Oltre alla pasta fatta in casa c'è un'altra ricetta che stuzzica la nostra creatività e che è decisamente più semplice di quanto si creda. Parliamo degli gnocchi, divertentissimi da fare in casa con i bambini (hanno solo tre ingredienti quindi sono super facili!), tradizionali e fantasiosi, dal momento che utilizzando le patate viola possiamo renderli colorati come piacciono ai più piccoli! E poi sono deliziosi, anche semplicemente con dell'olio evo e pecorino o con un sugo di zucchine saltate in padella.
Gnocchi viola: gli gnocchi fatta in casa a partire dalle patate viola
Fare in casa la marmellata è una delle nostre attività preferite, un po' perché ci divertiamo a prepararle con i bambini e un po' perché ci permette di preparare marmellate che siano più sane e meno zuccherate di quelle confezionate.
Questa ricetta è così semplice e benefica (alla frutta aggiungiamo i semi di chia!) da essere diventata ormai un must nella nostra cucina e le mattine d'estate s'impreziosiscono con la nostra chia jam spalmata su delle semplici fette biscottate integrali ai cereali.
Chia Jam: la ricetta della marmellata fatta in casa con frutta e semi di chia
L’empatia, una materia da insegnare a scuola
Martedì, 24 Luglio 2018 07:20Negli ultimi anni “empatia” è un sostantivo che è entrato moltissimo nel parlare comune. E noi ne siamo contente, perché significa che c’è una sempre maggiore attenzione nei confronti di questo atteggiamento e sentimento che ci permette di vivere la vita non distaccandoci dagli altri, ma sentendo le emozioni di tutti. Un atteggiamento, questo, che non è utile solo perché fa sì che siamo più altruisti, ma che torna a beneficio della nostra persona nella sua interezza, a livello personale e a livello sociale.
Negli ultimi anni, però, si è anche assistito ad una tendenza contraria, e se qualcuna di voi ha amiche maestre probabilmente l’ha sentito direttamente dalla loro bocca: la scuola si trova infatti a dover insegnare sempre più spesso ai bambini le emozioni poiché a casa queste non vengono più affrontate. Cosa significa? Significa che i nostri figli hanno bisogno di tornare a fare i conti con i loro sentimenti, sia a casa sia a scuola, perché evitare di parlarne, di affrontarli e di comprenderli è davvero deleterio. Tra questi sentimenti certamente sta l’empatia, che sta alla base delle relazioni sociali funzionali ed armoniche e che è la base per capire le emozioni in toto.
L’empatia, una materia da insegnare a scuola: in Danimarca l’empatia è una materia che i bambini imparano per vivere più felici e sereni
Come spesso accade, l’esempio arriva dalle scuole nordiche. Stavolta parliamo della Danimarca, che nelle sue scuole insegna ai bambini l’empatia. Quando? Durante l’ora di classe, la “Klassen tid”, un’ora che dal 1990 è inserita dal governo nel curriculum ufficiale delle scuole. Tutte le scuole, insomma, hanno nel loro programma un’ora settimanale nella quale al centro dell’attenzione c’è la classe.
Durante la Klassen Tid i bambini imparano dunque, attraverso il dialogo e alcune attività ad hoc, cosa sia l’empatia, ovvero la capacità di capire lo stato d’animo altrui, di mettersi nei suoi panni e di stabilire rapporti più profondi e sinceri. Lo fanno attraverso la concretezza e non solo studiando cosa sia questo concetto, poiché l’ora di classe è fatta proprio per parlare, esternare i problemi, dialogare svelando informazioni personali, esprimersi, rivelare le proprie paure…
La condivisione, quindi, spinge i bambini in primo luogo all’ascolto e parlando in prima persona dei loro problemi capiscono che tutti proviamo qualcosa. È un circolo virtuoso molto importante.
Spesso durante l’ora di classe si cucina qualcosa tutti insieme. Si entra così in uno stato d’animo confortevole, ci si sente a proprio agio, ci si lascia andare, dopodiché si comincia a trattare i problemi tutti insieme. Pian piano si crea un ambiente molto stimolante, sicuro e sereno nel quale tutti sanno di poter trovare conforto e aiuto. In quest’ora prevalgono la solidarietà e lo spirito di gruppo e l’empatia nasce in maniera molto naturale, perché quando tutti sono coinvolti il sentire l’altro diventa più semplice.
