Mamma che fatica!

Io ho una figlia femmina. Una ragazzina di quasi sette anni, che come tutte le sue coetanee si sente già grande, linguetta taglia e cuci, signorina so tutto io. E non vi nascondo che sto facendo una fatica immane a non metterla in lista per farla adottare. Scherzi a parte, crescere un figlio è sicuramente faticoso, ma crescere una femmina, Santo di quel Dio, è davvero una prova da guinness dei primati. Da quando la mattina mette i piedi per terra, io so già che dovrò arrivare a fine giornata sperando di vincere la battaglia senza troppi spargimenti di sangue.

La sua vocina dolce e impastata di sonno quando viene a svegliarmi e a darmi il buongiorno, dura circa 33 secondi. Poi si stropiccia gli occhi ancora assonnati, si guarda intorno e… “io oggi non voglio andare a scuola”. Ecco, apposto, nemmeno un caffè m’hai fatto prendere prima di iniziare a martellarmi i fianchi. “Ele, te prego, tanto lo sai che a scuola ci devi andare, ti scongiuro…non iniziare…”…e da li, un crescendo di lagne per tutto. “Cosa mi metto oggi?” “leggins e maglietta Ele”  “mamma ma stai scherzando! Cioè tu mi mandi a scuola in leggins? In pantaloni? Io voglio andare in gonna, o con un vestito!” “Ele non hai gonne pulite, e nemmeno vestiti” “E allora prendili dai panni sporchi!” …e così inizia la giornata, una lotta per tutto.

Questo non me lo metto, non voglio lavarmi, mi fa schifo il dentifricio, voglio il latte coi cereali, i cereali si sono ammollati, voglio le gocciole, però levami i cereali ammollati, lo zaino è pesante voglio il trolley, tutti hanno il trolley, comprami il trolley, oggi c’è inglese la maestra urla troppo, io non voglio andare a scuola, ah mamma a proposito avevo un compito che non ho fatto, è meglio che resto a casa. E in un crescendo di ire di Giunone, restare calmi e non urlare diventa davvero difficile, se non impossibile. E se per i primi 10 minuti di capricci, la Montessori ti appare come la Madonna facendoti mantenere un contegno e una calma invidiabili…a 10 minuti e 1 secondo parte il cosiddetto microembolo! Parte la ciavatta, come dicono a Roma.

Parte l’urlo della madre, quell’urlo che richiama cani e delfini a chilometri di distanza, quell’urlo che fa ballare l’occhio, fa accelerare il battito cardiaco (non solo della madre ma anche di chi le sta vicino), fa tremare le pareti e i vetri, fa scendere la suocera per vedere che è successo. Quell’urlo che dice “adesso hai toccato il limite, io t’ho messo al mondo io te ce levo!” ed è di solito accompagnato da uno sciabattare frenetico, che solo il suono ti deve fare capire che anche basta, è ora di finirla. Di solito quando mi parte l’urlo, e la rincorro, nella mia mente si affollano e si sovrappongono vari scenari…mo la gonfio come ‘na zampogna, la chiudo in camera e butto la chiave, la mando a letto senza cena, le butto tutti i giochi…e penso, ora che arrivo da lei sarà sicuramente terrorizzata e mi chiederà scusa e mi abbraccerà e faremo pace e diventerà buona come una principessa. E invece arrivo e lei che fa? Ride!!!

Mi guarda e c’ha un ghigno in faccia che dice “tanto lo so che brontoli brontoli, ma non farai mai nulla di ciò che stai pensando, perché io so più furba de te e odoro ancora di neonato, e so toccarti le corde dell’anima come nessun altro al mondo”. E io la guardo, e rido…e torno indietro di 30 anni quando anche mia madre mi rincorreva con lo stesso istinto omicida e poi arrivata davanti a me mi minacciava col dito in alto e la risata in gola. Solo che adesso la capisco, e so che ci vuole tutta la salute mentale di questo mondo per non uscire di testa quando ti arriva un figlio. I figli riescono a farti tirar giù i Cristi dalle croci ogni due minuti. Riescono a farti andare il sangue al cervello con una maestria incredibile.

Ti portano sulle stelle con un abbraccio che scioglie il cuore, e subito dopo vorresti spedirli a calci nel sedere sulla luna, biglietto di sola andata per favore. Ma so anche che sono l’amore della mia vita, sono l’unica ragione che mi da la forza di dire “questo mondo non fa poi così schifo se ci siete voi qui con me”. E so che fare la mamma mi ha sconvolto la vita, in tutti i sensi. Quante volte ho pianto nel cuore della notte distrutta dalla mancanza di sonno, dall’angoscia di vederli ammalati, per la tristezza di averli troppo sgridati. Ma il mattino dopo, tutto lo sconforto era andato via, spazzato lontano dal loro sorriso e dal loro amore incondizionato. Quell’amore che tutto perdona, anche se spesso ci sentiamo genitori inadatti e impediti e sbagliati. Perché è così, e non ci si può far nulla. È l’amore, che divide il cuore a metà per il resto della nostra vita.

Quindi impariamo a non sentirci troppo in colpa, perché siamo madri non siamo Sante. Siamo esseri umani e non automi con pulsanti dietro la schiena che comandano le nostre emozioni. Preoccupiamoci piuttosto di saper chiedere scusa, di non mandarli a dormire senza dire ti voglio bene e aver fatto pace, di fargli sentire che potranno fare qualunque cosa nella vita, appoggiandoli e sostenendoli sempre. Ma non facciamoci mettere alla gogna perché urliamo o perché li sgridiamo. Non permettiamo a nessuno di giudicarci, soprattutto da coloro che sono stati genitori prima di noi, e che di solito hanno scordato tutto e non mancano mai di buttare quelle frasi distruttrici della nostra autostima “io non li ho mai sgridati, mai una sculacciata, mai una punizione, i miei figli erano sempre buoni e educati”. Perché questa gente mente sapendo di mentire, e adora i semplici moralismi.

Quei moralismi propri di chi giudica e poi però torna a casa e non deve combattere con bambini capricciosi. Quei moralismi di chi la notte dorme dieci ore filate. Quei moralismi di chi dovrebbe leggere tomi e tomi di pedagogia prima di metter piede nelle nostre vite di genitori. E ho detto tutto. 

Cinzia Derosas

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Sara

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Cecilia

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