Piscina e cloro: cosa è successo ai bambini intossicati e quali rischi reali si corrono
Cinque bambini sono finiti in ospedale dopo un bagno in una piscina nella zona della Borghesiana, a Roma. Il più grave ha nove anni, è in terapia intensiva, e secondo fonti ospedaliere rischia danni neurologici dovuti a una possibile inalazione di cloro. Gli altri quattro – tra i 5 e gli 11 anni – sono stati ricoverati con sintomi più lievi, tra cui difficoltà respiratorie e irritazioni cutanee.
I primi accertamenti parlano di una probabile intossicazione da cloro, una sostanza largamente utilizzata per la disinfezione dell’acqua delle piscine, ma che – in presenza di dosaggi e condizioni non corrette – può provocare reazioni anche gravi.
Cos’è il cloro e perché viene usato nelle piscine
Il cloro viene impiegato da decenni come disinfettante nelle piscine per uccidere batteri, virus e altri microrganismipotenzialmente patogeni. La sua efficacia lo rende uno standard internazionale, riconosciuto anche dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e da enti come l’Istituto superiore di sanità in Italia.
In genere, si usano prodotti a base di ipoclorito di sodio (forma liquida) o ipoclorito di calcio (in polvere o pastiglie). Il cloro libera acido ipocloroso nell’acqua, una sostanza attiva contro i microrganismi.
Per essere sicuro, il cloro deve però essere mantenuto entro limiti precisi. Secondo un decreto del Ministero della salute, il livello di cloro libero residuo nelle piscine aperte al pubblico deve essere tra 0,7 e 1,5 mg/litro. Valori superiori possono diventare irritanti o tossici.
Cosa può succedere quando il cloro è troppo
In piccole quantità, il cloro può causare bruciore agli occhi, irritazione della pelle, tosse o mal di gola, specialmente nei bambini e nelle persone con asma o problemi respiratori. Ma concentrazioni elevate o una liberazione accidentale in forma gassosa possono avere effetti molto più gravi.
Il cloro, infatti, è un gas irritante per le mucose: se inalato in grandi quantità, può penetrare nei polmoni, provocando edema polmonare, difficoltà respiratorie acute, e in casi rari danni neurologici. A lungo termine, secondo l’Agenzia per le sostanze tossiche statunitense (Atsd), può causare bronchiti croniche o peggiorare quadri già compromessi.
Nel caso avvenuto a Roma, alcuni segnali (come l’acqua che "diventa gialla" e i sintomi acuti respiratori) fanno pensare a una fuoriuscita anomala o una reazione chimica in vasca, anche se saranno le indagini della procura e della Asl a confermare eventuali responsabilità tecniche.
Chi controlla la qualità dell’acqua nelle piscine
Secondo la normativa italiana, la responsabilità primaria del controllo della qualità dell’acqua è del gestore della piscina. Deve assicurarsi che i livelli di cloro e di pH (altro parametro fondamentale) siano misurati regolarmente e restino entro i limiti stabiliti dalla legge.
Le Asl competenti hanno il compito di vigilare e fare sopralluoghi a campione, ma anche di intervenire in caso di segnalazioni o incidenti. Ogni piscina pubblica dovrebbe tenere un registro giornaliero delle misurazioni dei parametri chimici e della manutenzione.
Una gestione corretta implica: corretta dosatura automatica del cloro (attraverso centraline dedicate), monitoraggio continuo dei valori, formazione specifica del personale, manutenzione periodica dell’impianto di trattamento dell’acqua. Nel caso specifico di Roma, gli ispettori della Asl sono intervenuti già nel pomeriggio per accertare eventuali malfunzionamenti o negligenze nella gestione dell’impianto.
Bambini e cloro: quando preoccuparsi davvero
I bambini, soprattutto sotto i 10 anni, sono più sensibili agli agenti irritanti, compreso il cloro. Non è raro che dopo una giornata in piscina, alcune bambine o bambini presentino occhi arrossati, lieve tosse o irritazioni. In questi casi, i sintomi tendono a risolversi da soli in poco tempo.
Diverse ricerche, tra cui una pubblicata sul Journal of Pediatrics (Bernard et al., 2006), hanno evidenziato una possibile correlazione tra esposizione frequente a piscine clorate e maggiore incidenza di asma nei bambini, soprattutto se già predisposti. Ma si parla di esposizioni croniche, non di episodi acuti come quello della Borghesiana.
I segnali da non sottovalutare dopo un bagno in piscina includono:
- difficoltà respiratorie persistenti
- tosse che non passa
- mal di testa, nausea o vomito
- pelle che brucia o si arrossa in modo anomalo
- occhi molto arrossati e dolenti
In questi casi, è sempre bene consultare una pediatra o un pediatra, o recarsi in pronto soccorso se i sintomi sono gravi.
Un problema tecnico, non una sostanza “da evitare”
Il cloro resta uno strumento fondamentale per la sicurezza microbiologica delle piscine. Incidenti come quello accaduto a Roma sono rari, e non vanno interpretati come una prova della pericolosità del cloro in sé, ma come un campanello d’allarme per la gestione tecnica degli impianti.
Chi frequenta le piscine pubbliche o private può prendere alcune precauzioni minime: insegnare alle bambine e ai bambini a non bere mai l’acqua della piscina, fare la doccia prima e dopo il bagno, segnalare al personale qualsiasi odore troppo forte di cloro, che potrebbe indicare un dosaggio eccessivo, evitare piscine con acqua torbida o maleodorante.
Secondo le linee guida dell’Istituto superiore di sanità, l’odore pungente tipico delle piscine non è segno della presenza di troppo cloro, ma di clorammine, sottoprodotti della reazione del cloro con sudore e urina, segno che la vasca ha bisogno di essere trattata e ventilata meglio.
Il caso dei bambini intossicati a Roma non è quindi un motivo per evitare le piscine, ma un’occasione per ricordare che la sicurezza dell’acqua dipende da controlli accurati e continui, e che una manutenzione inadeguata può diventare pericolosa, soprattutto per i più piccoli.
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