Tutto questo non è fine a se stesso ma ha risvolti positivissimi sui bambini, che possono fare tesoro di questo insegnamento sfruttandolo durante tutta la vita. Abituarsi a entrare in contatto con gli altri sviluppando empatia è preziosissimo, soprattutto in una società come la nostra nella quale l’individualismo è sempre più osannato e nel quale ego e narcisismo la fanno da padroni. Ma non solo a livello di “altruismo”, come dicevamo prima. L’empatia non è utile solo perché così “si diventa persone buone” (anche se è verissimo!). È utile anche a livello personale poiché l’empatia può diventare essenziale in moltissimi campi della vita: in famiglia, sul lavoro, nella carriera scolastica…
Empatia è infatti scambio. E lo scambio è fondamentale per la vita. Così come per lo sviluppo naturale del rispetto: come si fa a crescere rispettosi se non si pensa alle conseguenze che le nostre azioni hanno sull’altro? Come si fanno a rispettare gli altri e i loro diritti se il loro sentire non ci sfiora?
Insegnare l’empatia dovrebbe quindi essere tradizione di tutte le scuole, in tutto il mondo, anche in Italia. Le si potrebbe dedicare un’ora a settimana come in Danimarca, sfruttando poi gli strumenti che la scuola ci dà: un giardino, un circle-time, una cucina, un laboratorio… L’importante sono il dialogo e la creazione di un ambiente sicuro nel quale tutti possano esprimersi e calarsi nei sentimenti dei propri compagni con rispetto, coinvolgimento e serietà.
Giulia Mandrino
Persone tossiche, quali sono e perché sbarazzarsene
Lunedì, 23 Luglio 2018 13:20Tutti nella vita prima o poi veniamo in contatto con delle persone tossiche che potenzialmente possono trascinarci in un brutto loop. Magari non sono persone tossiche in generale, ma lo sono per noi, e quando i nostri caratteri collidono le conseguenze sono pesanti. Oppure sono persone proprio pesanti, tossiche e inebrianti che effettivamente hanno la capacità, con tutti, di trascinarli in luoghi bui dell’esistenza.
Sono le persone arroganti, negative, che tentano di avere la meglio su tutti, che fanno del pessimismo un’arte o che s’approfittano sempre dell’altro. In ogni caso, dovremmo saperle riconoscere e non farci problemi ad allontanarci da loro. Soprattutto, non dovremmo tentare di piacere loro in tutti i modi, o di compiacerle, poiché spesso questi rapporti influiscono negativamente sulla nostra felicità
Persone tossiche, quali sono e perché sbarazzarsene: quali sono i personaggi negativi e tossici che non dobbiamo avere paura ad allontanare dalla nostra vita
Allontanare le persone tossiche dalla nostra vita ha benefici incredibili. Se di carattere siamo un po’ più deboli di altri che riescono a prenderne le distanze oppure se certi periodi della nostra vita ci fanno sentire la loro influenza negativa in maniera particolarmente pesante e coinvolgente, allora dobbiamo prendere coraggio e capire che non stiamo facendo un torto a nessuno se prendiamo la decisione di tagliare i ponti o di allontanarci un po’ da queste persone tossiche. Stiamo solo facendo del bene a noi stessi, poiché allontanando quest’aura di tossicità e negatività ne guadagniamo in salute e felicità.
Le persone tossiche possono essere dappertutto nella nostra vita. Colleghi, familiari, amici, amici di amici, conoscenti. E solitamente riescono ad avvicinarsi a noi in maniera molto profonda, perché una delle loro capacità è quella di attaccarsi moltissimo agli altri succhiandone emozioni ed energie, che trasformano poi in loro energia emotiva vitale.
C’è, ad esempio, l’eterno negativo. È la persona che non sentirete mai dire “Tutto bene, grazie!”, perché a suo dire nella sua vita tutto è sempre nero. Mai una soddisfazione sul lavoro (ma solo colleghi “incapaci” o che “ce l’hanno con lui), mai una svolta positiva nella vita, mai un sorriso che non sia di circostanza ma solo frecciatine nei confronti degli altri (perché la colpa è sempre esterna) e vittimismo costante. Il pericolo è che, soprattutto in periodi particolarmente giù o stressanti, l’eterno negativo ci trascini nel suo baratro e ci faccia vedere solo i lati negativi di alcuni aspetti della nostra vita (solitamente quelli che condividiamo con lui, il lavoro o la famiglia ad esempio), o che addirittura riesca a farci sentire in colpa per le “disgrazie” a lui capitate. Ma non è così, perché la maggior parte delle volte non sono disgrazie (è solo la sua visione incapace di vedere il bello nelle cose e di godersi la vita) e soprattutto perché noi non c’entriamo assolutamente nulla!
