetto all’interno delle scuole. Non è un dettaglio insignificante, futile o “in più”; deve essere al centro di tutto, perché a guadagnarne è poi la società.

Ciò che allontana le scuole da questo obiettivo è sicuramente il mito del successo. Perché purtroppo quando si parla di questo successo, che dovrebbe essere un valore positivo, ormai lo si associa con lo stress e la preoccupazione, a causa del peso che poniamo sulle spalle dei ragazzi. Ma allora, che fare? Proviamo a ridimensionare la situazione e a guardarla da un altro punto di vista.

Non basta solo dire ai ragazzi che vogliamo che siano felici e che i voti sono solo un mero strumento di misurazione quantitativa, che ci interessa più la qualità del loro impegno o che dovrebbero seguire le loro inclinazioni. Non basta perché la nostra società è troppo concentrata sul mito del successo. Ecco perché secondo la dottoressa Seppala ciò che dobbiamo impegnarci a fare è costruire modelli più positivi e ambienti più dedicati. Come?

Innanzitutto, insegnando la resilienza: affrontare le sfide, non farsi sopraffare dai problemi, capire quali sono le cose importanti della vita. Ma non “resistendo”. La resilienza è diversa dalla resistenza, poiché in sé ha sin dall’inizio la positività. Nelle scuole dovrebbe essere sin da subito insegnata questa skill. E non solo a parole: la meditazione, lo yoga e il rilassamento aiutano moltissimo, e in effetti certi istituti li stanno già inserendo nei programmi, con ottimi risultati.

In secondo luogo, sarebbe opportuno ridimensionare anche l’energia e l’eccitazione. In Occidente la calma è spesso sottovalutata, e si pensa più positivamente quando un bambino è ricco di vitalità. Nulla di sbagliato, anzi. Tuttavia, a volte anche l’insegnamento della calma è molto utile, poiché aiuta i bambini a gestire le emozioni e le sensazioni, capendo quando rallentare e quando sfruttare al meglio le loro forze.

Sempre nello stesso solco sta il consiglio del “non fare nulla”. E cioè: i bambini hanno bisogno anche di tempo perso, ritagliato qua e là per non fare niente di importante se non ciò che si sentono di fare in quel momento. Gioco libero, tranquillità, creatività... Sono momenti come questi che allentano lo stress, rendono più felici e sereni e stimolano il bambino a perseguire ciò che sente di dover fare in quel momento.

Una tendenza delle nostre scuole è poi quella di vedere tutto in prospettiva, proiettando subito le menti dei bambini al passo successivo. In altre parole: quando si sta insegnando qualcosa, spesso si parla già del compito successivo (perché propedeutico o collegato), e pur vedendo la giustezza di questo comportamento degli insegnanti bisognerebbe anche entrare nella mente dei bambini, che ragionano in maniera differente da noi e che hanno i loro tempi. Proviamo quindi a cambiare il passo, e a non chiedere ai ragazzi di collegare sin da subito gli apprendimenti. In questo modo si concentreranno meglio su ciò che stanno facendo, senza la pressione del dover subito passare ad altro. Lo stress è sottovalutato, ma è davvero deleterio per l’apprendimento!

Ultimo punto da integrare nelle scuole è poi la gentilezza. Gentilezza intesa sia verso gli altri (e cioè compassione, altruismo, empatia, accettazione), ma anche verso se stessi: è inutile fare sentire in colpa per gli errori, tutti ne commettiamo. Dagli sbagli bisogna imparare, e se i bambini lo capiscono sin da subito tutto questo andrà a loro favore, e cresceranno capaci di affrontare le sfide della vita e di imparare sempre nuove abilità.

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