Le cose che non tolleri negli altri sono quelle che più odi di te stesso

La saggezza popolare si sa, spesso sbaglia quando parliamo di maternità e cura del bambino, ormai lo scrivo da tanti anni su questo mio spazio web: “non tenerlo troppo in braccio”, “una sculacciata non fa mai male a nessuno” sono solo alcune di tante frasi che abbiamo smentito con l’aiuto della ricerca scientifica e di personalità illuminate. 

Ma a volte queste frasi senza radici hanno un fondo di verità e quella su cui ho riflettuto oggi credo abbia grandi ripercussioni sulla vita di noi mamme, su di me di sicuro. 

Ho sempre avuto difficoltà ad accettarmi, ad avere fiducia in me stessa: d'altronde sono certamente dotata di grande creatività ma le lacune che ciò porta sono evidenti e talvolta imbarazzanti, spesso mi creano importanti difficoltà. Sono praticamente incapace di organizzarmi e appena lo faccio sento dei paletti, il mio istinto cerca una rapida via di fuga; odio programmare, sono poco precisa, impulsiva e a volte inconcludente perché mi perdo nei meandri delle mie idee. Odio rileggere, strana attitudine di una che ha un blog, in questo stesso momento l’idea di dover rileggere mi fa arrabbiare terribilmente, mi sembra una prigionia del pensiero che vorrei sempre sentire come flusso libero. 

Non sono ancora riuscita a trovare una soluzione appagante o come direbbero gli inglesi “deal” (non trovo una parola nella nostra lingua che calzi a pennello come questa, chiedo perdono). So cosa vuol dire sentirsi vulnerabile, perché coloro che sono razionali e con i piedi ben saldi a terra se sei come me ti mettono i piedi in testa quando e come vogliono perché tu non riesci a fermarti e rileggere, la passione per ciò che fai ti assorbe in pieno: so cosa vuol dire sentirsi travolti dalle idee, dalla voglia di fare e di portare avanti un progetto da dimenticarsi tutto il resto. Sicuramente significa anche essere ancora immaturi, ma credo che in parte sia DNA, null’altro che genetica con la quale si possono solo mettere in campo strategie per convogliare queste attitudini e arginare i danni, imparando a fermarsi e organizzare pensiero, lavoro e azioni. 

A volte sgrido mio figlio, a volte lo sgrido troppo, a volte non lo sgrido ma borbotto, dando persino fastidio a me stessa, lo stesso fastidio che provavo quando i miei genitori sgridavano me, per altro per gli stessi motivi: ero sovversiva, irrequieta, con la testa tra le nuvole, pasticciona. 

Mi sono resa anche conto aimè che non perdo occasione per lamentarmi di lui con le altre persone, di quanto lui sia testardo, sovversivo… di quanto sia alla fine come me, anche se con una intelligenza più logico-matematica. Quindi, di preciso, perché mi lamento? Perché mi fa così incazzare questo suo lato? Perché non lo accetto? Cosa vuol dire per una mamma questo detto “ le cose che non sopporti nelle altre persone sono quelle che più odi in te stesso”? 

Per me vuol dire paura, paura che tuo figlio possa commettere gli stessi errori, paura che anche lui soffra, che abbia i tuoi stessi punti deboli che lo penalizzino nella vita: ma sopratutto paura di non essere capace a insegnargli quegli aspetti di cui sei lacunosa. Difficile insegnarli l’organizzazione se tu sei l’anti-organizzazione, difficile insegnarli a fare cose in cui tu stessa non credi e quindi non accetti. Spero che sia più tollerante di me, spero che diventi più organizzato, spero che riesca a fare anche cose in cui non crede e a farle con relativa leggerezza, senza metterci troppo l’emozione dentro. Ma lui è come me, in ogni suo gesto c’è un’emozione, e so che purtroppo nella vita questo penalizza, penalizza tanto. 

Poi però mi fermo, accolgo questa emozione che credo sia fisiologica, anzi, credo sia importante riconoscerla: vorremmo dare tutto ai nostri figli, vorremmo tramettere loro ogni dote che possa essere per loro risolutiva, efficace e lineare.

Vorremmo, ma non possiamo. Ma sopratutto forse non sarebbe giusto, libero, vitale, sarebbe un copione. Ma poi, davvero è solo amore nei loro confronti? O è anche una sorta di anti-ansia per noi? Perché un figlio che ha tutti 10 a scuola, obbediente, pacifico promette molto bene: siamo già sulla strada buona nel vederlo con un buon lavoro, sposato, un paio di pargoli e magari in una villetta schiera vicino a casa nostra. Ma se questo non fosse la strada per la sua realizzazione? Ma se la sua via non fosse questa e la sua felicità risiedesse in altro, qualcosa di molto più scomodo, articolato, complicato, ansiogeno e chissà cos’altro? Siamo sicuri di sapere cosa è meglio per loro?

La verità forse è che la vera sfida non è crescere figli perfetti per noi, comodi ai genitori, figli su cui non avere rimpianti anche perché credo che qualsiasi cosa facciamo ora di rimpianti ne avremo.

La vera sfida è crescere i nostri figli accentandoli nel profondo, consentendo loro di realizzarsi per quelli che sono, farli sbocciare nella loro natura e aiutarli a trovare quello che è il loro posto nel mondo, che non è detto sia il più comodo per noi. Questo però, forse, è il vero amore. E semplice non è davvero. 

Giulia Mandrino

Sara

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Cecilia

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