Leggermente diverso ma comunque dedito al negativismo è il negativo manipolatore, quello che commenta sempre le tue notizie con aneddoti che ti buttano giù, con commenti inappropriati (“ma davvero? Sei sicuro di ciò che hai fatto? Ah, beh, bell’aumento, ma nella tua posizione credevo prendessi molto di più”) e con finta preoccupazione. Ti fa dubitare di te stesso e questo è assolutamente riprovevole.
C’è poi il pettegolo. Quello che ci trascina sempre nel gazzettino del paese, che ne ha una per tutti, che sa ogni ultimo gossip. Il problema è questa sua tendenza crea attorno a lui un ambiente spinosissimo. Le sue maldicenze (perché questo sono, nel caso della persona tossica, non degli innocui pettegolezzi da ombrellone) sono pericolose e mettono zizzania nell’ambiente in cui vive o lavora. Spesso sono pettegolezzi credibili, altre volte veri, altre ancora del tutto falsi, ma ciò che è tossico è soprattutto l’intenzione di mettere sempre in cattiva luce gli altri. Meglio stare zitti ed evitare di cadere trappola, poiché anche solo commentando o stando al gioco diventiamo anche noi colpevoli.
Tossicissimo è l’amico (o familiare) che manipola. Sfrutta la bontà di chi ha di fronte per volgere le situazioni a suo favore o per evitare sforzi. Ti aiuta solo se quell’aiuto ha un risvolto positivo per lui, ti cerca quando ha bisogno, usa tutto il fascino di cui è capace (perché il manipolatore è affascinantissimo!) per prenderti energie, tempo e denaro a suo favore. L’insidia è dietro l’angolo, perché una persona tossica manipolatrice ci fa sentire bene con noi stessi ma soprattutto utili, quando in realtà lo farebbero con chiunque. Non è un’amicizia vera. È solo opportunismo.
Infine, è meglio distaccarci dai vecchi amici. Non quelli con cui continui ad avere un rapporto (anche se solo una volta all’anno) volentieri, o quelli con cui hai passato dei bellissimi momenti che non vuoi dimenticare, ma piuttosto quelli che sono entrati nella vita per un piccolo periodo di tempo e che ne sono usciti velocemente. Spesso si rimane attaccati a queste amicizie per senso del dovere quando in realtà ci pesano e basta. Non dobbiamo farci problemi ad allontanarci e a togliere l’ancora, soprattutto nel momento in cui l’amicizia è a senso unico. Non vi sentite più e tu ti senti in colpa? Ricorda che si è in due in un’amicizia e che anche l’altro non sta alzando la cornetta del telefono. Basta arrovellarsi per il niente!
E non dimentichiamoci di chi non vuole mai uscire dalla sua confort zone tenendo anche voi appiccicati a lui, chi è aggressivo senza motivo, chi utilizza troppo sarcasmo mettendovi sempre in cattiva luce di fronte agli altri. E soprattutto chi vi fa credere che senza di lui non sareste nessuno: tutti sono qualcuno e tutti hanno il diritto di vivere una vita serena senza zavorre che ci trascinino in un baratro solo perché sanno farci sentire in colpa!
Giulia Mandrino
I parchi divertimento migliori d’Europa
Lunedì, 23 Luglio 2018 07:21L’anno scorso vi avevamo parlato dei parchi divertimento più belli del Nord Italia e dei parchi più strani che possiamo trovare lungo lo stivale. Ma se quest’estate abbiamo in programma un viaggio in famiglia in una città o in una località europea questo non basta. Ecco perché abbiamo deciso di svelarvi i nostri parchi divertimento europei preferiti, quelli più o meno conosciuti ma che in ogni caso ci assicurano giornate di spensieratezza infinita con i nostri bambini!
I parchi divertimento migliori d’Europa: dove trovare i parchi divertimento migliori durante il nostro viaggio europeo con i bambini
Per noi romantiche e per le famiglie che viaggiano nel Nord Europa il consiglio è quello di fare una capatina al Tivoli Gardens di Copenhagen. Perché? Perché è tra i più vecchi d’Europa (è il secondo più “anziano” dopo il Dyrehavsbakken, sempre in Danimarca - l’abbiamo scoperto grazie all’utilissima e definitiva guida ai parchi divertimento europei stilata da Shopalike). Lo chiamano anche semplicemente “Giardini di Tivoli” e dal 1843 delizia le giornate delle famiglie che vogliono divertirsi in un gigantesco luna park. Ci sono giostre e attrazioni, ma ciò che amiamo è il verde in cui è immerso, con i suoi ampi boschi e gli animali che li popolano!
Bellissimo è anche il Wiener Prater di Vienna, conosciuto per la sua immensa ruota panoramica ma anche per le montagne russe: è ricchissimo infatti di queste attrazioni adrenaliniche (per tutti i gusti e per tutte le età) e piace quindi moltissimo anche ai papà.
In Polonia, a Zabor, è presente invece uno dei parchi divertimento più adatti alle famiglie, Energylandia, che secondo la guida di Shopalike è il migliore di tutti in base al prezzo del biglietto (67 euro per 4 persone), per la possibilità di pernottamento e per il numero di attrazioni (92!). Segue, in Olanda (a Slagharen) l’Attractiepark Slagharen, con 35 attrazioni ed un prezzo a famiglia medio di 100 euro. Qui troviamo scivoli enormi, montagne russe per tutta la famiglia, i vecchi calcinculo e le canoe sull’acqua, oltre a tantissimi altri giochi.
Impossibile non parlare poi di Disneyland Paris, che per metratura è il parco divertimenti più grande d’Europa. E c’è da dire che l’essere così famoso non è un caso: è curato in tutti i dettagli e oltre ai tantissimi giochi da fare in famiglia vale la pena anche solo per le passeggiate immersi nelle ambientazioni Disney che hanno ricreato. Per non parlare degli spettacoli della sera, con i personaggi dei cartoni che mandano giustamente in visibilio i bambini (e anche noi genitori ci sciogliamo un po’, senza vergogna).
Se la nostra vacanza sarà inglese, sappiate che ad Alton, nello Staffordshire, è presente Alton Towers, un parco divertimenti con - tra gli altri - moltissime montagne russe (due per la famiglia, le altre estreme o super estreme!), rapide per bagnarsi in maniera divertente, una casa stregata, una scuola guida per bambini, le giostre con i cavalli e le tazze (che a Gardaland non troviamo più).
E senza dimenticare l’Italia (fa parte dell’Europa, no?) non possiamo non citare Gardaland e Mirabilandia: sono i più conosciuti, e un motivo c’è. Per la grandezza dei due luoghi e per la ricchezza di attrazioni, non solo per i più temerari, ma per tutta la famiglia! Dal Colorado Boat a Mammut a Gardaland fino al Rio Bravo e alle Brontocars di Mirabilandia, il divertimento con i bambini è completo. E anche solo passeggiare per questi parchi curati al dettaglio è un’avventura!
Giulia Mandrino
Sì, esiste anche la depressione post parto dei papà
Venerdì, 20 Luglio 2018 14:20Il 20% delle mamme soffre di depressione post parto, una patologia di cui si parla molto ma che spesso non viene affrontato nella maniera corretta dai media e da chi ci sta attorno, poiché la tendenza è quella di nascondere questa realtà. Un numero davvero molto elevato. Ma non è l’unico. Perché in pochi lo sanno, ma anche il 10% dei papà soffre di depressione dopo la nascita del proprio figlio. E anche questo è un argomento di cui si dovrebbe parlare molto di più.
Sì, esiste anche la depressione post parto dei papà: la PPD, Paternal Postpartum Depression, ovvero quando i papà soffrono dopo l’arrivo di un figlio
Parlare di un problema è il primo passo verso la sua risoluzione. Perché solo parlando lo si riconosce e una volta riconosciuto lo si può affrontare. Perché quindi lasciare nell’oblio un disturbo come la depressione che colpisce i padri dopo l’arrivo di un bambino? La depressione postpartum è tipica delle madri, ma il baby blues colpisce anche i padri, in maniera differente, e non dovremmo fare finta di niente.
Perché non se ne parla? Un po’ perché effettivamente non si conosce questa patologia (e sono pochi gli uomini che la riconoscono, associandola all’arrivo del bambino e non ad altri aspetti della vita), un po’ per cultura, perché come sappiamo agli uomini è ancora, purtroppo, affibbiato il ruolo di machi senza sentimenti, di robot senza lacrime che se lacrimano sono meno uomini (e ricordate il bellissimo progetto “What real men dry like”?).
Alcune ricerche (come questa) hanno osservato come la causa di questa depressione sia l’abbassamento di testosterone. Se a nove mesi dalla nascita del bambino il testosterone del padre si abbassa, infatti, aumenta il rischio di depressione. Questo testosterone, tuttavia, ha un’influenza contraria sulla madre. Se infatti il partner presenta bassi livelli di questo ormone, la madre rischia in maniera minore di soffrire di depressione postpartum (e al contrario quando il testosterone del papà è troppo alto il rischio aumenta, anche per l’aggressività e lo stress che caratterizzano gli uomini con alti livelli di questo ormone). Sembra un’altalena, e in effetti è così, e l’ideale è quindi l’equilibrio del testosterone.
Questo studio non fa che confermare una cosa, e cioè che anche i padri presentano, alla nascita dei figli, dei cambiamenti fisici che influenzano la loro psiche. Non è solo la mamma quindi a provare gli sbalzi d’umore (come spesso pensiamo, anche per le implicazioni fisiche della gravidanza e del parto). E questo spiega anche come certi padri siano molto coinvolti nella crescita dei figli mentre altri non sentano la necessità di stare loro vicini (anche a livello di contatto fisico).
La ricerca però ha sottolineato anche un altro fatto, e cioè i benefici della presenza di una partner di supporto e presente. Se i padri con basso testosterone soffrivano infatti di depressione, questa diminuiva e migliorava nel caso in cui la compagna era una compagna presente e d’aiuto. E in effetti sono molti gli studi (come questo) che sottolineano come la migliore soluzione per combattere la depressione postparto dei padri (detta anche PPD, Paternal Postpartum Depression) sia il supporto del partner che si ha accanto.
Il primo passo per stare vicino ad un papà che sta soffrendo di questo disturbo è quindi quello di stare vicino. Prima parlandone con delicatezza, poi trovando un valido supporto negli psicologi che conoscono il problema.
E un altro validissimo aiuto è parlare e fare amicizia con altri padri. Il “villaggio” è un concetto molto importante poiché trovando persone nella nostra stessa situazione (non la depressione, ma la paternità) possiamo trovare risposte, capire meglio noi stessi, vedere altri approcci alla paternità, trovare un aiuto nell’amicizia vera.
Giulia Mandrino
Ikigai, ovvero trovare una ragione per vivere secondo la cultura giapponese
Venerdì, 20 Luglio 2018 09:03Chi legge libri giapponesi, che siano saggi o romanzi, sa che questi sono impregnati di una piacevolissima quiete e di un senso di calma inconfondibili. E anche quando si parla di tragedie, tristezza o sentimenti negativi esiste sempre un atteggiamento positivo in fondo al nero e tutto viene comunque vissuto con la calma quieta che pervade tutta l’atmosfera giapponese.
Recentemente abbiamo conosciuto un concetto che ci conferma tutto questo e che fa parte degli atteggiamenti che da millenni i giapponesi adottano nei confronti della vita. Si chiama Ikigai ed è un validissimo aiuto per focalizzare la propria vita e renderla più piena.
Ikigai, ovvero trovare una ragione per vivere secondo la cultura giapponese: come trovare uno scopo di vita ogni mattina può cambiare la vita, prendendo spunto dal popolo nipponico
Proprio come l’Hygge e il Lagom, che però vengono dalla cultura nordica, l’Ikigai è una filosofia di vita che possiamo seguire per migliorare il nostro vivere e per trovare una felicità semplice e duratura. Viene dal Giappone e ha una tradizione millenaria proprio come il suo popolo.
Esiste anche un libro, scritto da Bettina Lemke ed edito in Italia da Giunti, “Ikigai, il metodo giapponese - Trovare il senso della vita per essere felici” (che potete trovare qui). Ma per capire subito di cosa stiamo parlando proviamo a sintetizzare un po’ i concetti di questo Ikigai.
L’Ikigai può essere tradotto letteralmente (anche se non c’è un significato univoco e perfetto) come “ragione di vivere”, “ragion d’essere”. Viene da Iki, cioè “vita”, e Gai, “scopo”. Insomma, l’Ikigai è qualcosa per il quale viviamo, il nostro scopo, e può essere una persona (non a caso questa parola viene riferita spesso al proprio innamorato, in Giappone), un sentimento, un lavoro, una passione. E con questo termine i giapponesi riescono a racchiudere moltissimi significati, dalla ragione per cui ci alziamo dal letto alla mattina fino a ciò che vogliamo realizzare nella vita (quindi lo scopo), dalle nostre passioni a ciò che facciamo per il mondo nel nostro piccolo.
Questo qualcosa per il quale ci alziamo la mattina è diverso per ognuno di noi. Quando abbiamo ben focalizzato il nostro Ikigai è più semplice alzarsi dal letto ma soprattutto si affronta la quotidianità con uno spirito positivo e in maniera natura si tenta ogni giorno di rendere la propria esistenza significativa, per noi stessi e per gli altri.
L’utilità dell’Ikigai è semplice: la felicità è un sentimento umano, una condizione, un sentire che tuttavia non è permanente o eterno ma solitamente va e viene a seconda del periodo nel quale ci troviamo. Tenendo sempre presente il nostro Ikigai, invece, questa felicità sarà permanentemente presente, sarà sempre lì di fronte a noi a prescindere dalle difficoltà e ci aiuterà a superare tutto in maniera più positiva, ma soprattutto propositiva.
Come trovare, dunque, l’Ikigai? Innanzitutto, dobbiamo pensare con intensità a ciò che amiamo veramente nella nostra vita, più di tutto. Incrociamo poi questa passione con la nostra bravura, con il contributo che questa passione dà agli altri e con i valori che ci accompagnano nella vita, quelli ai quali ci ispiriamo e che cerchiamo di seguire sempre. E anche con la possibilità di essere pagati per questa passione. Solo in questo modo l’Ikigai sarà davvero una vocazione, una passione, una missione e una professione.
C’è poi l’intenzione. Perché il nostro Ikigai deve essere inseguito intenzionalmente, volontariamente, con convinzione. Bisogna applicarsi e non lasciare che ci scorra addosso. Dobbiamo impegnarci. Solo così saremo completi e soddisfatti. E non solo dal risultato, ma anche dalla strada che intraprendiamo per cercare di arrivare a quel risultato. Perché la felicità non è data dal mero raggiungimento dell’obiettivo ma soprattutto da ciò che il nostro Ikigai ci dà ogni giorno, lungo il percorso che intraprendiamo e che è la nostra vita.
Giulia Mandrino
Tendaggi e finestre, quelle giuste per la cameretta
Venerdì, 20 Luglio 2018 08:12Arredare la cameretta dei più piccoli richiede diverse attenzioni, dal colore delle pareti, all’arredamento e gli accessori. Un elemento da non dimenticare sono le tende, importanti non solo perché oscurano la stanza e conciliano il riposo, ma anche perché proteggono dagli spifferi provenienti dagli infissi e sono un vero e proprio elemento d’arredo, che complementa la stanza. Come scegliere quelle giuste?
Tendaggi e finestre, quelle giuste per la cameretta: come scegliere infissi e tendaggi per la camera del bambino
Il colore delle tende
Una delle prime caratteristiche da considerare è il colore delle tende. A seconda dello stile che scegli per la cameretta, le opzioni sono diverse. Non ti limitare a scegliere il rosa o il blu per bambine e bambini, ma pensa anche al futuro. Meglio optare per un colore neutro, che si adatti ai cambiamenti della stanza. Anche il giallo o il verde sono scelte che si adattano alle tende. Secondo la cromoterapia, infatti, il primo contribuisce alla concentrazione e infonde positività. Il secondo, invece, favorisce il benessere e la calma.
Come scegliere una fantasia?
Se vuoi qualcosa di particolare, le fantasie tra cui scegliere sono tante. Per avere qualcosa di adatto ai bambini, ma sempre pratico, puoi optare per tende con decorazioni e disegni sulla parte inferiore o superiore., magari da abbinare al copripiumino. Per un effetto originale ma sobrio, scegli tende bianche con decorazioni semplici come stelle o fiori a rilievo.
Tende oscuranti o dai tessuti leggeri?
Il tessuto delle tende è un altro fattore importante. Per finestre senza tapparelle, è meglio scegliere tende oscuranti, in modo da permettere al bambino un perfetto riposo, soprattutto se la stanza è illuminata da luci stradali. In caso contrario, puoi scegliere un tessuto leggero e trasparente, ideale per una stanza che non gode di molta luce.
Coinvolgi i piccoli
Quando arredi la stanza di un bambino già grande, dai 3 o 5 anni in su, potrai già coinvolgere nella scelta dei dettagli, tra cui le tende. Queste potranno essere un modo per permettergli di personalizzare la stanza come più preferisce. Ovviamente potrà chiedere delle tende di colori accesi o dalle decorazioni molto particolari, ma insieme potrete scegliere l’opzione più adatta.
No, non è “per costituzione”
Venerdì, 20 Luglio 2018 07:53Ci sono certe frasi fatte, luoghi comuni e cliché che sono pericolosissimi. Non ce ne rendiamo conto, un po’ perché siamo abituati a sentirli e un po’ perché ci rassicura nasconderci dietro a queste parole. Una di queste frasi fatte è “per costituzione”. La si riferisce ai bambini in sovrappeso e non ci si accorge che si sta solo nascondendo la testa sotto la sabbia. Ma è davvero rischioso perché in questo modo non si affronta la situazione e i pericoli futuri sono davvero nocivi.
No, non è “per costituzione”: i bambini sovrappeso spesso vengono giustificati ma è ora di guardare in faccia la realtà
Lo spunto ci viene da un articolo apparso sul Fatto Quotidiano, questo. L’ha scritto la blogger Erica Vecchione, si intitola “Se tuo figlio è obeso non dire che è ‘per costituzione’. Apri gli occhi, e aiutalo” e non ci potrebbe trovare più d’accordo.
Il fatto è che l’essere “rotondi di costituzione” è da decenni la scusa alla quale moltissimi genitori si aggrappano quando il loro figlio è, né più né meno, in sovrappeso, quando non addirittura obeso. Questi bambini mangiano, e tantissimo. Spesso mangiano schifezze, facendo merenda a tutte le ore del giorno con patatine, gelati, merendine confezionate.
E tutto questo ha una radice culturale: se un tempo i mezzi non permettevano di mangiare a tutte le ore e se tempo addietro il consumismo di massa non esisteva, oggi c’è la concezione che i bambini debbano mangiare moltissimo per rimanere in forze, per non “diventare patiti”. E tutto questo anche per la disponibilità di cibo che ci attornia. Spesso ingozziamo i bambini, insomma, rifugiandoci nella convinzione che non dargli da mangiare a tutte le ore sia privarli di un diritto umano imprescindibile.
Il diritto di cui in realtà non dovremmo privarli è però un altro, e cioè la salute. Anche perché i bambini non hanno bisogno di mangiare così tanto ma ingozzandoli e abituandoli a spiluccare lungo tutta la giornata non soddisfiamo un loro bisogno naturale ma semplicemente inseguiamo una dipendenza psicologica che abbiamo creato noi.
La blogger del Fatto Quotidiano per fare capire il suo punto di vista porta un interessantissimo articolo pubblicato sulla rivista Obesity, un osservatorio internazionale per capire meglio e combattere questa malattia, condotto da alcuni ricercatori dell’università di Padova. Lo studio in questione si intitola “L’amore di una madre rende cieche? Un grande studio intercontinentale sulla consapevolezza delle madri riguardo al peso dei propri figli” e vuole fare luce sulla errata percezione che le madri hanno rispetto al sovrappeso dei propri figli e su come questa percezione influisca sui provvedimenti che le madri dovrebbero prendere per correggere il peso dei propri bambini.
Lo studio parla chiaro: l’amore materno rende cieche le madri, che non sono consapevoli dell’obesità dei bambini. Non vedono o non vogliono vedere il problema. E questo ha conseguenze pericolosissime sulla salute di questi bimbi. L’89% dei bambini sovrappeso e il 52% dei bambini obesi presi in considerazione viene infatti definito dalle proprie madri come normopeso. E questo si ripercuote sulla loro salute anche perché questa sbagliata percezione non porta le madri a proporre ai bambini degli specifici e utili programmi di prevenzione dell’obesità.
Chiudere gli occhi di fronte al sovrappeso o all’obesità dei propri bambini è pericolosissimo su due fronti. Il primo è naturalmente quello fisico, dal momento che l’obesità è causa di moltissime malattie, soprattutto cardiovascolari, e trascurare i sintomi facendo finta che il proprio bambino stia bene significa lasciare che cresca in sovrappeso, non consapevole dei rischi e dipendente dal cibo. In secondo luogo c’è il fattore psicologico e sociologico: purtroppo il bullismo è ancora molto presente nella nostra società e la maggior parte delle volte i ragazzi sovrappeso vengono presi di mira e additati.
Insomma, è sbagliatissimo nascondersi dietro al “per costituzione”. Certo che la costituzione è qualcosa di reale ma è anche reale l’educazione al benessere psicofisico e l’educazione all’alimentazione sana. La soluzione è dare fin da subito gli strumenti giusti, evitando di abituare i bambini ai pasti sregolati, alle merendine come sostituti dei pasti e ai pasti troppo abbondanti (no, non resteranno “patiti”!). Bisogna educare al cibo sano, abituandoli con una cucina saporita ma equilibrata, evitando di smangiucchiare e mangiando solo quando effettivamente si ha fame.
Giulia Mandrino
Il falso mito del non poter fare il bagno dopo mangiato
Giovedì, 19 Luglio 2018 09:10“Hai appena mangiato, adesso aspetta tre ore prima di fare il bagno altrimenti ti prendi una congestione!”. Praticamente ce lo siamo sentiti dire tutti dalle nostre mamme, dai vicini di ombrellone, dagli zii, dai cugini, da tutte le zie Ignazie del mondo. Eppure qualche mito da sfatare c’è, perché in realtà questo rischio non è proprio così fondato!
Esatto: quest’estate al mare potremo stare un po’ più tranquilli e lasciare che i nostri bimbi si divertano prima e dopo mangiato con tuffi, nuotate e spruzzi. Basta solo prendere qualche precauzione e fare attenzione a certi piccoli gesti.
Il falso mito del non poter fare il bagno dopo mangiato: non attendere tre ore per entrare in mare dopo mangiato non aumenta il rischio di congestione e annegamento
Lo dice anche Uppa, la rivista italiana di pediatria tra le più autorevoli nel mondo dell’Internet: fare il bagno dopo mangiato non aumenta il rischio di congestione e annegamento. Anzi. Se vogliamo proprio essere precisi, la “congestione” (e cioè il blocco della digestione dovuto allo sbalzo termico) è uno di quei malanni che noi italiani abbiamo da sempre in testa ma che come il “colpo di freddo” e la “cervicale” in verità non sono così reali (o almeno non nel senso nel quale li intendiamo noi: la congestione è più facile prenderla bevendo una bevanda ghiacciata o entrando in una stanza iper condizionata quando la temperatura esterna è molto alta).
Per intenderci: la mitologia della mamma italiana in spiaggia a Ferragosto vuole che sia proibito il bagno dopo mangiato (soprattutto se il pasto era abbondante) perché pericolosissimo, perché si rischia una congestione e perché il pericolo di annegamento è dietro l’angolo, anche perché durante la digestione il flusso sanguigno aumenta nel tratto gastroenterico, diminuendo in polmoni, cervello e cuore (anche se, in realtà, non è che questi ne vengano privati…).
Ma i pediatri di Uppa, portando anche letture scientifiche (questa e questa), smentiscono questa credenza: in realtà non vi è nessuna prova scientifica che fare il bagno dopo mangiato aumenti il rischio di annegamento rispetto a farlo a stomaco vuoto e non ci sono nemmeno casi riportati di bambini annegati a causa della pancia piena. Le cause sono altre, eventualmente.
Semplicemente, bisognerà fare attenzione ad un malessere generale. O meglio: è ovvio che mangiare troppo è pericoloso, a prescindere, perché un’abbuffata si ripercuote sul fisico. Ma in questo caso solitamente non viene nemmeno voglia di fare il bagno e soprattutto il bambino nel momento in cui si sente male non si fa problemi a uscire dall’acqua. Quindi un accorgimento è quello di educare i bambini a comunicare i propri malesseri, in generale, e a farli stare un po’ all’ombra nel momento in cui non si sentono al top. E poi c’è da dire che solitamente sono gli adulti che si abbuffano, e non i bambini, che in spiaggia sono contenti del panino imbottito e del frutto dopo mangiato, impazienti di tornare a giocare. No?
In ogni caso, non è la digestione che rende il bagno pericoloso. Ciò che aumenta il rischio è semplicemente il brusco impatto del viso con l’acqua fredda, che è pericoloso sia da sazi che da digiuni. Fate caso ai nuotatori e ai tuffatori professionisti: prima di entrare in acqua d’impatto fanno una doccia fredda, o addirittura si bagnano direttamente il viso con l’acqua della piscina.
L’impatto dell’acqua fredda sul viso è pericoloso poiché provoca una reazione nervosa che rallenta il battito cardiaco e abbassa la pressione. Se questo dura per più di un secondo il cervello si blocca e il rischio è quello di affogare anche nell’acqua bassa (anche in pochi centimetri).
Tutto questo per dire: no, non è pericoloso entrare in acqua dopo mangiato. No, non serve attendere tre ore dopo il pasto. Semplicemente bisogna fare attenzione all’impatto e bagnarsi sempre prima di entrare e di tuffarsi (soprattutto il viso). Bisogna usare buon senso, evitare le abbuffate in spiaggia (evitiamo la carne: quella sì che ci impiega moltissimo a venire digerita, rispetto ai carboidrati e alla frutta e verdura), considerare la temperatura dell’acqua e sorvegliare sempre i bambini: lo sguardo vigile dei genitori è sempre, sempre necessario.
Giulia Mandrino
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